16 novembre 2013

BEIRUT

Dall’alto dell’aereo della Mea, Beirut ti accoglie con due scintillanti faraglioni bianchi. Sono il simbolo della città, quasi le valve di una conchiglia che si schiude per rivelartene velatamente l’essenza. O forse dei bastioni posti in sua difesa: distrutta più volte Beirut è stata ricostruita dallo strenuo coraggio dei libanesi. Mentre il bianco scintillio dei faraglioni ti annuncia la città, ecco che la vedi tutta: palazzi giganteschi che toccano il cielo e si inerpicano sulle aspre colline per poi digradare verso il mare. Blu, mosso, bellissimo. Beirut rapisce chiunque nella magia particolare di una composizione sociale e religiosa complessa. 
Di Stefania Pavone
CogitoErgoSum

Nel centro come nella parte commerciale della Amra, si passa dalle donne tappate rigorosamente in chador neri lungi, attenti a nascondere ogni cenno di bellezza, a focose giovani libanesi con gonne così corte da far invidia alle femministe degli anni Settanta. A Beirut, città dei giovani, tutti ridono. Ad ogni passo, la voce “taxi, taxi” risuona dietro la schiena e in qualunque locale si entri “you are the welcome”. La guerra del 2006 ancora segna il volto della città: non è difficile incontrare palazzi diroccati o in via di costruzione. Un signore di Hezbollah, gentile, che mi accompagna verso il Sud del paese dice orgoglioso: “ci hanno massacrato, ma la nostra tenacia è più forte della forza militare degli israeliani. Guarda: abbiamo ricostruito la zona Sud della città, la più colpita dal conflitto. Abbiamo creato pure il migliore ospedale per le malattie del cuore che ci sia in Medio Oriente”. Vedere negli abissi di Beirut e il Libano è una impresa difficile. Dietro lo scintillio di questa grande allegria collettiva, si celano le ferite della guerra civile e di quella del 2006, vinta dai resistenti di Hetzbollah. 

Il Libano è ancora, nell’assetto costituzionale, quello lasciato dalla dominazione francese: una dura lotta ha cancellato dieci anni fa l’obbligo di inserire nella carta d’identità l’appartenenza religiosa ma la spartizione delle cariche costituzionali avviene anch’essa per via religiosa. Come ci dice il direttore di Al Manar: “Il confessionalismo fa comodo ad una oligarchia di potenti, che attraverso di esso si spartisce dei privilegi”. Anche il sistema di voto è organizzato per confessioni religiose, rigorosamente disegnate in circoscrizioni per evitare l’ascesa politica e sociale degli sciiti. Tra palazzi distrutti e altro, affiora il problema palestinese: numerosi sono i campi profughi inscritti nel tessuto cittadino, dove questo popolo maledetto vive in condizioni di miseria assoluta e a rischio di malattie. Il giorno terribile, quello del massacro di Sabra e Chatila, ad opera del generale Sharon che nessuno ha voluto processare, il 17 settembre di 28 anni fa ha il volto delle madri che a denti serrati mostrano in quel di Chatila- perché Sabra non c’è più, è andato distrutto – i ritratti dei figli e dei mariti uccisi da quell’orrenda mattanza. 

Il Libano sente come un fardello il problema dei profughi palestinesi. Ma qualche buona notizia c’è. Una legge recente consente a questo popolo di accedere al lavoro, eccetto l’esercizio delle libere professioni come il medico e l’avvocato. Escluso anche il diritto alla proprietà. C’è chi la definisce una legge truffaldina, come alcuni esponenti delle Ong palestinesi, c’è che come il druso Jumblat, progressista socialista un po’ a destra con Hariri e un po’ a sinistra per idealismo, ritiene che: “questo è il primo passo. La condizione dei profughi è migliorata parecchio. Ma la situazione è difficile perché il paese è governato dalla destra. È l’ONU che deve fare il suo dovere verso i palestinesi. Questa legge è passata per miracolo e ha diviso il paese.” 

L’arena della politica è lacerata dalle accuse: tutti accusano tutti, Il segretariato del 14 marzo dice che Hezbollah ordisce un colpo di stato permanente nel paese. Gli risponde Sheik Ali Dagmousch, responsabile esteri del Sud del paese del partito Hezbollah: “Il comportamento del 14 marzo ha avuto riflessi negativi sul paese. Devono riconoscere che hanno sbagliato. Anche la Siria deve riparare alle accuse che ci sono state. Le forze del 14 marzo vogliono distruggere la Resistenza. Questo è il vero colpo di stato”. E mentre Obama annuncia all’Onu di voler vedere presto il seggio dello stato palestinese, qui nessuno crede alla pace. Talal Salman, direttore di As-Safir dice: “ Oggi la Palestina è più debole e Israele più forte. Anche il Magreb ha oramai abbandonato la causa palestinese”. Sotto il cielo di Beirut tutto appare in ordine. Apparente. Ma mai come in questa terra il caos regola la vita.

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