Il Senato uruguayano ha votato a maggioranza la legge che permette il
consumo libero di marijuana e che, contestualmente, autorizza lo Stato a
produrla e distribuirla. Stabilisce quote massime per la coltivazione
privata e modalità della sua distribuzione attraverso la rete delle
farmacie pubbliche e private, annunciando comunque la formazione di una
autorità di controllo ad hoc e un registro dei consumatori con le più
alte garanzie sul riserbo dei dati e l’osservanza rigida delle norme che
tutelano la privacy già in vigore.Il presidente José Mujica ha
ribadito che l'obiettivo della riforma non è "diventare un Paese del
fumo libero", ma piuttosto tentare un “esperimento al di fuori del
proibizionismo, che è fallito". L’intenzione del governo di Montevideo,
come più volte ripetuto dallo stesso Presidente Mujica, è quella di
strappare al mercato illegale e, dunque, alle organizzazioni criminali
che lo gestiscono, il traffico di sostanze stupefacenti a bassissimo
rischio per la salute dei consumatori.
Proprio per sfidare le organizzazioni criminali, nell’intento
evidente di affondarne il business, il prezzo pubblico della marijuana
venduta legalmente nei circuiti farmaceutici sarà di un dollaro al
grammo, concorrenziale quindi al prezzo richiesto dai venditori
illegali. La destra si è opposta ed ha annunciato una raccolta di firme
per indire un referendum abrogativo della legge appena votata, ma ad
ogni modo l’impatto politico e culturale della legge è di assoluto
spessore.
Un lettore mi segnala uno scritto di Michele Boldrin pubblicato sulla sua pagina Facebook, con il quale l'economista cerca di analizzare quali sarebbero stati -a suo dire- i benefici ottenuti dall'Italia attraverso la creazione del Fondo Salva Stati ESM, del quale abbiamo parlato diffusamente in questo sito. L'articolo, proprio per gli elementi pretestuosi utilizzati da Boldrin a sostegno delle sue tesi, è stato ripreso anche dall'ottimo Scenari Economici e, anche noi, ci sentiamo di dire la nostra, cercando di onorare la verità. L'analisi di Boldrin (chiamiamola così, anche se di analisi ha ben poco), a quanto pare, trae spunto da un trasmissione televisiva nella quale si dibatteva sui meccanismi di salvataggio europeo. Quindi, l'autore propone tutta una serie di calcoli che, secondo lui, sarebbero sufficienti a sostenere la tesi secondo la quale, l'Italia, aderendo al fondo salva stati ESM avrebbe fatto "un gigantesco affare" (sono parole sue, non mie). La tesi di Boldrin, per nulla condivisibile e priva di qualsiasi sostegno scientifico oggettivo, si fonda sul fatto che, secondo lui, l'adesione dell'Italia al fondo ESM, avrebbe "assicurato" gli investitori circa il buon esito del loro investimento e quindi avrebbe ristabilito maggiore fiducia tra gli investitori, facendo precipitare lo spread. Questo perché, scrive Boldrin:
Sulla scorta di quanto fatto dal presidente venezuelano Maduro, anche in Argentina l’esecutivo ha deciso di intervenire per fermare l’aumento vertiginoso dei prezzi (che ovviamente sta penalizzando soprattutto i più poveri) denunciandone la natura riconducibile ad operazioni speculative.
A partire dal 1° gennaio prossimo il governo applicherà una politica di controllo dei pezzi per evitare da parte di imprese “manovre ingannevoli” per il portafoglio dei consumatori. Una politica che non si limiterà solo ai 187 prodotti del paniere già esistente ma interesserà fino a 10.000 beni distribuiti nei punti vendita delle 40 principali catene di supermercati del paese latinomericano.
22.12.2013 “Questa mattina, accompagnando i contadini nel villaggio di Khuza’a. E’ il tempo della semina. Un hummer and una jeep israeliani si sono fermati dietro la barriera di separazione. Un soldato è sceso. Poi gli spari. Noi eravamo a circa 100 metri di distanza dalla barriera di separazione. Eravamo sette internazionali, ci eravamo schierati in fila a protezione dei contadini alle nostre spalle. Due trattori stavano arando la terra. I soldati, non curanti della nostra presenza, hanno iniziato a sparare. Ho gridato che ci trovavamo a 100 metri di distanza
Le voci delle multinazionali e dei loro alleati chiedono la promozione di sementi geneticamente modificate (e le necessarie modifiche alle leggi africane per permettere la loro diffusione) come una soluzione alla bassa produzione di cibo e alla fame in Africa. Nel mese di ottobre il World Food Prize è stato assegnato a tre scienziati, due dei quali appartenenti ai giganti dell'agroalimentare Monsanto e Syngenta, per il loro progresso nello sviluppo di organismi geneticamente modificati.Recentemente, i redattori del Washington Post hanno fatto appello a "dare una possibilità alle colture geneticamente modificate" in Africa e hanno chiesto un dibattito aperto.L'Alleanza per la Sovranità Alimentare in Africa, una rete di piccoli agricoltori, pastori, cacciatori-raccoglitori, popolazioni indigene, cittadini e ambientalisti africani, è lieta di includere le voci dei contadini africani nella discussione.
Promuovere gli OGM come soluzione è una
mancanza di rispetto per la cultura africana e offende la nostra
intelligenza, e questo presume una conoscenza superficiale
dell'agricoltura nel nostro continente. Esso si basa sull'immagine,
comune a molti occidentali, che vedono un'Africa povera, indigente,
affamata, afflitta da malattie, senza speranza e impotente, bisognosa di
essere salvata da un angelo bianco occidentale. E' la stessa immagine
brandita dai colonialisti per razionalizzare i loro misfatti
nell'appropriarsi dell'Africa, la stessa immagine esibita oggi dai
neo-colonialisti per razionalizzare la loro corsa all'appropriazione
delle terre e delle risorse naturali del continente.
Un secolo fa, nell’attendere l’arrivo del nuovo anno, la maggior parte
delle persone in Occidente guardava al 1914 con ottimismo. I cento anni
trascorsi dalla battaglia di Waterloo non erano stati del tutto
privi di catastrofi - c'era stata una guerra civile terribile in
America, la guerra franco-prussiana e stragi coloniali occasionali, ma
la pace continentale aveva prevalso. La globalizzazione e le nuove tecnologie - il telefono, il
piroscafo, il treno - avevano "lavorato a maglia" il mondo rendendolo
unito, scrive l’Economist. Eppure, a distanza di un anno, il pianeta era
stato coinvolto in una guerra ben più terribile, costata al mondo 9
milioni di vite, che ha lasciato sulla sua scia varie tragedie
geopolitiche: dalla creazione della Russia sovietica, al nuovo disegno
troppo casuale dei confini del Medio Oriente e, dulcis infundo,
all’ascesa di Hitler.
Così il mondo, dall'essere un amico della libertà e delle tecnologie, era diventato brutale e pronto a macellare e a schiavizzare la gente in maniera orribile.
La forza trainante della catastrofe che aveva colpito il mondo di un secolo fa era la Germania,
che al tempo era alla ricerca di una scusa per mettere in atto una
guerra che le consentisse di dominare l'Europa. Il compiacimento dunque
era anche una colpa. Infatti, troppe persone, a Londra, Parigi e
altrove, credendo che la Gran Bretagna e la Germania fossero
reciprocamente le maggiori partner commerciali, dopo l'America, e che
pertanto non ci fosse una logica economica dietro al conflitto,
ritenevano che la guerra non sarebbe mai scoppiata. Ma si sbagliavano.
Oltre che nelle piazze, in Portogallo gli ordini della troika fedelmente eseguiti dal primo ministro di destra Passos Coelho continuano a trovare un ostico avversario nelle stanze del Tribunale Costituzionale.
Per l’ennesima volta i 13 magistrati che compongono la massima istanza legislativa del piccolo paese sono tornati a bocciare una delle misure di cosiddetta austerità imposti dall’Unione Europea, dalla Banca Centrale e dal Fondo Monetario Internazionale. Nella fattispecie la Corte ha bocciato in quanto illegale secondo le leggi portoghesi il provvedimento incluso nel bilancio statale del 2014 che taglia le pensioni.
Il governo di destra prevedeva di risparmiare 388 milioni di euro sulle spalle dei lavoratori in pensione, pari ad un 12% della spesa totale, attraverso la riduzione del 10% degli assegni mensili superiori a 600 euro (non ci siamo dimenticati uno zero...) e attraverso una revisione complessiva al ribasso delle indennità pensionistiche. Interrogato dal presidente portoghese Anibal Cavaco Silva il Tribunale Costituzionale si è pronunciato contro la misura, giudicata in violazione del “sacro principio di fiducia stabilito dalla Costituzione”, così come aveva già fatto con altre misure analoghe nei mesi scorsi, facendo saltare i nervi, oltre che i conti, dei ministri marionetta di Lisbona.
Dunque, vediamo sommariamente quel che potrebbe riservarci il 2014, che è ormai alle porte, tanto per capire contro quale iceberg potremmo sbattere.
Le sofferenze bancarie sono a livelli record. E secondo gli indicatori di qualità del credito elaborati lo scorso giugno da Bankitalia, pubblicati nelRapporto sulla Stabilità Finanziaria dello scorso novembre, aumentano significativamente le probabilità di ingresso -nei prossimi dodici mesi- di crediti in sofferenza, rispetto ai dodici mesi precedenti, cioè da giugno 2012. Quindi, ipotizzando che le sofferenze crescano allo stesso ritmo con cui sono cresciute nei dodici mesi appena trascorsi (ma non c'è ragione per ritenere che la performance non possa essere addirittura peggiore), a fine 2014 le sofferenze bancarie potrebbero superare i 180 miliardi di euro. Una cifra astronomica che determinerebbe effetti negativi su molti istituti. Effetti che difficilmente potrebbero essere gestiti in assenza di cuscinetti aggiuntivi di capitale; ammesso che, nel frattempo, l'esplosione delle sofferenze non faccia saltare qualche banca.
C’è un mondo dimenticato, come smarrito nei libri di storia. Divenuto un mito classico sul quale si possono inventare e raccontare molte storie. E’ il mondo del contadino italiano. E per contadino intendo chi lavora la Terra, che ci dona i prodotti che hanno fatto grande la nostra Italia nei secoli dei secoli, Amen. E sì, Amen, perché, se la situazione non muta, celebreremo il funerale del settore primario italiano; dimenticato dai politici in campagna elettorale, snobbato dalle Istituzioni. Ne parliamo con Nicola Gozzoli, vicepresidente dell’associazione Lega della Terra, nonché allevatore mantovano. Parlare di agricoltura, in Italia, nel 2013, non è comune. Eppure molti, soprattutto al Nord, sono occupati in questo settore. C’è un motivo per questo “silenzio istituzionale”? Le do perfettamente ragione sul fatto che non è comune parlare di agricoltura sia perché i mezzi di informazione si sono concentrati su tutto ciò che è considerato superficiale, sia perché le persone hanno perso il senso della situazione reale e storica. Noi parliamo di agricoltura perché siamo degli operatori a pieno titolo del settore, ma soprattutto perché crediamo fermamente nel nostro lavoro. Parlare di agricoltura significa parlare e difendere il nostro territorio. Le istituzioni non parlano e non parleranno mai di agricoltura perché altrimenti sarebbero costrette ad affrontare i problemi concreti e quotidiani del territorio; per un politico è sicuramente meglio rimanere comodamente seduto sulla propria poltrona senza grane e senza pensieri prendendo uno stipendio ragguardevole. Per le istituzioni le Aziende Agricole non esistono o sono semplicemente delle realtà trascurabili. Veniamo alla sua associazione... Lega della Terra, un nome ambiguo: ricorda il partito del “fu Bossi”. C’è qualche aspetto comune?
Ambrose Evans Pritchard dal Telegraph commenta gli
allarmi di Napolitano sui "Forconi" e le minacce non tanto velate di
Draghi, che non offrono risposte alle tensioni sociali, ma solo
imperativi impossibili. Non si può rimanere in recessione e
disoccupazione di massa quando le soluzioni esistono e sono a portata di
mano: la protesta sta diventando un movimento anti-Euro.
In Italia gli eventi stanno volgendo al peggio. Il presidente
Giorgio Napolitano ha lanciato l'allarme su possibili "tensioni
sociali e disordini diffusi" nel 2014, mentre la lunga
recessione si trascina. Coloro che vivono ai margini vengono
coinvolti in "atti di protesta indiscriminata e violenta, verso
una forma di opposizione totale". Il suo ultimo discorso è una vera e propria Geremiade.
Migliaia di aziende sono "sull'orlo del collasso". Grandi
masse di persone prendono il sussidio di disoccupazione o rischiano
di perdere il posto di lavoro. L'altissimo tasso di disoccupazione
giovanile (41%) sta portando verso un pericoloso stato di
alienazione.
L'Irlanda si è ufficialmente ritirata dal programma di "assistenza finanziaria" della Troika, diventando il primo paese nella crisi dell'eurozona, liberatosi dalla supervisione dei creditori internazionali. "Questa non è la fine, ma è un traguardo molto importante", ha detto il ministro delle Finanze Michael Noonan, alla catena RTE e ha sottolineato che il governo dovrebbe continuare con la stessa politica anti-crisi, come ha fatto negli ultimi anni. Noonan ha ringraziato i cittadini irlandesi che sono stati costretti a sopportare maggiori tagli nei servizi pubblici a causa del programma di austerità di bilancio. Secondo lui, il governo irlandese ha ora a che fare con due questioni fondamentali: garantire una crescita economica sostenibile e aumentare il tasso di occupazione nel paese. A metà novembre 2013, le autorità irlandesi hanno deciso di non rinnovare il programma di sostegno finanziario dell'UE e del FMI, che doveva scadere nel dicembre 2013, e ha anche accolto una linea di credito precauzionale internazionale del valore di 10.000 milioni di euro, vista come assicurazione nel caso in cui il paese torni ad affrontare problemi finanziari.
Ciò che sta accadendo in Italia va letto nel contesto della deflagrazione dell’Unione Europea, provocata dall’aggressione finanzista guidata dalla Banca centrale europea e dal governo tedesco. Da Maastricht in poi, il ceto finanzista globale ha deciso di cancellare in Europa le tracce della forza operaia del passato, la democrazia, la garanzia salariale, la spesa sociale. In nome del fanatismo liberista ha finito per sradicare le radici del consenso su cui si fondava l’Unione Europea. L’effetto, però, non è solo il dimezzamento del monte salari dei lavoratori europei, la distruzione della scuola e della sanità pubblica, l’abolizione del limite dell’orario di lavoro, la precarizzazione generalizzata. E’ anche la guerra. Era prevedibile, era previsto, ora comincia ad accadere.
La disgregazione finale dell’Unione europea possiamo leggerla sulla carta geografica. Cominciamo da est. L’insurrezione ucraina è prova di come sia
mutata la natura d’Europa. Nata come progetto di pace tra tedeschi e francesi, e quindi di pace in tutto il continente, l’Unione è oggi divenuta l’esatto contrario. Gli europeisti ucraini usano l’europeismo come arma puntata contro l’imperialismo russo, e risvegliano fantasmi del nazismo. L’ingresso inEuropa è visto come una promessa di guerra, e la precipitazione del conflitto in Ucraina non potrà che avere conseguenze spaventose per l’Europa intera. Bruxelles reagirà aprendo un confronto con la Russia di Putin, oppure lascerà che la Russia di Putin soffochi una rivolta che è nata nel nome dell’Europa?
Discorso di Nelson Mandela pronunciato il 26 Luglio 1991 all'evento
per il 38° anniversario dell'assalto alla caserma Moncada, inizio della Rivoluzione Cubana, tenutosi in provincia di Matanzas.
Primo Segretario del Partito Comunista, Presidente del Consiglio di
Stato e del governo di Cuba, Presidente della Repubblica Socialista di
Cuba, Comandante in Capo Fidel Castro, Internazionalisti cubani che tanto hanno fatto per la liberazione del nostro continente, Popolo cubano, compagni e amici:
Per me è un grande piacere e un onore essere qui oggi, soprattutto in un giorno così importante nella storia rivoluzionaria del popolo cubano. Oggi Cuba commemora il 38° anniversario dell'assalto alla caserma Moncada.
Senza la Moncada, la spedizione del Granma, la lotta nella Sierra Maestra e
la straordinaria vittoria del 1 gennaio 1959 non avrebbero avuto luogo.
Oggi è questa la Cuba rivoluzionaria, la Cuba internazionalista, il paese che tanto ha fatto per i popoli dell'Africa.
Da molto tempo volevamo visitare il vostro paese ed esprimere i nostri
sentimenti verso la Rivoluzione cubana e il ruolo svolto da Cuba in Africa, nel Sudafrica e nel mondo.
Il popolo cubano occupa un posto speciale nei cuori dei popoli dell'Africa.
Gli internazionalisti cubani hanno contribuito all'indipendenza, alla
libertà e alla giustizia in Africa in un modo che non ha eguali per il loro carattere di principi e altruismo.
Blocco europeo sovrano ostacolato dagli "euroatlantisti" e dall'incapacità tedesca di trasformare il primato economico in egemonia geostrategica
La sovranità è l'arma concettuale che ha orientato il Sudamerica ad uscire dalle sabbie mobili in cui lo sprofondò il neoliberismo, dai tempi del suo moderno progenitore Pinochet. La resistenza contro la “globalizzazione”, venduta come superiore e ineluttabilile modernità, generò poderosi e diversificati movimenti sociali. Questi, cacciarono dalla scena pubblica partiti moribondi, e si trasformarono in vettori diventati poi governi. All'insegna della revisione o sospensione del pagamento del debito estero (Ecuador); rifiuto unilaterale delle esazioni e confische del FMI (Argentina) nazionalizzazione degli idrocarburi (Bolivia e Venezuela); delle telecomunicazioni e banche (Venezuela) o priorità della crescita con redistribuzione sul dogmatismo monetarista (Brasile). Dove vi furono assemblee costituenti e si riscrissero le costituzioni, legittimate dal voto popolare come in Venezuela, Ecuador e Bolivia, il cambiamento fu più profondo e prolungato. Il recupero della sovranità iniziò dal potere politico e si estese a quello monetario, banca centrale e difesa.
La tenaglia del potere politico+movimenti da un lato, e la crescente unione civico-militare dall'altro, riuscirono a stritolare l'ALCA (1), progetto di annessione agli Stati Uniti delle economie a sud del Messico. Fu l'apogeo del sovranismo che -a partire dalla protezione della produzione endogena- recuperò l'iniziativa geopolitica per conformare il “grande spazio” del blocco sudamericano. La Patria Grande si inoltrò negli spazi aperti dalla lucidità multipolare di Chàvez con la Russia, Cina e Iran.
Questa è la marcia (perepepe) di Berlusconi con tutti quanti i suoi coglioni ladri, mafiosi e piduisti e i più simpatici. Ma chi ? Beh ! I fascisti. Questa è la marcia (perepepe) dei berlusconizzati contenti, allegri e abbindolati che se gli spieghi: vota diverso poi t’accorgi ch’è tempo perso. Questa è la marcia (perepepe) dell’altra parte senza più parte e neanche l’arte perchè ha deciso di esser più trendy col comunismo firmato Fendi.
Monete sovrane svalutabili, o sarà la fine: dobbiamo uscire immediatamente dall’euro, per salvare la nostra economia e ripristinare la democrazia in Europa. Lo sostiene l’economista italo-danese Bruno Amoroso: l’euro non è che un dogma smentito dai fatti, mentre in realtà rappresenta un fattore devastante di disgregazione. Prima ha spaccato l’Europa in due, opponendo i 17 paesi dell’Eurozona ai 10 rimasti fuori, e ora ha diviso la stessa Eurozona, scavando un solco incolmabile tra nord e sud. La disastrosa moneta della Bce? Con la sua rigidità «è la causa prima dell’attuale situazione di crisi del progetto europeo». Un piano oligarchico, i cui gestori oggi hanno “gettato la maschera”: il rigore promosso dalla Troika formata da Bce, Fmi e Ue non è altro che l’esecuzione, in Europa, dell’ideologia neoliberista imposta dalla globalizzazione, che comprime i diritti del lavoro e mortifica lo Stato sovrano, disabilitandolo come garante dei cittadini. Fiscal Compact, Patto di Stabilità: sono gli strumenti con cui l’oligarchia finanziaria ha deciso di metterci in crisi.
O ci teniamo l’euro, ripetono gli eurocrati, o precipiteremo in una devastantecrisieconomica e sociale. E’ ridicolo: «Noi siamo già dentro la più gravecrisieconomica e sociale del dopoguerra», innescata proprio dalla moneta della Bce.
Mentre scrivo queste note si svolgono le primarie del Pd. Un fenomeno
solo italiano. Voteranno per i tre candidati in corsa tutti coloro che
vorranno, dopo aver versato una piccola somma. È la prima volta nella
storia mondiale dei partiti in cui un segretario di partito viene eletto
da iscritti e non iscritti, financo da persone che non condividono le
idee dei candidati. Ciò nonostante votano, certi di dare in questo modo
un contributo alla visione che hanno della dislocazione delle forze
politiche in campo a livello nazionale.
È il voto non per qualcuno ma contro qualcun altro. Fenomeno che di
solito accade nelle votazioni politiche, ma che non è mai avvenuto nella
dinamica interna alla definizione delle cariche di un partito. Altro
primato italiano.
Naturalmente questo fenomeno disvela qualcosa del rapporto tra
istituzioni e macchina dei partiti. La scienza politica classica, ossia
quella che inizia con Vilfredo Pareto e Gaetano Mosca e raggiunge poi i
suoi vertici con i lavori di Roberto Michels e di Moisei Ostrogorsky,
poneva al centro della delineazione del sistema e della società politica
le macchine dei partiti. Per comprendere il funzionamento sia della
partecipazione politica sia dei meccanismi decisionali, secondo questa
scuola bisognava e bisogna partire dai partiti. La politologia che
invece si è affermata dopo gli anni Cinquanta del Novecento, con poche
eccezioni, tra cui ricordo il compianto Paolo Farneti, Theodor Lowy e
Mauro Calise, pone invece al centro i sistemi elettorali. Sono questi
ultimi a determinare la meccanica dei sistemi istituzionali e della
stessa partecipazione politica.
Aperture domenicali e festive e conseguenze sulla vita dei lavoratori
Una volta si chiamavano feste comandate. Le domeniche, innanzitutto. E poi Natale, Pasqua. E poi quelle strappate con la lotta, il 1° Maggio, 25 Aprile… Ma il capitalismo conosce un unico comandamento: sacrifica qualunque cosa, preferibilmente i lavoratori, sull'altare del profitto. E così da qualche anno anche in Italia, a un numero sempre crescente di lavoratori viene impedito di godersi un riposo settimanale degno di questo nome, magari in compagnia delle proprie famiglie, dei propri figli. Un po' di storia Quella della liberalizzazione degli orari di apertura degli esercizi commerciali è una storia che va avanti da quasi vent'anni. Nel 1995 un referendum popolare boccia con il 62% dei voti la prima proposta di liberalizzazione. Nel 1998 ci riprova Bersani, ministro dell'allora Governo Prodi di centro-"sinistra", con il decreto che porta il suo nome, il quale prevede (in barba all'esito del referendum di soli tre anni prima) che gli esercizi commerciali possano restare aperti tutti i giorni della settimana per un massimo di tredici ore. Le domeniche sono ancora quasi escluse dalla liberalizzazione: pur conferendo poteri di deroga ai comuni, le aperture domenicali sono previste solo per le domeniche del mese di dicembre e per altre otto domeniche nei restanti mesi dell'anno. Le cose peggiorano nel 2001: con la riforma del titolo V della Costituzione la competenza in materia passa alle Regioni, che fanno largo uso dei poteri di deroga previsti dal decreto Bersani.