Si annunciano tempi
nuovi che, come sempre, odorano di vecchio e di stantio come un processo di
putrefazione che prosegue per mesi, anni e decenni. Perchè, a ben osservare i
fatti e gli eventi che caratterizzano soprattutto il grande calderone delle
relazioni geopolitiche ed internazionali niente cambia ma tutto si amplifica se
si muove la gigantesca e implacabile macchina dell'Impero con i suoi tentacoli
militari, finanziari, industriali, tecnologici e culturali.
La riprova di quanto
vò scrivendo è l'attuale successo della pellicola ammantata di ambigua e
propagandistica retorica bellica diretta dal sempliterno, glaciale e granitico
Clint che ben farebbe a concedersi la pensione – pensione ? - e appendere al
chiodo pistola, cappellacio e cinturone. Perchè al di là dei presunti pregi
stilistici o estetici – che agli occhi di un vero e onesto cineasta appaiono
molto ma molto discutibili – "American Sniper" si rivela un abile e
preciso marchingegno cultural mediatico a sostegno delle pulsioni imperialiste
e armaiole di un "grande paese" che ormai ha perso ogni senso della
misura e delle proporzioni,
avvitato sull'orgogliosa presunzione di una superiorità
sorretta dall'indubbio strapotere militare e, quindi, nell'esercizio di una
brutale e indiscriminata violenza sistematica e "scientifica". Al
successo della pellicola del vecchio Clint si sono aggiunte alcune lodi
sperticate e accostamenti e paragoni a dir poco grotteschi e da far
sghignazzare i polli come quello proposto da Furio Colombo sul "Fatto
Quotidiano" ove, nello spazio di una buona pagina, "American
Sniper" veniva assimilato in maniera alquanto azzardata a "La tregua"
di Primo Levi. E qui si potrebbero aprire ulteriori capitoli sulle ragioni per
cui un filmaccio bellicista americano – seppure abilmente diretto – sia stato
messo in relazione a tematiche e argomenti inerenti la Shoah nel bel mezzo
della Settimana della Memoria, ma lasciamo la questione alle altrui penne e
calamai, sempre che abbia un qualche significato o senso degno di
approfondimento...
Per chi voglia
vedere guardi con i propri occhi: i Navy Seals – corpo d'elite della Marina
militare americana – sono descritti come gli ultimi veri eroi e guerrieri della
sconfinata frontiera americana e i traumi postbellici diventano l'inevitabile
scotto da pagare per l'"amor patrio". I poveri iraqeni sono ritratti
come dei moderni barbari e selvaggi che non hanno altro destino possibile se
non diventare dei sadici killer seriali o collaborazionisti e confidenti. Il
passo dalla giustificazione dell'eliminazione di donne e bambine – che nel
corso della pellicola viene presentata in maniera subdola e disonesta – è molto
breve, quasi un tiro di sputo. D'altronde a chi ha letto anche l'autobiografia
della "Leggenda", il letale sniper Chris Kyle, non sono sfuggiti i
tratti sgradevoli e anche repulsivi di un personaggio che, nel film, viene
gentilmente edulcorato per trasformarlo nell'ennesimo eroe della grande
industria dei sogni – o incubi ? - hollywoodiana. A conferma definitiva della
natura pericolosamente manipolatoria dell'ultima fatica di Clint è la totale
rimozione del macello compiuto a Falluja, oggettivamente da derubricare fra i
crimini di guerra che qualcuno mai sconta e mai sconterà...
Si fa presto a
dedicare giorni e settimane intere alla Memoria della Shoah – da taluno
considerata l'ultima forma di fede possibile nel decadente, relativista e
nichilista Occidente – quando s'alza, senza neanche troppi complimenti, un'aria
da sottile linciaggio culturale e mediatico di segno ora "islamofobo"
ora razzista nel nostro bello ma neanche tanto agiato mondo molto democratico,
libero e civile. Il nemico è bello che pronto, impacchettato alla bisogna e
costruito per la gioia degli "espertoni" e studiosi di geopolitica
eredi della "Clash of Civilization".
Per fortuna bisogna
saper cogliere i segnali giusti e vaccinarsi per curare la patologica sbornia e
orgia collettiva montata dalle epiche gesta di Chris Kyle, dagli sputi velenosi
della compianta Fallaci – di cui è bella e pronta una fiction naturalmente
celebrativa e, perchè no, dal mantra pseudodemocratico e pseudolaico del
"Je suis Charlie" che rivendica il diritto e l'arbitrio dell'offesa e
della bestemmia come se fosse l'apoteosi del diritto di espressione. A cercarli
bene, gli antidoti ci sono anche se non hanno nulla a che vedere con il
mainstream dell'informazione, della cultura e dello spettacolo che vivono di
frasi fatte, di vuota retorica, di pregiudizio e di colpi ad effetto portati su
un pubblico che ormai vuole ascoltare ciò che adora sentire.
Fra queste
"medicine" è certamente da annoverare lo splendido documentario del
reporter di guerra americano del "Nation" Jeremy Scahill "Dirty Wars
– Guerra Sporca" il cui DVD si dovrebbe acquistare comodamente. Breve,
asciutta e sintetica, l'opera narra soprattutto la storia del viaggio decennale
di un giovane giornalista americano costretto dolorosamente a cambiare
prospettiva e giudizio sulla mitica "guerra al terrore" sbandierata
come vessillo di amministrazioni repubblicane e democratiche dalla
insopprimibile e violenta forza delle cose. Dall'Afghanistan alla Somalia
passando per lo Yemen il nostro finisce per seguire le tracce di una task force
militare denominata JSOC – Joint Special Operation Command – che, in realtà,
costituisce un vero e proprio esercito segreto paramilitare, il braccio armato
delle Casa Bianca nelle nuove guerre non
dichiarare ma combattute in ben settantacinque paesi con strumenti "non
convenzionali" e il relativo corredo di nefandezze. Lascio al lettore la
visione di questo documentario – peraltro premiato al Sundance Festival – che,
semplicemente, non pretende di raccontare la Verità, ma di offrire lo stimolo
giusto per farsi le domande e approfondire senza cadere nella trappola dei neo
– teo – lib- con – dem di infausta memoria e capire quello che sta accadendo ad
un mondo devastato da quella guerra permanente che i media del mainstream si
ostinano a non mostrare e a censurare. Ma noi sappiamo benissimo che la vita di
un vignettista satirico conta ben più di centinaia di donne e bambini che hanno
la sfortuna di vivere al di là del Mediterraneo ove i talebani possono anche
essere americani.
Bisogna saper
ascotare bene le campane che suonano a morto... In tutte le loro vibrazioni...
Saluti
HS
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