5 febbraio 2010

IL DILEMMA DI BERLUSCONI: ISRAELE O IRAN?

di Gorka Larrabeiti 

Accompagnato da 7 ministri ed un seguito di 100 persone, Berlusconi è arrivato in Israele in visita ufficiale di tre giorni ed ha cominciato a seminare verdetti.  La “berlusconata” questa volta ha frugato nelle ferite più antiche e dolenti di questo mondo: l’attacco di Israele a Gaza fu “una giusta reazione”, per Silvio Berlusconi.  Questo è quanto si è udito ieri nel Parlamento israeliano, dove è stato interrotto con applausi varie volte.
Per Mario Tedeschini di Repubblica, l’aggettivo “giusta” non era scritto nel testo originale della Presidenza del Consiglio dei Ministri italiani. Berlusconi, sembra, lo abbia colorato con colori propri. 

Tale dichiarazione è stata preceduta da varie perle degne del miglior Silvio. Berlusconi, effettivamente, ha tirato fuori il meglio del suo repertorio di viaggiatore venditore durante la sua visita "storica" in Israele.  C'è stata la chiamata al pacifista immaginario Luther King, appena ha messo piede sul suolo israeliano: “Ho un sogno: Israele nell’UE”. Seguito da un occhiolino complice all’“amico Benjamin”. Non poteva mancare la battuta biblica- blasfema, sempre simpatico, leggero e cavaliere: “Sono l’unico italiano che fa collezione di antichi ulivi. In Sardegna ho almeno 20 ulivi che hanno più di mille anni, con il certificato dell’Università di Gerusalemme, che ne ha 2000. Io, per scherzare, a volte dico ai miei ospiti che vengano all’orto di Getsemani, e che un segno che si vede nel tronco è un segno che il ginocchio di Gesù ha lasciato”. E cosa dire del momento di raccolta tragico di questo atto di contrizione nel Libro delle visite del Museo dell’Olocausto: “1 febbraio. La nostra anima esclama: “Non è vero, non può essere vero”. E dopo, sconfitta, urla: “Mai, mai più”. E quella onestà di buon amico: “Come amico e con la mano sul cuore, devo dire che la politica sulle colonie potrebbe essere un ostacolo per la pace. Questa persistenza è un errore. Mi congratulo con il valore di Netanyahu di voler congelare la costruzione nelle colonie per dieci mesi ma non convinceremo mai i palestinesi delle buone intenzioni d’Israele mentre si continuano a costruire nei territori che dovrebbero essere restituiti in un accordo di pace”. O quella capacità di far la vista grossa: “Il muro? Non l’ho visto. Il muro che circonda Betlemme? Non me ne sono accorto”. Per finire con l’abilità di fronte ad Abu Mazen per nuotare e conservare i vestiti: “E’ stato giusto piangere per le vittime della Shoah, ugualmente è stato giusto piangere per quanto accaduto a Gaza”.

Potremo continuare così, come sempre, come da 15 lunghi anni, ingannati dalla capacità discorsiva del chiacchierone, senza vedere il fondo della questione, che non è altro in questo caso, a quanto dicono, che l’Iran.

Zvi Schuldiner sul Manifesto ci ricorda che il commercio italiano con l’Iran ha superato negli ultimi anni gli 8.000 milioni di euro. Più del triplo rispetto al commercio con Israele che arriva solo ai 2000 milioni. Più di 1000 compagnie mantengono affari con la Repubblica Islamica dell’Iran, che trasforma l’Italia nel primo socio commerciale europeo dell’Iran.

Antonio Marafioti su Peacereporter informa della pubblicazione del 31 gennaio di un’intervista esclusiva sul giornale Debka File (vicini ad ambienti del Mossad), prima dell’arrivo di Berlusconi alla Terra Santa. Si intitola “Il commercio tra l’Italia e l’Iran cresce e sostiene il programma nucleare di Teheran”. Nell’articolo Debka annuncia il “lato oscuro della politica estera di Berlusconi”, che consiglia a Bruxelles di “non bruciare tutti i ponti perché l’Iran è una figura centrale e dobbiamo evitare queste (sanzioni) legate all’orgoglio nazionale iraniano” e “ incita” a quelle 1000 aziende di continuare ad investire in Iran. Tra queste figura la Fiat Ansaldo, Danieli- Dufuerco, Maire Techimont, Seli….

Due domande sorgono spontanee: Sarà capace Berlusconi di convincere gli israeliani che quel contratto di gas iraniano per un valore di 220 milioni di euro firmato lo scorso mese, che quei TIR Iveco per l’esercito e la guardia rivoluzionaria iraniana, o che quel satellite Meshbah di Carlo Gavazzi Space- che servirebbe secondo l’articolo del Debka per spiare Israele- sono “cose di mercato” e che gli affari sono affari anche se sono con Iran? Gianfranco Fini, presidente del Parlamento, si affretta da Washington dopo un’intervista con Joe Biden, vicepresidente degli USA, a garantire il cambio di rotta filoisraeliana della politica estera italiana affermando che le relazioni commerciali dell’ENI con l’Iran sono storia vecchia. Dall’Iran, però, Seifollah Jashnaz, nega che l’ENI abbia rifiutato la partecipazione nella terza fase dell’importante giacimento di Darjovin, come Berlusconi aveva dichiarato a Gerusalemme. Nella dichiarazione all’agenzia Irna, Jashnaz ha detto che il gruppo italiano sta lavorando attualmente nella seconda fase il cui “valore” è di 1.000 milioni di dollari, cosa che permetterà di aumentare la produzione da 50.000 a 160.000 barili al giorno”. In sintesi: è da vedere se l’ENI rimane o no in Iran.

La seconda questione è molto più grave: è cosciente che non ci sarà nulla nel suo repertorio da viaggiatore che giustifichi quelle dichiarazioni sullo sterminio a Gaza, denunciato dalle Nazioni Uniti e che comincia a riconoscere perfino lo stesso Israele? Se i bombardamenti su Gaza sono stati “giusti” e le sue vittime sono allo stesso tempo come le “vittime della Shoah”, allora l’Olocausto è stato contemporaneamente un orrore intollerabile ed una reazione giusta dei nazisti?

Si sa: il buon viaggiatore deve essere capace di mettere il veleno e l’antidoto allo stesso tempo.

Fonte: http://www.rebelion.org/noticia.php?id=99873 

Traduzione per Voci dalla Strada a cura di VANESA

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