13 settembre 2010

LA CAUSA DELLA CRISI

Molto è stato scritto sui fattori che hanno portato alla più grande crisi economica che abbiamo vissuto dopo la Grande Depressione degli inizi del ventesimo secolo. Ma poco è stato detto circa le radici di questa crisi, che è l'enorme polarizzazione dei redditi su entrambi i lati dell'Atlantico, conseguenza, in gran parte dall'applicazione di politiche neoliberali sviluppate dalla maggior parte dei governi dei paesi dell'OCSE (il club dei paesi più ricchi del mondo), dagli anni Ottanta.
La rivoluzione neoliberale avviata dal presidente Reagan negli Stati Uniti e dalla Thatcher nel Regno Unito ha creato, all'attuazione delle sue politiche (riduzione delle tasse sui redditi più elevati, aumento della regressività fiscale, la deregolamentazione dei mercati del lavoro, al fine di indebolire sindacati e le forze di lavoro
, riduzione della spesa pubblica, la diluizione dei diritti dei lavoratori e sociali, tra le altre cose), una crescita dei redditi più elevati a scapito dei redditi medio-bassi. In altre parole, le plusvalenze sono salite alle stelle, a scapito dei redditi da lavoro, che sono diminuiti. Cioè, in un linguaggio semplice, i ricchi sono diventati super-ricchi a spese di tutti gli altri (classe operaia e classe media). E qui sta la radice del problema, la realtà più nascosta e taciuta nei nostri media.

Diamo un'occhiata ai dati e analizziamo quelli del paese in cui la crisi è iniziata: gli Stati Uniti. Secondo quanto afferma Robert B. Reich, che è stato ministro del Lavoro sotto l'amministrazione Clinton, nell'articolo How to end the Great Recession (Come porre fine alla Grande Recessione The New York Times del 09/10/2003), il salario medio dei lavoratori di sesso maschile (al netto dell'inflazione) in quel paese è inferiore oggi rispetto a 30 anni fa. Questo declino ha costretto le famiglie statunitensi - al fine mantenere il loro tenore di vita - a far lavorare più membri della famiglia, essendo questa una delle cause più importanti dell' integrazione delle donne nel mercato del lavoro. Mentre solo il 32% delle donne con bambini lavorava nel 1970, oggi lavora il 60%. Un altro modo per compensare la diminuzione dei salari è stato aumentare le ore di lavoro. Il lavoratore in questo decennio sta lavorando 100 ore in più all'anno (e le donne 200 in più) rispetto a 20 anni fa.

Ma anche con questi cambiamenti, il potere d'acquisto delle famiglie è sceso, cosa che le ha costrette ad indebitarsi. Le famiglie americane si sono indebitate fino al midollo, perché la garanzia dei loro crediti, perché il valore dei loro debiti, la casa, saliva di prezzo. Fino a quando la bolla è scoppiata. E ora le famiglie hanno un debito enorme. Niente di meno che 2.300 miliardi dollari.

Fin qui la descrizione di ciò che è accaduto con la maggior parte della popolazione.Vediamo ora cosa è successo ai ricchi. Il fatto che i salari (la somma dei salari) cadevano come percentuale del reddito nazionale (e questo nonostante il numero crescente di lavoratori), significa che i redditi di capitale erano in aumento. Ciò significa che la crescita della ricchezza del paese (che è chiamata crescita del PIL) beneficiava molto di più i profitti alti (profitti che derivano, in generale, dalla loro  proprietà) rispetto al resto della popolazione (che trae il suo profitto dal lavoro). Come risultato, i ricchi sono diventati super-ricchi. L'1% della popolazione che possedeva il 9% del reddito nazionale negli anni settanta del XX secolo, è passato a godersi ora il 23,5% del reddito totale, la stessa percentuale, per inciso, di quando è iniziata la Grande Depressione agli inizi del XX secolo. E qui sta il problema. Come dice Robert B. Reich, i super-ricchi hanno più soldi per consumare una percentuale minore del loro reddito rispetto al cittadino ordinario. Cioè, che il 23,5% del profitto nazionale che controllano lo usano meno per il consumo e la domanda di quanto lo farebbero, se l’avessero, le persone normali e comuni. La domanda totale, che è quella che muove l'economia (visto che è quella che stimola la crescita economica e la creazione di posti di lavoro) è calata notevolmente, anche perché gran parte delle famiglie hanno perso una grande capacità di consumo e i super-ricchi hanno preso dal consumo il 23,5% del reddito totale del paese, consumando molto meno rispetto al cittadino medio.

E se questo non bastasse, la situazione si è aggravata ancora di più come conseguenza del fatto che i super-ricchi hanno depositato i loro soldi nei paradisi fiscali e/o investendo in attività speculative che hanno un rendimento elevato, come i famosi hedge fund, aiutati dalla liberalizzazione dei mercati finanziari. E qui sta la radice della crisi finanziaria e il collasso del sistema bancario, che è stato salvato da fondi pubblici, ossia le imposte, provenienti da famiglie profondamente indebitate.

La soluzione è facile da vedere. Essa richiede una redistribuzione del reddito in modo che l'1% della popolazione torna ad avere il 9% del reddito nazionale (in realtà, il 3% sarebbe sufficiente). Ciò consentirà di aumentare il consumo, e così lo stimolo economico e la creazione di posti di lavoro. Inoltre, gli interventi redistributivi dello Stato potrebbero generare più risorse pubbliche, con le quali si potrebbero addirittura creare più posti di lavoro, risolvendo il problema più grande che esiste oggi, che è l'elevata disoccupazione. Ma i super-ricchi, insieme con le classi ricche e medie di reddito elevato (20% della popolazione) si oppongono con ogni mezzo a queste politiche redistributive. Questo succede negli Stati Uniti (come dimostrano gli enormi problemi affrontati dall'amministrazione Obama nel suo tentativo di tassare redditi più elevati e creare posti di lavoro) e anche nei paesi meridionali dell'UE, inclusa la Spagna. Questi paesi hanno la maggiore disuguaglianza di reddito dell'UE-15, il che spiega perché essi sono anche i più colpiti dalla crisi. E in Spagna il Governo socialista non osa alzare le tasse dei super richi. Ciò dimostra che la causa della crisi è politica: l'eccessiva concentrazione di potere economico e potere politico nelle nostre democrazie.
di Vicenç Navarro
Vicente Navarro è professore di Politica Pubblica presso l'Università Pompeu Fabra e professore di Public Policy presso la Johns Hopkins University.

Fonte: http://blogs.publico.es/dominiopublico/2391/la-causa-de-la-crisis/

Taduzione per Voci Dalla Strada a cura di VANESA

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