Il caso Assange è un affare di stato per gli Stati Uniti d’America. E da quando si è messo in mezzo, il governo progressista di Rafael Correa è stato preso di mira dalle agenzie di influenza nordamericane. I grandi giornali del «blocco» si sono messi in movimento. Ma, in modo ancora più sorprendente, anche quelli della periferia, come «Charlie Hebdo», a cui Maxime Vivas e «Le grand soir» hanno dato una risposta molto argomentata, se si tiene conto dell’importanza di questo giornale negli ambienti dell’altra sinistra. Ma la maggior parte della «grande stampa» non ha tardato a mettersi in posizione di attacco, prima insidioso poi apertamente accusatorio.
Di Jean-Luc Mélenchon
Il bombardamento si è svolto su due piani: in primo luogo contro la persona di Assange, descritto come un personaggio isolato, rinnegato da tutti i precedenti sostenitori, psicologicamente instabile e, come se non bastasse, accusato di «stupri e aggressioni sessuali», ovviamente al plurale! L’altro piano di attacco è rivolto contro il governo e il presidente ecuadoriano, presentati come nemici della libertà di stampa che professano una concezione a geometria variabile del diritto d’asilo. Da questo punto di vista alcuni articoli del Figaro rappresentano i peggiori modelli della ripetizione di elementi di linguaggio importati. Ne fornisco un esempio, ma sottolineo che, a seconda dei redattori, non tutti gli articoli hanno la stessa linea. In questo modo possiamo affinare la lista delle persone sotto influenza. La tecnica è sempre la stessa: una successione di affermazioni presentate come ovvietà «arcinote», che in realtà non sono altro che menzogne spudorate che il lettore non ha alcun modo di individuare.
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