L’art. 41 della Costituzione della  Repubblica Italiana, riconosce che l’iniziativa economica privata è  libera ma precisa che essa non può svolgersi in contrasto con l’utilità  sociale. Ecco, il vero problema è che ciò che viene  chiamato "utilità sociale" non è mai stato definito. Quindi tutto  l'art.41 può essere interpretato in modi molto diversi. Ad esempio: è socialmente utile possedere un'elevata alfabetizzazione? Se sì, perchè? In un'intervista J.Saramago (Nobel per la  letteratura recentemente scomparso) disse che la persona che più l'aveva  influenzato in vita era stato suo nonno analfabeta. L'ho trovata  un'affermazione curiosa: un letterato di primissimo ordine che adora un  analfabeta! 
Per collocare la domanda correttamente  bisogna quindi contestualizzarla. 
Di Tonguessy
Per un contadino come il nonno di  Saramago sapere interpretare la natura e trarne utili insegnamenti con  cui sfamare la famiglia, educare i figli e condurre una vita dignitosa  non necessitava di scrittura/lettura alcuna. Peccato che gli addetti  all'agricoltura in Italia siano oggi circa il 5% degli addetti totali,  quindi quegli insegnamenti non siano oggi più disponibili per la quasi  totalità della popolazione.
 E l'altro 95%? La grossa parte sono  impiegati nel terziario, ed il rimanente nel secondario. Si potrebbe  discutere se un addetto alla pressa abbia bisogno di sapere leggere, ma è  fuori discussione che un impiegato di banca lo debba fare in modo  corretto.
Ecco quindi spiegato il motivo della  necessità modernista della lettura: serve principalmente a veicolare  quelle informazioni che rappresentano quel collante attraverso cui il  Mercato acquisisce le maestranze necessarie alla sua espansione. In  presenza di poco Mercato (così come testimoniato da Saramago) può non  essere necessario quel collante, e prendono forma altre straordinarie  esperienze di vita premoderna.
 Nel mio piccolo anch'io ho una sconfinata  stima nei confronti di mio nonno analfabeta, la cui vita vista con i  miei occhi di bambino ancora oggi brilla di una luce scintillante che ho  difficoltà a ritrovare in altri uomini pur di elevata cultura.
 Possiamo quindi concludere che  l'analfabetismo sia socialmente utile, oppure dannoso? La verità è che  nella modernità (e diversamente dai tempi ad essa antecedenti)  l'alfabetizzazione è una necessità sociale determinata dalle elites che  governano l'economia. Hanno bisogno di lavoratori che sappiano  correttamente interpretare gli ordini SCRITTI, e quindi l'analfabetismo  dei nonni va combattuto, mentre fino a prima era tranquillamente  accettato: per il lavoro dei campi o artigianali tradizionali non  occorreva saper leggere e tutto il sistema si teneva in piedi lo stesso  anche senza lettura.
 Fatto questo lungo preambolo in cui mi  schiero definitivamente dalla parte dei nonni che sanno vivere pur non  sapendo leggere, voglio chiarire che guardo con sospetto chi non vuole  leggere. La nostra è una società strutturata nella lettura con un  analfabetismo di ritorno che non trova conforto nei numeri degli addetti  in arti e mestieri che non richiedono lettura. Perchè?
 Per caos comunicativo, ovvero per cambio  dei paradigmi in atto. Nel caso dei nonni i messaggi avevano un'ordine  gerarchico assolutamente individuabile, dove il denominatore comune era  semplicissimo e si chiamava fame e volontà di miglioramento. Tutta la  gerarchia di valori e comunicazioni veniva di conseguenza. Certo, si  potrebbe discutere quale miglioramento sia la devastazione ambientale e  relazionale in cambio di gadget elettronici, utilitarie, condomini e  asfalto.
 Per fortuna oggi la fame non c'è più  (sulla volontà di miglioramento, data la complessità dell'argomento  evito di dilungarmi) e tutta la strategia comunicativa è anzi basata sul  minimizzare la povertà ed esaltare nel contempo il suo opposto, ovvero  un'insolente opulenza. I libri fanno ancora parte del tentativo di  affrancamento dalla fame e come tali è ora di metterli in disparte.
 C'è tutta la storia delle ultime 4 generazioni delle italiche genti in queste mie ultime frasi.
 fine '800- analfabetismo al 70%, addetti agricoltura 60%, industria 25%, servizi 15%
 inizi '900- analfabetismo al 50%, addetti agricoltura 50%, industria 25% servizi 25%
 secondo dopoguerra- analfabetismo al 10%, addetti agricoltura 25%, industria 40%, servizi 35%
 fine '900- analfabetismo all'1%, addetti agricoltura 5%, industria 35%, servizi 60%.[1][2][3]
 L'alfabetizzazione fu considerata di  enorme utilità sociale al punto di obbligare le nuove generazioni a  prestazioni scolastiche sempre più impegnative fino agli attuali 12 anni  di frequenza media contro i soli 3 degli anni '50.
 E' un peccato che lettura abbia oggi  esaurito il suo scopo simbolico: quello di farci avvicinare ai padroni.  Oggi crediamo di esserci avvicinati così tanto da non ritenerla più così  importante. E' sparito quell'afflato modernista che animava le due  generazioni precedenti alla nostra.
 A dimostrazione di questo c'è il grido di  allarme di Tullio De Mauro, illustre linguista, che denuncia come  nonostante l'alta scolarizzazione vi sia un 70% di italiani che non sa  interpretare correttamente un testo di media difficoltà. [4]
 Il fatto è che i nuovi arrivati, le nuove  elites non mostrano nessun segno di elevata conoscenza delle strutture  grammaticali e sintattiche; mostrano piuttosto un disinvolto narcisismo.  La nuova classe politica, ad esempio, a fronte di stipendi  oltraggiosamente al di sopra della media europea, vede negli ultimi  decenni un calo evidente di laureati, compensato da un aumento di  imprenditori e liberi professionisti. Si sta passando dall'Accademia  della Crusca alla crusca. Tralascio per ovvi motivi di decenza i  rapporti costi/prestazioni che tale classe ci offre.
 Per un calciatore o una velina, insomma,  ha poca importanza saperne qualcosa di letteratura o di saggistica.  Loro, nell'immaginario collettivo modernista, sono "arrivati" proprio  come Fabrizio Corona (e molto diversamente da Mauro Corona). Calciatori e  “mediatori”, e non più gli azzimati ingegneri e medici, pare siano  diventato i modelli sociale da imitare. Superquiz, giochi a premi,  enalotto e sogni di soldi a pioggia hanno sostituito i libri.
 Non più impegnative letture per  contrastare la divisione sociale con la forza delle idee acquisite  quindi, ma frivolezze da boutique. In generale mi sento di dire che  legge ancora chi crede di potere imparare qualcosa, magari in linea con  quella “utilità sociale” cui fa riferimento l'art 41. Una volta il  benessere passava attraverso l'acquisizione di competenze utili alla  cultura modernista: l'università, la laurea, il lavoro ben retribuito.
 Oggi questo percorso non porta più ai  risultati di un tempo ed i call center sono zeppi di laureati che  accettano di lavorare con contratto a termine per poche centinaia di  euro al mese.
 L'art.41 diventa così un castello nel  deserto: essendo diventata oggi la vetusta “utilità sociale” cui  facevano riferimento i Padri Costituenti un paradigma di poca utilità  sociale, ci troviamo nell'imbarazzante caso in cui viene accettata come  socialmente utile, ad esempio, la pubblicità nelle reti televisive che,  con il suo indotto e la sua martellante capacità di manipolazione dei  desideri, funziona da volano per il PIL, unico marcatore di “utilità  sociale” oggi riconosciuto.
 La principale “utilità sociale” attuale,  dopo quella passata di formare un popolo di lavoratori utili  all'industria e al terziario, sembra sia formare un popolo di  consumatori e nulla più. La dipendenza televisiva e tecnologica, secondo  De Mauro, favorisce l'analfabetismo di ritorno, innescando così un  movimento a spirale sempre più difficile da spezzare.
 
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