A nostro giudizio non si può non condividere quanto
sostiene Gianfranco la Grassa in un suo recente articolo, vale a dire
che «si deve puntare nella fase attuale in modo speciale su ciò che
viene al momento definito […] come sovranismo. Ma in che modo? E fino a
quale punto? Con quali mezzi, strategie e forze in campo? Tutto da
discutere, ma non fra secoli» (1). A questo proposito, occorre precisare
che con il neologismo “sovranismo” ci si riferisce all’istanza di
riconquista della sovranità nazionale, ceduta quasi completamente dai
“nostri” politici non all’Europa (che come soggetto politico non esiste)
bensì all’UE, o meglio ad alcune istituzioni dell’UE quali ad esempio
la Commissione Europea e la Banca Centrale Europea (che in realtà non è
affatto una banca centrale).
Purtuttavia, bisogna riconoscere che
nell’attuale fase storica i singoli Stati non possono non rinunciare a
una certa sovranità, giacché è evidente che lo “spazio” politico ed
economico dei singoli Paesi è troppo piccolo perché uno Stato possa fare
a meno di essere parte di un’area geopolitica più ampia e complessa. In
questo senso, difendere il “sovranismo” (che ovviamente non deve essere
scambiato per una forma di nazionalismo) non significa mettere in
questione la necessità di un “grande spazio” europeo, tanto più che la
questione della sovranità non può non concernere, oltre al rapporto tra
l’UE e i singoli Stati europei, l’indipendenza del continente europeo,
posto che il vero problema da risolvere sia quello di poter riguadagnare
una certa sovranità nazionale innanzi tutto (non solo) allo scopo di
ridefinire obiettivi e funzioni dell’Europa.
E’ comunque lo stesso
Gianfranco La Grassa che ci offre la possibilità di mettere a fuoco
meglio questo aspetto essenziale, allorché giustamente sostiene che «non
si tratta affatto di lesinare le critiche all’atteggiamento spesso
arrogante della Germania [...] nemmeno si chiede di non mettere in luce
la trappola in cui siamo caduti con l’euro, le direttive UE, ecc.
L’importante è che non si dimentichi l’ordine gerarchico in seno
all’“occidente”».
Pertanto, solo tenendo conto dei reali “rapporti di forza”, nonché
degli equilibri geopolitici che da tali rapporti derivano e che di
necessità sono a fondamento della stessa UE, è possibile comprendere le
strategie dei gruppi dominanti d’oltreoceano e quelle dei gruppi
subdominanti europei (Germania inclusa). E non vi è dubbio che i legami
di dipendenza dell’Europa dagli USA dopo la scomparsa dell’Unione
Sovietica e la riunificazione della Germania, anziché indebolirsi, siano
diventati ancor più stretti e forti. Né l’euro, che avrebbe dovuto
rendere più salda l’unione tra i diversi Stati europei, si è rivelato
essere quella moneta in grado di mettere realmente in discussione
l’egemonia del dollaro come alcuni ritenevano. Un “fallimento” allora
quello dell’euro (se di “fallimento” veramente si tratta) non affatto
strano dacché l’euro non è la moneta di nessuno Stato, né nazionale né
“sovra-nazionale”. In realtà, mettendo il carro davanti ai buoi, ovvero
la finanza “davanti” alla politica, si è soltanto riusciti a dividere
l’UE in tre parti: Stati che non sono membri dell’Eurozona (come
l’Inghilterra e la Danimarca.), Stati dentro l’Eurozona che sono sempre
più forti (in specie la Germania) e Stati dentro l’Eurozona che invece
sono sempre più deboli (come la Grecia, l’Italia, la Spagna e ora anche
la Francia). Ciò nonostante, è difficile negare che i circoli
filo-atlantisti siano riusciti ad ottenere quel che più premeva loro,
ossia (come abbiamo più volte sottolineato in altri articoli, ma ripetita iuvant)
“ancorare” la Germania all’Atlantico. Sicché, alla situazione che si è
venuta a creare in Europa, soprattutto a causa della crisi che ha avuto
origine negli Stati Uniti (ma pare che questo molti l’abbiano già
dimenticato), gli “euroamericani”, consapevoli dei rischi che corre
l’Eurozona, vorrebbero porre rimedio con il mercato transatlantico. Una
soluzione che segnerebbe la fine di qualunque progetto di (autentica)
unione politica europea.
Del resto, quello che La Grassa definisce come “l’ordine gerarchico
in seno all’Occidente” spiega in buona misura anche il comportamento
della “nostra” classe dirigente verso l’UE e la Germania in questi
ultimi anni (un comportamento altrimenti incomprensibile – e questo lo
si deve far notare in particolare a chi, secondo una ottusa prospettiva
economicistica, si limita a ripetere che i “nostri” politici ci hanno
consegnato nella mani dei tedeschi, evitando però di dare una
spiegazione seria di questo “tradimento”). In realtà, la “nostra” classe
dirigente, sempre disposta ad eseguire le direttive strategiche degli
USA, non per intima convinzione ma solo per convenienza (sì da rendere
superfluo qualsiasi “complotto”), è sì incapace di dirigere alcunché, ma
sa bene da che parte conviene stare e chi detiene il “bastone del
comando”.
Certo, non pochi dei “nostri” politici e dei “nostri” tecnici
contavano sul fatto che la Germania prima o poi avrebbe acconsentito a
“mutare rotta”, rivedendo il ruolo della BCE, anche se credevano (come
Marta Dassù) che i tedeschi in cambio avrebbero probabilmente chiesto
una sorta di diritto di veto sulle decisioni della BCE. Invece la
Germania non ha concesso nulla, anche perché ha compreso che può alzare
il prezzo, dato che adesso per Washington il problema principale è
impedire (soprattutto mediante la cosiddetta “geopolitica del caos”) che
si formi una vera “alternativa multipolare” (un obiettivo comunque non
facile ma addirittura impossibile da raggiungere nel caso che gli Stati
Uniti dovessero perdere l’egemonia sull’Europa).
In questo contesto, è abbastanza scontato che le rivalità tra singoli
Paesi e il “risentimento” contro la Germania aumentino in tutta Europa.
D’altronde, il timore che la Germania diventi il “sergente di ferro”
d’oltreoceano, o come afferma La Grassa il “maggiordomo” degli USA in
Europa, non è affatto infondato. Già nel 1945 il filosofo Alexandre
Kojève temeva che l’Europa “latina” rimanesse schiacciata sotto la
potenza politico-economica tedesca e anglosassone. (2) Al riguardo,
bisogna tuttavia notare che se la Germania diventasse il “maggiordomo”
degli USA in Europa, non potrebbe mai avere un ruolo politico-strategico
di primo piano: troppo debole per unificare l’Europa – anche se troppo
forte per non riuscire ad impedirlo – dovrebbe rassegnarsi, volente o
nolente, ad essere un centro di potere “dipendente” dagli USA e quindi,
di fatto, a non poter modificare gli equilibri (o gli squilibri)
internazionali, senza il consenso degli Stati Uniti. Invero, una potenza
geoeconomica che non è una potenza militare non è una vera potenza
geopolitica, e questo è un limite che la Germania rischia di pagare
caro, anche sotto il profilo economico, se non adesso nel prossimo
futuro. Solo rinunciando a disegni egemonici che sono al di là delle
possibilità di qualsiasi potenza europea, come insegna la storia del
vecchio continente, e contribuendo invece ad ampliare la sfera d’azione
geopolitica dell’Europa, la Germania potrebbe liberarsi definitivamente
dal “peso” del suo passato e crescere politicamente.
Il fatto però che proprio tra i cosiddetti “europeisti” vi siano i più entusiasti sostenitori del TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership)
non solo è una ulteriore conferma che la UE è strumento, nella
sostanza, della politica di potenza degli USA, ma dimostra anche che
l’iniziativa strategica purtroppo è ancora saldamente nelle mani dei
circoli atlantisti. Nondimeno, proprio in Francia il “sovranismo” sta
mettendo radici fortissime, in un’ottica geopolitica favorevole al
multipolarismo e ad uno “spostamento” verso est del continente europeo
(un cambiamento di “orientamento” geopolitico che non dovrebbe
dispiacere ad “influenti ambienti” tedeschi, consapevoli dei vantaggi
che potrebbero derivare alla Germania da una nuova Ostpolitik).
Inoltre, è degno di nota che uno studioso di fama come Jacques Sapir
sia giunto addirittura a dichiarare che «bisogna riunire le forze di
sinistra e di destra che hanno capito il pericolo che rappresenta
l’euro, unirli non in un solo partito ma all’interno di un’alleanza in
grado di sostenere una politica di rottura». (3)
Ciò comunque non pare
implicare necessariamente che si debba ritornare all’“Europa delle
nazioni” cara a De Gaulle, ma piuttosto che da quella “idea d’Europa” si
dovrebbe ripartire, nel senso che la battaglia per la riconquista di
una certa sovranità dei singoli Stati europei non la si può separare da
quella per una effettiva indipendenza dell’Europa dagli Usa. D’altra
parte, è pur vero che solo se ci si oppone all’Eurozona e di conseguenza
ci si impegna a “rifondare” la stessa UE, è possibile sottrarre i
singoli Stati europei alla morsa dei “mercati” (e quindi cominciare a
sganciarsi dagli USA e a sfruttare i “percorsi geoeconomici” che si
potrebbero creare mediante accordi “strategici” con i BRICS) ed evitare
la catastrofe sociale ed economica dell’Europa meridionale.
Pare quindi
logico, che in una prospettiva “sovranista” i singoli Stati europei non
solo non dovrebbero scomparire, ma dovrebbero svolgere un fondamentale
ruolo di “cerniera” tra singoli cittadini e comunità locali da un lato e
“macroregioni” geopolitiche (mediterranea, baltica e danubiana) e
istituzioni europee “sovra-nazionali” dall’altro, al fine di mettere al
primo posto, anziché gli “affari” e la finanza, la politica e l’economia
reale. Perché questo possa avverarsi si dovrà però combattere una
“guerra” lunga e difficile. E si badi che il termine “guerra” non lo si
deve intendere solo in senso figurato, ché da un pezzo la “forma” della
guerra è cambiata.
1) http://www.conflittiestrategie.it/pantomima-continua-di-glg-19-novembre-13
2) http://www.eurasia-rivista.org/lutopia-geopolitica-dell-impero-latino/19771/
3) http://www.lantidiplomatico.it/dettnews.php?idx=6&pg=5595
Fonte: Eurasia
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