Karoshi è la parola giapponese che indica la morte per fatica
che colpisce chi lavora al di là di ogni suo limite naturale. Il decesso
sopravviene generalmente con un attacco cardiaco, dovuto allo stress e
allo sforzo lavorativo: il cuore non regge alla fatica e si ferma. E se
qualcuno pensa che sia una cosa tragica ma pittoresca, tipica delle
lontane isole del Giappone e magari di qualche distorta mentalità
orientale… bhé… si sbaglia di grosso. Nella civile Europa delle guerre per procura e dell’ingerenza umanitaria
a suon di bombe, c’è uno Stato che può vantare orgoglioso la sua prima
ed ufficiale morte per fatica: l’Italia.
Di Costantino Ceoldo
Stato & Potenza
Culla di poeti, artisti, esploratori, luogo dove per secoli Arte e
Filosofia si sono incarnate assumendo forma viva, l’Italia paga oggi
ufficialmente il suo tributo al dio denaro, al vitello d’oro dell’ultima
divinità sopravvissuta tra quelle adorate dall’Umanità.
Il luogo del pagamento è Roma, fermata Termini della Metropolitana. Il
tempo del pagamento è domenica 18 novembre 2012, mattino presto, troppo
presto, assurdamente troppo presto per pagare qualsiasi dazio,
figuriamoci questo. Una donna è seduta su una panchina ad aspettare il
treno che la porta al lavoro, lungo quei cinquanta chilometri che deve
fare due volte al giorno perché la famiglia, marito disoccupato e figli
piccoli, possa appena appena sopravvivere.
Oramai è da un bel po’ che fa quella vita ma da qualche tempo la donna si sente diversa, non sta bene ed è sempre più stanca.
Però non può andare dal medico perché deve alzarsi alle 4 di mattina e
farsi quei maledetti 50 chilometri per andare fino al bar dove lavora,
dalle 7 di mattina alle 7 di sera.
Ed è così che quella domenica mattina di novembre, il cuore di Isabella
Viola decide che no, non si può andare avanti così, che non è vita
quella e non ce la fa più. Quel cuore così generoso fino ad allora, si
arrende a tutto quanto e si ferma a soli 34 anni di età.
Isabella muore come dicono abbia vissuto: senza disturbare, senza fare
chiasso, senza chiedere. Resta accasciata sulla sua panchina come un
fiore caduto.
O in questo caso sarebbe meglio dire come una lampadina bruciata. Che
espressione crudele! Ma rende bene l’idea di qualcuno consumato fino
allo sfinimento?
Il suo funerale è stato pagato da una colletta fatta dai clienti del bar
dove lavorava. E vi sono state anche grandi parole e grandi promesse da
parte del sindaco di Roma.
Non siamo in grado di dire se ad esse sono seguiti dei fatti, come non
siamo in grado di dire se Isabella fosse alta o bassa, magra o grassa,
intelligente o stupida.
Certo, lei diceva che una donna non indossa il suo gioiello più bello ma
lo mette al mondo e quindi possiamo credere che lei, figlia di una Roma
semplice alla Anna Magnani, avesse però dei sentimenti alti, che
esprimeva con giudizio.
Quello che possiamo dire sicuramente, perché abbiamo prove a
sufficienza, oh! Se ne abbiamo!, è che la ricchezza di pochi si
costruisce con la sofferenza di molti e che anche in Italia i ricchi
sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri.
Possiamo dire con altrettanta sicurezza che tutto questo ha un inizio
preciso: l’Italia ha approvato una radicale e tremenda riforma del
lavoro nel 1999 grazie a Massimo D’Antona prima e poi ancora nel 2003
con Marco Biagi.
Il risultato è stato un proliferare incontrollato di contratti di lavoro
di tutti i tipi ma sempre e solo a scadenza: agli occhi del signor
Padrone, ma no… chiedo venia: dell’imprenditore, la persona che lavora
vale meno degli strumenti che impiega.
Chi lavora con un contratto a termine è sottoposto al ricatto continuo
di un rinnovo contrattuale che non arriva quasi mai e spesso non più di
una volta. E’ una fetta di prosciutto sventolata davanti agli occhi, per
illudere ed irretire. Chi invece ha un contratto senza scadenza è
disposto a fare di tutto pur di mantenerlo, temendo a buon diritto di
cadere in povertà.
La crisi economica italiana sta assumendo aspetti sempre più crudeli che
sono causati proprio dalle riforme di D’Antona e Biagi oltre che dalla
congiuntura internazionale. E, per inciso, è giusto ricordare come
D’Antona e Biagi siano stati consiglieri di governi di sinistra, i cui
esponenti di spicco in molti casi furono membri del disciolto Partito
Comunista Italiano: le leggi peggiori per i lavoratori sono state
promulgate sempre e solo dalla sinistra al governo. La destra è stata a
guardare: c’era già l’utile idiota che legiferava incoscientemente al
posto suo.
Il Karoshi quindi qui non è semplicemente la morte per fatica, perché l’umanità è sempre morta per fatica, per miseria, per stenti.
In un Paese come l’Italia il Karoshi è morte per fatica elevata
a sistemica indifferenza per la vita umana. L’Italia, in quanto nazione
industrializzata, dovrebbe avere tutti gli strumenti culturali,
tecnici, scientifici e legislativi per evitare morti simili. Eppure la
nostra intelligentsia culturale ritiene che tutto debba essere sacrificato al Mercato e al Denaro.
Isabella Viola è stata una guerriera eroica che ha combattuto a lungo
per non perdere se stessa e la propria famiglia: la sua caduta è
espressione di un fallimento generale, non di una sua personale
mancanza. La sua morte è l’emblema dell’Italia che fallisce: come Stato,
come Nazione, come governo, come famiglia allargata, come tutto.
Perché malgrado l’evidenza di una situazione economica in continuo
peggioramento, chi governa ritiene che si debba insistere con il
capitalismo liberista ed afferma che ci sono ancora troppe regole per la
finanza e per il lavoro.
Ma se il socialismo non è la risposta alla povertà materiale, come può
esserlo una religione economica che ha il denaro come unico Dio?
La realtà è che di liberismo si crepa, di mattina presto, su una panchina della metropolitana.
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