Il mondo era allora diverso da quello in cui viviamo ora.
Predominava la nozione del socialismo come progetto politico che doveva
necessariamente seguire le orme di quello instaurato fuori
dall’America. Cercare una via cilena al socialismo era indispensabile.
Questo ideale, secondo Mariàtegui (1) “creazione eroica”, dove essere
opera, secondo Julio Antonio Mella (2), di “esseri pensanti” e non di
disciplinati seguaci del pensiero altrui.
Nel 1958, sotto la dittatura batistiana, ci sorprese la
notizia che Salvador Allende, con un’alleanza che comprendeva il
Partito Comunista, era sul punto di vincere le elezioni e diventare
Presidente del Cile.
Sembrava un dato di un altro pianeta. Solo 4 anni prima, nel
1954, la CIA aveva schiacciato la democrazia guatemalteca e imposto una
delle peggiori e più prolungate tirannie. Gli Stati Uniti, allo zenith
del loro potere, dominavano a piacer loro il Continente,
trasformato in bastione di un anticomunismo viscerale dove non era
possibile alcun cambiamento. Le tirannie militari al servizio di
Washington erano di moda. Il Cile era un’incognita. Quando lo
visita, nel 1959, incontrai molti convinti che la prossima elezione
avrebbe portato la vittoria.
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