13 dicembre 2008

I FORTI DEBOLI



Questo articolo, datato 1948, è rivolto a tutti coloro che ancora oggi stanno riflettendo sul loro essere e sulla loro missione in questo mondo.

L'umanità è composta per la maggior parte da uomini forti. Di gente con un carattere e una personalità propria. Perché gli altri, i poveri diavoli, i deboli, gli indecisi, finiscono per restare indietro e perdersi, nella folla immensa. Così come dicevo la maggioranza è formata da uomini forti, volitivi. Potete vederli, ogni giorno, intorno a voi. Gente che sa quello che deve fare, che lo compie con decisione e capacità, che è tanto cosciente della propria capacità da potersi permettere di svolgerla nel migliore dei modi, di ricavarne gli utili maggiori. Li vedete avviarsi ogni mattina verso il loro mondo di attività schiacciati in un tram o in autobus, passare frettolosamente nelle vie centrali, uomini con tanto di borsa sotto il braccio, uomini dei quali a prima vista potete dire che sono attivi, che sanno quel che vogliono e come ottenerlo. E' tutta una gamma di tipi, compresi in quella generica qualificazione di uomini forti, di ragazzi svelti come si dice, dall'uomo di affari all'impiegato dall'operaio allo studente, al manovale al contrabbandiere al delinquente all'uomo politico. Uomini che si sono fatti o si faranno da sé, lottatori, vincitori della vita, ciascuno a modo suo. Uomini di cui, ciascuno a modo suo, si sa che hanno o avranno una posizione. Uomini, cioè che non faranno mai parte dell'altra categoria dei deboli, dei vinti. Uomini che non hanno paura di guardare in faccia la vita. Questa è l'impressione che dà a chiunque oggigiorno l'affacciarsi per un attimo alla finestra di una grande metropoli, come del più piccolo paesello.

Ora non potrà non stupirvi, dopo l'affermazione fatta in principio, questa altra mia affermazione: l'umanità è composta per la maggior parte di esseri deboli. Che è come dire esattamente il contrario di quanto ho detto prima. Eppure, è così. In tutti questi uomini forti, energici, vi è una debolezza profonda: essi non sanno guardare. Molti, anzi, hanno paura di guardare. Di guardare la vita e se stessi. Ma qui è bene cominciare a spiegarci più esaurientemente. C'è un modo di guardare la vita e se stessi che è quello sopra descritto, quello che la maggioranza degli uomini segue. Che consiste nel guardare gli aspetti esterni, materiali, di affrontarne le difficoltà appariscenti, immediatamente, che però finisce per essere una attività fine a se stessa. Per far ciò occorre, senza, dubbio, una certa forza, un carattere, una volontà. C'è invece un altro modo di guardare 1a vita e se stessi, che solo pochissimi praticano, forse perché esige una forza, enorme, al confronto, della quale quella di cui discorrevamo appare addirittura debolezza. Questa seconda maniera di guardare che implica di per se stessa una forza che si concreta nel superamento della personalità, della volontà e della forza apparente, porta ad una sistematicità di pensiero, nella quale non trova posto quella che viene comunemente considerata la realtà, le difficoltà che ne derivano e gli sforzi che richiede. E' sotto questo riguardo che la maggioranza degli uomini è debole, pur conservando l'opinione di una propria forza. Tutti questi uomini, tuffati a capofitto in una febbrile attività di cui non distinguono più il valore reale, tutti questi uomini adusati ormai ad una maniera di vita puramente fine a se stessa, tutti questi uomini sono in definitiva dei deboli perché nessuno di questi uomini pratica quel secondo metodo di considerazione nel quale essi acquisterebbero forza reale e la loro attività un fine. Anzi, considerando lo sforzo di questi uomini per imporre la propria personalità, la propria volontà, bisogna dedurre che seguono proprio la via opposta, quella che sempre più si allontana da un modo di vivere reale. E' a questo punto che occorre chiedersi il perchè di ciò, la ragione per cui tanta umanità batte una via che è proprio l'antitesi della sua «umanità». Per molti individui la ragione è da ricercarsi nell'ignoranza, nell'incoscienza, nell'ambiente di vita e di educazione, per cui questi esseri, non avendo sentore di qualcos'altro seguono quella via che ritengono loro propria. Per molti altri individui la ragione è costituita né più né meno dalla paura di guardare.

Guardare nel senso considerato implica guardare fino in fondo, cioè guardare nella vita fin nei più profondi recessi, guardare in se stessi fino al punto in cui si acquisti perfetta coscienza del proprio essere. Il che porta naturalmente a vedere aspetti insospettati e spesso terrificanti di se stessi e della vita. Non tutti hanno la forza di saper guardare. E invece di molti, di moltissimi, la paura di guardare, cioè di non voler guardare, per paura di vedere. Ed è molto spesso proprio in virtù di codesta paura che ci si immerge in una intensa attività che, non dando tempo a meditazioni e considerazioni, dà la possibilità di ignorare o addirittura di non acquistare coscienza di questa paura, di questo sentimento profondo e nascosto che, in fin dei conti, è una specie di istinto di conservazione. Questi uomini sanno o intuiscono che anche un solo sguardo diretto nella direzione che abbiamo visto, li porrebbe di fronte alla irrealtà della loro realtà. Questo, bisogna riconoscerlo, può bastare da solo a non far guardare. Per paura, lo abbiamo detto. E ciò nonostante questi uomini continuano la loro vita e l'umanità li ammira e li rispetta. Perché appunto sono i più. Cioè è tutta l'umanità che avendo perduto di vista la sua essenza è abituata a considerare la vita e se stessa in modo che, come abbiamo visto è umana in quanto è giustificazione della sua debolezza. Ma quel secondo modo di guardare implica la considerazione della nostra umanità come fonte di ogni nostra forza e la realizzazione di essa la meta della vita. É questo che noi affermiamo quando parliamo di una vita cosciente che vogliamo formare, di un'umanità cui vogliamo ridare la coscienza della sua essenza umana. Per far ciò occorre avere noi il coraggio di guardare, fino in fondo e insegnare agli altri a guardare e far loro apparire chiara la ragione della loro riluttanza la quale in fondo è un misto di apatia, di viltà e di debolezza, di paura: la paura di guardare.

(Articolo inviato da menphis75 )

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