11 gennaio 2011

IL REGNO DELL'ECONOMISMO NON E' IL NOSTRO DESTINO

Le crisi sono dei cambi di direzione che stimolano lo sviluppo e la realizzazione di nuove idee. Nella sua eccellente opera intitolata “Economia di mercato civile” (1), Peter Ulrich evoca le questioni fondamentali dell’attività e dell’etica economica. Analizza la dinamica neo-liberale sfrenata a cui contrappone un’attività economica responsabile, adeguata per tutti gli uomini e legittima. Affinché un riorientamento così radicale riesca, “una presa di coscienza epocale dell’umanità” è necessaria.
di Francis Gut, Jutta Lücking e Vera Ziroff Gut

Il caos regna nelle economie di Europa e America. Dalla crisi finanziaria del 2008, numerosi Stati sono particolarmente indebitati. Ora, mentre i cittadini si devono assumere l’onere della crisi, le banche che l’ hanno scatenata ritornano ai loro affari quotidiani. Sebbene i cittadini statunitensi abbiano disapprovato la politica economica del governo all’epoca delle ultime elezioni al Congresso, l’istituto di emissione ha aumentato considerevolmente la massa monetaria poco dopo, misura contestata persino in seno alla FED in ragione dei suoi potenziali effetti negativi sulla stabilità dei prezzi. Solo le banche sembrano trarne profitto. Gli strumenti disciplinari pretesi a gran voce nel 2008 si rivelano poco efficaci di fronte alla lobby bancaria. Nella zona Euro, le grandi banche possono anche costringere il governo irlandese ad accettare dei fondi che non vuole. Siccome i crediti sono legati a rigide misure economiche, nascono tensioni tra governo e popolazione. L’Irlanda è minacciata dalla crisi politica; in Portogallo uno sciopero generale paralizza una grossa fetta del paese, nel Regno Unito, la centrale dei conservatori è saccheggiata; in Grecia la popolazione protesta da mesi contro drastiche misure economiche.

Economia di mercato civile

“Per riuscire ad integrare la dinamica economica mondiale sfrenata in un sistema sovranazionale adeguato e legittimo dei cittadini (economici) del mondo, nel rispetto reciproco, una presa di coscienza dell’umanità che faccia epoca è indiscutibilmente necessaria in questo inizio del XXI secolo”, scrive Peter Ulrich nel suo lavoro intitolato “Economia di mercato civile”. E continua:
  • “Si tratta tuttavia di una sfida inevitabile, se non vogliamo rinunciare al progetto di modernità culturale e sociale che ha il fine di emancipare l’uomo dalle sue dipendenze e da tutti i suoi vincoli, vincoli che sono anche di tipo mentale e ideologico” (2).
E’ a buon diritto che chiede con tanta veemenza il riaffacciarsi del Secolo dei Lumi nel pensiero e nell’azione economica. Il suo libro stimola la riflessione e fornisce gli strumenti che permettono di affrontare i problemi con maggiore precisione e di trattarli. Appellandosi qui espressamente ad un pubblico scambio di argomenti, all' “uso pubblico della ragione”. In effetti: i benefici per i quali il secolo dei lumi si è distinto in Europa già 200 anni fa, nel campo della filosofia morale e politica, difettano ancora del tutto sul fronte economico, per ciò che concerne le relazioni tra economia e società.

Sebbene abbiamo sviluppato le libertà individuali e i diritti umani sul piano politico e costruito una società democratica liberale, corrispondente ad essi, non esiste nulla di equivalente in campo economico. Da 200 anni abbiamo abbandonato quasi del tutto la teoria e la pratica del liberalismo economico, che ha quasi fatto della nostra società una società di mercato, con conseguenze catastrofiche, come la crisi economica e finanziaria del 2008. Una massimizzazione senza scrupoli dei profitti e dei compensi smisurati dei manager raffrontata a situazioni professionali senza uscita (cosiddetti “lavori a un euro”, imprese di una persona a responsabilità limitata) e ad un’esistenza indegna da perdenti. Questo si traduce in un debito considerevole dello Stato e un degrado catastrofico dell’ambiente. Siccome abbiamo sottomesso la nostra vita e la comunità politica ai presunti vincoli oggettivi del mercato, il rapporto tra l’economia e la società attraversa una grave crisi. 

“Un riorientamento completo è perciò necessario sul piano dell’etica economica”, sottolinea Peter Ulrich che elabora il progetto di un’economia di mercato realmente civile, cioè integrata in una società moderna di cittadini. Per società di cittadini si intende qui una comunità di cittadini liberi ed uguali, nella quale il reciproco rispetto dei diritti altrui deve essere la condizione per l’azione politica ed economica. Nella prima parte dell’ “insegnamento offerto al cittadino economico” – Ulrich si riferisce al secolo dei lumi – si spiegano innanzitutto le idee principali dell’economia moderna a partire dalle nozioni di ragione, progresso e libertà, per passare in rassegna tre “luoghi” di responsabilità dell’etica economica, ovvero il singolo cittadino, l’azienda e l’intero sistema politico-economico del mercato nazionale e mondiale.

Demistificazione dell’ideologia del libero mercato

Prima di sviluppare un concetto nuovo e realmente moderno di economia di mercato e di sana gestione aziendale, Ulrich, per passare per una tappa saltata dell’illuminismo, considera urgente procedere ad un “disincanto” (Max Weber) dell’ideologia di libero mercato. In effetti ci sembra, a noi cittadini, di aver radicato, sul piano della storia delle scienze umane, una fede nel mercato quasi religiosa; non cerchiamo perciò veramente di uscire dalla tutela che noi stessi ci siamo imposti in economia, ma tolleriamo, in molti paesi, una politica neo-liberale di deregolamentazione del mercato e di intensificazione della concorrenza, sebbene questa politica non ci liberi dai vincoli ma, al contrario, ci assoggetti in maniera totale, se possibile.

“L’economismo è certamente la grande ideologia attuale”, scrive Peter Ulrich al riguardo. “In precedenza, nessuna forma di argomentazione ideologica ha esercitato un’influenza simile nel mondo. La critica dell’economismo o la critica del rapporto economico libero da qualsiasi limitazione consiste, nell’ottica delle scienze umane, nel recuperare un po’ di ciò che il secolo dei lumi ha realizzato”.
Per l’economismo, un’economia ragionevole consiste innanzitutto in un maggiore mercato, maggiore concorrenza, aumento della produttività e crescita economica. Attualmente la ricerca di nuovi mercati e luoghi di produzione a costi favorevoli – ricerca che, nei paesi di origine, comporta spesso disoccupazione e povertà, che non passa inosservata – richiede una giustificazione. Due tipi di argomenti, che Peter Ulrich chiama giustamente la necessità (apparentemente) oggettiva (das Sachzwangdenken) e la finzione del bene comune (Gemeinwohlfiktion) svolgono questa funzione.

“Ciò si esprime pressappoco così: la forte concorrenza mondiale ci obbliga…(per esempio a licenziare tante migliaia di persone – tesi della necessità oggettiva), ma ciò è in definitiva nell’interesse di tutti (finzione del bene comune e metafisica del mercato)”(3). Sebbene sia evidente che la necessità oggettiva riguardi tutti i partecipanti al mercato, essa non è, il più delle volte, la causa dell’azione delle aziende (ad esempio, licenziamenti), spinte ben oltre dalla prospettiva di reddito e, conseguentemente, di aumento dei profitti. Nel mercato, nessun vincolo oggettivo obbliga tuttavia a massimizzare il proprio profitto. Come da manuale, il caso Roche è un esempio nel quale questi strumenti analitici di Peter Ulrich trovano applicazione.

L’ "Eccellenza operativa” di Roche contro l’economia di mercato civile

Il 17 novembre il gruppo farmaceutico Roche ha comunicato che avrebbe tagliato 4800 posti di lavoro nel mondo, ossia il 6% dei suoi dipendenti. In Svizzera, dove queste ristrutturazioni interessano 770 posti, dei quali 530 sono soppressi, il sito di Burgdorf, che funziona bene, è stato chiuso. Questo programma di cambiamenti e di tagli, chiamato “Eccellenza Operativa” dovrebbe permettere di risparmiare 2,4 miliardi di franchi all’anno a partire dal 2012. E’ una misura necessaria e giustificabile da un punto di vista etico?
Il resoconto economico non impone una misura tanto dolorosa. L’utile netto nel primo semestre del 2010 ammonta a 5,5 miliardi di franchi, il margine di operatività si attesta al 32,8% nel primo semestre del 2008, al 33,2% al primo semestre del 2009 e al 35,5% al primo semestre del 2010, riflettendo pertanto una elevata stabilità.

Lo stesso giorno, al “Tagesgespräch” di “Radio DRS”, Severin Schwan, Amministratore Delegato del gruppo Roche, si giustificava: “A livello globale, dobbiamo fronteggiare un contesto molto più difficile che in passato, assistiamo a forti pressioni sui prezzi negli Stati Uniti e in Europa in primis, abbiamo recentemente subito delle battute d’arresto nelle nostre opportunità di vendita. […] La situazione è tale”, aggiunge subito dopo, “che agiamo da una posizione di forza, di grande forza. Abbiamo una ricerca e sviluppo dei prodotti dei più promettenti del settore, e continueremo ad investire. […] In ragione dei cambiamenti nel contesto, considero molto importante prendere in questo momento misure proattive a partire da una posizione di forza. E’ il solo modo di garantire un successo a lungo termine per Roche, e ciò permette di investire nell’innovazione. Non resteremo interessanti datori di lavoro che in questo modo”(4). Il comunicato stampa sottolinea che: “queste misure sono necessarie per garantire un duraturo successo alla Roche.”.

E i politici e giornalisti approvano annuendo graziosamente, (5) sebbene la contraddizione tra i considerevoli aumenti dei profitti e i numerosi licenziamenti del personale non sia risolta. La razionalità economica – chiamata efficienza – è il solo argomento che conta. Ma tale argomento può reggere ad un esame critico? La razionalità economica è il solo argomento convincente in questo contesto o uno “schermo economicista ci chiude la vista” quando si tratta di questioni economiche?

La presa di posizione dell’AD Schwan e il comunicato stampa del gruppo riguardante le ristrutturazioni e i licenziamenti di 4800 persone riflettono, in maniera esemplare, l’ideologia dominante dell’economismo. Il gruppo giustifica le ristrutturazioni con un argomento che implica il vincolo oggettivo, ossia il mutato contesto mondiale e le crescenti pressioni sui prezzi (“esigenze crescenti riguardanti la certificazione e la determinazione dei prezzi dei nuovi medicinali”), che hanno come conseguenza che “la struttura dei costi deve essere adattata” (tramite i licenziamenti). Ripetiamolo: i dati disponibili concernenti il giro d’affari non giustificano tale soluzione.  

Se i politici esigono con forza che vengano esercitate pressioni sui prezzi dei medicinali, ciò non significa necessariamente che queste pressioni siano efficaci, come fin troppo sanno i membri delle assicurazioni sanitarie europee. Per ciò che riguarda le “crescenti esigenze [relative a] l’omologazione di nuovi farmaci”, dobbiamo ricordare che Roche ha ultimamente dei problemi per via di “blockbusters”, farmaci con elevati margini di profitto e un giro di affari previsto di almeno 1 miliardo di dollari. Se l’evoluzione del fatturato del gruppo ne è interessata e l’effettivo del personale di vendita aumenta allora eccessivamente, non si tratta né di un colpo del destino che il cielo manderà in frantumi, né del risultato del comportamento del personale, che sarà punito con i licenziamenti, ma bensì degli errori di gestione, dei quali i proprietari della Roche, gli azionisti, sono gli unici responsabili.
Il secondo argomento portato a giustificare i licenziamenti presenta la decisione come tendente a preservare il bene comune (“garantire il successo a lungo termine degli investimenti e dell’innovazione, in modo da rimanere interessanti datori di lavoro per i nostri collaboratori”).  Un tale argomento mira a nascondere il vero motivo della decisione, ossia l’interesse dei detentori del capitale e la loro massimizzazione del profitto, nella scusa di voler unicamente proteggere il bene comune della gestione e del suo personale.

Al cittadino economico la mossa

La decisione del gruppo Roche – e Roche non è che un esempio attuale fra i numerosi altri – spiega gli effetti di ampia portata sulla società nella quale viviamo. Siamo in società a costituzione democratica di proprietà dei loro stessi cittadini. Il dibattito pubblico su questioni economiche e di etica economica, “l’uso pubblico della ragione”, è dunque una necessità assoluta. Poiché l’uomo non è solamente un Homo œconomicus, ma soprattutto un essere culturale, per il quale l’economia non è uno scopo fine a se stesso, ma un mezzo che consente di vivere una vita di qualità.  

Noi, cittadini di una società democratica liberale, possiamo decidere quale tipo di economia intendiamo creare. In che modo trattare coloro che sono stati eliminati dal processo di lavoro? 
In che misura la giustizia e la solidarietà faranno parte della società in cui vogliamo vivere? 
A cosa è necessario pensare affinché la nostra società di mercato in frantumi sia integrata nella società dei cittadini? 
E’ ora, per i cittadini economici con un’opinione pubblica critica e dotata di una coscienza, di scendere in campo per realizzare una società economica ordinata, formata da cittadini liberi ed uguali. Trasferendo le aspirazioni del secolo dei lumi sul piano economico contemporaneo, l’economia cesserà di essere distruzione e diventerà il garante della libertà personale.

(N.d.t. Economismo:(sm.) Concezione che fa dipendere ogni attività umana dall'incidenza delle motivazioni economiche.)

NOTE
(1) Ulrich Peter: Marktwirtschaft Zivilisierte. Eine wirtschaftsethische Orientierung, Berne 2010, p.169. Eine Orientierung wirtschaftsethische, Berna 2010, p.169
(2) ibid. p. 34 
(3) ibid. p. 35
(4) Radio DRS, "Tagesgespräch" del 17/11/10, ore 13 www.drs.ch / www / de / DRS / Sendungen / tagesgespr äch/2782.sh10158793.html
(5) Brutschin, capo del Dipartimento di Economia del Cantone di Basilea Città/PS manifesta comprensione a proposito della riduzione di impiegati, misura assicurante un successo durevole per l’azienda. Vedi www.videoportal.sf.tv./video?id=138c9f5e. Evelyn Kobler sottolinea nel "Zeit der Echo" del 17 novembre che Roche deve ancora digerire la ripresa del gruppo Genentech statunitense e che non sta effettuando ora le relative ristrutturazioni  (Genentech è già dal 1990 nelle mani di Roche e Severin Schwan ritiene questa ripresa come un grande successo. Nel suo numero del 18 novembre e con il titolo. "Imparare dalla crisi – Roche fa bene ad agire adesso", la NZZ (Neue Zürcher Zeitung) riprende, senza batter ciglio l’argomento del gruppo Roche.

Traduzione per Voci Dalla Strada a cura di A. B.

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