La nuova ricetta anti-crisi giapponese
Le elezioni in Giappone di qualche settimana fa hanno riportato al
governo il partito liberaldemocratico, che aveva governato il paese più a
lungo che la Dc qui da noi, con un quasi egual numero di scandali. Dopo
una breve pausa nel 2009, coincisa con la vittoria dei Democratici
(quasi più timidi del Pd nostrano), il paese è presto ritornato in mano
ai vecchi mandarini della politica: in questo caso il nuovo leader è
Shinzo Abe, un politico di lungo corso, negazionista dei crimini di
guerra giapponesi e nazionalista esasperato. Non proprio, si direbbe,
una buona notizia. Ma dal punto di vista delle politiche economiche,
invece, pare che ci siano delle novità interessanti. Abe ha esordito
attaccando il sancta sanctorum dell’ortodossia neoliberale, ossia
l’indipendenza della Banca Centrale.
Il nuovo primo ministro è
stato molto chiaro: è ora di finirla con la deflazione che attanaglia il
Giappone da due decenni ed è finalmente giunta l’ora di far ripartire
la crescita; e con essa, salari e guadagni. Quindi basta con
un’inflazione praticamente inesistente, e l’obiettivo di inflazione
annuale deve essere raddoppiato (dall’1 al 2%) in termini relativamente
brevi, con possibilità di andare più in là nel futuro. Non solo: la
politica monetaria deve intervenire per svalutare lo yen (un po’ come fa
la Cina…) e rilanciare le esportazioni, da sempre punto di forza
dell’industria giapponese. La politica monetaria, come sappiamo, è però
nelle mani della Banca Centrale, la BoJ (Bank of Japan), che dovrebbe
decidere in autonomia.
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