Se, come scrisse Fyodor Dostoevsky, “il grado di civilizzazione di una
società si può valutare entrando nelle sue carceri”, qui siamo davanti
ad una nazione di barbari. La nostra vasta rete di prigioni federali e
statali, con qualcosa come 2.3 milioni di reclusi, fa a gara con i gulag
degli stati totalitari. Non appena sparisci dietro le pareti del
carcere diventi una preda. Da stuprare. Da torturare. Da picchiare.
Isolamenti prolungati. Privazioni sensoriali. Discriminazioni razziali.
Reti di bande. Lavori forzati. Cibo rancido. Bimbi incarcerati alla
stregua degli adulti. Prigionieri forzati a prendere medicinali che
inducono all’apatia. Impianti di ventilazione e riscaldamento
inadeguati. Scarse cure sanitarie. Dure sentenze per crimini non
violenti.
Di Chris Hedges
Bonnie Kerness e Ojore Lutalo li incontrai entrambi a Newmark, New
Jersey, dopo che, qualche giorno prima, avevano combattuto, come forse
pochi prima di loro, nel comitato americano per il monitoraggio delle
prigioni (AFSCPW, n.d.t.) contro i crescenti abusi nei confronti dei
prigionieri (specialmente l’uso dell’isolamento). Lutalo, una volta
diventato membro dell’esercito per la liberazione dei neri (BLA,
n.d.t.), un ramo delle Pantere Nere, scrisse a Kerness per la prima
volta nel 1986, durante la sua detenzione alla prigione di stato di
Trenton, ora chiamata prigione dello stato del New Jersey. Le raccontò
il mondo oscuro e degradante dell’isolamento;
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USA: Il grande business delle carceri private
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