Stiamo assistendo da
qualche tempo in Israele ad una rinnovata polemica sui pericoli del
boicottaggio per lo stato ebraico, pericoli accresciuti dalla mancanza di prospettive per un accordo
di pace nella regione e per la soluzione della questione palestinese. Mentre
sono in corso i preparativi del il World Economic Forum di Davos, i principali
responsabili delle politiche economiche israeliane si stanno preparando per
inviare a Netanyahu un avvertimento circa l'impatto devastante del fallimento
dei negoziati di pace sull'economia.
Le principali
preoccupazioni riguardano soprattutto i molteplici effetti del boicottaggio in
Europa, boicottaggio che continua ad amplificarsi minacciando di estendersi in
altre parti del mondo. Per il ministro israeliano dell'Economia, Naftali
Bennett, leader del partito di estrema destra HaBayit Hayehudi (La
casa ebraica), invece, sarebbe la creazione di uno Stato palestinese la causa
della distruzione dell'economia israeliana.
Il 20 gennaio sulla prima pagina dello Yediot Aharonot è stato pubblicato un appello dei maggiori dirigenti economici che chiedono a Netanyahu che si arrivi al più presto ad un accordo politico. La petizione raccoglie le firme di almeno 100 grandi leader mondiali, (tra cui il presidente del gruppo Strauss, Ofra Strauss, il direttore di Google Israel, Meir Brant, il fondatore di AMDOCS, Maurice Kahan, l'amministratore delegato di Bezeq, Avi Gabay, l'industriale Gad Proper, l'ex ambasciatore negli Stati Uniti, professor Itamar Rabinovitch, l'ex ambasciatore alle Nazioni Unite Dan Gillerman, gli uomini d'affari Rami Levy, proprietario dei supermercati israeliani hard discount, Yossi Vardi, Benny Landa, membri di un gruppo apolitico chiamato BTI (Breaking the Impass Initiative- Iniziativa per uscire dall 'Impasse), che riunisce gli imprenditori israeliani e palestinesi che chiedono una soluzione politica Per il BTI, questo accordo tra i due Stati è vitale per israeliani e palestinesi.
Nell’articolo viene ribadita la volontà del BTI, una volta a Davos, di ripresentare a Netanyahu questo messaggio: "Se Israele vuole un'economia stabile, ed una crescita economica futura dovrà giungere a degli accordi". E ammoniscono che "il mondo sta perdendo la pazienza "e che " è in crescita la minaccia di sanzioni contro Israele e “ dobbiamo cogliere l’opportunità dell'arrivo di John Kerry nella regione". La petizione richiama il pericolo del boicottaggio in Europa, che ha recentemente assunto una nuova dimensione con la decisione di PGGM ,una delle più grandi compagnie olandesi che gestiscono fondi pensione, di ritirare i suoi investimenti in Israele. Il rischio maggiore è soprattutto per gli istituti finanziari israeliani che finanziano progetti di insediamenti colonici in Cisgiordania.
Sever Plocker, economista dello Yediot, nel suo articolo "Netanyahu, stiamo parlando di economia!", fa un’analisi del contrasto tra la prosperità ai tempi degli accordi di Oslo e il degrado della situazione economica attuale, soprattutto dal punto di vista della sicurezza. Egli osserva come i grandi imprenditori hanno capito di non poter più stare a guardare. Una posizione, la loro contraria a quella di Netanyahu, per il quale politica ed economia debbono restare separate, quindi Israele è in grado di assicurare la crescita economica anche senza pace con i palestinesi. Secondo Sever Plocker, si assiste a una presa di coscienza della comunità imprenditoriale per la quale nessuna ripresa economica è possibile senza pace, anche se si tratta di una pace mutilata e dettata dal pragmatismo.
Il 20 gennaio sulla prima pagina dello Yediot Aharonot è stato pubblicato un appello dei maggiori dirigenti economici che chiedono a Netanyahu che si arrivi al più presto ad un accordo politico. La petizione raccoglie le firme di almeno 100 grandi leader mondiali, (tra cui il presidente del gruppo Strauss, Ofra Strauss, il direttore di Google Israel, Meir Brant, il fondatore di AMDOCS, Maurice Kahan, l'amministratore delegato di Bezeq, Avi Gabay, l'industriale Gad Proper, l'ex ambasciatore negli Stati Uniti, professor Itamar Rabinovitch, l'ex ambasciatore alle Nazioni Unite Dan Gillerman, gli uomini d'affari Rami Levy, proprietario dei supermercati israeliani hard discount, Yossi Vardi, Benny Landa, membri di un gruppo apolitico chiamato BTI (Breaking the Impass Initiative- Iniziativa per uscire dall 'Impasse), che riunisce gli imprenditori israeliani e palestinesi che chiedono una soluzione politica Per il BTI, questo accordo tra i due Stati è vitale per israeliani e palestinesi.
Nell’articolo viene ribadita la volontà del BTI, una volta a Davos, di ripresentare a Netanyahu questo messaggio: "Se Israele vuole un'economia stabile, ed una crescita economica futura dovrà giungere a degli accordi". E ammoniscono che "il mondo sta perdendo la pazienza "e che " è in crescita la minaccia di sanzioni contro Israele e “ dobbiamo cogliere l’opportunità dell'arrivo di John Kerry nella regione". La petizione richiama il pericolo del boicottaggio in Europa, che ha recentemente assunto una nuova dimensione con la decisione di PGGM ,una delle più grandi compagnie olandesi che gestiscono fondi pensione, di ritirare i suoi investimenti in Israele. Il rischio maggiore è soprattutto per gli istituti finanziari israeliani che finanziano progetti di insediamenti colonici in Cisgiordania.
Sever Plocker, economista dello Yediot, nel suo articolo "Netanyahu, stiamo parlando di economia!", fa un’analisi del contrasto tra la prosperità ai tempi degli accordi di Oslo e il degrado della situazione economica attuale, soprattutto dal punto di vista della sicurezza. Egli osserva come i grandi imprenditori hanno capito di non poter più stare a guardare. Una posizione, la loro contraria a quella di Netanyahu, per il quale politica ed economia debbono restare separate, quindi Israele è in grado di assicurare la crescita economica anche senza pace con i palestinesi. Secondo Sever Plocker, si assiste a una presa di coscienza della comunità imprenditoriale per la quale nessuna ripresa economica è possibile senza pace, anche se si tratta di una pace mutilata e dettata dal pragmatismo.
In un
ardente, discorso rivolto agli imprenditori favorevoli a questa soluzione, Naftali
Bennett enfatizzava ,con l’appoggio di grafici e carte, i gravi rischi per
Israele di accordi tra i due Stati, e incitava
all’opposizione dura contro coloro che temendo il boicottaggio, vogliono
imporre la pace.
"Stiamo assistendo in questi giorni-continua- a campagne sulla crescente pressione che subirebbe l'economia israeliana,pressione che diventerebbe insostenibile se Israele non accetterà di condividere il territorio e di lasciare la capitale ai palestinesi. Io dico che la realtà è ben diversa. Dobbiamo capire una volta per tutte che la Giudea e la Samaria (Cisgiordania), dominano tutta la zona che comprende Tel Aviv, Herzliya e Azrael, cioè tutte le principali sedi di affari in Israele. Dovete solo fare copia-incolla: prendete Ashdod e metterlo al centro di Tel Aviv, prendete Sderot e incollatelo su Herzliya. Immaginate cosa sarebbe Israele se ogni giorno un missile cadesse sulla via Shenker a Herzliya. Chiedetevi che cosa accadrebbe se, una volta all'anno, un aereo si schiantasse durante l’atterraggio all'aeroporto di Lod. Significherebbe la distruzione dell'economia israeliana".
Tuttavia,
il boicottaggio di Israele assume forme sempre più concrete e minacciose. Il
mese scorso, un'associazione di 5000 professori universitari (American
Studies Association) ha annunciato l'intenzione di boicottare
le università israeliane. E questo è solo il più recente, tra gli
altri fatti che minacciano l'economia e l'attività scientifica israeliana. Di
recente, decine di aziende israeliane colpite dal boicottaggio si sono riunite
per analizzare questa situazione: all’ordine del giorno, la stima delle perdite che stanno subendo e di
quelle che subiranno in caso di un ritiro di investimenti stranieri, minaccia
che colpisce soprattutto coloro che hanno legami con le colonie.
Risulta
chiaro che le aziende della zona industriale di Barkan, vicino alla colonia di
Ariel in Cisgiordania cominciano a risentire gli effetti del boicottaggio ,
oggi più ampio rispetto a quattro o cinque anni fa, quando era promosso solo
dai settori pro-palestinesi. Adesso che l'Unione europea ha adottato
risoluzioni vincolanti, la minaccia è diventata ancora maggiore, e non
riguarda più solo le aziende situate nelle colonie, ma anche quelle che lavorano con esse. Forse la comunità
imprenditoriale israeliana sta diventando consapevole del consenso universale che
esiste intorno all'idea che gli insediamenti costituiscono un grave ostacolo per
la pace.
Traduzione per TLAXCALA di Alba Canelli
La zona industriale Barkan, vicino alla colonia di Ariel, nella Cisgiordania nord-occidentale
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