In molti si sono domandati il motivo per cui Mario Monti ha scelto di 
sottoporsi alle umiliazioni ed alle figuracce di una campagna 
elettorale, quando invece il Partito Democratico aveva già ritagliato 
per lui un ruolo di "padre nobile" super partes, al culmine del quale 
era prevista la sua elezione alla Presidenza della Repubblica. Da quella
 comoda posizione, Monti avrebbe potuto etero-dirigere l'azione di 
governo di Bersani, sia con il vincolo costituzionale del pareggio di 
bilancio, sia con il ricatto costante della fazione veltroniana di 
ultra-destra interna al PD. La lista Monti ha persino funzionato per 
Bersani da utile bidone della spazzatura, consentendogli di disfarsi 
senza traumi di quella spina nel fianco che era per lui il sedicente 
giuslavorista Pietro Ichino, che rischiava di alienargli i voti di molti
 iscritti della CGIL.
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Se Monti è stato costretto ad umiliarsi in questo modo, non è stato 
probabilmente per scelta personale, ma per ordine dei suoi mandanti del 
Consiglio Atlantico della NATO. Evidentemente, si è arrivati ad un punto
 tale per cui il sistema di dominio coloniale non può più permettersi 
neppure una finzione di normalità. Il creare confusione  e 
destabilizzazione diventa quindi uno schema obbligato, e le 
drammatizzazioni artificiose di una campagna elettorale servono anche a 
mistificare i drammi reali e la loro vera origine. 
Nel maggio dello scorso anno arrivava la notizia
 della perdita di una cifra dai due ai tre miliardi di dollari da parte 
della banca JP Morgan; manco a dirlo, per operazioni sui titoli 
derivati. E qui nessuno ha potuto scaricare la colpa sull'ingerenza dei 
partiti politici.  
JP Morgan, sino a quel momento, era considerata l'unica banca ad essere 
uscita relativamente indenne dalla tempesta finanziaria del 2008. Il 
"chief executive" di JP Morgan, Jamie Dimon, aveva addirittura ispirato 
un libro celebrativo, con un titolo che riecheggiava quello di una nota 
canzone, e che però sembrava più il titolo di un film western : "Last Man Standing".
Invece anche per Dimon - che alcuni avevano già ribattezzato "Dillon", 
come il personaggio dello sceriffo di Dodge City della serie televisiva,
 interpretato da James Arness - è arrivato il momento di soccombere 
nella sparatoria. A gennaio di quest'anno la perdita subita da JP Morgan
 per i derivati ammontava già a sei miliardi e duecento milioni di 
dollari, cosa che ha comportato per Dimon l'umiliazione non solo delle 
rituali indagini di FBI
 e senato, ma anche di una sorta di inchiesta interna alla banca, 
compiuta da un'apposita task force. Probabilmente anche i sei miliardi e
 rotti sono solo una cifra di comodo che dovrà essere rivista al rialzo.
 
Era scontato che si manifestasse l'effetto a catena, con analoghe 
voragini finanziarie anche in altre banche che avevano avuto partnership
 con JP Morgan, tra le quali Monte dei Paschi di Siena, per gli ormai 
famosi e famigerati "bond fresh"; un nome che era già tutto un 
programma. Lunedì scorso vi è stato l'atteso "lunedì nero" della Borsa 
di Milano, solo parzialmente recuperato nei giorni successivi. Per 
fortuna era già tornato alla ribalta il Buffone di Arcore - 
indirettamente rilanciato a livello mediatico dallo stesso Monti - per 
prendersi la colpa del tracollo. 
Il continuo aggravarsi della crisi finanziaria mette in ridicolo i 
discorsi sulla "crescita". Persino le buone intenzioni di creare leggi e
 regolamenti che limitino gli abusi della finanza e del rating, assumono
 oggi il senso di una caricatura. Tutto ciò diventa infatti il 
proverbiale chiudere la stalla quando i buoi sono già scappati. 
Ma JP Morgan mantiene le sue ben note posizioni di forza all'interno del
 Consiglio Atlantico. L'intreccio tra militarismo e finanza in un 
periodo del genere non può che esaltarsi, poiché un sistema in acuta 
crisi economico-finanziaria non è in grado di sopportare che esistano 
dei poli di attrazione ideologica che possano costituire, anche 
vagamente, un'alternativa. La guerra non si configura soltanto come il 
solito mega-business, dato che l'auto-santificazione dell'Occidente la 
rende anche un'ineludibile scadenza ideologica. L'attacco da parte dei 
bombanchieri della NATO contro l'Iran è ormai all'ordine del giorno.
 

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