10 marzo 2011

LA SCACCHIERA ISLAMICA

Egitto: l’irruzione della Turchia (e dell’Iran dalla porta posteriore)
Per non soccombere ai manicheismi lineari della propaganda occidentale di taglio hollywoondiano propongo di dividere brevemente il mondo arabo, di 22 membri, in cinque sub regioni con lo scopo di facilitare concetti ed analisi:
Di Alfredo Jalife-Rahme - La Jornada
1- Il Maghreb (“occidente” arabo), principalmente di maggioranza sunnita, dove prevale un’importante minoranza berbera: Mauritana, Marocco, Algeria, Tunisia e Libia, ai quali bisogna aggiungere la RADS (Repubblica Araba Democratica Saharaui), riconosciuta dall’Unione Africana, ma non dalla Lega Araba.
2- La Mezzaluna Fertile, nel significato “amministrativo” del primo ministro iracheno e filo britannico, Nuri Al-Said: Transgiordania, Iraq, Libano, Palestina e Siria (Libano e Iraq hanno potenti comunità sciite, mentre la Siria si caratterizza dal regno “alawita” (10 % della popolazione), una setta discendente dal sciita, oltre al 16% dei cristiani.
3- Le sei petromonarchie arabe del golfo Persico che formano il Consiglio di Cooperazione del Golfo (CCG): Arabia Saudita, Bahrein, Kuwait, Qatar, Emirati Arabi e Oman (nelle prime tre ci sono importanti popolazioni sciite).

4- Il Corno D’Africa, che domina lo stretto di Bab al-Mandab (“la porta delle lacrime”) ed il golfo di Aden, principalmente sunnita: Gibuti, Somalia e Yemen (50% dell’etnia degli huthis, di rito zaydita-sciita).
5- I paesi costieri del Fiume Nilo: Egitto e Sudan (già balcanizzato), principalmente sunniti con minoranze cristiane e animiste rilevanti.

Mette in evidenza la più importante pluralità etnico-religiosa più importanti della Mezzaluna Fertile (es. cristiani e drusi in Libano e Siria).

Se il celebre cous-cous del Maghreb lo separa culinariamente dal riso del Mashreq (Oriente) del mondo arabo, il pane (il leitmotiv delle rivolte e rivoluzioni in atto), li unifica. L’isola sunnita Comoros è inclassificabile e si trova lontanamente tra il Mozambico e il Madagascar.

Questa succinta suddivisione che propongo è fondamentale per capire le limitazioni e possibilità della penetrazione sia della sunnita Turchia che dello sciita Iran- paradossalmente nessuna delle due potenze emergenti è araba- nelle cinque sub regioni menzionate.

Risulta allora evidente che la maggior influenza del “fattore iraniano” sia nella Mezzaluna Fertile che nel Golfo Persico (e atipicamente fino allo Yemen, per volere di Allah), all’unisono del preponderante “fattore turco” in tutto il nord d’Africa, in particolare in Egitto: il paese più popolato del mondo arabo (24% del totale di 360 milioni) e la  maggiore potenza militare (decimo nella classifica mondiale).

L’Egitto, dove il  colpo di stato militare non osa pronunciare il suo nome, comincia a “civilizzarsi” grazie alla “quasi rivoluzione delle piramidi” che ha avuto come protagonisti i suoi giovani universitari disoccupati, che non è completa e manca, dopo aver estromesso incredibilmente in soli 18 giorni Mubarak, del “cambiamento di regime” per raggiungere il completamento. 

Un altro comune denominatore dell’aroma statico della rivoluzione del gelsomino del paradigma tunisino, che ha pervaso i 22 paesi arabi e ha raggiunto i Balcani e il Transcaucasica, è che non si potrà tornare indietro.
Sono quattro le vie che si profilano all’orizzonte: il gattopardismo lampedusiano; le riforme (a patto che rimanga tempo e risorse mentali ai mandatari in ginocchio); le rivoluzioni e le balcanizzazioni (in corso in Sudan e in Somalilandia).

Vi è un alto rischio di gattopardismo lampedusiano- l’unica novella dello scrittore siciliano Giuseppe Tomasi, principe di Lampedusa e duca di Palma di Montechiaro, nella quale gli opportunisti dell’ancien regime si collocano in alto dalla parte vincitrice della rivoluzione: “Bisogna cambiare tutto affinché tutto resti uguale". 

Per uno scherzo del destino, l’isola italiana di Lampedusa si trova a solo 113 km dalla Tunisia (molto più vicina che alla Sicilia, 205 km) come metafora sublime dei pericoli di gattopardismo che possono ossidare l’aroma statico della rivoluzione del gelsomino.
Al di là del grottesco show hollywoodiano della NATO di fronte alle coste libiche, dal punto di vista geopolitico sono sorti tre fatti trascendentali. 
  1. Il viaggio di andata e ritorno di due navi iraniane sul Canale di Suez, dopo più di 30 anni di boicottaggio dello spodestato Mubarak.
  2. Lo scacco matto agli sceicchi  petroliferi del CCG (con l’impennata del greggio) per l’effetto “domino sciita”.
  3. La visita in Egitto del presidente della Turchia, Abdullah Gul, ed del suo cancelliere molto creativo, Ahmet Davutoglu. Adotterà l’Egitto nella sua “nuova era” il vincente e raccomandato “modello turco”?
Il presidente turco, Gul ha dichiarato che l’esercito egiziano aveva espresso la volontà di condurre una "transizione democratica" (Hürriyet Daily News, 02/03/2011).
Il portale europeo con sede a Bruxelles dedefensa.org (03/03/11) commenta che la “visita del presidente Gul è uno dei primi incontri importanti dei dirigenti egiziani con un capo di Stato estero, in particolare della regione e il fatto che si tratti del presidente turco è d' importanza particolare ed ha un significato considerevole” (sic).

Non per nulla, ma nel mio viaggio nella regione della scorsa estate avevo già rilevato la costruzione del condominio turco-iraniano, così come l’avvicinamento inevitabile tra i sunniti del mar Mediterraneo (come ho riportato in quel momento)  ben prima della "rivoluzione gelsomino" e della quasi “rivoluzione delle piramidi”. La geografia è destino.

In un notevole analisi, Eric Walberg  considera la fattibilità che la Turchia e l’Egitto formino un’alleanza (nota: necessariamente sunnita, da lì la mia proposta di cinque sub regioni) che avrà come “principale effetto quello di fermare i progetti egemonici del partito Likoud, di Netanyahu”.

Peggio che il fondamentalismo ebraico del premier Netanyahu, che ancora si concede il lusso di cercare di classificare “moderati” (cioè gli strumenti degli USA, Gran Bretagna e Israele) e “radicali” (gli avversari USA, Gran Bretagna e Israele) del mondo arabo, in particolare, e nel mondo islamico in generale- è, a nostro avviso, il partito Yisrael Beitenu (strapieno di immigranti dell’ex URSS: mongoli centroasiatici convertiti all’ebraismo) il cui estremismo messianico non ha potuto neanche tollerare Mubarak, il massimo alleato arabo di Israele, ormai impantanato nella pericolo di isolamento geopolitico regionale, per non dire universale.

L’ex cancelliere Tzipi Livni incolpò il governo Netanyahu di aver trasformato Israele in uno “Stato paria”.
Si delinea un condominio turco-iraniano sulla costa orientale del mar Mediterraneo che includa l’Egitto?”

Tale condominio sarebbe la conseguenza logica della storica Dichiarazione di Teheran: l’appoggio della Turchia e del Brasile al progetto nucleare pacifico dell’Iran.
In Iran, i funzionari non nascondono l’entusiasmo per il “rettangolo  che emerge da Iran, Turchia, Siria e Egitto” che sarà “la forza decisiva per cambiare il volto al mondo arabo e il mondo”.
Dalle sfumature e le sottigliezze delle cinque sub regioni, sembrerebbe che la Turchia ritornain Egitto dalla porta principale 95 anni dopo, mentre l’Iran dalla porta posteriore.

Tradotto e segnalato per Voci Dalla Strada da VANESA

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