Larry Elliot, capo redattore economico del Guardian, ha scritto un interessante dibattito immaginario
tra Marx, Keynes, Friedman e Fritz Schumacher, intervistati dal capo
del Fondo Monetario Internazionale Christine Lagarde al World Economic
Forum di Davos. Lo abbiamo tradotto per voi.
Christine Lagarde: Karl, tu come vedi la situazione?
Karl Marx:
La classe capitalista riunita a Davos ha trascorso gli ultimi giorni
grattandosi la testa per la disoccupazione e la mancanza di domanda dei
propri prodotti. Non sembra però capace riconoscere che ciò è
inevitabile in un’economia globalizzata. C’è una tendenza verso il
sovrainvestimento, la sovraproduzione e la caduta del saggio di
profitto, che, come sempre, i datori di lavoro hanno cercato di
contrastare con il taglio dei salari e la creazione di un esercito di
riserva del lavoro [disoccupazione, ndt]. Ecco perché ci sono più di 200
milioni di disoccupati in tutto il mondo e vi è stata una tendenza
verso una maggiore disuguaglianza. E’ possibile che il 2013 sia migliore
del 2012, ma sarà un sollievo di breve durata.
Lagarde: Questa è una analisi cupa, Karl. I salari
stanno crescendo abbastanza velocemente in alcune parti del mondo, come
la Cina, ma sarei d’accordo sul fatto che la disuguaglianza è una
minaccia. Le ricerche del FMI mostrano che la disuguaglianza è correlata
all’instabilità economica…
Marx: E’ vero che le economie emergenti sono in rapida crescita, ma col tempo anche loro saranno colpite dalle stesse forze.
Lagarde: Maynard, pensi che le cose siano così tetre come dice Karl?
John Maynard Keynes:
No, non lo penso Christine. Penso che il problema sia grave, ma
risolvibile. L’ultima volta che abbiamo dovuto affrontare una crisi di
questa portata abbiamo risposto con un aggressivo allentamento della
politica monetaria – riducendo i tassi di interesse sia a breve termine
che a lungo termine – e con l’uso dei lavori pubblici per stimolare la
domanda aggregata. Negli Stati Uniti, il mio amico di Franklin Roosevelt
ha sostenuto normative che hanno permesso ai lavoratori di
organizzarsi[1]. Dopo la seconda guerra mondiale, la comunità
internazionale ha creato il Fondo Monetario Internazionale al fine di
appianare gli squilibri della bilancia dei pagamenti, prevenire guerre
valutarie mutualmente distruttive e controllare i movimenti di capitali.
Tutte queste lezioni sono stati dimenticate. L’equilibrio tra politica
fiscale e monetaria è sbagliato, le guerre valutarie stanno crescendo,
il settore finanziario rimane in gran parte non riformato e la domanda
aggregata è debole perché i lavoratori non stanno ricevendo una congrua
parte dei guadagni di produttività. La teoria economica è bloccata nel
passato, è come se la fisica non fosse andata avanti dai tempi di
Keplero.
Lagarde: Mi sembra di capire da quello che stai
dicendo, Maynard, che non approvi il modo in cui George Osborne sta
conducendo l’economia del Regno Unito.
Keynes: Il suo senno ha preso una vacanza. La Gran Bretagna ha un problema di crescita, non un problema di deficit.
Lagarde: Oserei dire Milton che non sei d’accordo
con tutto quello che ha detto Maynard. Potresti sostenere, presumo, di
lasciare che la malattia faccia il suo corso.
Milton Friedman:
Alcuni dei miei amici della scuola austriaca di teoria economica
sarebbero senz’altro favorevoli a non fare nulla nella speranza di una
riequilibrio del sistema, ma non io. A differenza di Maynard, non
sosterrei misure che aumentino il potere contrattuale dei sindacati e
non sono mai stato appassionato di opere pubbliche quale risposta ad una
crisi. Ma certamente supporterei ciò che Ben Bernanke ha fatto con la
sua politica monetaria negli Stati Uniti e sosterrei azioni ancora più
drastiche se si rendessero necessarie.
Lagarde: Ad esempio?
Friedman: Be’, penso che la politica monetaria deve
essere impostata in modo da avere come obiettivo il PIL nominale, vale a
dire l’aumento delle dimensioni dell’economia non aggiustato
all’inflazione. Se la sua crescita è troppo alta, le banche centrali
dovrebbero attuare politiche restrittive. Se è troppo bassa, la tendenza
che vediamo dopo l’irruzione della crisi, dovrebbero allentarle. In
casi estremi, mi piacerebbe favorire politiche che confondono i confini
tra politica monetaria e fiscale. Ecco cosa intendo quando parlo di
lanciare denaro dall’elicottero nell’economia.
Lagarde: Fritz, sei stato seduto lì ad ascoltare pazientemente Karl, Maynard e Milton. Come valuti lo stato del mondo?
Fritz Schumacher:
Mi disturba fortemente il modo in cui il dibattito è stato impostato.
Vi è un ossessione per la crescita a tutti i costi, indipendentemente
dai costi ambientali. Il cambiamento climatico è stato raramente
menzionato a Davos e ciò dopo un anno di eventi meteorologici estremi.
E’ spaventoso che così poca attenzione sia stata dedicata al
riscaldamento globale, ed è quasi criminale la negligenza dei governi
nel non approfittare di tassi di interesse estremamente bassi per
investire nelle tecnologie verdi.
Come è avvenuto in passato, le recessioni hanno spinto le questioni
ambientali fuori dall’agenda politica. Quando le cose vanno bene, i
politici dicono di essere a favore dello sviluppo sostenibile, ma gli
impegni sono stati dimenticati non appena la disoccupazione è iniziata a
salire. Quindi si è tornati ad agire come al solito: più strade,
ingrandimento degli aeroporti, tagli fiscali per incoraggiare il
consumo. Gli scienziati avvertono che le temperature globali saliranno
di parecchi gradi sopra i livelli del periodo preindustriale, se non
cambieranno le politiche. Questa è economia da manicomio.
Lagarde: Maynard, qual è la tua risposta?
Keynes: Sono d’accordo con Fritz. Se dovessi
consigliare Roosevelt oggi, spingerei per un New Deal verde. Mi è
difficile immaginare un mondo senza crescita, qualcosa che è
politicamente inaccettabile nel mondo in via di sviluppo, in ogni caso.
Ma Fritz ha ragione, abbiamo bisogno di una crescita più intelligente e
più pulita. Come tu stessa hai detto la scorsa settimana, Christine, se
continuiamo così la prossima generazione sarà “arrostita, tostata,
fritta e grigliata”.
Schumacher: Non avrei potuto dirlo meglio io stesso.
[1] In realtà Keynes non sostenne le
riforme pro-sindacati (e pro-monopoli) di Roosevelt, consigliando al
presidente americano di rimandarne l’attuazione dopo la depressione,
nota nostra
Tradotto e pubblicato da Keynes Blog
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