15 dicembre 2009

BANCHE SPAGNOLE, MEZZI DI COMUNICAZIONE E CAMORRA ITALIANA


di Pascual Serrano

Fino allo scorso mese di ottobre solevo pubblicare una colonna quindicinale in un giornale del gruppo Vocento. Non avevo ricevuto nessuna obiezione sui miei scritti fino a quando ho inviato uno da pubblicare per martedì 27 ottobre. In questo, sotto il titolo “
Il banchiere ed il presidente”, contrastavo il patrimonio del presidente del governo spagnolo, reso pubblico recentemente e calcolato in 209.206 euro e il pensionamento del consigliere delegato del BBVA, Josè Ignacio Gorrigolzarri, di 55 anni, che ammonta a 3 milioni di euro annuali. Arrivata la data prevista per la pubblicazione sul giornale la mia colonna non è apparsa, senza alcuna spiegazione. Dopo aver cercato di sapere i motivi, qualcuno del giornale, in uno slancio di sincerità che ringrazio, mi chiarì che il motivo era la presenza nell’articolo della critica a quella astronomica pensione. “Cosa vuoi che ti dica che tu non sappia”, aggiunse l’interlocutore. Mi indicò che tre giorni più tardi mi avrebbe informato sulla decisione presa dall’alto sul mio articolo. Non si sono mai più rivolti a me e il mio articolo non è stato pubblicato. Non ho più avuto rapporti con loro.

Per chi non lo sapesse, è opportuno chiarire la stretta relazione del gruppo Vocento con la BBVA, in concreto attraverso la famiglia Ybarra. Come è saputo, Emilio Ybarra è stato il presidente del BBVA. Suo figlio, Emilio Ybarra Aznar,
è stato nominato a gennaio del 2007 presidente del CMVOCENTO, la società responsabile per la gestione della pubblicità in tutto il gruppo dei media. Prima fu direttore generale multimedia del giornale La Rioja e del El Correo, e successivamente direttore generale di Sviluppo di ABC. Tutti giornali del gruppo Vocento.

Il fratello dell’ex presidente del BBVA,
Enrique Ybarra, è vicepresidente di Vocento e presidente della fondazione Vocento, possiede oltre il 6.536 delle azioni del gruppo di comunicazione. Nel consiglio direttivo del gruppo si trova anche Ignacio Ybarra, proprietario di 11.628 azioni attraverso la sua azienda Mezouna S.L. E’ anche consigliere del BBVA e, dal 2008, responsabile dell’ Unità dei Servizi Transnazionali Globali della BBVA, avendo occupato dal 1998 altri ruoli come quelli di Direttore dell’Unità di Istituzioni Finanziarie, Direttore di Affari della Banca Maggioritaria America e Direttore dell’Unità di Clienti Globali di BBVA.

La saga non finisce qui. C'è anche il fratello
Santiago Ybarra y Churruca, presidente del Consiglio di Vocento dal 2001 fino al 2008 e oggi consigliere. E Alavaro Ybarra e Zubiria, consigliere del gruppo e proprietario di un 0,458% delle azioni.

Fino ad oggi avevo criticato, nelle mie colonne, il governo spagnolo, il Partito Popolare, la monarchia, il governo degli USA, i politici locali di differente colore….senza che trovassi nessuna obiezione da parte del giornale. Ma è evidente che pretendere di criticare la BBVA nelle pagine di un giornale del gruppo Vocento è una pretesa impossibile.
La questione della libertà d’espressione finisce quando appare il denaro e i nomi propri.

Nel suo libro Gomorra, lo scrittore italiano Roberto Saviano, racconta con ogni dettaglio come funziona la camorra napoletana. Si sono scritti molti libri sul crimine organizzato in Italia,
per non parlare del cinema, ma non erano molto esaustivi nel dare nomi con precisione, cosa che Saviano fa nella sua opera. Il 23 settembre 2006 l’autore partecipò ad una cerimonia pubblica a Casal di Principe, nella regione Campania, controllate dalla Camorra. Tra il pubblico c’erano numerosi giovani e studenti della zona, dei quali è facile immaginare il proprio destino. In quel momento disse: “Iovine, Zagaria, Schiavone (nomi dei capi dell’organizzazione criminale) non valete nulla, che se ne vadano, questa terra ci appartiene. E dico ai ragazzi: pronunciate i loro nomi, vedete, si può fare. Pronunciare il nome di un boss non ti mette in pericolo, è una sciocchezza. Ma è la paura di non dire il suo nome che vi porta ad usare espressioni come 'quello' o 'Lui' o 'hai visto chi è passato' senza pronunciare il nome mai. Si tratta di una specie di codice nel quale cresci, secondo il quale è molto meglio non pronunciare alcuni nomi”. Saviano li enumera di fronte a quel pubblico e immediatamente capta la tensione che si è creata nella sala. Da allora deve vivere sotto scorta in un luogo segreto. Si è sbagliato quando ha affermato che non è pericoloso dire quei nomi. Per averlo fatto sono morti giudici, pentiti, poliziotti e giornalisti in Italia.

Sembra che
c’è molto in comune tra la Mafia, la Camorra, le banche e i mass media. Tutto funziona senza problemi finchè non vengono fuori i nomi, fino a che i criminali non sono segnalati. Allora finisce la sicurezza per Saviano e la libertà d' espressione per chi vuole scrivere nei mass media controllati dalla banca.

In Gomorra, Roberto Saviano racconta che le organizzazioni criminali napoletane finiscono per controllare i commercianti attraverso prestiti che garantiscono contanti. I commercianti li preferiscono perché il tasso d’interesse è minore di quello che si paga alle banche. Quando si indebitano aumenta la percentuale che devono dare all’organizzazione mafiosa, ma ,” i clan non sono come le banche, che si pagano il debito prendendosi tutto; loro sfruttano i beni lasciando che ci lavorino persone con esperienza che hanno perso le loro proprietà”. Alla fine
la banca può arrivare a far diventare buoni i mafiosi.

Fonte:
http://www.pascualserrano.net/noticias/bancos-espanoles-medios-de-comunicacion-y-camorra-italiana

Tradoto e segnalato per Voci Dalla Strada da
Vanesa

DALLA CRISI ECONOMICA ALL'ESPLOSIONE SOCIALE


di Leonardo Mazzei
Campo Antimperialista


Una settimana fa il vento della rivolta ha ripreso a soffiare su Atene. L’occasione è stato il primo anniversario dell’uccisione di Alexandros Grigoropoulos da parte della polizia, ma sbaglieremmo a non cogliere nella rabbia dei giovani greci il segno di una crisi che si cercherà di scaricare sempre più sulle classi popolari.


«Inflazione, disoccupati, debito. Grecia a rischio infarto sociale», è stato il titolo allarmato del Corriere delle Sera che ha proposto un’analisi di Antonio Ferrari che riconosce come causa della protesta «la rabbia per una crisi economica quasi segreta, nel senso che la classe politica aveva cercato di nasconderla, cullandosi su cifre e proiezioni non corrette. Ora che la crisi morde dolorosamente la vita quotidiana dei greci, con una tempesta di licenziamenti, con l’impennata dei prezzi e l’incubo di misure draconiane, si è creato un drammatico corto circuito, quasi un infarto sociale».


Se questa è la situazione, quali saranno gli sviluppi? E, più in generale, di cosa ci parlano gli avvenimenti greci?


La mina del debito pubblico

Già da tempo abbiamo rilevato (vedi L’interessato partito degli “ottimisti”) come la questione del debito pubblico tendesse a diventare esplosiva, come conseguenza dello scaricamento di una quota gigantesca del debito privato nei bilanci pubblici europei ed americani.


Un tema che governi, media ed oligarchie finanziarie hanno teso ad omettere, salvo richiamarlo di tanto in tanto per enunciare la necessità di una exit strategy da avviare però in tempi (economicamente) migliori.


In Grecia il governo di destra presieduto da Kostas Karamanlis – in carica fino alla sconfitta nelle elezioni dello scorso ottobre – ha fatto anche di più, imbrogliando grossolanamente sui dati del deficit statale. Karamanlis dichiarava (e comunicava ufficialmente a Bruxelles) un rapporto deficit/Pil del 3,9%, mentre la realtà era di un rapporto del 12,9%.


Difficile che i custodi della stabilità monetaria europea non si fossero accorti di un falso simile, più probabile che abbiano taciuto per motivi politici e per non creare allarme nel momento in cui si vorrebbe far passare il messaggio dell’uscita dal tunnel della crisi.


Sta di fatto che ora l’allarme è scoppiato, facendo salire pesantemente gli interessi sui bond greci, causando il declassamento del rating del Paese, provocando il crollo della Borsa, diffondendo la preoccupazione su un possibile default modello Argentina 2001.


Quest’ultima ipotesi viene ovviamente smentita dal nuovo governo presieduto da George Papandreou del Pasok, ma lo stesso primo ministro – vedi La Stampa del 10 dicembre – è stato costretto ad usare toni ben poco rassicuranti: «La Grecia si trova nel reparto di cure intensive» e la crisi ne minaccia «la sovranità per la prima volta dal 1974» (anno della fine del regime dei “colonnelli” – ndr).


Il perché di questo riferimento alla sovranità è chiaro. Papandreou si appresta a varare un pesantissimo piano di risanamento, da presentare all’Unione Europea entro gennaio.


La Banca centrale europea (Bce) ha già fatto sentire la sua voce per bocca del presidente Trichet che ha espresso «fiducia che il governo greco prenderà nel futuro prossimo le misure coraggiose e necessarie che si impongono». Se l’Europa parla chiaro, ancora più dura è la Germania che ha una pesantissima esposizione finanziaria verso la Grecia (giova ricordare che sui 300 miliardi di euro dei titoli di stato greci, ben 200 sono in mano straniera). Il capo della Bundesbank, Weber, ha tuonato senza mezzi termini che la Grecia ha un anno per riportare sotto controllo i conti pubblici.


Ma l’ipotesi più grave, che pare circoli in ambienti dell’UE, sarebbe quella di mettere in mano la partita al Fondo monetario internazionale (Fmi), che notoriamente fornisce prestiti solo a fronte di tagli draconiani della spesa pubblica.


Il governo Papandreou respinge questa possibilità, ma è costretto ad invocare il rischio di perdere la sovranità nazionale proprio per far passare misure altrettanto impopolari benché decise ad Atene anziché a Washington.


La partita geopolitica...


In mezzo a questo bailamme di cifre, minacce, impegni ed incertezze si gioca anche un’altra partita.

A rilevarlo su La Repubblica del 10 dicembre è il direttore di Limes, Lucio Caracciolo.


Secondo Caracciolo la Grecia sarebbe una sorta di cartina di tornasole dei nuovi equilibri mondiali. Una prova per quello che viene chiamato G2 (il rapporto speciale Usa-Cina) ed in particolare per le ambizioni cinesi. Una prova per l’Unione Europea, che l’autore considera però sostanzialmente fuori dai giochi.


Di cosa si tratta in concreto? Pare che in questi giorni la linea telefonica Atene-Pechino sia caldissima, soprattutto quella tra gli uffici del governo

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greco e quelli di Bank of China. In ballo ci sarebbe la disponibilità cinese ad acquistare 25 miliardi di bond, sui 47 che Atene dovrà emettere nel corso del 2010. Per capire la portata di queste cifre basti dire che, in rapporto alla dimensione economica del paese, sarebbe come se l’Italia dovesse emettere titoli per circa 350 miliardi di euro!

La Cina dunque si offre, al posto di un’esangue Europa, per il salvataggio della Grecia. Ma questo, ovviamente, ha un prezzo. Secondo la ricostruzione di Caracciolo i cinesi punterebbero al controllo del porto del Pireo, oltre ad alcuni “bocconi buoni” nel settore industriale.


La cinese Cosco Pacific Ltd. gestisce già due moli del Pireo, ma un controllo più forte farebbe del porto greco il principale snodo d’accesso delle merci cinesi verso l’Europa. Per evidenti ragioni geografiche il Pireo risulterebbe infatti assai meno costoso rispetto a Le Havre, Amburgo e Rotterdam.


Il direttore di Limes ritiene anche che l’operazione cinese possa avvenire con la partecipazione di due banche americane, Goldman Sachs e JP Morgan. Come dire, tutto è possibile ma è escluso che sia l’Europa a giocare il ruolo principale.


...e quella sociale


Se la partita geopolitica è tuttora incerta, più sicuro è il massacro sociale che si sta preparando. Nel mirino, tra le altre cose, pare ci sia in particolare il sistema pensionistico.


La cosiddetta “generazione 700 euro”, cuore delle proteste dell’ultimo anno, verrà colpita ancora più pesantemente. Come reagirà? Come risponderanno i giovani che vedono ormai con chiarezza un futuro sempre più incerto?


Le oligarchie europee non lo dicono, ma la preoccupazione per una possibile esplosione sociale non è certo minore a quella di nuovi crac finanziari a catena. Da questo punto di vista la Grecia sarà probabilmente un laboratorio che aiuterà a comprendere cosa potrà avvenire altrove. Un piccolo laboratorio, certo, ma sicuramente indicativo dei sommovimenti sociali che stanno maturando nel continente.


A chi parla la Grecia?


L’importanza delle vicende di questi giorni va dunque ben oltre i confini della penisola ellenica. La Grecia parla all’Europa, specialmente ai paesi che più gli somigliano per situazione economica, contesto sociale e tradizioni politiche.


Sul versante del debito pubblico due paesi in particolare sono sotto la lente d’ingrandimento: la Spagna, il cui rating è in via di declassamento; e l’Irlanda, dove il governo ha deciso nei giorni scorsi tagli per 4 miliardi di euro alla spesa pubblica (l’equivalente di 60 miliardi, rapportati all’Italia), colpendo il welfare e riducendo i salari dei dipendenti statali.


Secondo la classificazione proposta dall’ultimo bollettino della Bce, tra i sedici paesi dell’eurozona ben otto sono da considerarsi a rischio elevato: Spagna, Grecia, Irlanda, Cipro, Malta, Olanda, Slovenia e Slovacchia. Altri sette sono invece classificati a rischio medio: Italia, Germania, Belgio, Francia, Lussemburgo, Austria e Portogallo. L’unico paese giudicato a rischio basso è la Finlandia.


Difficile valutare l’attendibilità di questa classifica, che ci dice comunque quanto sia delicata la situazione delle finanze europee.


In quanto alla situazione dei conti pubblici italiani, basta limitarsi ad un semplice raffronto con quelli greci per capire cosa ci aspetta. Se il rapporto debito/Pil di Atene è attorno al 125%, quello del nostro paese è ormai al 116%, mentre in termini assoluti il debito pubblico è circa 6 volte superiore a quello greco.


Non passerà molto tempo prima che si ricominci a parlare di austerità e sacrifici.


Sacrifici che verranno chiesti esclusivamente alle classi popolari, così come avvenne con le finanziarie per Maastricht degli anni ’90. Ma a differenza di allora c’è rimasta ben poca spesa sociale da spremere e quasi niente da privatizzare. La conseguenza sarà inevitabilmente un massacro sociale di proporzioni ben più pesanti.


E’ anche per questo che le oligarchie dominanti vanno preparando un nuovo governo che possa gestire una politica economica d’emergenza.


Questa volta, però, non si illudano troppo sulla pace sociale. Stanno tirando la corda da troppo tempo, e ad un certo punto potrebbe spezzarsi. Ce lo dicono tanti segnali. Del resto, se la credibilità della coalizione berlusconiana tende sempre più verso il basso, quella della classe politica che verrà chiamata a sostituirla non gode certo di maggior consenso.


Dopo tanti anni di letargia è probabile che il conflitto sociale riemerga in Italia ed in Europa. Anche di questo ci parla la Grecia. Anche per questo lorsignori non sono troppo tranquilli.

Fonte: http://www.reportonline.it/

14 dicembre 2009

L'UNIONE EUROPEA FA PRESSIONE SUL FMI PER TASSARE LE TRANSAZIONI FINANZIARIE

http://medias.cafebabel.com/789/thumb/-/-/789.jpg

L'Unione europea Venerdì ha aumentato la pressione sul FMI perchè prenda in considerazione le imposte a livello mondiale sulle transazioni finanziarie con l'obiettivo di limitare il rischio di un'altra crisi economica.

In una bozza che dovrebbe essere adottata il secondo giorno del vertice Ue, leader europei hanno anche sottolineato la necessità di un sistema finanziario "sano ed efficiente"
, ma non hanno sostenuto specificamente le petizioni britanniche di tassare i premi dei banchieri.

Durante l’ultimo giorno del summit i leader stanno anche discutendo su quanti soldi dare ai paesi in via di sviluppo nei prossimi tre anni per aiutarli a combattere gli effetti del riscaldamento globale.


Il Consiglio europeo sottolinea l'importanza del rinnovo del contratto economico e sociale tra le istituzioni finanziarie e la societàche servono a garantire che i benefici in tempi di abbondanza arrotondino il bene pubblico e siano protetti dal rischio”, secondo la bozza ottenuta da Reuters.

“Il Consiglio Europeo
incoraggia l’FMI a prendere in considerazione la copertura totale di tutte le opzioni, compresi i tassi di assicurazione, i fondi di salvataggio, il capitale contingente con un tasso complessivo sulle transazioni finanziarie”.

L’FMI sta studiando come limitare il rischio nel sistema finanziario dopo la crisi economica.


Il primo ministro britannico, Gordon Brown, ha chiesto che venisse considerata una tassa per le operazioni finanziarie in un summit del G-20 durante il mese scorso, ma si scontrò con l’opposizione del segretario del Tesoro degli USA, Timothy Geithner.


Poi, ha detto Brown queste procedure possono essere utilizzate per finanziare piani di salvataggio, il futuro, ma Geithner ha detto che Washington si era opposto alle imposte,
come una forma per non stimolare un comportamento bancario rischioso.

La cosiddetta Tobin tax potrebbe scoraggiare chi vuole speculare a breve termine, al fine di limitare il rischio di instabilità dei mercati finanziari.


Senza il sostegno mondiale, gli esperti dicono che sarebbe destinato al fallimento.


Il ministro dell'Economia francese Christine Lagarde, ha affermato la necessità di una stretta collaborazione evidenziando le difficoltà del gruppo dei 16 paesi che utilizzano l'euro.


“Siamo ad un punto decisivo per l’Europa e l’eurozona”, ha detto Lagarde ai giornalisti a Parigi, in risposta ad una domanda sui problemi di debito della Grecia.


“Questo è il punto delle discussioni che abbiamo oggi sul bisogno, la profondità
un migliore coordinamento delle politiche economiche”, ha detto.

La bozza non ha fatto riferimento alle petizioni del Regno Unito e della Francia per tassare i premi bancari
dopo i disordini alla notizia che i banchieri guadagnano ingenti somme di denaro, mentre alcune banche hanno dovuto essere salvate con il denaro dei contribuenti.

Nonostante questo, ha segnalato: “
Le politiche retributive nel settore finanziario, devono promuovere una gestione sana ed efficace dei rischi e dovrebbe contribuire a prevenire future crisi per l'economia”.

I leader speravano, però, di mettersi d’accordo sul finanziamento per i paesi in via di sviluppo per il riscaldamento globale nei tre anni prima a che qualsiasi patto internazionale entri in vigore.


Una fonte dell’UE ha detto che i paesi membri avevano promesso un totale di 1.800 milioni di euro annuali per aiutare i paesi in via di sviluppo durante un periodo di 3 anni, e un altro ha detto che il totale potrebbe essere fino a 2.100 milioni annuali.


Fonte:
http://www.iarnoticias.com/2009/noticias/europa/0571_ue_gravar_op_financ_11dic09.html

Traduzione per Voci Dalla Strada a cura di
Vanesa

13 dicembre 2009

COPENAGHEN E LE 3 APOCALISSI DEL SISTEMA

Scegliere la più conveniente...


Di Manuel Freytas

In tutti i summit sul “cambiamento climatico” come quello di Rio, Johannesburg, o l’attuale di Copenaghen, si parla solo di “impatto ambientale”, di “emissioni
inquinanti” che distruggono il pianeta, senza scavare nelle radici e la causalità del sistema capitalista che li produce. Questa omissione (complice e cosciente) permette di parlare della “vittima” (il pianeta e la maggior parte dell’umanità) senza identificare il “criminale” (i gruppi e le aziende capitaliste che concentrano attività e fortune personali depredando e distruggendo irrazionalmente il pianeta).

Nell’attuale disegno dell’
economia mondiale transnazionale” non sono (come prassi) nè i governi nè i paesi che decidono quanto si produce e per chi si produce su scala mondiale, ma le corporazioni e le banche transnazionali che hanno il controllo sulle tre strutture economiche basiche del sistema capitalista: La struttura della produzione, la struttura della commercializzazione e la struttura finanziaria.

Nel sistema capitalista (livellato come “civiltà unica”) la produzione e la commercializzazione di beni e di servizi (essenziali per la sopravvivenza umana), si trovano nelle mani di corporazioni private che controllano dalle risorse naturali (tutela
ambientale) fino ai sistemi economici produttivi (ambiente sociale) al di sopra della volontà dei governi e dei paesi.

Questo implica, in primo luogo, che
non sono gli Stati ma le aziende capitaliste (i padroni privati degli Stati) che decidono quando, come e dove( e senza nessuna considerazione strategica di impatto ambientale globale) installare una fabbrica o un conglomerato industriale inquinante orientato (prima di tutto) a produrre ricchezza privata al costo della distruzione del pianeta.

Nei “summit” come quello di Rio, Johannesburgo- per citarne alcune dei 14 che già sono stati realizzati- o l’attuale di Copenaghen (COP15), si parla solo di “impatto ambientale”, di “emissioni inquinanti” che distruggono il pianeta, senza approfondire sulle radici e le causalità del sistema che le produce.


Questa omissione (complice e cosciente) permette di parlare della “vittima”(il pianeta e la maggior parte dell’umanità) senza identificare il criminale (gruppi ed aziende capitaliste che concentrano attivi e fortune personali depredando e distruggendo irrazionalmente il pianeta)


I suoi relatori, gli scienziati e funzionari che “allertano” sulla catastrofe ambientale, non lo rapportano alla proprietà privata capitalista, con la ricerca di reddito e di concentrazione di ricchezza in poche mani, con la società del consumo e con
le multinazionali e le banche che controllano le risorse naturali ed i sistemi economici produttivi senza pianificazione ed orientati solo al guadagno privato in tutto il pianeta.

Il sistema capitalista,
come azione e come risultato è irrazionale, non pianificato e (salvo la ricerca di guadagno e di concentrare della ricchezza in poche mani) privo di logica strategica per preservare e proteggere razionalmente al pianeta dalla sua stessa azione depredatrice e distruttiva.

Quando un’azienda (sia locale o transnazionale) inizia un' opera industriale non comincia da uno studio sull’impatto ambientale che produce, ma da uno studio sul costo-beneficio commerciale e una proiezione assicurata di guadagno per i suoi azionisti.


Questo agire irrazionale(individualista e non pianificato) del sistema dominante è matematico ed ha un’azione-reazione emergente sull’economia, sull’umano e sull'ambiente che lo circonda.


L’irrazionalità (la non considerazione di effetti collaterali nocivi e/o distruttivi che possono emergere) trasforma le aziende capitaliste in predatrici dell' ambiente (fiumi, fauna compresi gli animali) per il semplice fatto che non agiscono seguendo interessi sociali generali (preservare il pianeta e le specie), ma la ricerca di interessi particolari (preservare il reddito e la concentrazione della ricchezza privata).


E la giustificazione sociale (creare “fonti di lavoro”) che usano risulta anche irrazionale, dato che
per “dare lavoro” non solo creano povertà in massa per lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, ma distruggono anche l’ambiente e le risorse naturali del pianeta per provvedere alla loro ricchezza e benessere economico per i pochi che integrano l’esclusiva piramide degli utili aziendali in alta scala.

Per quanto riguarda
la portata distruttiva, per effetto dell’irrazionalità, basti citare l’esempio dell’azienda di carta Botnia, in Uruguay: la transnazionale, dando come motivazione il “creare fonti di lavoro” a 300 persone, ha inquinando in 24 ore il Rio Uruguay, che divide l' Uruguay dall’Argentina e il cui corso d’acqua ha un impatto su tutto il sistema acquifero ed ambientale della regione. Riassumendo, i capitalisti di Botnia avvelenano tutta una regione per aumentare le fortune e le entrate degli azionisti privati delle aziende.

Questo spiega chiaramente perché a Copenaghen si parla degli effetti (la vittima) ma non delle cause (il criminale).


Di conseguenza, e a partire da questa distorsione iniziale, quelli che promettono “lotte e obiettivi” per salvare il mondo dalla catastrofe globale, sono gli stessi Stati ed aziende capitaliste che stanno causando (con il loro agire depredatore irrazionale) quello che già si proietta come un’Apocalisse naturale a tasso fisso.


Le tre Apocalissi.




Può il sistema capitalista (criminale) salvare la sua stessa vittima (il pianeta inclusi noi) da una catastrofe annunciata?

Potrebbe, ma prima dovrebbe rinunciare alla sua stessa natura: La produzione orientata solo all’accumulao di ricchezza in poche mani. Cioè, passare dall’economia irrazionale (con scopi privati) all’economia pianificata (con scopi sociali) che permetta una prevenzione ed un controllo planetario dell' ambiente.


Non
sognare: Se il sistema capitalista ferma la sua dinamica di reddito assicurato (più del 70% della produzione è orientata solo al consumo superfluo di chi può pagare), il pianeta scoppierebbe socialmente per la disoccupazione in massa e per il caos alimentare che causerebbe.

E se questo sistema non ferma la sua dinamica, il pianeta (in base alle proiezioni scientifiche) esploderà naturalmente per l' azione del cambiamento climatico.


Il sistema capitalista è fondato sulla matematica (somma e sottrazione) ed un assioma originale per costruire il plusvalore:
Comprare a basso prezzo e vendere caro. Anche se per questo deve condannare alla fame e alla povertà una massa maggioritaria (e crescente) di esseri umani e distruggere il pianeta che li contiene.

E le Tre Apocalissi
che stabiliscono i paesi emergenti e in declino (ma controllato) del sistema dominante arrivano anche per accumulazione matematica.

L’Apocalisse sociale arriva per l’accumulo matematico di
affamati, disoccupati e poveri su scala mondiale.
L’Apocalisse naturale arriva per l’accumulo matematico della distruzione dell' ambiente su scala planetaria.
L’Apocalisse nucleare arriva per accumulazione matematica dei conflitti militari (intercapitalisti) per la sopravvivenza delle potenze all'interno del sistema.

In questo scenario, l’Apocalisse non deve interpretarsi come una profezia o una teoria cospiratrice, ma come uno svolgimento logico di un processo di contraddizioni, di accumulazione e di un salto qualitativo determinato dalle stesse leggi che reggono l’azione storica del sistema capitalista.


Gli scienziati e funzionari che sono presenti al summit di Copenaghen, sono lì solo per l’accumulazione matematica dei discorsi (vuoti di concreto) che la stampa del sistema diffonde come se fossero parte di un campionato mondiale sportivo.


E il pianeta (con noi dentro ed in mano alla demenza del sistema capitalista) accumula solo Apocalissi matematiche implicite nella loro natura depredatrice e criminale.


Si tratta di riconvertire i piani biblici della Profezia: Dove dice “Dio” bisogna dire “Sistema” e dove dice “Diavolo” bisogna dire “Capitalismo”. Da ogni strada si arriva all’Apocalisse.


Lo prenda, se vuole, come uno scetticismo razionale, ma il risultato (come il sistema capitalista) è matematico: Resta solo da scegliere il viaggio che più le conviene.


Fonte:
http://www.iarnoticias.com/2009/secciones/contrainformacion/0090_apocalipsis_capitalista_08dic09.html

Tradotto e segnalato per Voci Dalla Strada da
VANESA

12 dicembre 2009

ARMI NUCLEARI IN EUROPA

Il legame transatlantico segreto della NATO

di Rick Rozoff


“Vent’anni dopo la caduta del Muro di Berlino, piloti olandese, belga, italiani e tedeschi continuano ad essere pronti per partecipare ad una guerra nucleare”


“Le forze nucleari con base in Europa e impegnate con la NATO
forniscono un collegamento essenziale politico e militare tra i membri europei e americani dell'Alleanza. L' Alleanza quindi manterrà forze nucleari adeguate in Europa”.

“Anche se tecnicamente sono proprietà degli USA, le bombe nucleari conservate nelle basi della NATO sono destinate ad essere lanciate da aerei del paese ospitante”.


“Il dipartimento della Difesa, in coordinazione con il Dipartimento di Stato, dovrebbe coinvolgere gli alleati della NATO nella rivalutazione e conferma del ruolo delle armi nucleari nella strategia politica dell’Alleanza per il futuro”.

11 dicembre 2009

VENTI DI GUERRA SUL CONTINENTE


di Andrea Necciai
«NuestrAmérica», dicembre 2009.


La presenza militare Usa in America Latina rilancia la corsa agli armamenti e il rischio di nuovi conflitti.


In America Latina numerosi e importanti processi politici stanno determinando un graduale calo del consenso neoliberale e pro-statunitense. Dal socialismo bolivariano di Chavez in Venezuela al pragmatismo del Brasile di Lula, sono sempre di più i governi dell’area che cercano uno spazio comune di integrazione e una maggiore autonomia, anche grazie al recupero della piena sovranità sulle risorse naturali ed energetiche. La via delle nazionalizzazioni seguita da alcuni governi, la diminuita influenza del Fondo Monetario Internazionale sulle economie degli Stati, il rifiuto dell’ALCA (Area di Libero Commercio delle Americhe) stanno a testimoniare come gli Stati Uniti, in appena dieci anni, abbiano perso buona parte della loro leadership sul Nuovo Continente. E per questo - c’è da temere - potrebbero affidarsi a strategie più “efficaci”.


Anche dopo l’arrivo di Barack Obama alla Casa Bianca, la politica estera degli Usa nei confronti dell’America Latina ha continuato a rivelarsi ottusa e aggressiva, senza alcuna differenza sostanziale, se non nella forma, rispetto alle tattiche guerrafondaie dell’era di G.W. Bush. Secondo il politologo statunitense Noam Chomsky, “l’unica differenza tra le amministrazioni passate e quella attuale, è lo stile retorico. Obama è politicamente corretto,
si rivolge agli altri governanti come a dei leaders, anche se nei fatti continua a trattarli come dei vassalli degli Stati Uniti”.

Il punto più criticabile della nuova “dottrina Obama” è lo sforzo per
accelerare una nuova militarizzazione nell’area latinoamericana, partendo dal rafforzamento delle basi militari in Colombia (con il solito pretesto della lotta al narcotraffico) e dal ripristino della IV Flotta, le cui unità da guerra dall’anno scorso hanno ripreso ad incrociare nelle acque dei Caraibi e dell’Atlantico dopo quasi 60 anni di inattività.

La concessione di 7 basi militari colombiane all’esercito degli Stati Uniti ha trasformato il presidente Uribe, il più fedele alleato della zona, in un luogotenente imperiale. Non si deve dimenticare che questo Paese, nell’ambito del Plan Colombia, ha già accumulato in soli dieci anni aiuti militari per più di 6 miliardi di dollari. Ora, in virtù dei nuovi accordi con la Colombia, il South Command (che comprende tutte le forze statunitensi e congiunte nell’area latinoamericana) può contare su 20 basi militari avanzate; inoltre i suoi soldati godono della tutela di una giurisdizione speciale che non li rende responsabili nei casi di lesa umanità o di abusi ai danni delle popolazione civili.
Come era naturale aspettarsi, alla rinnovata ingerenza militarista degli Usa ha fatto seguito un coro di vibrate proteste da parte di Venezuela, Ecuador, Bolivia, Paraguay, Nicaragua, Argentina, Uruguay e Brasile. Il presidente Lula ha incolpato Uribe di aver trasformato le Ande in una polveriera pronta a scoppiare da un momento all’altro; Correa (Ecuador) ha invece affermato – senza mezzi termini – che il presidente colombiano “ha le mani sporche di sangue” (alludendo all’incursione contro l’accampamento delle FARC, compiuta dalle forze speciali colombiane a Sucumbios, in territorio ecuadoriano, lo scorso anno). Gli altri mandatari si sono invece limitati a far osservare che l’installazione di basi straniere nei loro territori equivale ad una grave violazione della sovranità nazionale.

Di fronte alla decisione nordamericana di rafforzare la presenza militare nella regione andina, un po’ tutti i governi della zona hanno reagito aumentando, a loro volta, le spese in armamenti. Negli ultimi 5 anni - oltre alla già citata Colombia - Brasile, Ecuador, Cile e Venezuela sono stati i maggiori compratori di armi e sistemi di difesa. Il Brasile, in particolare, è la nazione che da sola investe in armamenti circa il 50% della spesa complessiva di tutta l’America Latina. Ma se si analizza questo dato in rapporto al PIL, si scopre che il vero primato spetta ad altri. Sono infatti Colombia e Cile a destinare alle spese militari tra il 3 e il 4% del loro Prodotto Interno Lordo (secondi solo agli Usa, con oltre il 4%); mentre il Venezuela chavista, che colombiani e nordamericani considerano un pericolo per la pace e la stabilità della regione, stanzia “solo” l’1,3% del PIL per la difesa del suo territorio.*

Nel corso degli ultimi mesi la tensione tra Colombia (da una parte) e Venezuela ed Ecuador (dall’altra) è salita alle stelle. Esiste il fondato sospetto che funzionari statunitensi dei servizi di sicurezza cospirino per indebolire il governo di Caracas mediante espedienti diplomatici e militari, come l’infiltrazione di agenti segreti e di unità paramilitari nelle zone di frontiera.

Il mese scorso le autorità venezuelane hanno annunciato la cattura di alcuni agenti del DAS (Dipartimento Amministrativo di Sicurezza, il servizio segreto colombiano), inviati nel Paese limitrofo ad effettuare operazioni di ricognizione e di spionaggio sulle Forze Armate Nazionali Bolivariane del Venezuela. Da parte colombiana (e statunitense), l’intento di queste operazioni segrete potrebbe essere quello di saggiare le difese di confine per prepararsi - all’occorrenza - a scatenare un’offensiva militare contro il Venezuela e i suoi alleati dell’ALBA, la pericolosa ”Alleanza Bolivariana per le Americhe”.

*Fonte: Istituto di Ricerca Internazionale per la Pace di Stoccolma (dati 2007/2008).

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10 dicembre 2009

GRECIA A FERRO E FUOCO


Di fronte a 50 dipartimenti universitari occupati la soluzione che il nuovo governo socialista riesce a dare è “tolleranza zero” per i manifestanti e l'annuncio di 13000 poliziotti a presidiare Atene durante le commemorazioni di Alexandros Grigoropoulos.

Per comprendere meglio questo fine settimana ellenico bisogna ricordare che
la crisi economica si è manifestata chiaramente ai greci. La disoccupazione non cessa a diminuire e trovare un part-time in un ristorante è tanto difficile quanto ottenere un posto fisso. Tra quella ufficiale e quella nascosta, la disoccupazione colpisce quasi una persona su cinque. Dati allarmanti a cui vanno aggiunti i problemi macroeconomici legati alla difficile situazione delle banche e quelli dovuti al titanico debito pubblico. Una situazione talmente chiara e tanto grave che non si può nascondere né all'opinione pubblica né, tanto meno, ai giovani e agli studenti; uno scenario tanto problematico per cui Eppure la storia si ripete con precisione visto che la classe politica non potrebbe più nascondersi dietro le colonne del parlamento.il potere politico sceglie la via più semplice e più ceca: la via della repressione.

Il venerdì che ha preceduto le commemorazioni il Ministro per la Pubblica Sicurezza Chrisochoïdis ha affermato che “Atene non sarà consegnata alla violenza” e ha aggiunto “non tollereremo atti di terrore nella città”. Ma è passato troppo poco tempo per non ricordare cosa è successo in quel vicolo pedonale poco sopra la piazza di Exarchia. Il terrore è quello in cui si sveglia ogni giorno la generazione di Alexandros perchè alla disoccupazione e allo smantellamento dei beni comuni si aggiunge un altro pugno nello stomaco da sopportare. Nel tempo che scorrerà da un anniversario all'altro, la generazione di Alexandros dovrà trovare la forza per non dimenticare l'uccisione brutale di un proprio coetaneo. Un adolescente che a volto scoperto gridava il proprio dissenso. Tra sabato e domenica, ad un anno di distanza da quella tragica sera, sono scese in piazza migliaia di persone in tutta la Grecia: Lamia, Volos, Arta, Giannina, Salonicco, Preveza, Argo, Sparta, Karditsa, Kallithea, Patrasso, Xanthi, Corfù, Irakleio, Larisa, Mitilini e Atene sono state attraversate da cortei rabbiosi.

E' con la sua memoria e con le ombre a mezzogiorno che i giovani non smettono di lottare e ricordare. Ma nel frattempo la repressione non si ferma e in riferimento alla giornata di domenica il partito Syriza ha parlato di violenza inaudita della polizia, mentre il Ministro Chrisochoïdis si è complimentato in serata per le operazioni delle forze dell'ordine: 41 arresti a Keratsini, quartiere a Nord-Ovest del Pireo, 33 arresti per gli episodi di domenica mattina ad Omonia, nel centro di Atene, ed 8 arresti nell'irruzione della polizia dentro l'Università Aristotele di Salonicco grazie all'autorizzazione del rettore.Intanto ad Exarchia e nei dintorni del Politecnico continuano i lanci di molotov e i fronteggamenti tra polizia e manifestanti. La lotta continua, l'eterno ritorna.


Fonte: http://www.reportonline.it/

COMMERCIO DEL CARBONIO: L' ACQUISTO DEL DIRITTO DI INQUINARE


di Carmelo Ruiz Marrero


Inquinare senza preoccupazioni. Contribuire al riscaldamento globale e al “disastro che il cinema anticipa” senza che l' immagine corporativa si veda colpita. Già ci sono aziende che vi vendono grandi quantità di carbonio, equivalenti agli inquinanti che disperdono nell’atmosfera.


IL RISCALDAMENTO GLOBALE ha dato luogo ad un nuovo tipo di commercio: il commercio del carbonio. Questa nuova attività consiste nell’acquisto e nella vendita di “servizi ambientali”. Tali servizi, che includono la rimozione dei gas che causano l’effetto serra dell’atmosfera, sono identificati ed acquistati da aziende di eco- consulenza e dopo venduti ad individui o corporazioni per “compensare” le loro emissioni inquinanti. Alcune ONG e aziende “ecologiche” favoriscono il commercio del carbonio e lo vedono come la soluzione nella quale tutti vincono, che concilia la tutela dell’ambiente
con l'imperativo del profitto capitalista. Ma ci sono ambientalisti e organizzazioni di base che sostengono che questo commercio non è una soluzione al riscaldamento globale dato che non prestano attenzione alle cause del problema.

Funziona in questo modo: un' azienda di eco-consulenza fa un’eco- assistenza ad un cliente e arriva ad un calcolo presumibilmente esatto di quanto carbonio
rilascia nell'atmosfera con le sue attività. Il carbonio è il denominatore comune di tutti i gas inquinanti che causano il riscaldamento globale. L' azienda cerca in tutto il mondo servizi ambientali che possano compensare le emissioni dei loro clienti. Questi servizi sono di solito boschi e progetti di semina di alberi e sono conosciuti come serbatoi di carbonio (gli alberi rimuovono carbonio dall’atmosfera e lo fissano “sequestrandolo” nel loro legno).

Usando una varietà di metodologie, l’agente dei servizi ambientali arriva ad un calcolo di quanto carbonio "sequestra" un somministratore particolare, gli assegna un valore monetario e lo vende a qualcuno dei suoi clienti. Il cliente allora può sottrarre dal suo conto la quantità di carbonio "sequestrata" dal somministratore che ha comprato.
Quando un cliente possiede sufficienti somministratori per compensare tutte le emissioni si può vantare di non inquinare. Il commercio del carbonio ha l'approvazione dal Gruppo Intergovernativo degli Esperti sul Cambio Climatico (IPCC), prestigioso corpo scientifico che consiglia la Convenzione sul Cambiamento Climatico ed è anche autorizzato dal Meccanismo dello Sviluppo Pulito (MDL) del Protocollo di Kyoto, accordo internazionale per affrontare la minaccia del riscaldamento globale. Contrario a quanto molti ecologisti credono, il Protocollo non contempla realmente le soluzioni sostanziali nelle emissioni di gas inquinanti. Impegna i paesi industrializzati a riduzioni di solo un 5,2 % sotto i livelli di quell’anno. Tuttavia, l'IPCC ha avvertito che per evitare una catastrofe globale queste riduzioni dovrebbero essere del 60% rispetto ai livelli del 1990. IL MDL è uno dei tre meccanismi “flessibili” del mercato nel Protocollo. Gli altri due sono il commercio delle emissioni, nel quale i paesi industrializzati commerciano tra di loro permessi per inquinare, e l’Implementazione Congiunta, nella quale i paesi industrializzati finanziano progetti di mitigazione del cambiamento climatico nell’antico blocco ex-sovietico.

I partecipanti al commercio di carbonio includono:
  • Imprese che forniscono consulenza e intermediazione dei serbatoi di carbonio, come EcoSecurities, NatSource, Co2.com e Climate Change Capital.
  • Società dedicate a "validare" e "verificare" la quantità di carbonio fissato o sequestrato da parte dei "serbatoi", come Det Norske Veritas e Societe Generale de Surveillance, entrambe europee.
  • Organismi delle Nazioni Unite, come il Programma per lo Sviluppo (UNDP) e il Programma Ambientale (UNEP), che aiuta le corporazioni ad indagare ed avere nuovi somministratori.
  • Organizzazioni ambientaliste, come la statunitense World Resources Institute e l’ Environmental Defense
  • Istituti bancari multilaterali come la Banca Mondiale, che ha stabilito il Fondo Prototipo di Carbonio.
  • Climate Care e Future Forets, entrambe in Inghilterra, sono enti privati che hanno avuto la principale voce in capitolo a favore del commercio del carbonio attraverso il dispiegamento di grandi campagne pubblicitarie. Climate Care è un gruppo no-profit che vende serbatoi di carbonio ad individui e imprese ed usa il denaro per investire in progetti ecologici come la protezione della vita silvestre in Uganda, efficienza energetica nell’isola Mauritius nell’ oceano indiano, e microaziende in Bulgaria. I clienti di Climate Care sono per la maggior parte agenzie di viaggi ed ecoturismo, come l’ Ecotours, Whale Watch Azores e Nature Trek.
  • Future Forets, azienda con fini pecuniari, dice nella sua pagina web : "Noi ti aiutiamo a vedere Quanto CO2 (anidride carbonica) viene prodotto dalle attività che realizza, e suggeriamo i modi in cui può ridurre quelle emissioni. Quello che non potrà ridurre, noi lo possiamo neutralizzare (o compensare), piantando alberi che riassorbano CO2 o investendo in progetti che riducano le emissioni di CO2, come quelli che usano risorse di energia rinnovabile”. I clienti di Future Forest includono celebrità come i Pink Floyd, Simple Red, Kitaro, il cineasta Ridley Scott, e corporazioni come la Fiat, Mazda, Volvo, la catena di hotel Marriott, BP, Price Waterhouse Coopers, Warner Brothers e Harper Collins.
Alcuni ecologisti credono che il commercio del carbonio ed il concetto di servizi ambientali non fermano veramente il riscaldamento globale. A maggio del 2004 vari gruppi hanno pubblicato un comunicato contro Climate Care e Future Forests, protestando contro quello che considerano una “propaganda ingannevole” da parte di queste aziende.

Heidi Bachram, del Carbon Trade Watch, ha dichiarato: “Ci preoccupa che queste compagnie stiano indirettamente ostacolando la vera soluzione al riscaldamento globale,
che è quello di ridurre e poi smettere di bruciare combustibili fossili... L’idea che la gente possa bruciare combustibili fossili e piantare alberi per pulire il diossido di carbonio risultante è semplicemente sbagliata. Questa falsa “soluzione” continuerà solo a mantenere l’estrazione di petrolio e del carbonio invece di passare ad energie pulite”.

"Affermare che una tonnellata di carbonio immagazzinato negli alberi è la stessa di una tonnellata di carbonio fossile ignora i concetti più elementari del ciclo naturale del carbonio", ha detto Jutta Kill, che è a capo Sinkswatch.
“C’è una grande controversia scientifica riguardo a quanto diossido di carbonio può emettere nell’aria una piantagione di alberi e per quanto tempo. C’è una differenza tra il piantare alberi, di cui beneficia il clima, e piantare alberi come parte di un programma che sancisce che si continui a bruciare combustibili fossili, di cui non beneficia il clima”, ha sostenuto Mandy Haggith, di Worldforests.

“La vera soluzione è la conservazione dell’energia, la riduzione del consumo, un uso delle risorse più equitativo, e la distribuzione di fonti energetiche a basso impatto, pulite e rinnovabili”, ha dichiarato il
Movimento Mondiale per i Boschi Tropicali, che è molto critico sul MDL e sull’uso della fornitura di carbonio. “Anche se è quasi un’ovvietà dirlo, la volontà politica dei governi sarà necessaria. Questa è scarsa, e quando esiste, si deve scontrare con interessi molto potenti ed implacabili”.

Fonte:
http://www.ecoportal.net/Contenido/Temas_Especiales/Cambio_Climatico/Comercio_de_Carbono._La_Compra_del_Derecho_a_Contaminar

Traduzione per Voci Dalla Strada a cura di
VANESA

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9 dicembre 2009

IL NUOVO DIS-ORDINE GLOBALE


di Germàn Gorraiz Lopez


Il fenomeno della globalizzazione economica ha fatto si che tutti gli elementi razionali dell’economia siano interconnessi a causa della consolidazione degli oligopoli, la convergenza tecnologica e i taciti accordi corporativi,
così l'emergere della crisi economica nel villaggio globale ha portato alla comparsa di nuove sfide per governi ed istituzioni impantanati nello sconcerto e nell’incredulità, schizzi di un caos che finirà di disegnarsi all’orizzonte nel 2020 con l’apparizione del Nuovo Ordine Mondiale.

Gli Stati Uniti hanno iniziato il decennio sotto il segno dell' “Obamamania”,
fenomeno sociologico che farà in modo che una persona senza esperienza nè ideali politici conosciuti diventi in un’icona delle masse, soffiando venti di cambiamento per restituire l’illusione e la speranza ad una società americana affondata nella recessione, con laceranti irregolarità sociali ed una significativa erosione della sua immagine nel mondo dopo i sanguinanti episodi di vulnerabilità dei Diritti Umani in Iraq e a Guantanamo.

La sua principale sfida sarà
l'aggravarsi della crisi economica, con una severa contrazione del consumo interno (uno dei principali motori dell’economia USA che rappresenta più della metà del PIL del paese) ed una brutale ristrutturazione dell’industria automobilistica (con tassi di disoccupazione a livelli sconosciuti dalla Seconda Guerra Mondiale), dovendo sperare al 2011 per ottenere una crescita del PIL positivo e dare per finita la crisi economica, non possono essre escluse riedizioni delle rivolte razziali dell’estate del 1963; il ritorno a scenari superati della Guerra Fredda con la Russia (si potrà rivivere la Crisi dei Missili di Cuba, 1962) e la gestazione di una trama endogena che potrebbe finire con la riedizione dell' omicidio di Kennedy (Obama, 1963). Se succedesse, Joe Biden si vedrà obbligato ad assumere la Presidenza del paese e far cristallizzare le iniziative inconcluse del suo predecessore in un mandato presidenziale posteriore, in particolare la Legge sull’ Immigrazione, Assicurazione sulla salute per anziani e poveri, Case sotto costo e Piano di Rinnovamento urbano (condannando dal modo in cui l’ostracismo politico di un Partito Repubblicano è immerso in lotte intestine e colpito dalla nefasta amministrazione dei suoi antecessori) e l’obiettivo del suo programma “Guerra contro la povertà” sarà quella di costruire una grande nazione dove l’uguaglianza di opportunità ed un’alta qualità della vita siano patrimonio di tutti, anche se il suo mandato resterà probabilmente segnato dalla Guerra in Afghanistan.

Allora potremo assistere alla perdita progressiva della leadership mondiale da parte degli USA, all’unirsi dell’enorme consumo energetico con lo strangolamento della produzione mondiale di petrolio, la rottura del sistema paritario delle divise internazionali e la libera fluttuazione delle stesse con la logica devalutazione del dollaro, le conseguenti difficoltà per finanziare il suo esorbitante debito estero ed la
grave stagnazione economica sarà accompagnata da un approfondimento della frattura sociale, provocando frequenti casi di violenza razziale che unito alle successive calamità naturali e catastrofi ambientali, concorreranno all’annunciata perdita del ruolo egemonico degli Stati Uniti dopo la sconfitta militare della guerra Iraq-Afghanistan, ritornando a scenari già dimenticati della politica estera isolazionista e di protezionismo economico all'orizzonte nel 2018. Instaurazione del culto della personalità e del dogmatismo ufficiali propri dell’ epoca stalinista in Russia: Mettendo a tacere le voci e mass media dissidenti attraverso la paura scenica, l’asfissia economica, l'apertura di espedienti arbitrari per reati fiscali con procedimenti rapidi, Putin avrebbe ottenuto la sparizione dell’opposizione propria dei paesi democratici e l’instaurazione di un nuovo governo: dottrina politica che unisce le idee espansionistiche del nazionalismo russo, le benedizioni della potente della Chiesa Ortodossa, gli impagabili servizi del FSB (successore del KGB), l’esuberante liquidità monetaria raggiunta dalle aziende energetiche (GAZPROM) e alcuni degli ideali simboleggianti kruschoviani in un potere personale autocratico mettendo insieme nella sua persona il Capo dello Stato e la presidenza del partito (obiettivo che dopo diverse epurazioni riuscì a raggiungere nel 1958 concentrando nella sua persona la guida dello Stato e del partito) dopo la defestrazione da parte di Putin della primitiva classe dominante proveniente dell’epoca di Yelstin (oligarca), corrotta camerata mafiosa equivalente ad un ministato dentro dello Stato Russo (il 36 % delle grandi fortune sono concentrate nelle sue mani, l’equivalente al 25 % del PIL) e la sua sostituzione da parte di individui di provata fedeltà alla sua persona, senza capricci politici e il miraggio di facili guadagni solo unitamente alla riduzione del potere dei Governatori Regionali.

Ma, le riforme per alleggerire la Burocrazia ed i suoi fallimenti in materia economica (i cattivi risultati agricoli obbligheranno all’importazione in massa di cereali che causerebbe una sboccata inflazione che ruoterebbe intorno ai due digiti), potrebbero renderlo impopolare nel partito e nell’ Amministrazione e potrebbero debilitare l’allora potere assoluto di Putin e di permettere che si colasse una cospirazione anticipata da oligarchi defenestrati da Putin e costretti a esiliarsi all’estero per allontanarlo dal potere, essendo accusato degli stessi delitti con i quali aveva decapitato alla camerata oligarca: abuso di potere, corruzione e delitti fiscali, essendo sostituito da Mendeiev.


Nel caso di una fine politica, assisteremo alla ripartizione della Troika per evitare l’accumulazione di un potere autocratico ed il ritorno della Dottrina Brézhnev (chiamata anche dottrina della sovranità limitata), dottrina che ha stabilito il diritto della Russa ad intervenire (anche militarmente) in questioni interne dei paesi sotto la sua area d’influenza e che coniugando abilmente l’aiuto di minoranze etniche russe oppresse, il ricatto energetico, la minaccia nucleare come deterrente, l’intervento militare chirurgico, il destbilizzare governi vicini “non grati” e l’affogamento dell’opposizione politica interna, cercherà di mettere sotto la sua orbita la maggioranza dei paesi separati dall’estinta URSS e concepire la Nuova Grande Russia per il 2020, frutto dell’atavismo della Grande Russia di Pietro il Grande.


Sostituzione dell’ attuale Unione Europea con una costellazione di paesi satelliti nell’orbita dell’alleanza franco-tedesca (Eurozona)
che sarebbero diretti da leader di forte carisma e personalità che deriverebbero in pratica da poteri presidenziali con chiari colori autocratici. Questo periodo sarà segnato dalla Ratifica della Politica del Buona Vicinato con l’ UE, mediante la firma di accordi preferenziali con la Francia e la Germania per assicurarsi il rifornimento di gas e petrolio russo e aumentare gli scambi commerciali, a causa della dipendenza energetica europea (il 21% delle importazioni del petrolio e il 40% del gas provengono dalla Russia) e dal fatto che il 40 % del commercio estero della Russia si realizza nella UE, di fronte ad uno scarso 5% con gli USA, per cui non sarebbe da scartare una tardiva riaffermazione della sovranità francese che si plasmerebbe nel ritiro dell’esercito francese dall' Afghanistan prima delle Presidenziali del 2012 e nel successivo ritiro delle strutture militari della NATO.

Il resto dei paesi non integrati in suddetta orbita
(Paesi dell’ Europa Emergente) si vedranno costretti a svalutare la loro moneta, a soffrire migrazioni interne e a ritornare ad economie autarchiche, dovendo procedere alla riapertura di miniere di carbone abbandonate e obsolete centrali nucleari per evitare di dipendere energeticamente da una Russia che unendo il ricatto energetico fagociterà la maggior parte dei paesi separati dall’antica URSS e in Turchia potrebbe ripetersi il colpo di Stato del 1960 che metterebbe fine al mandato democratico dell’ AKP (partito di tendenza islamica conservatrice ma alla maniera dei partiti democristiani europei) a causa dell’alta inflazione, la disoccupazione dilagante e un debito esagerato e di fronte a questa situazione e senza l’ombrello protettivo dell’ UE (respingendo la loro adesione come membro a pieno del diritto comunitario), è prevedibile che l’esercito sia protagonista dell’ennesimo colpo di Stato che metterebbe fine al mandato del Primo Ministro Erdogan, successivamente emergerà un sistema politico fratturato che produrrà una serie di coalizioni di governi instabili nel parlamento turco.

Istituzione della “Pax obamaniana”
nel travagliato Medio Oriente: Sia Israele che l' ANP chiederanno ad Obama di guidare il processo di negoziazione che entrambe le parti hanno iniziato nel 2007 con l’obiettivo di stabilire le basi per la creazione del futuro Stato Palestinese (previo riconoscimento dello Stato d’ Israele da parte dei palestinesi) e che potrebbe concludersi con un Trattato della Pace tra il nuovo Governo della Coalizione israeliana ed il nuovo Presidente dell’ Autorità Palestinese (che sarebbe il rappresentante del nuovo Governo della Coalizione che nascerebbe dopo l’inevitabile avvicinamento di Hamas ad Al Fatah)

Questo accordo conterebbe sulle benedizioni politiche di Egitto, Russia, Siria e Iran e come collaboratori economici necessari nella ricostruzione di Gaza dell'UE, Stati Uniti, Giappone, Arabia Saudita e Emirati Arabi e sarebbe globale e vincolante per tutti i paesi dell’area geopolitica del Medio Oriente, riuscendo ad instaurare un nuovo “status quo” nella zona (Pax Obamaniana”)
dopo aver risolto la disputa nucleare con l'Iran e il ripristino delle relazioni diplomatiche tra i due paesi, operazione che avrà l'opposizione iniziale dell'influente lobby ebraica e la sua successiva accettazione di Israele ricevendo come contropartita le benedizioni degli USA per il completamento del muro in Cisgiordania (che includerebbe all’incirca il 10% del territorio della Cisgiordania, inclusa Gerusalemme Est) e l’aumento degli aiuti economici (stabiliti durante l’amministrazione Bush in circa 3.000 milioni di dollari, importo che rappresenta quasi il 2% del PIL di Israele).

La pace sarà instabile
e la sua durata dipenderà dagli accordi d’ Israele con la Siria per la restituzione dell' Altopiano del Golan e del futuro atteggiamento di Hisbolad e Hamas, dato che se le due formazioni persistono nei loro attacchi al territorio israeliano violando la sacrosanta “sicurezza” che la popolazione ebrea esige, potrebbe incrementarsi la tensione nella zona e rieditarsi la “Guerra dei Sei giorni” e nel caso di un confronto bellico ed una nuova vittoria militare israeliana, assisteremo all’annessione della Striscia di Gaza, del Sud del Libano e del Sinai, Israele resterà barricato in uno scudo protettivo completato con la realizzazione del Muro della Cisgiordania (che includerebbe circa il 10 % del territorio della Cisgiordania, inclusa Gerusalemme Est) ed il controllo dell' Altopiano del Golan, contando sugli USA e la loro forza nucleare dissuadente come unici alleati.

Il graduale ritiro dell’esercito in Iraq dovrà aspettare il 2011
per il completamento e l'avvio di un successivo e complesso processo di divisione delle aree d’influenza tra la Turchia, Siria, Arabia Saudita e Iran fino a condurre ad un Governo della Coalizione integrato da rappresentanti curdi, sunniti e sciiti che porterà finalmente alla nascita di un movimento pan-islamista radicale che userà l’arma del petrolio per strangolare le economie occidentali.

La decisione di Obama di aumentare sostanzialmente il numero di soldati in Afghanistan
prevede l'escalation delle azioni belliche a partire dal 2011, perchè secondo l’ultimo rapporto del Consiglio Internazionale della Sicurezza e dello Sviluppo (ICOS), l’insorgenza talebana avrebbe conseguito una presenza permanente nel 72 % del territorio dell’ Afghanistan (che rappresenta un aumento del 18 % rispetto a novembre del 2007) e si avvicinerebbe alla capitale Kabul, avendo stabilito una specie di governo “di facto” in alcune città e popoli afgani.

La CIA avrebbe documenti che confermerebbero l’inizio dell’aiuto militare russo (consiglieri militari, logistica e informazione dai satelliti-spia) alle milizie talebane dell’ Afghanistan nella loro lotta contro le forze della NATO lì presenti,
con l'obiettivo di prolungare il conflitto e alleata con la mancanza di liquidità monetaria degli alleati europei, riuscire ad ottenere il graduale ritiro dall’ Afghanistan entro il 2012 lasciando soli gli USA, che implicherebbe crescenti difficoltà per ottenere l’approvazione di bilancio nel Congresso, plasmate nella petizione dell’ Amministrazione Obama in 83.400 milioni di dollari addizionali per finanziare le operazioni militari in Iraq ed in Afghanistan nel 2009 (si calcola che il costo delle due guerre sarebbe di circa 8000 milioni di dollari al mese)

Allo stesso modo, il presidente dell’ Afghanistan, Hamid Karzai sarà accusato dagli USA di essere troppo mite nella lotta contro i talebani, esistonoo i documenti della CIA che potrebbero includerlo nel progetto della creazione di un Governo della Coalizione afgano tra i
Pashtun ed i Talebani e che esigerebbe il ritiro dell’esercito degli USA e la successiva caduta ed assassinio di Karzai, con il conseguente aumento dell' appoggio militare per evitare una pericolosa “vietnamizzazione” del conflitto, Obama potrebbe firmare nel 2011 il ritiro progressivo dell’esercito dall’ Afghanistan, decisione che non sarà condivisa dal suo vicepresidente Biden e sotto il cui mandato si potrebbe produrre l' intensificazione e incistamento di questo conflitto bellico.

Aumento della tensione tra India e Pakistan:
E’ prevedibile che l’aumento del conflitto militare in Afghanistan da parte degli USA abbia ripercussioni nella vicina Cachemira, motivo per il quale dopo crudeli attentati terroristici contro Bombay, la tensione tra l’ India e il Pakistan potrebbe aumentare e dare luogo ad un nuovo scontro armato a Cachemira (con il rischio aggiunto del possibile uso di missili con carica nucleare).

Solitudine del regime di Pechino nei Fori Internazionali
, a causa del raffreddamento delle relazioni con la Russia per l’appoggio di Pechino al fossilizzato regime di Kim-Jong–II e di controversie con gli Stati Uniti connessi con l'applicazione di misure protezionistiche e l'aumento della tensione con Taiwan, unito con la perdita di peso economico della Cina nel contesto internazionale, e con il restringimento dei consumi a livello mondiale e l'introduzione da parte delle grandi potenze occidentali sistemi economici protezionistici.

Allo stesso modo, la Desertificazione di ampie zone industriali causerà esodi in massa della popolazione urbana alle zone rurali, obbligando gran parte della popolazione a vivere al di sotto della soglia della povertà e
sono prevedibili anche episodi di epidemie e carestie, un notevole aumento della mancanza di stabilità sociale e una severa retrocessione delle classi medie e delle incipienti libertà democratiche.

Recupero degli USA di un “doppia via” kennedyana nel loro rapporto con i paesi
dell'America Latina: gli USA si vedranno obbligati a prestare particolare attenzione al tradizionale “cortile” per cercare di frenare l’espansione dell’influenza russa in America Latina dopo la firma di Mendeiev del Patto per l’ Amicizia e la Cooperazione con Cuba (e per estensione con i Governi populista-progressisti in America Latina), approfittando della miopia politica di una Amministrazione Bush ossessionata dall’ Asse del Male.

Con l'impossibilità di raggiungere un rapido accordo su questioni come il boicottaggio commerciale nei confronti di Cuba,
potremmo assistere alla firma di un Trattato di collaborazione militare di Cuba e del Venezuela con la Russia che includerebbe l’installazione di basi militari in territorio cubano (non essendo da scartare la presenza di aerei strategici con armi nucleari, i temibili TU-160 conosciuti in Occidenti come BlackJak), completato mediante l'installazione di una megabase navale e della logistica in Venezuela.

Allo stesso modo, gli Stati Uniti procederebbero alla creazione di una Alleanza Panamericana (con leader il Messico, Brasile, Cile e Argentina) che unirebbe l’aiuto economico e la firma di accordi preferenziali con questi paesi amici con il boicottaggio commerciale e l’isolamento nei Fori Internazionali dei regimi progressisti- populisti (Cuba, Venezuela, Nicaragua, Ecuador, Bolivia) per riuscire a destabilizzare i loro regimi.


Dall’altra parte, l’acutizzazione della crisi economica darà luogo a frequenti esplosioni di conflitti sociali e dell’espansione di ideologie di sinistra in tutta l' America Latina, essendo prevedibile una chiara regressione delle libertà democratiche ed un possibile ritorno a scenari già superati delle dittature militari e guerriglie rivoluzionarie (Peru, Bolivia, Nicaragua e Messico) e in Panama, non è da scartare una riaffermazione del sentimento di sovranità panamense sul canale e quindi potremmo assistere alla riedizione della Crisi di Panama del 1964 con l’invio dell' esercito statunitense che assicurerebbero il controllo del canale, recuperando la sovranità dello stesso trapassata a Panama nel 1979.


In Africa, si assisterà all’ Apparizione
di un movimento pan-islamista che comprenderà tutti i paesi arabi della facciata mediterranea e che userà l’arma del petrolio e del gas naturale per strangolare le economie occidentali e finanziare le molestie terroriste all’infedele, ottenendo l’annessione di obsolete piazze coloniali (Ceuta e Melilla) e la concatenazione di calamità e carestie nell’ Africa Sud-sahariana, dato che l’inevitabile contrazione della domanda di materie prime a causa della severa crisi economica globale porterà allo strozzamento delle sue esportazioni e il disprezzo generalizzato della sua moneta, che insieme con l'avanzare inesorabile di deserti e insolite calamità naturali causerà esodo massiccio della popolazione, in alternanza con ripetute carestie e virulente epidemie che investiranno gran parte dell'Africa nera.

Nel frattempo, approfittando dei conflitti endemici tribali e degli abituali colpi di Stato,
gli USA,UE, Russia e Cina, continueranno con la politica di annichilimento delle risorse naturali del subcontinente sahariano (specialmente uranio, platino, cobalto, magnesio, oro, diamanti oltre al coltan, specie di pietra filosofale per lo sviluppo delle tecnologie del futuro come la telefonia mobile, pc, videogiochi, armi intelligenti, impianti medici, industria aerospaziale, e lievitazione magnetica) non può essere escluso un restringimento delle relazioni russo- egizie che farebbero diventare l’ Egitto la portaaerei continentale della Russia che insieme all’estensione della sua area di influenza sul resto dei paesi arabi che circondano Israele (Siria, Libano, Palestina e Giordania) potrebbe finire per creare un nuovo movimento panislamico e rieditare nella prossima decennio, la Guerra dei Sette Giorni.

Fonte:
http://www.rebelion.org/noticia.php?id=96391

Tradotto e segnalato per Voci Dalla Strada da
VANESA
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