2 novembre 2011

IL ROMANZO DI UN DELITTO DI VERITA’ (1/4)

Per quanto noi ci sforzassimo di rintracciare le orme dell’arte e della creatività nella nostra civiltà occidentale, tecnologica, sviluppata e postmoderna, dovremmo amaramente costatare che questi fantastici e colorati universi appartenevano ad altri mondi e ad altri luoghi in cui forse la mente e lo spirito non erano soffocate dai logoranti e ossessivi ritmi del quotidiano.
Di HS
Ancora l’immaginario non era colonizzato e depredato dagli insidiosi messaggi di una società in cui l’immagine artificiosa e imposta la fa da padrone condizionando comportamenti, atteggiamenti, condotte, ecc… C’è stato un tempo in cui i poeti, i grandi compositori di musica classica, i maestri delle arti figurative come la pittura e la scultura e gli autori del teatro e della letteratura “alta” si ergevano nella società proprio per la loro capacità di “trascendere” il reale e il materiale e non mancava chi aveva orecchio per ascoltare la loro voce. Personalità come Omero, Dante, Michelangelo, Leonardo, Caravaggio, Shakespeare, Mozart, Beethoven, Van Gogh, Picasso, Dostoevskji, Pirandello, ecc… hanno scavato intimamente nell’animo umano facendone emergere i sentimenti più riposti e le forze segrete e nascoste.

Tale oggettivazione di forme arcane e invisibili null’altro è che ricerca della Bellezza, qualcosa che sfugge ai sensi epidermici dell’uomo. Bellezza intesa come dialettica sempre in movimento e in tumulto fra armonia delle forme e perenne conflitto delle parti… Se è l’estetica, la ricerca di quel Bello è realmente fattibile, essa non si esterna tramite la mera speculazione filosofica che si arrovella e si intorcina sulla definizione della Bellezza e sulle sue fonti, ma proprio dal presunto oggetto delle discipline d’arte, quelle opere creative e di ingegno capaci di portare alla luce l’arcano e l’immaginifico. Come regno dell’Invisibile, dell’Ineffabile e del Mistero, che esprime la sua autorità promanando dall’animo e dalla mente umana trascendendola, sovrastandola e imbrigliandola, l’arte si oppone alla banalità e alla superficialità del quotidiano e del reale immediatamente sensibile. Rifugge sia dal didascalismo insito nel presunto impegno sociale e civile come dalla pura logica mercantile del prodotto “spettacolare” congegnato per intrattenere e divertire un pubblico di poche pretese estetiche ed intellettuali.

Si deve tranquillamente ammettere che l’artista genuinamente inteso – come grande interprete dei grandi moti dell’anima e del pensiero – è figura ormai persa nei meandri della storia passata, al limite un intruso ed un reietto che la contemporanea società ludica, dello spettacolo e delle immagini, organizzata come un onnipresente Mercato, non accetta più, perché è l’idea stessa di trascendenza che non è monetizzabile. Per quanto l’artista fosse anche un pazzo ed un sognatore, colui che, di fronte alla disperazione della terra, punta l’indice verso il cielo sperando che qualcuno scorga la luna, non sempre rinuncia a rovistare dentro al sangue, al sudore e alla merda per meglio interpretare le miserie dell’umanità.

Indubbiamente Pier Paolo Pasolini è stato uno degli ultimi membri di questa tribù dotata di una indefinibile religiosità, inquieta e vitale. Intellettuale ed artista come pochi, poeta, scrittore e regista cinematografico di indubbio e gran talento, Pasolini non ha mai smesso di seminare tracce di Bellezza scaturite dal suo fragile cuore e, al contempo, di interpretare le correnti che stavano portando alla deriva la contemporaneità. E’ un vero peccato che non si possa cogliere fino in fondo il lato incantato e suggestivo dell’arte pasoliniana, presi come siamo dalla vis polemica ed intellettuale del poeta che, con somma intuizione, anticipò gli sviluppi della società postmoderna nel nostro paese. Così anche nel presente scritto ci troviamo ad affrontare il ruolo insostituibile di uomo di intelletto di questo artista che, coraggiosamente, non cessò mai di andare controcorrente.

Oggi è facile rievocare l’opera di Pasolini con l’intento di appropriarsi della sua “lezione” civile e morale, della sua onestà intellettuale che quasi sicuramente pagò con la vita. Sinistre e destre orfane di ideologie e dottrina – quindi di pensiero – fanno a gara per sottrarre briciole di idee e per lanciarsi in apologetiche celebrazioni dimenticando come Pasolini venne trattato in quegli anni di grandi trasformazioni per il paese. Se le destre disprezzavano l’intellettuale marxiano e “di sinistra” oltre all’omosessuale, le sinistre non capivano il pensiero tanto ardito quanto eretico senza trascurare il giudizio su una moralità considerata non proprio irreprensibile.

Naturalmente quel Grande Centro che si identificava con il Potere nelle sue varie diramazioni politiche, economiche, finanziarie, militari, ecc… e solo parzialmente con il grigiore democristiano non digeriva le invettive e gli attacchi portati al sistema che reggeva la penisola. Per quel che riguarda l’ambito squisitamente intellettuale ed artistico Pasolini non ebbe certo molti amici e si limitò a coltivare rapporti con la ristrettissima cerchia di persone che gli volevano realmente bene: oltre agli amici delle borgate romane ripagati con l’ingresso nel dorato mondo del cinema – i due Citti, Ninetto Davoli, ecc… - l’attrice e cantante Laura Betti, il celebre scrittore Alberto Moravia, i Bertolucci, padre e figli, il giovane scrittore e futuro sceneggiatore di fiducia di Roberto Benigni, Vincenzo Cerami.

Era troppo distante dal conformismo sessantottino e postsessantottino della maggiora parte dei colleghi che esaltavano le magnifiche e progressive sorti della società e il “giovanilismo” quasi imperante. Come ogni autentico artista che si rispetti, Pasolini era uomo fuori dal tempo o, forse, di un altro tempo e questo naturale temperamento lo condusse a sostenere aspre e perfino violente dispute e polemiche con colleghi intellettuali ed artisti e con giornalisti. Certo il “Corriere della Sera” diretto in quegli anni da Piero Ottone ebbe l’acume di ospitare gli articoli provocatori di Pasolini attirando quei lettori della borghesia attirati dalla carica trasgressiva e aggressiva di un anticonformista di “lusso”.

Era lo scandalo incarnato da Pasolini in sé a suscitare discussione, più che il contenuto della sua opera. Rileggendo a distanza di anni i suoi “Scritti corsari” si ravvisa facilmente l’ossessione dell’autore per l’ineluttabile deriva di una società a cui cercava di opporsi in completa solitudine. Quel che coniava con il termine di “nuovo fascismo” indicando una società di risvolti totalitari, pur nel suo permissivismo, nel suo benessere e nel suo edonismo, altro non è che l’Impero del Mercato che da cinquant’anni domina le società occidentali riducendo tutto a merce, profitto e speculazione…

Questa nuova e più sottile forma di schiavitù e sottomissione dietro le maschere della democrazia, della crescita e dello sviluppo non era il risultato di processi naturali e impersonali, ma l’esito delle scelte operate da un Potere o da Poteri Invisibili. In diverse e memorabili pagine, Pasolini ha spesso irriso il grigiore e la pochezza morale ed intellettuale dei vecchi notabili democristiani ritenendoli una sorta di residuo del tempo passato. Solo nominalmente la DC governava il paese, perché, in realtà i destini dei cittadini allora – come oggi – erano nelle mani delle multinazionali, delle grandi corporations, delle concentrazioni finanziarie, nelle grandi imprese, nei maggiori mass media, ecc… L’economia sovrastava e sovrasta la politica…
Munito delle grandi intuizioni ed anche di un armamentario concettuale che non trascura l’apporto delle scienze umane, Pasolini affrontò e analizzò gli aspetti più deleteri della grande trasformazione in atto. Lo fece sul piano culturale ed antropologico piuttosto che su quello meramente economicistico. La mentalità appropriativa, edonista e consumista stava distruggendo culture, tradizioni e linguaggi che facevano parte del patrimonio storico del paese a causa dell’azione ficcante e penetrante della pubblicità e di mass media come la televisione. Quel che ormai contava e innanzitutto per le giovani generazioni, era l’appropriazione delle merci sempre più superflue, degli articoli di moda.

Acuto osservatore del mondo giovanile, Pasolini soffriva per la perdita dell’innocenza dei giovani e dei giovanissimi ormai attaccati al denaro e alle merci. Inevitabilmente la mentalità appropriativa e il consumismo sfrenato non potevano che condurre ad una violenza gratuita e senza limiti dettata dalla reificazione imperante. Quando si verificarono i ripugnanti fatti del Circeo in cui giovani vennero coinvolti in un turbine di violenza, torture e sesso parvero realizzarsi le sue più atroci previsioni. E la violenza finiva per accomunare tutto e tutti al punto che difficilmente si potevano distinguere l’estrema sinistra e l’estrema destra. Violenza pseudopolitica, delinquenza più o meno spicciola e teppismo si confondevano coinvolgendo un gran numero di giovani.

La distruzione quasi sistematicamente operata dalla nuova cultura consumista ed edonista non solo faceva piazza pulita della storia e delle tradizioni del paese, ma si accompagnava ad una monumentale omologazione di massa che trasformava i cittadini in consumatori avidi e affamati. Se proprio Pasolini avesse potuto adoperare la metafora definitiva per disegnare la società postmoderna avrebbe ricorso ad un gigantesco Supermercato ove tutto era nella disponibilità dei clienti che, per ottenere prodotti e merci, non avrebbero dovuto pagare solo in contanti ma anche con la propria identità.
Arcaico reietto dei suoi contemporanei, da buon artista, Pasolini accompagnò la ricerca della Bellezza all’invettiva e al grido di disperazione per una società in piena decadenza. La sua ultima opera cinematografica – “Salò o le centoventi giornate di Sodoma” – non si riferiva alla breve e famigerata stagione della Repubblica Sociale Italiana, ma rappresentava la raccapricciante ed insostenibile allegoria di una società fondata sul principio del piacere applicato fino al più atroce delitto. I giovani corpi dileggiati, sfruttati e violentati incarnano la mercificazione delle prime generazioni acculturate ed educate in base ai “precetti” della società dei consumi. Fondendo pensiero e opere di Gesù, Marx e Sade, Pasolini metteva in scena i disastri del più anarchico e permissivo dei poteri edonisticamente orientati.

Se Pasolini si fosse limitato a esprimere creativamente ed artisticamente il suo grido di dolore per la miseria dei tempi postmoderni e a lanciare generiche invettive ed accuse contro i poteri forti, sarebbe difficilmente concepibile anche la sua orribile morte, come vedremo.
(continua...)

2 commenti:

  1. Questo Profondo nero. Mattei, De Mauro, Pisolini. Un’unica pista all’origine delle stragi di stato, di Giuseppe Lo Bianco e Sandro Rizzo si legge tutto d’un fiato. Lettura agile, lo stile è quasi quello di un romanzo. Il libro racconta, con dovizia di particolari e di documentazione, tre morti: quella di Enrico Mattei, presidente dell’Ente Nazionale Idrocarburi, quella di Mauro De Mauro, giornalista siciliano, rapito e fatto sparire dalla mafia, e quella di Pier Paolo Pasolini, uno dei più importanti scrittori italiani del dopoguerra, morto in circostanze ancora poco chiare sul lungomare laziale. L’intuizione degli autori è interessante: dietro a queste tre morti c’è un unico disegno: eliminare una personalità scomoda, Mattei, ed annichilire qualsiasi tentativo di ricerca alternativa sulla sua morte.

    Che dietro a queste tre morti ci sia uno o più mandanti oscuri è lapalissiano. Non convince però la versione di Lo Bianco e Rizzo, fermi sostenitori della “pista italiana” o “pista Cefis”. I due sono infatti convinti che non si possa minimamente fare accenno ad un “complotto internazionale” contro Mattei, nonostante sia spesso riportata nel libro l’insofferenza delle Sette Sorelle (le sette compagnie petrolifere più importanti, praticamente monopolistiche nel mercato internazionale) verso il presidente dell’ENI e verso la sua politica indipendentista. È, a nostro avviso, ingenuo ricondurre tutto al solo Eugenio Cefis, esponente di spicco dell’ambiente imprenditoriale italiano, vicepresidente ENI, cacciato (con disonore, come dimostra la ricostruzione nel libro) da Mattei e ritornato dalla porta principale dopo la morte dello stesso, fino a diventare l’eminenza grigia dei “poteri forti” all’italiana, con la presidenza Montedison ( per una ricostruzione alternativa della sua fortuna imprenditoriale è ritornato disponibile il già censurato Questo è Cefis di
    .......................................................................................

    Marco Bagozzi
    Fonte: www.cpeurasia.eu/
    Link: http://www.cpeurasia.eu/1098/omicidio-mattei-%E2%80%A6ma-quale-%E2%80%9Cpista-italiana%E2%80%9D
    3.08.2010


    [1] http://www.claudiomoffa.it/pdf/matteicoraggio.pdf

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  2. Questo Profondo nero. Mattei, De Mauro, Pisolini. Un’unica pista all’origine delle stragi di stato, di Giuseppe Lo Bianco e Sandro Rizzo si legge tutto d’un fiato. Lettura agile, lo stile è quasi quello di un romanzo. Il libro racconta, con dovizia di particolari e di documentazione, tre morti: quella di Enrico Mattei, presidente dell’Ente Nazionale Idrocarburi, quella di Mauro De Mauro, giornalista siciliano, rapito e fatto sparire dalla mafia, e quella di Pier Paolo Pasolini, uno dei più importanti scrittori italiani del dopoguerra, morto in circostanze ancora poco chiare sul lungomare laziale. L’intuizione degli autori è interessante: dietro a queste tre morti c’è un unico disegno: eliminare una personalità scomoda, Mattei, ed annichilire qualsiasi tentativo di ricerca alternativa sulla sua morte.

    Che dietro a queste tre morti ci sia uno o più mandanti oscuri è lapalissiano. Non convince però la versione di Lo Bianco e Rizzo, fermi sostenitori della “pista italiana” o “pista Cefis”. I due sono infatti convinti che non si possa minimamente fare accenno ad un “complotto internazionale” contro Mattei, nonostante sia spesso riportata nel libro l’insofferenza delle Sette Sorelle (le sette compagnie petrolifere più importanti, praticamente monopolistiche nel mercato internazionale) verso il presidente dell’ENI e verso la sua politica indipendentista. È, a nostro avviso, ingenuo ricondurre tutto al solo Eugenio Cefis, esponente di spicco dell’ambiente imprenditoriale italiano, vicepresidente ENI, cacciato (con disonore, come dimostra la ricostruzione nel libro) da Mattei e ritornato dalla porta principale dopo la morte dello stesso, fino a diventare l’eminenza grigia dei “poteri forti” all’italiana, con la presidenza Montedison ( per una ricostruzione alternativa della sua fortuna imprenditoriale è ritornato disponibile il già censurato Questo è Cefis di
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    Marco Bagozzi
    Fonte: www.cpeurasia.eu/
    Link: http://www.cpeurasia.eu/1098/omicidio-mattei-%E2%80%A6ma-quale-%E2%80%9Cpista-italiana%E2%80%9D
    3.08.2010


    [1] http://www.claudiomoffa.it/pdf/matteicoraggio.pdf

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