24 novembre 2011

LE ELITES AUTORITARIE IN OCCIDENTE HANNO FALLITO!

ABBIAMO BISOGNO DI UN'EUROPA DI NAZIONI E DI CITTADINI
Di Klaus Hornung*
Le crisi attuali dell’Occidente hanno svelato le seguenti decisioni prese dagli organi della “democrazia delle élites”. Hanno dimostrato che queste élites non possono assolutamente vantarsi di volere il bene del popolo, non preoccupandosi altro che degli interessi delle loro oligarchie. E’ urgente riflettere in modo da ristabilire un ragionevole equilibrio tra interesse pubblico e interessi particolari, in modo da istituire un controllo politico ufficiale permanente degli interessi del capitalismo finanziario attraverso una partecipazione democratica. 

Sembra una leggenda eppure non ha che due decenni. Nel 1990/1991, l’impero sovietico implose, lasciando il dominio del mondo ai soli Stati Uniti. In un Occidente bagnato dalla felicità, si è creduto di poter raccogliere i frutti della vittoria sul comunismo. Arnulf Baring fu il solo a levare una voce discordante contro l’euforia del momento, pubblicando nel 1991 un pronostico realista:
“Sarebbe perfettamente illusorio credere che il mondo si incammini verso una situazione paradisiaca in cui non ci siano né crisi, né problemi, né rivolte e ancor meno guerre. Piuttosto il contrario. Ci sarà ogni tipo di cambiamento dovuto alla pressione demografica, al disagio sociale ed economico nei numerosi paesi della terra nel corso dei prossimi decenni”.
Non esiste fine della storia

E’ vero che la storia non era finita con la vittoria del liberismo, come aveva predetto Francis Fukuyama; al contrario, essa ha preso la forza di una cateratta. Nel 1991 gli Americani si sono lanciati nella prima guerra contro Saddam Hussein che aveva attaccato il Kuwait. Nel settembre 2001 è stato il terrorismo islamico che ha scosso nel cuore la potenza americana con il suo attacco alle torri del World Trade Center a New York e contro il Pentagono a Washington.
Gli interventi del 2001 in Afghanistan e del 2003 in Iraq – quest’ultimo ad opera di George W. Bush e poggiante su una menzogna sfacciata, sostenendo che si dovesse togliere dalle mani di Saaddam Hussein l’atomica – hanno dimostrato non solo la volontà di dominio degli Stati Uniti ma hanno portato questa “seconda Roma” e i suoi vassalli internazionali in Asia centrale, regione dagli spazi sconosciuti. E’ ancora una volta la dimostrazione di una verità storica: la megalomania spinge gli imperi ad usare la loro forza in modo eccessivo, cosa che li conduce alla rovina.

Le cause della crisi del debito degli Stati Uniti   

Vediamo ora che l’America e l’Occidente non possono ottenere la vittoria e che il paese dominante, specialmente a causa della guerra in Afghanistan, ha accumulato un debito gigantesco che minaccia le sue stesse fondamenta. In precedenza il predecessore di Bush, Bill Clinton, aveva preso misure altrettanto disastrose volendo rendere ogni americano proprietario della sua casa. Attivamente sostenuto dalla Banca centrale, aveva perseguito una politica di denaro a buon mercato, che ha contribuito a provocare questa montagna di debiti. Infine,  gli interventi militari di Bush hanno portato tale indebitamento alle sue attuali enormi dimensioni.

Nel frattempo non è solo l’egemonia americana che è precipitata nella crisi, a causa di decisioni insensate, ma anche il pilastro europeo dell’Alleanza occidentale. Ma la crisi dell’unione monetaria europea, considerata dagli esperti come la più grave dalla fine della Seconda Guerra mondiale, è il frutto di decisioni strategiche estremamente pessime degli ambienti dirigenti politici ed economici europei, cominciata con il Trattato di Maastricht del 1992.
Si sperava creando l’unione monetaria europea, di stabilire le basi di un’unione politica che permettesse innanzitutto di integrare la Germania riunificata. Questa decisione fu presa malgrado gli avvertimenti di un gran numero di persone competenti che non avevano dato che poche possibilità a tale progetto di unificazione economica, fiscale e sociale di paesi così differenti. 

Le cattive decisioni dell’UE

La crisi monetaria attuale mostra bene che tale decisione non poteva portare che a uno scacco, mettendo in pericolo la politica stessa dell’Unione europea. Già nel 2002 i capi di Stato e di governo avevano dichiarato a Lisbona di voler fare dell’Unione europea, entro il 2020, la regione “più forte, dinamica e3 concorrenziale del mondo” e la seconda potenza economica dopo gli Stati Uniti, con l’euro quale moneta di riserva universale accanto al dollaro. Fu l’espressione stessa della mania di grandezza che si era impossessata del mondo della politica, dell’economia e dei media.

Secondo l’americano Jeremy Rifkin, l’Unione europea doveva diventare una potenza mondiale affidandosi di meno alla sua forza militare che, in quanto “potere morbido”, alla sua forza economica e alla sua promessa di prosperità crescente, prospettiva molto realistica  che non teneva conto né della riduzione demografica del continente né del suo livello elevato di politiche sociali che impediscono alla lunga di seguire il ritmo di crescita dei suoi nuovi concorrenti. Sarebbe stato meglio non fare tale dichiarazione a Lisbona nel 2000, perché l’obiettivo è lungi dall’essere stato raggiunto.

Il risultato di questa doppia crisi dell’Occidente è l’ascesa della Cina come nuova potenza mondiale che dispone non solamente di un’enorme popolazione di circa un miliardo e mezzo di individui, ma anche di una leadership efficace che ignora i diritti umani cari all’Occidente. La Cina, nel corso degli ultimi due decenni, ha sorpassato sia gli Stati Uniti come potenza economica mondiale, sia la Germania come secondo paese esportatore.

Il nuovo sistema di potere multipolare

Stiamo assistendo alla formazione di un nuovo sistema di potere internazionale multipolare nel quale Cina e altri paesi emergenti come India e Brasile stanno sviluppando il loro ruolo alla pari con Stati Uniti ed UE. Si può definire la relazione della Cina con l’Occidente come un “scontro cooperativo” in cui l’aspetto contraddittorio corrisponde alla realtà. Da un lato, il Regno di Mezzo utilizza in modo ottimale l’attuale superiorità tecnologica dell’Occidente, dall’altro estende la sua influenza geopolitica nel mondo con una strategia offensiva.
Sia la crisi del debito americano che la crisi finanziaria globale e quella dell’euro sono provocate dai paesi stessi. Sono il risultato di decisioni errate della classe politico-economica. Fanno parte della lunga serie di avvenimenti simili descritti dalla storica americana Barbara Tuchman nel 1984 in uno studio approfondito intitolato “The March of Folly”  (La marcia della follia) – dal cavallo di Troia della Grecia antica al tradimento del governo americano nella guerra in Vietnam”.

L’UE e il principio di sussidiarietà

Peter Graf von Kielmansegg, professore emerito di scienze politiche a Mannheim ha ricordato, sul “Frankfurter Allgemeine Zeitung” del 8 luglio 2011, i primi dibattiti sull’Europa che avevano avuto luogo dopo la Seconda Guerra mondiale. A quell’epoca non si pensava all’Europa come ad uno Stato potente e centralizzato ma come ad un’associazione necessaria per assicurare l’esistenza degli Stati dopo i danni causati sul continente dalle dittature totalitarie e dalla guerra. Come premessa a tali dibattiti c’era il principio di sussidiarietà che prevedeva che l’ “Europa” poteva farsi carico solo di ciò che gli Stati individuali non arrivavano a controllare, come il grande mercato interno, una comune politica di difesa, economica, energetica e ambientale.

Il principio di sussidiarietà doveva permettere di delineare le competenze del governo centrale degli Stati membri. Tale approccio fu sorpassato nel corso dei decenni seguenti da interessi economici globali molto potenti e dalla Commissione europea che si è rivelata motore della centralizzazione, si è allontanata dai cittadini e ha sviluppato una burocrazia smisurata. Questo è stato soprattutto dopo il 1990 quando ci si è lanciati a Bruxelles sulla via – ostile ai popoli e alle loro tradizioni storiche – della centralizzazione scandalosa che era stata una delle ragioni della disgregazione dell’impero sovietico.

L’Europa delle nazioni e dei cittadini

La Commissione di Bruxelles prende un nuovo inizio in questa direzione approfittando della crisi attuale. Bisogna prendere sul serio la proposta di Kielmansegg di lanciare un nuovo dibattito sostanziale per correggere le decisioni sbagliate e i vicoli ciechi per giungere finalmente ad una concezione politica dell’Europa avallata da referendum che esprimono la volontà del popolo sovrano. Si sa che l’oligarchia politico-economica europea attuale rigetta questa procedura come la peste. In realtà le decisioni prese fino ad ora in vista dell’unificazione europea sono apparse come la volontà delle élites, cioè delle banche e delle multinazionali.

Bisogna correggere tale direzione del progetto europeo che ha distrutto tanta fiducia, creando un’Europa di nazioni e di cittadini in cui le preoccupazioni principali non sarebbero in primo luogo materiali ed economiche ma sarebbero il riflesso di un continente consapevole della sua storia e capace di portare avanti una politica realistica. La grave doppia crisi dell’Occidente in America e in Europa rivela un cambi9amento di sistema, il passaggio da una democrazia rappresentativa liberale a nuove forme di dominio oligarchico dissimulate sotto vesti democratiche. Nel corso del processo di globalizzazione le istituzioni sovranazionali come la Commissione europea e le organizzazioni internazionali come il Fondo Monetario Internazionale (FMI) guadagnano in influenza politica. Esse si sovrappongono alle decisioni dei governi e dei parlamenti nazionali. 

Gli interessi dei gruppi capitalisti della finanza devono essere controllati democraticamente

Le decisioni vengono prese al di fuori del popolo sovrano, delle democrazie e dei suoi rappresentanti e sono il frutto di circoli oligarchici che per la maggior parte non hanno alcuna legittimità democratica. Hans Vörlander, collega di Kielmansegg a Dresda, parla di nuove forme di democrazia delle élites (“Frankfurt Allgemeine Zeitung” del 12 luglio 2011) che vengono alla luce specialmente durante le riunioni sulla crisi dei capi di Stato e di governo dell’UE. I rappresentanti  del capitale finanziario globale vi trovano posto, ufficialmente come “consulenti” dei politici, ma agli effetti partecipano alle decisioni, quando poi non hanno l’ultima parola.

Secondo Vörlander tale cambiamento del sistema presenta anche un altro aspetto: l’enorme sviluppo dell’influenza del “potere interpretativo” dei media sul corpo elettorale, specialmente dei supporti elettronici che, con il loro forte “dramma visivo” rafforzano il sentimento di assenza di alternativa alla democrazia delle élites e legittimano queste ultime. Le elezioni, che dovrebbero essere una scelta di qualità da parte del corpo degli elettori, si riducono in questa democrazia di contemplazione solo ad una approvazione. 

Le crisi attuali dell’Occidente hanno svelato le seguenti decisioni prese dagli organi della “democrazia delle élites”. Hanno dimostrato che tali élites non possono assolutamente vantarsi di volere il bene del popolo, non preoccupandosi altro che degli interessi delle loro oligarchie. E’ urgente riflettere in modo da ristabilire un ragionevole equilibrio tra interesse pubblico e interessi particolari, in modo da istituire un controllo politico ufficiale permanente degli interessi del capitalismo finanziario attraverso una partecipazione democratica. 

*Klaus Hornung, nato nel 1927, è stato professore di scienze politiche all’Università di Stuttgard Hohenheim. Ha pubblicato numerosi lavori scientifici, tra cui classici come “Das totalitäre Zeitalter. Bilanz des 20 Jahrunderts” (“L’era totalitaria. Bilancio del ventesimo secolo”) o il suo studio “Scharnhorst”, dedicato a Gerhard Johann David von Scharnhorst, riformatore dell’esercito prussiano. Dal 2001 al 2003 è stato presidente del Centro studi Weikersheim.

Traduzione per Voci Dalla Strada a cura di Ale Baldelli

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