A Bilbao, questa mattina, è arrivato dal
Canada il primo carico di petrolio derivato da sabbie bituminose,
destinato alla raffineria di Muskiz. Questo fatto segna l’inizio
dell’era del petrolio sporco nella Ue. Petrolio e prodotti derivati
relativi molto più contaminanti e con rischi ambientali e sociali di
gran lunga superiori ai tipi di petrolio di genere convenzionale. La
Repsol è una delle compagnie petrolifere che lucreranno con
l’importazione massiccia di questa tipologia di petrolio. Per questa
ragione, diversi attivisti convocati da Ekologistak Martxan e
dall’associazione coordinatrice anti-coke, si sono radunati per
dimostrare il proprio rifiuto all’ingresso in raffineria.
Il carico di stamattina è arrivato sulla petroliera Aleksey Kosigin: si tratta di 600.000 barili di petrolio derivato da sabbie bituminose (in inglese è “tar sands”; NdT) provenienti dalla regione dell’Alberta, Est del Canada. Trattandosi del primo carico importato di questo tipo in Europa, serve a verificare se la raffineria di Muskiz è pronta a poter trattare nuove partite di questa particolare classe di petrolio extra-pesante (spagnolo e italiano) – più denso e viscoso di quello convenzionale e soggetto a trattamenti speciali per la sua raffinazione.
Il carico di stamattina è arrivato sulla petroliera Aleksey Kosigin: si tratta di 600.000 barili di petrolio derivato da sabbie bituminose (in inglese è “tar sands”; NdT) provenienti dalla regione dell’Alberta, Est del Canada. Trattandosi del primo carico importato di questo tipo in Europa, serve a verificare se la raffineria di Muskiz è pronta a poter trattare nuove partite di questa particolare classe di petrolio extra-pesante (spagnolo e italiano) – più denso e viscoso di quello convenzionale e soggetto a trattamenti speciali per la sua raffinazione.
Il petrolio che deriva dalle sabbie bituminose è caratterizzato dalla tipologia di estrazione mineraria effettuata a cielo aperto, a differenza del crudo convenzionale che viene estratto “semplicemente” perforando la superficie terrestre. A causa di questo tipo di estrazione mineraria, i conseguenti impatti ambientali e sociali nei luoghi di lavorazione risultano enormi: deforestazione di aree boschive, fiumi contaminati, rischio sanitario, laghi tossici, etc. Risulta così ingente la devastazione prodotta che già fa parte delle “tracce” umane visibili dallo spazio. Inoltre, siccome ciò che si ottiene non è direttamente petrolio ma una sorta di catrame molto denso – formato da sabbia, argilla, acqua e bitume – i rischi in caso di riversamento durante il suo trasporto – sia via terra (oleodotti) o via mare – possono risultare molto più devastanti e distruttivi di quelli causati dal petrolio più leggero, anche definito convenzionale. Gli studi effettuati dalla Commissione Europea stimano che questo tipo di petrolio emetta in media un +23% di emissioni di gas a effetto serra rispetto al convenzionale.
Pertanto, l’ingresso massiccio di questo
tipo di petrolio manderebbe a gambe all’aria l’impegno della UE nella
riduzione delle proprie emissioni di gas serra, programmata al 20% fino
al 2020.
Malgrado ciò, alla UE non sembra importare molto. Se, di fatto, ne viene permessa l’entrata, addirittura mettendo a rischio gli impegni in materia di clima che erano stati richiesti, tutto ciò avviene al solo fine di compiacere i petrolieri nordamericani. Questi ultimi, approfittando dei negoziati per gli accordi commerciali con il Canada (CETA) e con gli USA (TTIP), hanno imposto i propri vantaggi nonostante qualche direttiva o impegno nell’interesse sociale o ambientale posta a ostacolo dell’ingresso di questo tipo di petrolio.
Malgrado ciò, alla UE non sembra importare molto. Se, di fatto, ne viene permessa l’entrata, addirittura mettendo a rischio gli impegni in materia di clima che erano stati richiesti, tutto ciò avviene al solo fine di compiacere i petrolieri nordamericani. Questi ultimi, approfittando dei negoziati per gli accordi commerciali con il Canada (CETA) e con gli USA (TTIP), hanno imposto i propri vantaggi nonostante qualche direttiva o impegno nell’interesse sociale o ambientale posta a ostacolo dell’ingresso di questo tipo di petrolio.
Ma, non sono solo i canadesi o gli
usamericani a lucrare sull’importazione massiccia di questo tipo di
petrolio in Europa: anche la Repsol sarà tra i grandi beneficiari di
questa situazione. Il motivo si basa sul fato che la Repsol possiede 3
delle 5 raffinerie presenti in Ue (Cartagena, Bilbao e Castellón) capaci
di lavorare questo tipo di petrolio extra-pesante. Quindi, la maggior
parte di tutto il greggio che dovesse arrivare in UE, verrà raffinato
dagli impianti Repsol. E neanche risulta tanto strano che il primo
carico europeo sia stato comperato dalla Repsol, e che venga lavorato
presso una delle sue raffinerie: l’obiettivo è di poter provare se la
tecnologia necessaria al trattamento del petrolio da sabbie bituminose
sia operativa, al fine di poter ricevere nuove partite.
Stando così le cose, come denuncia il Natural Resources Defence Council,
le importazioni potrebbero passare dai 4.000 barili/giorno che lo stato
spagnolo ha ricevuto nel 2012 fino a 700.000 barili nel 2020.
Se ciò dovesse accadere, l’UE certificherebbe la fine dei propri impegni in materia di clima e ambiente, avallando la continuità di un modello energetico basato sulle energie sporche (senza alcuna distinzione di origine e relativi impatti), ma non su quelle rinnovabili. Oltre a provvedere a un maggior contributo nell’accelerazione del caos climatico e delle sue conseguenze devastanti.
Se ciò dovesse accadere, l’UE certificherebbe la fine dei propri impegni in materia di clima e ambiente, avallando la continuità di un modello energetico basato sulle energie sporche (senza alcuna distinzione di origine e relativi impatti), ma non su quelle rinnovabili. Oltre a provvedere a un maggior contributo nell’accelerazione del caos climatico e delle sue conseguenze devastanti.
Ed è per questo che Ekologistak Martxan
esige che la UE non rinunci a suoi già minimi quanto scarsi impegni
ambientali, esortando gli Stati Membri e il Parlamento Ue-ropeo al che
possano impedire – non permettendolo – il consumo del petrolio da sabbie
bituminose, così negativo dal punto di vista sociale e ambientale.
ALEKSEY KOSYGIN Aruba
Bandiera: Liberia
Lunghezza x larghezza: 280m X 50m
Rotta: (Canada) – Texas (USA) – Aruba – Bilbao
La nave petroliera ALEKSEY KOSYGIN
battente bandiera liberiana è arrivata al super-porto di Bilbao e adesso
si trova al molo di Punta Lucero, dove scaricherà il proprio carico di
crudo derivato da sabbie bituminose canadesi. Da qui, il greggio verrà
trasportato attraverso un oleodotto all’impianto della Petronor, dove verrà processato nell’impianto di coke.
Le sabbie bituminose
L’estrazione di sabbie bituminose è uno
dei drastici esempi di estrazione petrolifera, a causa dell’energia e
della tecnologia richieste per separare il bitume (petrolio dalla
sabbia) a cui deve far fronte; come anche l’enorme impatto ambientale
dovuto all’accesso dei suoi depositi naturali e all’estrazione di grandi
volumi, eliminando perciò grandi aree boschive e interi ecosistemi. Il
motivo per cui la sua estrazione e commercializzazione sono diventate
redditizie può essere addotta alla diminuzione dei giacimenti di
petrolio (a causa del “picco petrolifero”) e alla sua relativa scarsità (picco
e scarsità sono concetti presunti; a fronte di un indubbio calo
dell’offerta di petrolio conosciuta, essendo i permessi soggetti a
segreto industriale e di stato, non è possibile conoscerne l’effettiva
entità produttiva; e in ogni caso, quando si parla di scarsità, non si
tiene conto delle aree non esplorate; quindi i concetti di picco e
scarsità sono particolarmente legati al “mercato” finanziario e alla
speculazione del petrolio stesso; NdT).
Una delle prime aree colpite dal picco petrolifero sono stati gli USA che hanno visto ridursi le proprie scorte di crudo, mentre contemporaneamente devono mantenere un sistema altamente petrolio-dipendente. Questo li ha obbligati a cercare delle alternative che non sono altro se non un ripiego di maggior impatto ambientale: sabbie bituminose e fracking! (entrambi richiedono un impiego di elevate risorse energetiche e finanziarie). Uno dei più grandi giacimenti di sabbie bituminose si trova nell’America del Nord, sia negli Usa che in Canada. Nel 2006, in Canada già esistevano 81 progetti di questo tipo (in Alberta ora operano 20 multinazionali!) la cui capacità estrattiva è di 1,25 milioni di barili al giorno! Quindi, sono tipologie e metodologie di estrazione petrolifera che riguardano molto da vicino il cambiamento climatico, visto che si registra un +12 % di gas serra rispetto all’industria del petrolio convenzionale. Quest’attività estrattiva comporta, per giunta, la rimozione di terreno e sabbia, provocando la mescola del bitume con l’acqua, contaminando tutto.
La separazione del greggio dalla sabbia richiede altrettanti enormi volumi di acqua: da 4 a 6 barili di acqua per produrne uno di petrolio; cioè, da 2 a 3 in più rispetto al convenzionale. Il 10% di quest’acqua viene restituita al corso idrico, risultando però acqua impoverita e contaminata. Il resto si deposita in grandi piscine dalle dimensioni di laghi (circa 4.000 miliardi di litri) di acque residuali come quelle della Syncrude. Queste acque sono talmente tossiche da causare la morte delle migliaia di volatili che vi si posano sopra. Nell’Alberta (Canada) estraggono acqua dal fiume Athabasca (652 milioni di metri cubi all’anno), mentre in South Dakota o nello Utah non esistono riserve idriche di tale portata.
Una delle prime aree colpite dal picco petrolifero sono stati gli USA che hanno visto ridursi le proprie scorte di crudo, mentre contemporaneamente devono mantenere un sistema altamente petrolio-dipendente. Questo li ha obbligati a cercare delle alternative che non sono altro se non un ripiego di maggior impatto ambientale: sabbie bituminose e fracking! (entrambi richiedono un impiego di elevate risorse energetiche e finanziarie). Uno dei più grandi giacimenti di sabbie bituminose si trova nell’America del Nord, sia negli Usa che in Canada. Nel 2006, in Canada già esistevano 81 progetti di questo tipo (in Alberta ora operano 20 multinazionali!) la cui capacità estrattiva è di 1,25 milioni di barili al giorno! Quindi, sono tipologie e metodologie di estrazione petrolifera che riguardano molto da vicino il cambiamento climatico, visto che si registra un +12 % di gas serra rispetto all’industria del petrolio convenzionale. Quest’attività estrattiva comporta, per giunta, la rimozione di terreno e sabbia, provocando la mescola del bitume con l’acqua, contaminando tutto.
La separazione del greggio dalla sabbia richiede altrettanti enormi volumi di acqua: da 4 a 6 barili di acqua per produrne uno di petrolio; cioè, da 2 a 3 in più rispetto al convenzionale. Il 10% di quest’acqua viene restituita al corso idrico, risultando però acqua impoverita e contaminata. Il resto si deposita in grandi piscine dalle dimensioni di laghi (circa 4.000 miliardi di litri) di acque residuali come quelle della Syncrude. Queste acque sono talmente tossiche da causare la morte delle migliaia di volatili che vi si posano sopra. Nell’Alberta (Canada) estraggono acqua dal fiume Athabasca (652 milioni di metri cubi all’anno), mentre in South Dakota o nello Utah non esistono riserve idriche di tale portata.
Un ulteriore problema ambientale
associato è la contaminazione dovuta agli sversamenti: oleodotti,
piscine di acque residuali, etc. Tra il marzo e l’aprile dell’anno
scorso, ne sono avvenuti 4 negli oleodotti: uno ha riguardato un
convoglio ferroviario che trasportava il petrolio ricavato, mentre il
quarto da una piscina di acque residuali.
Come per altre attività estrattive, le popolazioni native risultano essere quelle più colpite: in Canada, il 70 % delle sabbie bituminose sono localizzate nei territori della nazione nativa del Lago Lubicon, colpendo anche i popoli originari Metis, Dene (txipewyan), Kree, Ihanktonwan Dakota, Nadleh Whut’en. Questi popoli si sono attivamente opposti all’estrazione e agli oleodotti che, partendo dall’Alberta, attraversano incrociandoli i propri territori: l’oleodotto Trans Mountain; il Keystone XL che va fino in Texas; mentre il Northern Gateway va fino all’Oceano Pacifico per esportare petrolio in China.
La resistenza continua
Come per altre attività estrattive, le popolazioni native risultano essere quelle più colpite: in Canada, il 70 % delle sabbie bituminose sono localizzate nei territori della nazione nativa del Lago Lubicon, colpendo anche i popoli originari Metis, Dene (txipewyan), Kree, Ihanktonwan Dakota, Nadleh Whut’en. Questi popoli si sono attivamente opposti all’estrazione e agli oleodotti che, partendo dall’Alberta, attraversano incrociandoli i propri territori: l’oleodotto Trans Mountain; il Keystone XL che va fino in Texas; mentre il Northern Gateway va fino all’Oceano Pacifico per esportare petrolio in China.
La resistenza continua
In questo senso, la resistenza alle
sabbie bituminose risale agli anni passati. Tuttavia, continua forte,
visto l’aumento dei suoi impatti. Lo scorso 20 maggio (2014, NdT), un
gruppo di attivisti ha bloccato la strada di accesso all’oleodotto
Enbridge (Línea 9) di Burlington (Ontario). L’azione era tesa alla
denuncia delle “12.000 irregolarità di quest’oleodotto rese pubbliche
dalla Enbridge”, essendo invece 13.000 le irregolarità e i punti deboli
di questa struttura. Gli attivisti denunciano che parte di queste
irregolarità sono le stesse presenti nella Linea 6B, che hanno provocato
lo scoppio e lo sversamento nel fiume Kalamazoo. Milioni di litri di
idrocarburi sversati e, nonostante l’incidente fosse occorso nel 2010,
risulta tuttora impossibile ripulire l’area. Dal luglio al dicembre del
2013 sono stati realizzati 308 fossati di mantenimento a causa delle
spaccature nell’oleodotto. Nel giugno 2013, a Hamilton un gruppo di
persone ha paralizzato la costruzione di una stazione di vigili del
fuoco della Enbridge.
Il 22 di maggio c’è stato anche il giudizio per due attivisti – Doug Bowen e Jessie Dowling – accusati di aver fermato nell’agosto 2013 ad Androscoggin (USA) un convoglio ferroviario che trasportava petrolio derivato da sabbie bituminose. Loro denunciavano il rischio prevedibile di questi convogli ferroviari che, come abbiamo già detto, sono deragliati, producendo sversamenti di materiale altamente inquinante; per di più, 7 settimane prima di questo fatto, uno dei convogli era esploso, causando la morte di 47 persone a Lac Megantic. In questo stesso luogo, sono già avvenuti 6 deragliamenti gravi, uno dei quali ha richiesto l’evacuazione di 2.400 persone. Questo petrolio proviene dal Nord Dakota, dove viene estratto con la tecnica della fratturazione idraulica – metodo per cui si utilizza un miscuglio di sostanze chimiche altamente tossiche iniettato sotto terra a grande pressione per liberare il petrolio dalla roccia. Il greggio di Bakken crude è più infiammabile di altri tipi extra-pesanti. Ed è il motivo per cui questi convogli ferroviari adibiti al trasporto del petrolio sono stati soprannominati “treni bomba”.
Con il raduno di oggi, intendiamo richiamare l’attenzione sugli impatti che la fine del petrolio (picco) sta già causando in aggiunta a questo sistema che, invece di cercare soluzioni prova a perpetuare i problemi, aumentandone gli effetti [negativi]. Ed è anche per questo che intendiamo avvertire del pericolo di tali ricette che qualcuno vuole applicare qui – per esempio con il fracking (fratturazione idraulica) o altri metodi al fine di rendere redditizio il petrolio e i suoi derivati – come l’impianto di Coque: inaugurato di recente, in questa stessa raffineria della Petronor non si fa altro che aumentare gli effetti negativi sulla salute con l’oblazione dell’ambiente e del cambiamento climatico. Insieme alla popolazione colpita e in lotta di Meatzalde, vogliamo solidarizzare con tutti coloro che sono stati colpiti e che resistono alle sabbie bituminose in Canada e negli USA, specialmente con i popoli nativi, ancora una volta non vengono tenuti in considerazione e con tutti coloro che per molti anni hanno dovuto affrontare questi problemi.
Il 22 di maggio c’è stato anche il giudizio per due attivisti – Doug Bowen e Jessie Dowling – accusati di aver fermato nell’agosto 2013 ad Androscoggin (USA) un convoglio ferroviario che trasportava petrolio derivato da sabbie bituminose. Loro denunciavano il rischio prevedibile di questi convogli ferroviari che, come abbiamo già detto, sono deragliati, producendo sversamenti di materiale altamente inquinante; per di più, 7 settimane prima di questo fatto, uno dei convogli era esploso, causando la morte di 47 persone a Lac Megantic. In questo stesso luogo, sono già avvenuti 6 deragliamenti gravi, uno dei quali ha richiesto l’evacuazione di 2.400 persone. Questo petrolio proviene dal Nord Dakota, dove viene estratto con la tecnica della fratturazione idraulica – metodo per cui si utilizza un miscuglio di sostanze chimiche altamente tossiche iniettato sotto terra a grande pressione per liberare il petrolio dalla roccia. Il greggio di Bakken crude è più infiammabile di altri tipi extra-pesanti. Ed è il motivo per cui questi convogli ferroviari adibiti al trasporto del petrolio sono stati soprannominati “treni bomba”.
Con il raduno di oggi, intendiamo richiamare l’attenzione sugli impatti che la fine del petrolio (picco) sta già causando in aggiunta a questo sistema che, invece di cercare soluzioni prova a perpetuare i problemi, aumentandone gli effetti [negativi]. Ed è anche per questo che intendiamo avvertire del pericolo di tali ricette che qualcuno vuole applicare qui – per esempio con il fracking (fratturazione idraulica) o altri metodi al fine di rendere redditizio il petrolio e i suoi derivati – come l’impianto di Coque: inaugurato di recente, in questa stessa raffineria della Petronor non si fa altro che aumentare gli effetti negativi sulla salute con l’oblazione dell’ambiente e del cambiamento climatico. Insieme alla popolazione colpita e in lotta di Meatzalde, vogliamo solidarizzare con tutti coloro che sono stati colpiti e che resistono alle sabbie bituminose in Canada e negli USA, specialmente con i popoli nativi, ancora una volta non vengono tenuti in considerazione e con tutti coloro che per molti anni hanno dovuto affrontare questi problemi.
Fonte: http://www.ekologistakmartxan.org/2014/05/29/comienza-la-era-de-los-petroleos-supercontaminantes/
Traduzione di Francesco Giannatiempo
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