“Una soluzione federale è auspicabile solo da chi pensa ad una dittatura tecnocratica imposta alle popolazioni dell’Europa” (Alessandro Bianchi)
Intervista a Ambrose Evans-Pritchard. International Business Editor of The Daily Telegraph 
– Oggi si vota in Grecia e il giudizio si divide tra chi considera 
Tsipras un nuovo Papandreou o un nuovo Samaras che si piegherà presto ai
 voleri della Troika e chi, al contrario, la miccia in grado di far 
implodere la zona euro. Cosa comporterebbe una vittoria di Syriza e, più
 in generale, cosa rappresentano le elezioni in Grecia per il futuro 
della crisi europea in corso?
Sono un evento fondamentale per il futuro della zona euro. Ma non è 
ancora chiaro chi vincerà secondo gli ultimi sondaggi e gli scenari 
sarebbero diversi nel caso in cui Syriza dovesse ottenere una 
maggioranza assoluta o dovesse, al contrario, essere costretta ad una 
coalizione di governo, che complicherebbe inevitabilmente l’applicazione
 del suo programma.
Quello che nelle capitali europee (Berlino, Bruxelles e Francoforte) e 
nei mercati finanziari si pensa è che la vittoria di Tsipras sarà 
facilmente gestibile e che Syriza non sarà in grado di portare avanti i 
suoi obiettivi, in particolare la profonda ristrutturazione del debito 
della Grecia.
 Si tratta di una presunzione molto pericolosa. Il punto 
centrale che secondo me è stato sottosviluppato è che Tsipras ritiene di
 poter smascherare il bluff con cui le potenze creditrici del Nord hanno
 imposto le strategie fallimentari degli ultimi anni. E secondo me a 
ragione. Tsipras crede di poter porre fine alle politiche 
dell’austerità e imporre la rinegoziazione del debito. Non credo che al 
momento decisivo della trattativa la Germania e la Ue accetteranno 
questo cambiamento. Se Berlino e Bruxelles vedranno che Syriza vorrà 
continuare a portare avanti il suo programma, potrebbero presto togliere
 il sostegno finanziario con cui restano in vita le banche greche. Se la
 Bce dovesse togliere la sua garanzia, la Grecia sarà fuori dall’euro in
 24 ore.
– Come giudica l’intromissione di funzionari europei come Moscovici o
 Juncker nella campagna elettorale greca, i quali hanno chiaramente 
indicato come la popolazione avrebbe dovuto scegliere “la via europea”. 
Nell’attuale fase della crisi della zona euro cosa resta di democratico 
nei paesi dell’Europa del sud?
Penso che avrebbero dovuto solo stare zitti. E’ gravissimo ascoltare le dichiarazioni di Moscovici o Juncker, che si sono permessi di fare delle chiare minacce alla popolazione in una fase di campagna elettorale all’interno di un paese sovrano. Non credo siano dichiarazioni efficaci per condizionare il voto dei greci, ma generano solo rabbia. Del resto, questo è il modus operandi tipico dell’Unione Europea ed è l’anti-democraticità
 che ha accompagnato tutta la crisi della zona euro. Le istituzioni 
europee hanno eliminato legittimi governi membri con un chiaro mandato 
elettorale: Berlusconi nell’agosto del 2011 e Zapatero in Spagna.
Anche in Irlanda hanno agito in modo similare: la Troika (Bce, 
Commissione europea e FMI) ha imposto un aumento delle tasse all’interno
 del “salvataggio” in modo che a salvare il sistema bancario irlandese 
(e ripagare i debiti con gli istituti finanziari esteri) fossero i 
contribuenti e non il sistema bancario stesso. Il tutto non è stato 
fatto per proteggere l’Irlanda, ma per impedire il collasso della zona 
euro. Non è stato mai riconosciuto questo debito verso l’Irlanda e lo 
stesso vale per la Grecia: miliardi e miliardi di euro di prestiti spesi
 non per salvare il paese, ma la creazione del Mes nel 2010 è stato 
chiaramente un sacrificio della Grecia per salvare la zona euro. Una 
grandissima percentuale (oltre il 90%) è servito per salvare l’Europa 
sulla pelle della popolazione greca. Atene è stata sacrificata 
nell’altare della zona euro. E nessuno, a distanza di anni, ha 
riconosciuto questo sacrificio, perché la narrativa ufficiale racconta 
alle masse cose diverse.
– Quello che nella narrativa ufficiale della crisi non emerge mai è 
poi che anche se l’unico obiettivo delle misure d’austerità fosse stato 
quello di ridurre il debito, la strategia è stata un misero fallimento 
dato l’aumento vertiginoso di quest’ultimo in tutti i paesi dell’Europa 
del sud. Nell’ultimo periodo, inoltre, l’incubo deflazione è divenuto 
una realtà. Cosa attendersi ora dal 2015 anche alla luce del Piano di 
Quantitative Easing annunciato da Draghi?
E’ chiaro che ogni discorso sulla politica economica europea deve ora
 tener conto delle misure di Quantitative Easing che Draghi ha 
annunciato per il marzo prossimo. Si tratta di una presa di posizione 
tardiva che dimostra come per tutti gli anni precedenti la politica 
scelta è stato uno storico fallimento. Lo scorso anno a Davos Draghi ci 
diceva che la deflazione non era una minaccia per la zona euro e che non
 avrebbe adottato misure di QE. Questa “rivolta latina” come ho scritto 
viola il contratto sacro della zona euro, vale a dire che la Germania 
offriva la stabilità del marco e la credibilità della Bundesbank ad una 
condizione: non sarebbe mai stata contrariata su una posizione monetaria
 di particolare importanza. Non è da escludere che questa decisione di 
Draghi sia stato il primo passo per un’uscita di Berlino dall’euro, che 
sarebbe, del resto, la salvezza economica e sociale per l’Europa del 
sud.
Ma, a parte le questioni monetarie che andranno valutate nei prossimi 
mesi anche in relazione alle decisioni della Corte di Giustizia europea e
 la possibile reazione della Corte costituzionale tedesca, è il Piano 
Juncker l’emblema del fallimento della strategia europea, con più o meno
 0 euro reali sul piatto e quindi con 0 effetto sull’economia dei paesi 
del sud.
In questo contesto, l’Italia è il caso emblematico del fallimento anche dell’unico obiettivo delle misure d’austerità. Il
 debito pubblico è cresciuto, dall’inizio delle misure imposte dal 
governo Monti, dal 116% al 133% negli ultimi tre anni, anche se, ed è il
 dato più emblematico, l’Italia ha ottenuto un surplus del budget. Il 
debito sta crescendo e crescerà sempre di più ed è un suicidio.
Sono rimasto particolarmente colpito dalle dichiarazioni preoccupate del
 governatore di Banca d’italia Visco che ha ben compreso la situazione 
dell’Italia e poche settimane fa ha dichiarato quello che di drammatico 
potrebbe accadere alla traiettoria del debito nella nuova situazione di 
deflazione in cui il paese è entrato. Uno studio di Bruegel in 
Bruxelles, del resto, ha valutato che ogni 1% extra di inflazione in meno genera un 1,4% di surplus necessario in più
 per il bilancio dell’Italia. La deflazione, in poche parole, ha un 
effetto devastante ed è questa la grande questione del futuro della zona
 euro per il 2015, anche più importante della potenziale crisi politica 
in Grecia. Non a caso Draghi ha cercato di tamponare l’emergenza con 
l’annuncio di giovedì scorso.
– Molti in Italia per creare un clima di terrore paventano scenari 
drammatici nel caso di un ritorno ad una propria sovranità valutaria. 
Proviamo a ribaltare il discorso: cosa resterebbe dell’Italia nel caso 
in cui dovesse rimanere all’interno dell’euro per altri cinque anni?
Molto difficile da dire a livello politico. Ma restiamo alle analisi economiche. L’Italia
 è in una trappola deflattiva – il peso del tasso d’interesse è il 4% 
circa del debito rispetto al Pil. L’economia non cresce e siamo di 
fronte ad un tasso d’inflazione negativo: in poche parole il paese è 
nella classica trappola debito-deflazione. Non siamo di fronte 
ad un punto di rottura immediato. Mediobanca ha suggerito che 
quest’ultimo potrebbe arrivare alla fine del prossimo anno. Secondo me 
entro tre anni, non oltre, i mercati inizieranno a reagire per 
l’insostenibilità del debito italiano.
La questione sociale nel paese è sempre peggiore e un numero spiega 
meglio di ogni altro la drammaticità della crisi in corso nel vostro 
paese: la produzione industriale è tornata ai livelli degli anni ’80. E’
 tornata a 30 anni fa, si tratta di un crollo spaventoso, da leggere 
insieme al crollo del 10% del Pil dal fallimento Lehman Brothers.
Ma non si può capire la portata della crisi attuale se non comprendiamo –
 e nella narrativa ufficiale della crisi questo non viene mai detto – 
che quello che sta avvenendo nel’Europa del sud è peggiore degli anni 
’30. All’epoca dopo sei anni dall’inizio della crisi, infatti, era 
iniziata una ripresa, oggi si vive, nella migliore delle ipotesi, una 
stabilizzazione nella stagnazione.
E’ chiaro a tutti a questo punto che la situazione in Italia andrà 
sempre peggio, non migliorerà. Le riforme di Monti dell’austerità sono 
state un boomerang ed hanno aumentato il debito, non l’hanno diminuito. 
La disoccupazione ufficiale in Italia è del 13,4% e sarà sempre 
maggiore. I dati sono ancora più drammatici nel Mezzogiorno dove il Pil 
si è contratto del 15% e ci sono tassi di disoccupazione che in alcune 
regioni raggiungono il 22%. Il tutto non è socialmente gestibile nel 
lungo periodo. Cosa accadrà se l’Italia resterà nell’euro altri anni? 
Quei dati del sud potrebbero divenire nazionali e l’Italia trasformarsi 
nel “Mezzogiorno d’Europa”.
– Renzi in Italia è convinto di risollevare il paese con il mantra delle “riforme”. Ci può riuscire?
Un altro punto che le persone dimenticano troppo spesso e che è stato
 mal raccontato dalla narrativa ufficiale della crisi è che le riforme 
del sud Europa non sono null’altro che tagli salariali ed hanno un 
impatto minimo su produttività, crescita e competitività del paese in 
questione. E questo in un contesto di disoccupazione di massa, a livelli
 drammatici per quel che riguarda quella giovanile.
Tanti lavoratori ben qualificati e con un’ottima preparazione, ad 
esempio, sono emigrati dall’Italia in Gran Bretagna e si tratta di un 
vero dramma per l’Italia ed un ottima notizia per la Gran Bretagna. 
Inoltre vi è un numero infinito di lavoratori fuori dal mercato: è per 
l’Italia una vera e propria tragedia nazionale perdere i suoi migliori 
talenti e avere centinaia di migliaia di giovani fuori dal mercato del 
lavoro. E’ un dramma molto peggiore di qualunque minimo miglioramento 
che potrebbe verificarsi con una “riforma strutturale” nel lungo 
periodo. Si tratta di un fenomeno macroeconomico conosciuto come 
isteresi che crea nel tessuto socio-economico di un paese problemi 
decennali.
E questo avviene in un contesto in cui i paesi con il Fiscal Compact si 
sono impegnati per legge a tagliare i loro debiti fino al 60% nei 
prossimi 20 anni. Si tratta di una scelta di politica economica 
drammaticamente depressiva per 24-25 anni per un paese come l’Italia, 
che parte dal 133%. Talmente depressiva da essere in grado di 
distruggere completamente il tessuto economico del paese.
In teoria l’Ue potrebbe funzionare. Ma c’è un gap di competitività del 
30% tra Nord e Sud che può essere colmato solo con maggiori tassi 
d’inflazione nel Nord, oltre il 5% in Germania, o da una svalutazione 
interna perenne nel Sud. Ma politicamente questa opzione non è 
praticabile, dato che la Germania non considera in agenda neanche il 2%.
 Ho ragionato molto nell’ultimo periodo sulla possibilità di rendere la 
zona euro funzionale. E sono arrivato alla conclusione che sia 
impossibile sia da un punto di vista economico per le ragioni che 
abbiamo detto in precedenza, ma anche da un punto di vista politico, 
dato che questo vorrebbe dire muoversi verso un super stato europeo, con
 un unico governo del Tesoro. Si tratta di un’assoluta utopia al momento
 attuale delle vicende europee e non è neanche desiderabile se non per 
chi auspica una dittatura tecnocratica imposta a tutte le popolazioni 
dell’Europa.
  
– Per salvare ciò che non era sostenibile, l’euro, in passato si è 
proceduto a misure vessatorie per i contribuenti come il Fondo Salva 
Stati (Mes) che ha salvato solo le banche e il Fiscal Compact. Con 
l’acuirsi della crisi si potrebbe arrivare a nuove misure emergenziali 
come il prelievo forzoso sui conti correnti?
La narrativa ufficiale della crisi della zona euro è che l’area 
valutaria sta recuperando; che si va verso un bilanciamento tra i paesi;
 che non c’è più crisi; che la Grecia sta crescendo e gli altri paesi 
stanno facendo le riforme giuste. Tutto va bene e quindi non c’è 
necessità di applicare misure di questo tipo emergenziali. Ma è la 
visione ufficiale, sbagliata. In realtà se la Grecia dovesse andare 
fuori controllo e ci dovessero essere effetti domino sul resto 
dell’Europa, che cosa accadrebbe? A quel punto non è da escludere 
l’imposizione di prelievi ai depositi bancari non protetti superiori ai 
100 mila euro. A chi dice che non è un’opzione possibile, bisogna 
ricordare che non era la politica ufficiale dell’Ue, ma è stato 
applicata a Cipro ed è un tabù che è stato rotto.
Quindi se il sistema bancario italiano dovesse collassare, questa misura potrebbe tornare d’attualità.
In Portogallo, il caso dell’Espirito Santo è stato un test su tutto 
quello che potrebbe accadere nel resto d’Europa. Ma, al momento attuale,
 non è possibile fare previsioni: un’imposizione di tasse sui depositi 
potrebbero rendersi necessarie in Italia per esempio, ma da che livello 
non lo so e dipenderebbe dall’attacco dei mercati.In questo periodo ci 
sono anche proposte interessanti che l’Italia possa sviluppare una 
moneta parallela all’euro – come il caso dell’Austria negli anni ’20 in 
parallelo al Gold Standard – che permetterebbe al paese di riprendersi 
senza violare tecnicamente i Trattati europei. Il Ministero del Tesoro 
italiano ha avuto discussioni informali sulla possibilità di realizzarla
 e Renzi dovrebbe iniziare ad usare questi argomenti per minacciare 
Bruxelles, Francoforte e Berlino per l’applicazione di economie 
espansive nel 2015.
– Dopo la crisi degli anni’30 e l’ascesa dei fascismi in tutta 
Europa, il Regno Unito si rivelò il paese più geloso nel continente 
delle proprie prerogative democratiche e sovrane nella lotta al nazismo.
 Sarà di nuovo Londra, attraverso il referendum che potrebbe tenersi nel
 2017, a liberare nuovamente il continente da questa nuova dittatura di 
Bruxelles-Francoforte?
Il discorso è complesso perché a Londra si vive una fase politica 
particolarmente delicata e frammentata come ha dimostrato il recente 
referendum scozzese. Se i laburisti dovessero vincere non sarà indetto, 
ma è chiaro che se saranno i conservatori a prevalere il popolo potrà 
votare se restare o meno nell’UE. Essendo il partito che ha fatto uscire
 il paese della recessione – anche se la ripresa è perlopiù fittizia, 
non sana e non basata sul settore manifatturiero e industriale – ha 
molte possibilità di vincere ed utilizzerà anche il forte blocco 
dell’Ukip che sarà presente in Parlamento per porre ulteriore pressione 
sull’Ue. Se ci sarà un nuovo governo di conservatori, quindi, ci sarà un
 referendum e l’esito finale dipenderà dalle negoziazioni e dal livello 
di concessioni che Bruxelles sarà disposta a fare a Cameron. Certamente,
 poi, l’Europa potrebbe essere qualcosa di molto diverso.
Fonte: L’Antidiplomatico
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