26 aprile 2011

AUTOMI DELL'INFORMAZIONE

La ricerca del profitto porta i mass media ad interrogarsi più che mai sul tipo d'informazione che il pubblico piacerebbe leggere. Essi partono da una costatazione: meno del 15% di quello che pubblicano i giornali interessa veramente alla maggior parte della gente. Ci sarebbe dunque un problema di offerta, che non corrisponderebbe, o non abbastanza, alla domanda. Si pongono quindi due domande: “quale tipo di informazione dare?” “ E quando farlo esattamente?

Domande vecchie quanto i mass media, alle quali internet potrebbe contribuire a rispondere, per la prima volta, con l’aiuto di alcuni nuovi strumenti. Tra gli altri, Google Trends un servizio che offre la possibilità di “conoscere la frequenza con cui una parola è stata scritta nel motore di ricerca di Google, con la possibilità di conoscere questi dati per regione e lingua” (1). Così è possibile conoscere, in tempo reale, quali sono i temi d’attualità che più interessano gli internauti in un determinato momento.
Partendo da queste informazioni, Google News ha messo a punto un servizio gratuito, aggiuntivo delle informazioni on-line, che presenta, in modo automatico, articoli presi in modo permanente da innumerevoli fonti della rete e, in particolare, dagli altri media. (…) 
[Ma] il grande pioniere di una nuova formula di “articoli su richiesta” è il sito statunitense Demand Media (www.demandmedia.com) creato nel 2006. Secondo il suo “Manifesto”, si è posto la “missione” di “soddisfare la domanda mondiale di contenuti di valore commerciale”. Ma non di qualunque contenuto, dato che il suo ambizioso obiettivo è quello di "creare contenuti che risolvono i problemi, rispondano a domande, facciano risparmiare denaro, tempo e rendano la gente felice". (2). I media-felicità!

Come si ottiene questo? E’ molto semplice, spiega un giornalista: “Per determinare quali argomenti devono essere trattati, l’algoritmo di Demand Media prende in considerazione le parole più ricercate su internet, le parole chiave più richieste dagli inserzionisti, e l’esistenza o no di articoli relativi a quegli argomenti in rete. Mette sulla bilancia quello che gli internauti vogliono sapere e quanto gli inserzionisti sono disposti a pagare per apparire accanto aquesti argomenti. Una volta che la domanda è stata identificata dall’algoritmo, gli argomenti da trattare sono messi on-line su Demand Media, la piattaforma per la quale passano 10.000 editori e operatori video indipendenti che forniscono alla società articoli e video. A questi ultimi basta l’iscrizione sul sito web dello Studio e aspettare le richieste degli argomenti che lì sono esposti; a volte 62.000 suggerimenti in un solo giorno. Vengono pagati per articolo (10 dollari) o per video (20 dollari)” (3).

Demand Media ha inventato così, con la massiccia industrializzazione della produzione di contenuti on-line, le informazioni a basso costo. Per esempio, durante il secondo trimestre del 2010, i suoi 10.000 collaboratori hanno prodotto, in media, circa di 6.000 articoli o video al giorno! (…) Ovviamente ad un simile ritmo, non bisogna aspettarsi informazione di qualità. Ma questo sito si è trasformato nel più importante contribuente di YouTube, al quale fornisce tra i 10.000 e 20.000 video al mese, generando circa 1,5 milioni di pagine viste al giorno ... E, fenomeno raro, ancora nell’ambito della comunicazione online, Demand Media è un affare che funziona: nel 2009 il suo fatturato è stato stimato tra i 200 ei 300 milioni di dollari. 

Nello stesso spirito, uno dei portali più importanti della rete e grande rivale di Google, Yahoo! ha creato, a luglio del 2010, negli USA, un sito d'informazione, The Upshot, nel quale gli argomenti trattati  non sono determinati da giornalisti ma solo dalle statistiche di ricerca degli internauti della rete Yahoo!, e particolarmente sul suo sito di informazione Yahoo! Notizie (4). 

Inoltre, nel maggio 2010 Yahoo! ha comprato un’azienda statunitense specializzata nella produzione di contenuti a basso costo su misura, l’Associated Content. “I suoi lavoratori passano in rassegna più di 50.000 articoli, immagini, suoni e video proposti, offerti ogni mese da circa 380.000 collaboratori indipendenti che producono tutti i tipi di articoli su vari argomenti" (5). Agl'internauti che desiderano scrivere e pubblicare, l’Associated Content spiega inoltre, che si può anche guadagnare qualcosa, perché l’azienda è stata creata “con l’idea che chiunque offra informazioni istruttive, critiche, guide, interviste, editoriali e vari, deve essere pagato e remunerato per le sue competenze”. (6) 

In qualche modo, si tratta di una “massificazione planetaria” della collaborazione a cottimo. Queste piattaforme sono chiamate “fattorie di contenuti” o “fabbriche d’informazione”. Chi acquista queste informazioni a “tariffe ridotte”? 
“Associazioni, società, siti internet, riviste, gruppi di giornali, aziende che desiderano aumentare il loro audience naturale e quindi le vendite, i ricavi pubblicitari o il numero di potenziali clienti" (7). 

Il gruppo statunitense AOL, uno dei pionieri d’internet, oggi separato dal gruppo Time Warner e in fase di una forte ristrutturazione, ha deciso a sua volta di “riposizionarsi come azienda d’informazione” (8), a questo scopo ha acquistato, a febbraio 2011, il giornale online The Huffington Post. AOL nel 2010 ha lanciato la sua propria “fattoria di contenuti”, Seed.com, che riceve articoli di giovani novizi del giornalismo, della letteratura o della fotografia su argomenti estremamente diversi (intrattenimento, salute, sport, animali domestici, nuove tecnologie, economia e finanza, viaggi, politica) per diffonderli nei loro numerosi siti specializzati (Daily Finance, Stvlelist.com, AOL travel, Moviefone, Wow.com, AOL Food, ecc). Come Saul Hansell spiega: uno dei responsabili di Seed.com, ex reporter del New York Times, “si tratta semplicemente di riprendere il modello delle collaborazioni giornalistiche come sono sempre esistite e renderlo molto più efficace(9) (…) 

Anche in Europa si iniziano a creare questa sorta di “fattorie di contenuti”. Populis, di origine italiana, è la piattaforma leader,  il cui slogan presuntuoso proclama: “Quando la creazione di contenuti s'incontra con la scienza del web". Rivendica più di 18 milioni di visitatori unici al mese. I suoi responsabili hanno stabilito un data-base di circa 16 milioni di argomenti che interessano sia gli internauti che eventuali inserzionisti i cui annunci saranno visualizzati insieme agli articoli. Questi non sono scritti da giornalisti professionisti ma da “scrittori freelance”, appassionati ad un argomento preciso, che sanno scrivere correttamente e le cui candidature vengono sollecitate dal sito. La tariffa delle collaborazioni varia dai 5 ai 150 euro a seconda la dimensione dell’articolo e la qualità della scrittura.

Anche in Francia sorgono siti di contenuti su richiesta (10). Così, Wikio, portale europeo di indicizzazione dei flusio d’informazione, seduce circa 3 milioni di visitatori unici al mese. Il loro sito LesExperts presenta articoli principalmente della vita pratica (11)- stabiliti in funzione dei temi plebiscitari dagli internauti. La sua ambizione è di offrire circa 100.000 articoli al mese scritti da un esercito di blogger pagati con uno stipendio fisso al momento dell’accettazione dell’articolo, più una variabile supplementare a seconda dell’audience dell’articolo, delle entrate pubblicitarie e dell’esperienza del blogger.

Invece, la rivista online canadese, Suite101, presente in Francia da settembre del 2009 non paga per gli articoli ai suoi collaboratori freelance. Paga solo quelle che definisce “entrate pubblicitarie” quando gli avvisi pubblicitari, venduti a tariffe molto vantaggiose, e diffuse con gli articoli, vengono “cliccati”, dagli internauti. Bene, un’inchiesta statunitense sull’economia online ha mostrato, nel 2010, che il 79% dei lettori in rete non cliccano mai o molto raramente su una pubblicità (12).  
Desiderosi di "tagliare i costi" a spese dei giornalisti, i gruppi stampa tradizionali cominciano a mostrare interesse per questi nuovi metodi di produzione “partecipativa” dei contenuti. Così il gruppo stampa tedesco, Hubert Burda Media, proprietario di 186 giornali in una decina di paesi, ha acquistato tra il 35 ed il 40% del capitale del sito Suite101.

Possono queste “fabbriche dell’informazione” competere con i mass media classici o i siti online creati da giornalisti professionisti? La maggior parte dei proprietari di queste “fattorie di contenuti” pensano di no, per due motivi: in primo luogo, credono che il livello dei siti d’attualità è saturo, eppoi, affermano che in nessun modo cercano di inserirsi in essi. Gli articoli che offrono (brevi, facili e consensuali) si riferiscono principalmente alla vita pratica, al “modo di vivere meglio quotidianamente”, ai consigli tipo self-help (auto-aiuto), alle raccomandazioni in materia di salute, denaro, lavoro, intrattenimento, viaggi….Questi siti di contenuto a basso costo cercano soprattutto grandi volumi di audience per vendere pubblicità a basso costo e scommettere su un’”economia del click”. Il presidente e fondatore di Populis, Luca Ascani, pensa che il suo sito può, comunque, rivelarsi come complementare: “su internet, dal 20 al 25% dell’informazione consumata proviene dai media tradizionali, dal 60 al 65% dalle ricerche, e circa il 15% dei contenuti condivisi attraverso le reti sociali. Noi cerchiamo di coprire queste tre zone e fornire risposte adeguate” (13).

Tuttavia, con la crisi dei mass media, alcuni siti gratuiti d’informazione online osservano da vicino il successo delle “fattorie di contenuti” (…) Anche alcuni importanti quotidiani pensano ad esse. Il gruppo statunitense The Washington Post Company, editore del famoso giornale, nel 2010 ha acquistato iCurrent, una start-up che offre agli utenti Internet la consultazione un “giornale adattato ai loro interessi”. E’ concepito automaticamente attraverso l’aggregazione dei contenuti di 27.000 siti di notizie e blog offerti agli utenti, che possono affinare queste proposte (14). Questa prospettiva spaventa principalmente Bill Keller, direttore del New York Times: “Non lascerei il destino dell’informazione nelle mani di Google(15).

NOTE
(1) Articolo di “Google trends” su Wikipedia, consultato il 10-2-11.
(2) “Our Manifesto”, www.demandmedia.com
(3) Caroline Boudet, “Demand Media, l’usine à infos du Web”, Les Echos, París, 23-11-09.
(4) Véase Cécile Ducourtieux y Xavier Ternisien, “Quand les internautes dictent l’actualité”, Le Monde, París, 13-7-10.
(5) Agence France Presse, 18-5-10.
(6) L’Expansion.com, 19-5-10.
(7) “Fermes de contenus: business plan et métriques”, diciembre de 2010, www.tubbydev.com
(8) L’Expansion.com, 17-3-10.
(9) Ibid.
(10) Nicolas Rauline, “Les ‘fermes de contenus’ à la demande se lancent à la conquête du marché français”, Les Echos, 21-12-10.
(11) Esempi di argomenti: “Come avere successo in un colloquio di lavoro? Come vendere l’appartamento? Quale shampoo usare per capelli grassi? Dove si acquistano garofani economici?"
(12) Le Monde, París, 20-3-10.
(13) Nicolas Rauline, art. cit.
(14) Maris-Catherine Beuth, “Les nouvelles ‘ficelles’ des sites d’infos américains”, 18-7-10, www.lefigaro.fr
(15)Yo no dejaría el destino de las noticias en manos de Google”. El País, 25-7-10.

Ignacio Ramonet è direttore di Le Monde Diplomatique, edizione spagnola. Questo testo è stato preso dal suo libro “L’explosion du journalisme. Des medias de massa a la masse de medias

Fonte: http://www.monde-diplomatique.fr/2011/03/RAMONET/20221

Tradotto e segnalato per Voci Dalla Strada da VANESA 

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1 commento:

  1. Le bombe dei buoni

    http://santaruina.splinder.com/post/24509923#comment

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