16 dicembre 2009

LA TRAPPOLA: AFGHANISTAN 1979-2009

L'obiettivo è che gli Stati Uniti possano contare su una base militare da cui attaccare la Russia e la Cina

di Tiberio Graziani


Il presidente Obama ha appena scelto la scalata militare in Afghanistan, dove la NATO affronta l’insurrezione dei pashtunes, che la propaganda sta associando con l’oscurantismo religioso. Scommettendo per la scalata militare, Washington si mette in un nuovo
pantano. L’analista italiano, Tiberio Graziani osserva in questo articolo la trappola afgana, montata dagli Stati Uniti nel 1979 contro i sovietici, si chiude oggi sulle truppe del Pentagono.

Ribelli afgani sui resti di un elicottero sovietico. A quell’epoca, i muyahidenes erano considerati, da Washington, come “combattenti per la libertà”, oggi, distruggono gli elicotteri della NATO e sono qualificati come “terroristi talebani”.

1979, l’anno della destabilizzazione.


Tra i diversi avvenimenti della politica internazionale del 1979, ce ne sono due particolarmente importanti per aver contribuito all’alterazione del quadro geopolitico globale, basato allora sulla contrapposizione tra gli USA e l' URSS. Ci riferiamo alla rivoluzione islamica dell’Iran e l’avventura sovietica in Afghanistan.


La presa del potere da parte dell’ayatollah
Khomeini, come si sa, ha eliminato uno dei pilastri fondamentali sul quale si sostentava l’architettura geopolitica occidentale guidata dagli USA.

L’Iran di Reza Pahlavi costituiva nelle relazioni di forza tra gli USA e l' URSS un pezzo importante, la cui sparizione indusse il Pentagono e Washington ad una profonda riconsiderazione del ruolo geostrategico americano. Un Iran autonomo e fuori dal controllo introduceva nella scacchiera geopolitica regionale una variabile che potenzialmente metteva in crisi tutto il sistema bipolare.


Inoltre, il nuovo Iran, come potenza regionale antistatunitense e antisraeliana, possedeva le caratteristiche (in modo particolare, l’estensione e la centralità geopolitica e l' omogeneità polita- religiosa) per competere per l’egemonia di almeno una parte dell’aerea meridionale, in aperto contrasto con gli interessi simili di Ankara e Tel Aviv, i due fedeli alleati di Washington e di Islamabad.


Per queste considerazioni
, gli strateghi di Washington, coerenti alla loro bicentenaria “geopolitica del caos”, in poco tempo hanno indotto, l’Iraq di Saddam Hussein a scatenare una guerra contro l’Iran. Lo squilibrio di tutta la zona permetteva a Washington e all’Occidente di guadagnare tempo per progettare una strategia di lunga durata e, tranquillamente, consumare l’orso sovietico.

Come ha evidenziato
dodici anni fa Zbigniew Brzezinski [1] consigliere della sicurezza nazionale del presidente Jimmy Carter, durante un’intervista concessa al settimanale francese Le Nouvel Observateur (15-21 gennaio 1998, pag 76), la CIA era entrata in Afghanistan con lo scopo di destabilizzare il governo di Kabul, già a luglio del 1979, cinque mesi prima dell’intervento sovietico.

La prima direttiva con la quale Carter autorizzava l’azione segreta per aiutare segretamente gli oppositori del governo filosovietico risale, infatti, al 3 luglio. Quello stesso giorno lo stratega statunitense di origine polacca, scrisse una nota al presidente Carter nella quale spiegava che la sua azione avrebbe portato Mosca ad intervenire militarmente. Ciò che puntualmente avvenne alla fine di dicembre di quello stesso anno. Sempre Brzezinski, durante la stessa intervista, ricorda che, quando i sovietici entrarono in Afghanistan, scrisse a Carter un’altra nota nella quale espresse la sua opinione sul fatto che gli USA finalmente avevano l’opportunità di dare all’Unione Sovietica la loro guerra del Vietnam. Il conflitto, insostenibile per Mosca, avrebbe condotto, secondo Brzezinski, al collasso dell’impero sovietico.


Il lungo impegno militare
sovietico a favore del governo comunista di Kabul, di fatto, ha contribuito ulteriormente a debilitare l' URSS, già in avanzato stato di crisi interna, sia nella parte politica-burocratica che in quella socio- economica.

Come sappiamo oggi, il ritiro dell’esercito da parte di Mosca dal teatro afgano lasciò tutta la zona in una situazione di estrema fragilità politica, economica e, soprattutto, geostrategica. In pratica, neanche dieci anni dopo la rivoluzione di Teheran,
tutta la regione era stata completamente destabilizzata a beneficio esclusivo del sistema occidentale. Il contemporaneo inarrestabile declino dell' Unione Sovietica, accelerato dall’avventura afgana e, successivamente, lo smembramento della Federazione Iugoslava (una specie di Stato tappo tra i blocchi occidentali e sovietici) degli anni '90 aprivano le porte all’espansione USA, l' hyperpuissance, come definito dal ministro francese Hubert Védrine, nello spazio eurasiatico.
Dopo il sistema bipolare, si apriva una nuova fase geopolitica: quella del “momento unipolare”.

Il nuovo sistema unipolare, però, avrebbe avuto vita breve, e sarebbe finito –all’alba del XXI secolo- con la riaffermazione della Russia come attore globale e con il sorgere contemporaneo delle potenze asiatiche, Cina ed India.


I cicli geopolitici dell’Afghanistan


L’Afghanistan per le sue proprie caratteristiche,
relative principalmente alla sua posizione nello spazio sovietico (confini con le repubbliche, in quell’epoca sovietiche, del Turkmenistan, Uzbekistan e Tayikistan), alle caratteristiche fisiche, e, inoltre, alla mancanza di omogeneità etnica, culturale e confessionale, rappresentava, agli occhi di Washington, una porzione fondamentale del chiamato “arco di crisi”, cioè, la striscia di territorio che si estende dai confini meridionali dell' URSS fino all’Oceano Indiano. L’elezione come trappola per l' URSS cadde sull’Afghanistan, quindi, per evidenti motivi geopolitici e geostrategici.

Dal punto di vista dell’analisi geopolitica, infatti, l’Afghanistan costituisce un chiaro esempio di un’aerea critica, dove le tensioni tra le grandi potenze si scaricano da tempi memorabili.


L’area nella quale si trova attualmente la Repubblica Islamica dell’Afghanistan, dove il potere politico sempre si è strutturato sulla dominazione delle tribù pashtunes sulle altre etnie (tayikos, hazaras, uzbecos, turcomani, baluchi) si forma precisamente nella frontiera dei tre grandi dispositivi geopolitici: l’impero mongolo, il
Khanato uzbeko e l'impero persiano. Le dispute tra le tre identità geopolitiche limitrofe determineranno la loro storia futura.

Nel XVIII e XIX secolo, quando l’apparato statale si sarebbe consolidato come regno afgano, l’area sarebbe stata oggetto delle contese tra le due grandi entità geopoliche: l’Impero Russo e la Gran Bretagna. Nell’ambito del così detto “Grande Gioco”, la Russia, potenza di terra, nel suo impeto verso i mari caldi (Oceano Indiano), l’India e la Cina, si scontrano con una potenza marittima britannica che, a sua volta, cerca di chiudere e di penetrare la massa eurasiatica in Oriente verso la Birmania, la Cina, il Tibet e la conca del Yangtse, girando sull’India, ed in Occidente in direzione degli attuali Pakistan, Afghanistan e Iran, verso il Caucaso, il Mar Nero, la Mesopotamia e il Golfo Persico.


Nel sistema bipolare della fine del ventesimo secolo, come sopra descritto, l'Afghanistan sarà un campo in cui vengono misurate di nuovo una potenza del mare, gli Stati Uniti, e da terra, l'URSS
.


Oggi, dopo l’invasione statunitense del 2001, che presuntuosamente Brzezinski definiva come la trappola afgana per i sovietici è diventata la palude e l’incubo degli Stati Uniti.


[1]
«La monstruosa estrategia para destruir Rusia», di Arthur Lepic, Red Voltaire, 12.12.2004.

Fonte:
http://www.voltairenet.org/article163239.html

Traduzione per Voci Dalla Strada a cura di
Vanesa

Video correlati:
L'UOMO DIETRO BARAK OBAMA (1/2)
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