18 dicembre 2009

NUOVE LIMITAZIONI ALLA SOVRANITA' EUROPEA

di Jean-Claude Paye

Ancora una volta l'UE cede alle richieste di Washington senza contropartita: gli Stati Uniti avranno legalmente accesso alle informazioni bancarie degli Europei, quando il trattato di Lisbona entretà in vigore e il Parlamento europeo avrà approvato il nuovo accordo. Inoltre, anche prima della votazione parlamentare, tali disposizioni sono in atto. Jean-Claude Jean-Claude Paye analizza questa nuova concessione.


Negli ultimi anni, l'Unione europea e gli Stati Uniti hanno firmato un pacchetto di accordi sulla consegna dei dati personali: dati PNR dei passeggeri aerei
[1], dati finanziari, nel quadro del caso Swift [2]. Un trasferimento generale è in preparazione. Si tratta di rimettere, in modo permanente alle autorità degli Stati Uniti, una serie di informazioni private, come ad esempio il numero di carte di credito, dettagli di conti bancari, investimenti, connessioni internet, la razza, opinioni politiche, morale, la religione [3].

17 dicembre 2009

AGGRESSIONE A BERLUSCONI: NESSUNO HA PARLATO DELLE GUARDIE

Golpe in Italia: "Vanno di moda"

Da The Indipendent Gran Bretagna. Speciale per Pagina/12

Le critiche dei mass media locali avrebbero dovuto concentrarsi sulla mancanza effettiva della scorta di Berlusconi. Ma no. Si sono orientati all’aggressore, se era un’attivista o faceva parte di un’organizzazione. Da subito è stato chiaro, dopo l’attacco di domenica a Silvio Berlusconi, che il suo aggressore, un disegnatore grafico chiamato Massimo Tartaglia, non era un politico attivista ma un uomo con seri problemi mentali. In un “paese normale”, per usare una frase amata dai giornalisti italiani, questo avrebbe messo fine all’argomento. L’attenzione si sarebbe spostata sul fatto che decine di bodyguard di Berlusconi sono stati incapaci di proteggerlo. Le critiche si sarebbero concentrate su questo dettaglio dell'incompetenza nella sicurezza, la mancanza di efficacia della scorta e avrebbero chiesto che i servizi della sicurezza fossero riorganizzati.

Ma l’Italia continua ad essere l’Italia, quelle questioni di vita o di morte sono state velocemente lasciate da parte. Al loro posto, i giornalisti hanno insistito nel trattare il fatto come un fatto politico- un nefasto augurio per il futuro- Sabato, si era detto, che era il 40° anniversario del massacro di Piazza Fontana a Milano, dove 17 persone erano morte per l’esplosione di una bomba, segnando l’inizio degli “anni di piombo” italiani, quando gli attentati terroristici erano moneta comune. Forse l’Italia è anche oggi in un momento funesto, hanno detto gli opinionisti. Se i politici hanno reagito irresponsabilmente, potrebbero provocare un'ulteriore spirale discendente.

La reazione non ci ha detto nulla su questo attacco in particolare, ma molto sul pesante clima politico in Italia. Quindici anni dopo l'entrata in politica di Berlusconi, domina il discorso politico della nazione in un modo che non ha eguali nel resto del mondo sviluppato. Ha distrutto i comunisti come forza politica e ha lasciato il centro-sinistra impotente, nonostante il fatto che i risultati del suo governo per rilanciare la fortuna d'Italia sono stati infelici. C’è una sensazione di ostilità e di stagnamento nel paese; mai lo si è visto così in basso o così demotivato e nessuno sembra avere un'idea di come sbloccare la situazione.

Berlusconi è arrivato al potere promettendo un secondo miracolo economico.
Le speranze in un simile evento sono evaporate molto tempo fa, ma i suoi favoreggiatori si attaccano ancora a lui come ad un talismano, timorosi che qualsiasi passo verso l’ignoto porterebbe qualcosa di peggio. Nel frattempo, quelli che lo incolpano di non risollevare le sorti del paese spazzano via le loro frustrazioni in una specie di maltrattamento senza senso che consiste nel fischiarlo durante il suo discorso a Milano, prima di essere attaccato. L’Italia ha visto anche un’epidemia minore di film di secondo ordine con trame che si centrano sulle fantasie di assassinare Berlusconi.

I politici italiani di tutti i partiti hanno condannato l’attacco ed hanno augurato al primo ministro un veloce recupero. Privatamente, però, staranno maledicendo il momento di pazzia di Tartaglia. In una lettera diretta a Berlusconi ieri Tartaglia si è scusato esprimendo il suo malessere per avere commesso un “atto superficiale, codardo e irriflessivo”. Tartaglia aveva colpito al primo ministro con una riproduzione del Duomo di Milano causandogli ferite al viso per le quali è stato ricoverato. Il Cavaliere rimarrà nell’ospedale milanese di San Raffaele almeno fino ad oggi, secondo la prognosi del suo medico personale, che considera le ferite del paziente più delicate di quanto non si fossero considerate inizialmente. Berlusconi, che non è arrivato a perdere coscienza, ha sofferto una frattura al naso, due denti rotti e ferite interne ed esterne alle labbra oltre ad aver perso mezzo litro di sangue (ne succhierà dell’altro...NDT), cosa che lo ha debilitato, secondo il medico.


Fonte:
http://www.pagina12.com.ar/diario/elmundo/4-137000-2009-12-15.html

Tradotto e segnalato per Voci Dalla strada da
VANESA

LA VERA GRANDE OPERA...

...IL 70% DEI COMUNI ITALIANI E' A RISCHIO IDROGEOLOGICO

di Italo Romano


La politica sin dai tempi della polis ha il compito di occuparsi della cosa pubblica. In Italia, oggi, i nostri politici vengono meno ai loro imphegni. Invischiati tra maliaffari e corruzioni varie e dediti, spesso, al lucro personale. C’è da dire però che in una Repubblica, è dovere di ogni cittadino interessarsi alle questioni politiche e partecipare attivamente alla res pubblica. Anche i cittadini, per la maggior parte dei casi, sono tendenzialmente menefreghisti e negli anni, hanno preso l’ignobile abitudine di delegare, di scaricare le responsabilità, affidando i loro diritti a gente senza scrupoli.

Sabato 19 Dicembre 2009 verrà posta la prima pietra del Ponte sullo Stretto di Messina che darà il via ai cantieri delle opere di contorno. Ma, qualche giorno fa Legambiente ha pubblicato un rapporto sulla fragilità del suolo italiano dal titolo “
Ecosistema rischio 2009“. I dati che ne emergono sono quanto mai preoccupanti e totalmente contrari alle politiche delle grandi opere, dei vari governi succedutisi, degli ultimo 10-15 anni.

Il territorio italiano è a rischio sbriciolamente nel 70% dei comuni. Ma in Calabria e in Umbria le situazione è ancora peggiore, perchè i comuni a rischio sono il 100%. Tutte le popolazioni dei 409 comuni calabresi e dei 92 comuni umbri vivono in zone di assoluta emergenza idrogeologica. Delle vere e proprie zone rosse, bombe ad orologeria, che ad ogni pioggia potrebbero causare tragedie tipo quella vissuta nel messinese poche settimane fa.

Nello specifico nel 79% dei comuni sono presenti abitazione in aree golenali (ovvero le terre comprese tra la riva di un fiume e il suo argine), in prossimità degli alvei e in aree a rischio frana. Addirittura nel 28% dei casi sono presenti in tali aree interi quartieri e granzi porzioni di cittadine. Praticamente i 7/10 del territorio sono soggetti a frane, alluvioni, allagamenti, smottamenti e catastrofi naturali già conosciute alla popolazione tutta, che ad ogni scroscio di pioggia vede riempirsi i telegiornali di servizi che decrivono tragedie evitabili.

I dati sono sconcertanti e vanno a cozzare nettamente con la politica delle infrastrutture del governo Berlusconi. Fiore all’occhiello dei nostri politici è il vanto di grandi opere quali la Linea ferroviaria ad alta velocità (TAV), il passante di Mestre, il Mose e dulcis in fundo il Ponte sullo Stretto di Messina. Mentre il punto fondamentali per salvaguardare il territorio, e quindi la popolazione, sarebbe di stilare un piano di prevenzione che mette in sicurezza le aree in questione. Per fare questo occorrono tanti soldini che lo Stato si rifiuta di impiegare in queste “opere minori” mentre sborsa miliardi di euro per costruire un Ponte inutile, in una zona dove terremoti, frane e alluvioni sono spesso coincidenti con tragedie di portata mondiale. Perchè?

Semplicemente perchè le opere faraoniche rimpinguano le tasche di politici, massoni, mafiosi e lobby internazionali. Mentre i piccoli e mirati interventi di cui il territorio italiano ha bisogno farebbero il bene di tutti. Ma come abbiamo potuto intendere, questi non sono tempi per tutti, siamo in piena lotta, qui, vige la legge della giungla, i forti sopravvivono i deboli soccombono. Tanto poi gli stessi che negano la ristrutturazione del territorio, poi, a catastrofe avvenuta, si fiondano sul luogo della tragedia, grondanti di lacrime e dolore, un bel singhiozzo per le telecamere, una bella sfuriata ai microfoni e la faccia è salva.

Prevenire significa coinvolgere e coordinare cittadini, istituzioni, governo, parlamento. Ma qui la politica pretende una società divisa in eterna lotta per le futilità più assurde. Organizzare una lotta alla prevenzione significherebbe cambiare totalmente mentalità, invertire la rotta e, di certo, non è quello che i nostri potenti vogliono. Perchè rovinarsi la festa.

In più si fomenta l’abusivismo di condono in condono. Anzichè punire chi costruisce senza nessun criterio e senza rispetto verso la natura e la collettività, lo si premia, alla faccia di tutti i coglioni che rispettano leggi, anche e sopratutto quelle non scritte. In questo scenario apocalittico ci si aspetta che la gente si dia una mossa, ma i telegiornali di regime non parlano del rapporto di Legambiente. Lo scenario mediatico è occupato dai vari Corona, dai vari Stasi e Amanda Knox, da chi uscirà questa settimana dalla casa del Grande Fratello, dalle ricette della Parodi jr e dai deliri adrenalinici e sconclusionati dei nostri uomini politici. Che l’Italia sta letteralmente sprofondando sotto l’inettitudine di tutti non frega niente a nessuno. La festa continua, the show must go on!

La vera grande opere di interesse collettivo è la messa in sicurezza dell’Italia, tutto il resto buonisticamente è secondario, realisticamente sono baggianate.


Fonte:
http://www.oltrelacoltre.com/

16 dicembre 2009

LA TRAPPOLA: AFGHANISTAN 1979-2009

L'obiettivo è che gli Stati Uniti possano contare su una base militare da cui attaccare la Russia e la Cina

di Tiberio Graziani


Il presidente Obama ha appena scelto la scalata militare in Afghanistan, dove la NATO affronta l’insurrezione dei pashtunes, che la propaganda sta associando con l’oscurantismo religioso. Scommettendo per la scalata militare, Washington si mette in un nuovo
pantano. L’analista italiano, Tiberio Graziani osserva in questo articolo la trappola afgana, montata dagli Stati Uniti nel 1979 contro i sovietici, si chiude oggi sulle truppe del Pentagono.

Ribelli afgani sui resti di un elicottero sovietico. A quell’epoca, i muyahidenes erano considerati, da Washington, come “combattenti per la libertà”, oggi, distruggono gli elicotteri della NATO e sono qualificati come “terroristi talebani”.

1979, l’anno della destabilizzazione.


Tra i diversi avvenimenti della politica internazionale del 1979, ce ne sono due particolarmente importanti per aver contribuito all’alterazione del quadro geopolitico globale, basato allora sulla contrapposizione tra gli USA e l' URSS. Ci riferiamo alla rivoluzione islamica dell’Iran e l’avventura sovietica in Afghanistan.


La presa del potere da parte dell’ayatollah
Khomeini, come si sa, ha eliminato uno dei pilastri fondamentali sul quale si sostentava l’architettura geopolitica occidentale guidata dagli USA.

L’Iran di Reza Pahlavi costituiva nelle relazioni di forza tra gli USA e l' URSS un pezzo importante, la cui sparizione indusse il Pentagono e Washington ad una profonda riconsiderazione del ruolo geostrategico americano. Un Iran autonomo e fuori dal controllo introduceva nella scacchiera geopolitica regionale una variabile che potenzialmente metteva in crisi tutto il sistema bipolare.


Inoltre, il nuovo Iran, come potenza regionale antistatunitense e antisraeliana, possedeva le caratteristiche (in modo particolare, l’estensione e la centralità geopolitica e l' omogeneità polita- religiosa) per competere per l’egemonia di almeno una parte dell’aerea meridionale, in aperto contrasto con gli interessi simili di Ankara e Tel Aviv, i due fedeli alleati di Washington e di Islamabad.


Per queste considerazioni
, gli strateghi di Washington, coerenti alla loro bicentenaria “geopolitica del caos”, in poco tempo hanno indotto, l’Iraq di Saddam Hussein a scatenare una guerra contro l’Iran. Lo squilibrio di tutta la zona permetteva a Washington e all’Occidente di guadagnare tempo per progettare una strategia di lunga durata e, tranquillamente, consumare l’orso sovietico.

Come ha evidenziato
dodici anni fa Zbigniew Brzezinski [1] consigliere della sicurezza nazionale del presidente Jimmy Carter, durante un’intervista concessa al settimanale francese Le Nouvel Observateur (15-21 gennaio 1998, pag 76), la CIA era entrata in Afghanistan con lo scopo di destabilizzare il governo di Kabul, già a luglio del 1979, cinque mesi prima dell’intervento sovietico.

La prima direttiva con la quale Carter autorizzava l’azione segreta per aiutare segretamente gli oppositori del governo filosovietico risale, infatti, al 3 luglio. Quello stesso giorno lo stratega statunitense di origine polacca, scrisse una nota al presidente Carter nella quale spiegava che la sua azione avrebbe portato Mosca ad intervenire militarmente. Ciò che puntualmente avvenne alla fine di dicembre di quello stesso anno. Sempre Brzezinski, durante la stessa intervista, ricorda che, quando i sovietici entrarono in Afghanistan, scrisse a Carter un’altra nota nella quale espresse la sua opinione sul fatto che gli USA finalmente avevano l’opportunità di dare all’Unione Sovietica la loro guerra del Vietnam. Il conflitto, insostenibile per Mosca, avrebbe condotto, secondo Brzezinski, al collasso dell’impero sovietico.


Il lungo impegno militare
sovietico a favore del governo comunista di Kabul, di fatto, ha contribuito ulteriormente a debilitare l' URSS, già in avanzato stato di crisi interna, sia nella parte politica-burocratica che in quella socio- economica.

Come sappiamo oggi, il ritiro dell’esercito da parte di Mosca dal teatro afgano lasciò tutta la zona in una situazione di estrema fragilità politica, economica e, soprattutto, geostrategica. In pratica, neanche dieci anni dopo la rivoluzione di Teheran,
tutta la regione era stata completamente destabilizzata a beneficio esclusivo del sistema occidentale. Il contemporaneo inarrestabile declino dell' Unione Sovietica, accelerato dall’avventura afgana e, successivamente, lo smembramento della Federazione Iugoslava (una specie di Stato tappo tra i blocchi occidentali e sovietici) degli anni '90 aprivano le porte all’espansione USA, l' hyperpuissance, come definito dal ministro francese Hubert Védrine, nello spazio eurasiatico.
Dopo il sistema bipolare, si apriva una nuova fase geopolitica: quella del “momento unipolare”.

Il nuovo sistema unipolare, però, avrebbe avuto vita breve, e sarebbe finito –all’alba del XXI secolo- con la riaffermazione della Russia come attore globale e con il sorgere contemporaneo delle potenze asiatiche, Cina ed India.


I cicli geopolitici dell’Afghanistan


L’Afghanistan per le sue proprie caratteristiche,
relative principalmente alla sua posizione nello spazio sovietico (confini con le repubbliche, in quell’epoca sovietiche, del Turkmenistan, Uzbekistan e Tayikistan), alle caratteristiche fisiche, e, inoltre, alla mancanza di omogeneità etnica, culturale e confessionale, rappresentava, agli occhi di Washington, una porzione fondamentale del chiamato “arco di crisi”, cioè, la striscia di territorio che si estende dai confini meridionali dell' URSS fino all’Oceano Indiano. L’elezione come trappola per l' URSS cadde sull’Afghanistan, quindi, per evidenti motivi geopolitici e geostrategici.

Dal punto di vista dell’analisi geopolitica, infatti, l’Afghanistan costituisce un chiaro esempio di un’aerea critica, dove le tensioni tra le grandi potenze si scaricano da tempi memorabili.


L’area nella quale si trova attualmente la Repubblica Islamica dell’Afghanistan, dove il potere politico sempre si è strutturato sulla dominazione delle tribù pashtunes sulle altre etnie (tayikos, hazaras, uzbecos, turcomani, baluchi) si forma precisamente nella frontiera dei tre grandi dispositivi geopolitici: l’impero mongolo, il
Khanato uzbeko e l'impero persiano. Le dispute tra le tre identità geopolitiche limitrofe determineranno la loro storia futura.

Nel XVIII e XIX secolo, quando l’apparato statale si sarebbe consolidato come regno afgano, l’area sarebbe stata oggetto delle contese tra le due grandi entità geopoliche: l’Impero Russo e la Gran Bretagna. Nell’ambito del così detto “Grande Gioco”, la Russia, potenza di terra, nel suo impeto verso i mari caldi (Oceano Indiano), l’India e la Cina, si scontrano con una potenza marittima britannica che, a sua volta, cerca di chiudere e di penetrare la massa eurasiatica in Oriente verso la Birmania, la Cina, il Tibet e la conca del Yangtse, girando sull’India, ed in Occidente in direzione degli attuali Pakistan, Afghanistan e Iran, verso il Caucaso, il Mar Nero, la Mesopotamia e il Golfo Persico.


Nel sistema bipolare della fine del ventesimo secolo, come sopra descritto, l'Afghanistan sarà un campo in cui vengono misurate di nuovo una potenza del mare, gli Stati Uniti, e da terra, l'URSS
.


Oggi, dopo l’invasione statunitense del 2001, che presuntuosamente Brzezinski definiva come la trappola afgana per i sovietici è diventata la palude e l’incubo degli Stati Uniti.


[1]
«La monstruosa estrategia para destruir Rusia», di Arthur Lepic, Red Voltaire, 12.12.2004.

Fonte:
http://www.voltairenet.org/article163239.html

Traduzione per Voci Dalla Strada a cura di
Vanesa

Video correlati:
L'UOMO DIETRO BARAK OBAMA (1/2)
L'UOMO DIETRO BARAK OBAMA (2/2)

15 dicembre 2009

BANCHE SPAGNOLE, MEZZI DI COMUNICAZIONE E CAMORRA ITALIANA


di Pascual Serrano

Fino allo scorso mese di ottobre solevo pubblicare una colonna quindicinale in un giornale del gruppo Vocento. Non avevo ricevuto nessuna obiezione sui miei scritti fino a quando ho inviato uno da pubblicare per martedì 27 ottobre. In questo, sotto il titolo “
Il banchiere ed il presidente”, contrastavo il patrimonio del presidente del governo spagnolo, reso pubblico recentemente e calcolato in 209.206 euro e il pensionamento del consigliere delegato del BBVA, Josè Ignacio Gorrigolzarri, di 55 anni, che ammonta a 3 milioni di euro annuali. Arrivata la data prevista per la pubblicazione sul giornale la mia colonna non è apparsa, senza alcuna spiegazione. Dopo aver cercato di sapere i motivi, qualcuno del giornale, in uno slancio di sincerità che ringrazio, mi chiarì che il motivo era la presenza nell’articolo della critica a quella astronomica pensione. “Cosa vuoi che ti dica che tu non sappia”, aggiunse l’interlocutore. Mi indicò che tre giorni più tardi mi avrebbe informato sulla decisione presa dall’alto sul mio articolo. Non si sono mai più rivolti a me e il mio articolo non è stato pubblicato. Non ho più avuto rapporti con loro.

Per chi non lo sapesse, è opportuno chiarire la stretta relazione del gruppo Vocento con la BBVA, in concreto attraverso la famiglia Ybarra. Come è saputo, Emilio Ybarra è stato il presidente del BBVA. Suo figlio, Emilio Ybarra Aznar,
è stato nominato a gennaio del 2007 presidente del CMVOCENTO, la società responsabile per la gestione della pubblicità in tutto il gruppo dei media. Prima fu direttore generale multimedia del giornale La Rioja e del El Correo, e successivamente direttore generale di Sviluppo di ABC. Tutti giornali del gruppo Vocento.

Il fratello dell’ex presidente del BBVA,
Enrique Ybarra, è vicepresidente di Vocento e presidente della fondazione Vocento, possiede oltre il 6.536 delle azioni del gruppo di comunicazione. Nel consiglio direttivo del gruppo si trova anche Ignacio Ybarra, proprietario di 11.628 azioni attraverso la sua azienda Mezouna S.L. E’ anche consigliere del BBVA e, dal 2008, responsabile dell’ Unità dei Servizi Transnazionali Globali della BBVA, avendo occupato dal 1998 altri ruoli come quelli di Direttore dell’Unità di Istituzioni Finanziarie, Direttore di Affari della Banca Maggioritaria America e Direttore dell’Unità di Clienti Globali di BBVA.

La saga non finisce qui. C'è anche il fratello
Santiago Ybarra y Churruca, presidente del Consiglio di Vocento dal 2001 fino al 2008 e oggi consigliere. E Alavaro Ybarra e Zubiria, consigliere del gruppo e proprietario di un 0,458% delle azioni.

Fino ad oggi avevo criticato, nelle mie colonne, il governo spagnolo, il Partito Popolare, la monarchia, il governo degli USA, i politici locali di differente colore….senza che trovassi nessuna obiezione da parte del giornale. Ma è evidente che pretendere di criticare la BBVA nelle pagine di un giornale del gruppo Vocento è una pretesa impossibile.
La questione della libertà d’espressione finisce quando appare il denaro e i nomi propri.

Nel suo libro Gomorra, lo scrittore italiano Roberto Saviano, racconta con ogni dettaglio come funziona la camorra napoletana. Si sono scritti molti libri sul crimine organizzato in Italia,
per non parlare del cinema, ma non erano molto esaustivi nel dare nomi con precisione, cosa che Saviano fa nella sua opera. Il 23 settembre 2006 l’autore partecipò ad una cerimonia pubblica a Casal di Principe, nella regione Campania, controllate dalla Camorra. Tra il pubblico c’erano numerosi giovani e studenti della zona, dei quali è facile immaginare il proprio destino. In quel momento disse: “Iovine, Zagaria, Schiavone (nomi dei capi dell’organizzazione criminale) non valete nulla, che se ne vadano, questa terra ci appartiene. E dico ai ragazzi: pronunciate i loro nomi, vedete, si può fare. Pronunciare il nome di un boss non ti mette in pericolo, è una sciocchezza. Ma è la paura di non dire il suo nome che vi porta ad usare espressioni come 'quello' o 'Lui' o 'hai visto chi è passato' senza pronunciare il nome mai. Si tratta di una specie di codice nel quale cresci, secondo il quale è molto meglio non pronunciare alcuni nomi”. Saviano li enumera di fronte a quel pubblico e immediatamente capta la tensione che si è creata nella sala. Da allora deve vivere sotto scorta in un luogo segreto. Si è sbagliato quando ha affermato che non è pericoloso dire quei nomi. Per averlo fatto sono morti giudici, pentiti, poliziotti e giornalisti in Italia.

Sembra che
c’è molto in comune tra la Mafia, la Camorra, le banche e i mass media. Tutto funziona senza problemi finchè non vengono fuori i nomi, fino a che i criminali non sono segnalati. Allora finisce la sicurezza per Saviano e la libertà d' espressione per chi vuole scrivere nei mass media controllati dalla banca.

In Gomorra, Roberto Saviano racconta che le organizzazioni criminali napoletane finiscono per controllare i commercianti attraverso prestiti che garantiscono contanti. I commercianti li preferiscono perché il tasso d’interesse è minore di quello che si paga alle banche. Quando si indebitano aumenta la percentuale che devono dare all’organizzazione mafiosa, ma ,” i clan non sono come le banche, che si pagano il debito prendendosi tutto; loro sfruttano i beni lasciando che ci lavorino persone con esperienza che hanno perso le loro proprietà”. Alla fine
la banca può arrivare a far diventare buoni i mafiosi.

Fonte:
http://www.pascualserrano.net/noticias/bancos-espanoles-medios-de-comunicacion-y-camorra-italiana

Tradoto e segnalato per Voci Dalla Strada da
Vanesa

DALLA CRISI ECONOMICA ALL'ESPLOSIONE SOCIALE


di Leonardo Mazzei
Campo Antimperialista


Una settimana fa il vento della rivolta ha ripreso a soffiare su Atene. L’occasione è stato il primo anniversario dell’uccisione di Alexandros Grigoropoulos da parte della polizia, ma sbaglieremmo a non cogliere nella rabbia dei giovani greci il segno di una crisi che si cercherà di scaricare sempre più sulle classi popolari.


«Inflazione, disoccupati, debito. Grecia a rischio infarto sociale», è stato il titolo allarmato del Corriere delle Sera che ha proposto un’analisi di Antonio Ferrari che riconosce come causa della protesta «la rabbia per una crisi economica quasi segreta, nel senso che la classe politica aveva cercato di nasconderla, cullandosi su cifre e proiezioni non corrette. Ora che la crisi morde dolorosamente la vita quotidiana dei greci, con una tempesta di licenziamenti, con l’impennata dei prezzi e l’incubo di misure draconiane, si è creato un drammatico corto circuito, quasi un infarto sociale».


Se questa è la situazione, quali saranno gli sviluppi? E, più in generale, di cosa ci parlano gli avvenimenti greci?


La mina del debito pubblico

Già da tempo abbiamo rilevato (vedi L’interessato partito degli “ottimisti”) come la questione del debito pubblico tendesse a diventare esplosiva, come conseguenza dello scaricamento di una quota gigantesca del debito privato nei bilanci pubblici europei ed americani.


Un tema che governi, media ed oligarchie finanziarie hanno teso ad omettere, salvo richiamarlo di tanto in tanto per enunciare la necessità di una exit strategy da avviare però in tempi (economicamente) migliori.


In Grecia il governo di destra presieduto da Kostas Karamanlis – in carica fino alla sconfitta nelle elezioni dello scorso ottobre – ha fatto anche di più, imbrogliando grossolanamente sui dati del deficit statale. Karamanlis dichiarava (e comunicava ufficialmente a Bruxelles) un rapporto deficit/Pil del 3,9%, mentre la realtà era di un rapporto del 12,9%.


Difficile che i custodi della stabilità monetaria europea non si fossero accorti di un falso simile, più probabile che abbiano taciuto per motivi politici e per non creare allarme nel momento in cui si vorrebbe far passare il messaggio dell’uscita dal tunnel della crisi.


Sta di fatto che ora l’allarme è scoppiato, facendo salire pesantemente gli interessi sui bond greci, causando il declassamento del rating del Paese, provocando il crollo della Borsa, diffondendo la preoccupazione su un possibile default modello Argentina 2001.


Quest’ultima ipotesi viene ovviamente smentita dal nuovo governo presieduto da George Papandreou del Pasok, ma lo stesso primo ministro – vedi La Stampa del 10 dicembre – è stato costretto ad usare toni ben poco rassicuranti: «La Grecia si trova nel reparto di cure intensive» e la crisi ne minaccia «la sovranità per la prima volta dal 1974» (anno della fine del regime dei “colonnelli” – ndr).


Il perché di questo riferimento alla sovranità è chiaro. Papandreou si appresta a varare un pesantissimo piano di risanamento, da presentare all’Unione Europea entro gennaio.


La Banca centrale europea (Bce) ha già fatto sentire la sua voce per bocca del presidente Trichet che ha espresso «fiducia che il governo greco prenderà nel futuro prossimo le misure coraggiose e necessarie che si impongono». Se l’Europa parla chiaro, ancora più dura è la Germania che ha una pesantissima esposizione finanziaria verso la Grecia (giova ricordare che sui 300 miliardi di euro dei titoli di stato greci, ben 200 sono in mano straniera). Il capo della Bundesbank, Weber, ha tuonato senza mezzi termini che la Grecia ha un anno per riportare sotto controllo i conti pubblici.


Ma l’ipotesi più grave, che pare circoli in ambienti dell’UE, sarebbe quella di mettere in mano la partita al Fondo monetario internazionale (Fmi), che notoriamente fornisce prestiti solo a fronte di tagli draconiani della spesa pubblica.


Il governo Papandreou respinge questa possibilità, ma è costretto ad invocare il rischio di perdere la sovranità nazionale proprio per far passare misure altrettanto impopolari benché decise ad Atene anziché a Washington.


La partita geopolitica...


In mezzo a questo bailamme di cifre, minacce, impegni ed incertezze si gioca anche un’altra partita.

A rilevarlo su La Repubblica del 10 dicembre è il direttore di Limes, Lucio Caracciolo.


Secondo Caracciolo la Grecia sarebbe una sorta di cartina di tornasole dei nuovi equilibri mondiali. Una prova per quello che viene chiamato G2 (il rapporto speciale Usa-Cina) ed in particolare per le ambizioni cinesi. Una prova per l’Unione Europea, che l’autore considera però sostanzialmente fuori dai giochi.


Di cosa si tratta in concreto? Pare che in questi giorni la linea telefonica Atene-Pechino sia caldissima, soprattutto quella tra gli uffici del governo

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greco e quelli di Bank of China. In ballo ci sarebbe la disponibilità cinese ad acquistare 25 miliardi di bond, sui 47 che Atene dovrà emettere nel corso del 2010. Per capire la portata di queste cifre basti dire che, in rapporto alla dimensione economica del paese, sarebbe come se l’Italia dovesse emettere titoli per circa 350 miliardi di euro!

La Cina dunque si offre, al posto di un’esangue Europa, per il salvataggio della Grecia. Ma questo, ovviamente, ha un prezzo. Secondo la ricostruzione di Caracciolo i cinesi punterebbero al controllo del porto del Pireo, oltre ad alcuni “bocconi buoni” nel settore industriale.


La cinese Cosco Pacific Ltd. gestisce già due moli del Pireo, ma un controllo più forte farebbe del porto greco il principale snodo d’accesso delle merci cinesi verso l’Europa. Per evidenti ragioni geografiche il Pireo risulterebbe infatti assai meno costoso rispetto a Le Havre, Amburgo e Rotterdam.


Il direttore di Limes ritiene anche che l’operazione cinese possa avvenire con la partecipazione di due banche americane, Goldman Sachs e JP Morgan. Come dire, tutto è possibile ma è escluso che sia l’Europa a giocare il ruolo principale.


...e quella sociale


Se la partita geopolitica è tuttora incerta, più sicuro è il massacro sociale che si sta preparando. Nel mirino, tra le altre cose, pare ci sia in particolare il sistema pensionistico.


La cosiddetta “generazione 700 euro”, cuore delle proteste dell’ultimo anno, verrà colpita ancora più pesantemente. Come reagirà? Come risponderanno i giovani che vedono ormai con chiarezza un futuro sempre più incerto?


Le oligarchie europee non lo dicono, ma la preoccupazione per una possibile esplosione sociale non è certo minore a quella di nuovi crac finanziari a catena. Da questo punto di vista la Grecia sarà probabilmente un laboratorio che aiuterà a comprendere cosa potrà avvenire altrove. Un piccolo laboratorio, certo, ma sicuramente indicativo dei sommovimenti sociali che stanno maturando nel continente.


A chi parla la Grecia?


L’importanza delle vicende di questi giorni va dunque ben oltre i confini della penisola ellenica. La Grecia parla all’Europa, specialmente ai paesi che più gli somigliano per situazione economica, contesto sociale e tradizioni politiche.


Sul versante del debito pubblico due paesi in particolare sono sotto la lente d’ingrandimento: la Spagna, il cui rating è in via di declassamento; e l’Irlanda, dove il governo ha deciso nei giorni scorsi tagli per 4 miliardi di euro alla spesa pubblica (l’equivalente di 60 miliardi, rapportati all’Italia), colpendo il welfare e riducendo i salari dei dipendenti statali.


Secondo la classificazione proposta dall’ultimo bollettino della Bce, tra i sedici paesi dell’eurozona ben otto sono da considerarsi a rischio elevato: Spagna, Grecia, Irlanda, Cipro, Malta, Olanda, Slovenia e Slovacchia. Altri sette sono invece classificati a rischio medio: Italia, Germania, Belgio, Francia, Lussemburgo, Austria e Portogallo. L’unico paese giudicato a rischio basso è la Finlandia.


Difficile valutare l’attendibilità di questa classifica, che ci dice comunque quanto sia delicata la situazione delle finanze europee.


In quanto alla situazione dei conti pubblici italiani, basta limitarsi ad un semplice raffronto con quelli greci per capire cosa ci aspetta. Se il rapporto debito/Pil di Atene è attorno al 125%, quello del nostro paese è ormai al 116%, mentre in termini assoluti il debito pubblico è circa 6 volte superiore a quello greco.


Non passerà molto tempo prima che si ricominci a parlare di austerità e sacrifici.


Sacrifici che verranno chiesti esclusivamente alle classi popolari, così come avvenne con le finanziarie per Maastricht degli anni ’90. Ma a differenza di allora c’è rimasta ben poca spesa sociale da spremere e quasi niente da privatizzare. La conseguenza sarà inevitabilmente un massacro sociale di proporzioni ben più pesanti.


E’ anche per questo che le oligarchie dominanti vanno preparando un nuovo governo che possa gestire una politica economica d’emergenza.


Questa volta, però, non si illudano troppo sulla pace sociale. Stanno tirando la corda da troppo tempo, e ad un certo punto potrebbe spezzarsi. Ce lo dicono tanti segnali. Del resto, se la credibilità della coalizione berlusconiana tende sempre più verso il basso, quella della classe politica che verrà chiamata a sostituirla non gode certo di maggior consenso.


Dopo tanti anni di letargia è probabile che il conflitto sociale riemerga in Italia ed in Europa. Anche di questo ci parla la Grecia. Anche per questo lorsignori non sono troppo tranquilli.

Fonte: http://www.reportonline.it/

14 dicembre 2009

L'UNIONE EUROPEA FA PRESSIONE SUL FMI PER TASSARE LE TRANSAZIONI FINANZIARIE

http://medias.cafebabel.com/789/thumb/-/-/789.jpg

L'Unione europea Venerdì ha aumentato la pressione sul FMI perchè prenda in considerazione le imposte a livello mondiale sulle transazioni finanziarie con l'obiettivo di limitare il rischio di un'altra crisi economica.

In una bozza che dovrebbe essere adottata il secondo giorno del vertice Ue, leader europei hanno anche sottolineato la necessità di un sistema finanziario "sano ed efficiente"
, ma non hanno sostenuto specificamente le petizioni britanniche di tassare i premi dei banchieri.

Durante l’ultimo giorno del summit i leader stanno anche discutendo su quanti soldi dare ai paesi in via di sviluppo nei prossimi tre anni per aiutarli a combattere gli effetti del riscaldamento globale.


Il Consiglio europeo sottolinea l'importanza del rinnovo del contratto economico e sociale tra le istituzioni finanziarie e la societàche servono a garantire che i benefici in tempi di abbondanza arrotondino il bene pubblico e siano protetti dal rischio”, secondo la bozza ottenuta da Reuters.

“Il Consiglio Europeo
incoraggia l’FMI a prendere in considerazione la copertura totale di tutte le opzioni, compresi i tassi di assicurazione, i fondi di salvataggio, il capitale contingente con un tasso complessivo sulle transazioni finanziarie”.

L’FMI sta studiando come limitare il rischio nel sistema finanziario dopo la crisi economica.


Il primo ministro britannico, Gordon Brown, ha chiesto che venisse considerata una tassa per le operazioni finanziarie in un summit del G-20 durante il mese scorso, ma si scontrò con l’opposizione del segretario del Tesoro degli USA, Timothy Geithner.


Poi, ha detto Brown queste procedure possono essere utilizzate per finanziare piani di salvataggio, il futuro, ma Geithner ha detto che Washington si era opposto alle imposte,
come una forma per non stimolare un comportamento bancario rischioso.

La cosiddetta Tobin tax potrebbe scoraggiare chi vuole speculare a breve termine, al fine di limitare il rischio di instabilità dei mercati finanziari.


Senza il sostegno mondiale, gli esperti dicono che sarebbe destinato al fallimento.


Il ministro dell'Economia francese Christine Lagarde, ha affermato la necessità di una stretta collaborazione evidenziando le difficoltà del gruppo dei 16 paesi che utilizzano l'euro.


“Siamo ad un punto decisivo per l’Europa e l’eurozona”, ha detto Lagarde ai giornalisti a Parigi, in risposta ad una domanda sui problemi di debito della Grecia.


“Questo è il punto delle discussioni che abbiamo oggi sul bisogno, la profondità
un migliore coordinamento delle politiche economiche”, ha detto.

La bozza non ha fatto riferimento alle petizioni del Regno Unito e della Francia per tassare i premi bancari
dopo i disordini alla notizia che i banchieri guadagnano ingenti somme di denaro, mentre alcune banche hanno dovuto essere salvate con il denaro dei contribuenti.

Nonostante questo, ha segnalato: “
Le politiche retributive nel settore finanziario, devono promuovere una gestione sana ed efficace dei rischi e dovrebbe contribuire a prevenire future crisi per l'economia”.

I leader speravano, però, di mettersi d’accordo sul finanziamento per i paesi in via di sviluppo per il riscaldamento globale nei tre anni prima a che qualsiasi patto internazionale entri in vigore.


Una fonte dell’UE ha detto che i paesi membri avevano promesso un totale di 1.800 milioni di euro annuali per aiutare i paesi in via di sviluppo durante un periodo di 3 anni, e un altro ha detto che il totale potrebbe essere fino a 2.100 milioni annuali.


Fonte:
http://www.iarnoticias.com/2009/noticias/europa/0571_ue_gravar_op_financ_11dic09.html

Traduzione per Voci Dalla Strada a cura di
Vanesa

13 dicembre 2009

COPENAGHEN E LE 3 APOCALISSI DEL SISTEMA

Scegliere la più conveniente...


Di Manuel Freytas

In tutti i summit sul “cambiamento climatico” come quello di Rio, Johannesburg, o l’attuale di Copenaghen, si parla solo di “impatto ambientale”, di “emissioni
inquinanti” che distruggono il pianeta, senza scavare nelle radici e la causalità del sistema capitalista che li produce. Questa omissione (complice e cosciente) permette di parlare della “vittima” (il pianeta e la maggior parte dell’umanità) senza identificare il “criminale” (i gruppi e le aziende capitaliste che concentrano attività e fortune personali depredando e distruggendo irrazionalmente il pianeta).

Nell’attuale disegno dell’
economia mondiale transnazionale” non sono (come prassi) nè i governi nè i paesi che decidono quanto si produce e per chi si produce su scala mondiale, ma le corporazioni e le banche transnazionali che hanno il controllo sulle tre strutture economiche basiche del sistema capitalista: La struttura della produzione, la struttura della commercializzazione e la struttura finanziaria.

Nel sistema capitalista (livellato come “civiltà unica”) la produzione e la commercializzazione di beni e di servizi (essenziali per la sopravvivenza umana), si trovano nelle mani di corporazioni private che controllano dalle risorse naturali (tutela
ambientale) fino ai sistemi economici produttivi (ambiente sociale) al di sopra della volontà dei governi e dei paesi.

Questo implica, in primo luogo, che
non sono gli Stati ma le aziende capitaliste (i padroni privati degli Stati) che decidono quando, come e dove( e senza nessuna considerazione strategica di impatto ambientale globale) installare una fabbrica o un conglomerato industriale inquinante orientato (prima di tutto) a produrre ricchezza privata al costo della distruzione del pianeta.

Nei “summit” come quello di Rio, Johannesburgo- per citarne alcune dei 14 che già sono stati realizzati- o l’attuale di Copenaghen (COP15), si parla solo di “impatto ambientale”, di “emissioni inquinanti” che distruggono il pianeta, senza approfondire sulle radici e le causalità del sistema che le produce.


Questa omissione (complice e cosciente) permette di parlare della “vittima”(il pianeta e la maggior parte dell’umanità) senza identificare il criminale (gruppi ed aziende capitaliste che concentrano attivi e fortune personali depredando e distruggendo irrazionalmente il pianeta)


I suoi relatori, gli scienziati e funzionari che “allertano” sulla catastrofe ambientale, non lo rapportano alla proprietà privata capitalista, con la ricerca di reddito e di concentrazione di ricchezza in poche mani, con la società del consumo e con
le multinazionali e le banche che controllano le risorse naturali ed i sistemi economici produttivi senza pianificazione ed orientati solo al guadagno privato in tutto il pianeta.

Il sistema capitalista,
come azione e come risultato è irrazionale, non pianificato e (salvo la ricerca di guadagno e di concentrare della ricchezza in poche mani) privo di logica strategica per preservare e proteggere razionalmente al pianeta dalla sua stessa azione depredatrice e distruttiva.

Quando un’azienda (sia locale o transnazionale) inizia un' opera industriale non comincia da uno studio sull’impatto ambientale che produce, ma da uno studio sul costo-beneficio commerciale e una proiezione assicurata di guadagno per i suoi azionisti.


Questo agire irrazionale(individualista e non pianificato) del sistema dominante è matematico ed ha un’azione-reazione emergente sull’economia, sull’umano e sull'ambiente che lo circonda.


L’irrazionalità (la non considerazione di effetti collaterali nocivi e/o distruttivi che possono emergere) trasforma le aziende capitaliste in predatrici dell' ambiente (fiumi, fauna compresi gli animali) per il semplice fatto che non agiscono seguendo interessi sociali generali (preservare il pianeta e le specie), ma la ricerca di interessi particolari (preservare il reddito e la concentrazione della ricchezza privata).


E la giustificazione sociale (creare “fonti di lavoro”) che usano risulta anche irrazionale, dato che
per “dare lavoro” non solo creano povertà in massa per lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, ma distruggono anche l’ambiente e le risorse naturali del pianeta per provvedere alla loro ricchezza e benessere economico per i pochi che integrano l’esclusiva piramide degli utili aziendali in alta scala.

Per quanto riguarda
la portata distruttiva, per effetto dell’irrazionalità, basti citare l’esempio dell’azienda di carta Botnia, in Uruguay: la transnazionale, dando come motivazione il “creare fonti di lavoro” a 300 persone, ha inquinando in 24 ore il Rio Uruguay, che divide l' Uruguay dall’Argentina e il cui corso d’acqua ha un impatto su tutto il sistema acquifero ed ambientale della regione. Riassumendo, i capitalisti di Botnia avvelenano tutta una regione per aumentare le fortune e le entrate degli azionisti privati delle aziende.

Questo spiega chiaramente perché a Copenaghen si parla degli effetti (la vittima) ma non delle cause (il criminale).


Di conseguenza, e a partire da questa distorsione iniziale, quelli che promettono “lotte e obiettivi” per salvare il mondo dalla catastrofe globale, sono gli stessi Stati ed aziende capitaliste che stanno causando (con il loro agire depredatore irrazionale) quello che già si proietta come un’Apocalisse naturale a tasso fisso.


Le tre Apocalissi.




Può il sistema capitalista (criminale) salvare la sua stessa vittima (il pianeta inclusi noi) da una catastrofe annunciata?

Potrebbe, ma prima dovrebbe rinunciare alla sua stessa natura: La produzione orientata solo all’accumulao di ricchezza in poche mani. Cioè, passare dall’economia irrazionale (con scopi privati) all’economia pianificata (con scopi sociali) che permetta una prevenzione ed un controllo planetario dell' ambiente.


Non
sognare: Se il sistema capitalista ferma la sua dinamica di reddito assicurato (più del 70% della produzione è orientata solo al consumo superfluo di chi può pagare), il pianeta scoppierebbe socialmente per la disoccupazione in massa e per il caos alimentare che causerebbe.

E se questo sistema non ferma la sua dinamica, il pianeta (in base alle proiezioni scientifiche) esploderà naturalmente per l' azione del cambiamento climatico.


Il sistema capitalista è fondato sulla matematica (somma e sottrazione) ed un assioma originale per costruire il plusvalore:
Comprare a basso prezzo e vendere caro. Anche se per questo deve condannare alla fame e alla povertà una massa maggioritaria (e crescente) di esseri umani e distruggere il pianeta che li contiene.

E le Tre Apocalissi
che stabiliscono i paesi emergenti e in declino (ma controllato) del sistema dominante arrivano anche per accumulazione matematica.

L’Apocalisse sociale arriva per l’accumulo matematico di
affamati, disoccupati e poveri su scala mondiale.
L’Apocalisse naturale arriva per l’accumulo matematico della distruzione dell' ambiente su scala planetaria.
L’Apocalisse nucleare arriva per accumulazione matematica dei conflitti militari (intercapitalisti) per la sopravvivenza delle potenze all'interno del sistema.

In questo scenario, l’Apocalisse non deve interpretarsi come una profezia o una teoria cospiratrice, ma come uno svolgimento logico di un processo di contraddizioni, di accumulazione e di un salto qualitativo determinato dalle stesse leggi che reggono l’azione storica del sistema capitalista.


Gli scienziati e funzionari che sono presenti al summit di Copenaghen, sono lì solo per l’accumulazione matematica dei discorsi (vuoti di concreto) che la stampa del sistema diffonde come se fossero parte di un campionato mondiale sportivo.


E il pianeta (con noi dentro ed in mano alla demenza del sistema capitalista) accumula solo Apocalissi matematiche implicite nella loro natura depredatrice e criminale.


Si tratta di riconvertire i piani biblici della Profezia: Dove dice “Dio” bisogna dire “Sistema” e dove dice “Diavolo” bisogna dire “Capitalismo”. Da ogni strada si arriva all’Apocalisse.


Lo prenda, se vuole, come uno scetticismo razionale, ma il risultato (come il sistema capitalista) è matematico: Resta solo da scegliere il viaggio che più le conviene.


Fonte:
http://www.iarnoticias.com/2009/secciones/contrainformacion/0090_apocalipsis_capitalista_08dic09.html

Tradotto e segnalato per Voci Dalla Strada da
VANESA

12 dicembre 2009

ARMI NUCLEARI IN EUROPA

Il legame transatlantico segreto della NATO

di Rick Rozoff


“Vent’anni dopo la caduta del Muro di Berlino, piloti olandese, belga, italiani e tedeschi continuano ad essere pronti per partecipare ad una guerra nucleare”


“Le forze nucleari con base in Europa e impegnate con la NATO
forniscono un collegamento essenziale politico e militare tra i membri europei e americani dell'Alleanza. L' Alleanza quindi manterrà forze nucleari adeguate in Europa”.

“Anche se tecnicamente sono proprietà degli USA, le bombe nucleari conservate nelle basi della NATO sono destinate ad essere lanciate da aerei del paese ospitante”.


“Il dipartimento della Difesa, in coordinazione con il Dipartimento di Stato, dovrebbe coinvolgere gli alleati della NATO nella rivalutazione e conferma del ruolo delle armi nucleari nella strategia politica dell’Alleanza per il futuro”.

11 dicembre 2009

VENTI DI GUERRA SUL CONTINENTE


di Andrea Necciai
«NuestrAmérica», dicembre 2009.


La presenza militare Usa in America Latina rilancia la corsa agli armamenti e il rischio di nuovi conflitti.


In America Latina numerosi e importanti processi politici stanno determinando un graduale calo del consenso neoliberale e pro-statunitense. Dal socialismo bolivariano di Chavez in Venezuela al pragmatismo del Brasile di Lula, sono sempre di più i governi dell’area che cercano uno spazio comune di integrazione e una maggiore autonomia, anche grazie al recupero della piena sovranità sulle risorse naturali ed energetiche. La via delle nazionalizzazioni seguita da alcuni governi, la diminuita influenza del Fondo Monetario Internazionale sulle economie degli Stati, il rifiuto dell’ALCA (Area di Libero Commercio delle Americhe) stanno a testimoniare come gli Stati Uniti, in appena dieci anni, abbiano perso buona parte della loro leadership sul Nuovo Continente. E per questo - c’è da temere - potrebbero affidarsi a strategie più “efficaci”.


Anche dopo l’arrivo di Barack Obama alla Casa Bianca, la politica estera degli Usa nei confronti dell’America Latina ha continuato a rivelarsi ottusa e aggressiva, senza alcuna differenza sostanziale, se non nella forma, rispetto alle tattiche guerrafondaie dell’era di G.W. Bush. Secondo il politologo statunitense Noam Chomsky, “l’unica differenza tra le amministrazioni passate e quella attuale, è lo stile retorico. Obama è politicamente corretto,
si rivolge agli altri governanti come a dei leaders, anche se nei fatti continua a trattarli come dei vassalli degli Stati Uniti”.

Il punto più criticabile della nuova “dottrina Obama” è lo sforzo per
accelerare una nuova militarizzazione nell’area latinoamericana, partendo dal rafforzamento delle basi militari in Colombia (con il solito pretesto della lotta al narcotraffico) e dal ripristino della IV Flotta, le cui unità da guerra dall’anno scorso hanno ripreso ad incrociare nelle acque dei Caraibi e dell’Atlantico dopo quasi 60 anni di inattività.

La concessione di 7 basi militari colombiane all’esercito degli Stati Uniti ha trasformato il presidente Uribe, il più fedele alleato della zona, in un luogotenente imperiale. Non si deve dimenticare che questo Paese, nell’ambito del Plan Colombia, ha già accumulato in soli dieci anni aiuti militari per più di 6 miliardi di dollari. Ora, in virtù dei nuovi accordi con la Colombia, il South Command (che comprende tutte le forze statunitensi e congiunte nell’area latinoamericana) può contare su 20 basi militari avanzate; inoltre i suoi soldati godono della tutela di una giurisdizione speciale che non li rende responsabili nei casi di lesa umanità o di abusi ai danni delle popolazione civili.
Come era naturale aspettarsi, alla rinnovata ingerenza militarista degli Usa ha fatto seguito un coro di vibrate proteste da parte di Venezuela, Ecuador, Bolivia, Paraguay, Nicaragua, Argentina, Uruguay e Brasile. Il presidente Lula ha incolpato Uribe di aver trasformato le Ande in una polveriera pronta a scoppiare da un momento all’altro; Correa (Ecuador) ha invece affermato – senza mezzi termini – che il presidente colombiano “ha le mani sporche di sangue” (alludendo all’incursione contro l’accampamento delle FARC, compiuta dalle forze speciali colombiane a Sucumbios, in territorio ecuadoriano, lo scorso anno). Gli altri mandatari si sono invece limitati a far osservare che l’installazione di basi straniere nei loro territori equivale ad una grave violazione della sovranità nazionale.

Di fronte alla decisione nordamericana di rafforzare la presenza militare nella regione andina, un po’ tutti i governi della zona hanno reagito aumentando, a loro volta, le spese in armamenti. Negli ultimi 5 anni - oltre alla già citata Colombia - Brasile, Ecuador, Cile e Venezuela sono stati i maggiori compratori di armi e sistemi di difesa. Il Brasile, in particolare, è la nazione che da sola investe in armamenti circa il 50% della spesa complessiva di tutta l’America Latina. Ma se si analizza questo dato in rapporto al PIL, si scopre che il vero primato spetta ad altri. Sono infatti Colombia e Cile a destinare alle spese militari tra il 3 e il 4% del loro Prodotto Interno Lordo (secondi solo agli Usa, con oltre il 4%); mentre il Venezuela chavista, che colombiani e nordamericani considerano un pericolo per la pace e la stabilità della regione, stanzia “solo” l’1,3% del PIL per la difesa del suo territorio.*

Nel corso degli ultimi mesi la tensione tra Colombia (da una parte) e Venezuela ed Ecuador (dall’altra) è salita alle stelle. Esiste il fondato sospetto che funzionari statunitensi dei servizi di sicurezza cospirino per indebolire il governo di Caracas mediante espedienti diplomatici e militari, come l’infiltrazione di agenti segreti e di unità paramilitari nelle zone di frontiera.

Il mese scorso le autorità venezuelane hanno annunciato la cattura di alcuni agenti del DAS (Dipartimento Amministrativo di Sicurezza, il servizio segreto colombiano), inviati nel Paese limitrofo ad effettuare operazioni di ricognizione e di spionaggio sulle Forze Armate Nazionali Bolivariane del Venezuela. Da parte colombiana (e statunitense), l’intento di queste operazioni segrete potrebbe essere quello di saggiare le difese di confine per prepararsi - all’occorrenza - a scatenare un’offensiva militare contro il Venezuela e i suoi alleati dell’ALBA, la pericolosa ”Alleanza Bolivariana per le Americhe”.

*Fonte: Istituto di Ricerca Internazionale per la Pace di Stoccolma (dati 2007/2008).

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IL MIRAGGIO DI OBAMA

10 dicembre 2009

GRECIA A FERRO E FUOCO


Di fronte a 50 dipartimenti universitari occupati la soluzione che il nuovo governo socialista riesce a dare è “tolleranza zero” per i manifestanti e l'annuncio di 13000 poliziotti a presidiare Atene durante le commemorazioni di Alexandros Grigoropoulos.

Per comprendere meglio questo fine settimana ellenico bisogna ricordare che
la crisi economica si è manifestata chiaramente ai greci. La disoccupazione non cessa a diminuire e trovare un part-time in un ristorante è tanto difficile quanto ottenere un posto fisso. Tra quella ufficiale e quella nascosta, la disoccupazione colpisce quasi una persona su cinque. Dati allarmanti a cui vanno aggiunti i problemi macroeconomici legati alla difficile situazione delle banche e quelli dovuti al titanico debito pubblico. Una situazione talmente chiara e tanto grave che non si può nascondere né all'opinione pubblica né, tanto meno, ai giovani e agli studenti; uno scenario tanto problematico per cui Eppure la storia si ripete con precisione visto che la classe politica non potrebbe più nascondersi dietro le colonne del parlamento.il potere politico sceglie la via più semplice e più ceca: la via della repressione.

Il venerdì che ha preceduto le commemorazioni il Ministro per la Pubblica Sicurezza Chrisochoïdis ha affermato che “Atene non sarà consegnata alla violenza” e ha aggiunto “non tollereremo atti di terrore nella città”. Ma è passato troppo poco tempo per non ricordare cosa è successo in quel vicolo pedonale poco sopra la piazza di Exarchia. Il terrore è quello in cui si sveglia ogni giorno la generazione di Alexandros perchè alla disoccupazione e allo smantellamento dei beni comuni si aggiunge un altro pugno nello stomaco da sopportare. Nel tempo che scorrerà da un anniversario all'altro, la generazione di Alexandros dovrà trovare la forza per non dimenticare l'uccisione brutale di un proprio coetaneo. Un adolescente che a volto scoperto gridava il proprio dissenso. Tra sabato e domenica, ad un anno di distanza da quella tragica sera, sono scese in piazza migliaia di persone in tutta la Grecia: Lamia, Volos, Arta, Giannina, Salonicco, Preveza, Argo, Sparta, Karditsa, Kallithea, Patrasso, Xanthi, Corfù, Irakleio, Larisa, Mitilini e Atene sono state attraversate da cortei rabbiosi.

E' con la sua memoria e con le ombre a mezzogiorno che i giovani non smettono di lottare e ricordare. Ma nel frattempo la repressione non si ferma e in riferimento alla giornata di domenica il partito Syriza ha parlato di violenza inaudita della polizia, mentre il Ministro Chrisochoïdis si è complimentato in serata per le operazioni delle forze dell'ordine: 41 arresti a Keratsini, quartiere a Nord-Ovest del Pireo, 33 arresti per gli episodi di domenica mattina ad Omonia, nel centro di Atene, ed 8 arresti nell'irruzione della polizia dentro l'Università Aristotele di Salonicco grazie all'autorizzazione del rettore.Intanto ad Exarchia e nei dintorni del Politecnico continuano i lanci di molotov e i fronteggamenti tra polizia e manifestanti. La lotta continua, l'eterno ritorna.


Fonte: http://www.reportonline.it/

COMMERCIO DEL CARBONIO: L' ACQUISTO DEL DIRITTO DI INQUINARE


di Carmelo Ruiz Marrero


Inquinare senza preoccupazioni. Contribuire al riscaldamento globale e al “disastro che il cinema anticipa” senza che l' immagine corporativa si veda colpita. Già ci sono aziende che vi vendono grandi quantità di carbonio, equivalenti agli inquinanti che disperdono nell’atmosfera.


IL RISCALDAMENTO GLOBALE ha dato luogo ad un nuovo tipo di commercio: il commercio del carbonio. Questa nuova attività consiste nell’acquisto e nella vendita di “servizi ambientali”. Tali servizi, che includono la rimozione dei gas che causano l’effetto serra dell’atmosfera, sono identificati ed acquistati da aziende di eco- consulenza e dopo venduti ad individui o corporazioni per “compensare” le loro emissioni inquinanti. Alcune ONG e aziende “ecologiche” favoriscono il commercio del carbonio e lo vedono come la soluzione nella quale tutti vincono, che concilia la tutela dell’ambiente
con l'imperativo del profitto capitalista. Ma ci sono ambientalisti e organizzazioni di base che sostengono che questo commercio non è una soluzione al riscaldamento globale dato che non prestano attenzione alle cause del problema.

Funziona in questo modo: un' azienda di eco-consulenza fa un’eco- assistenza ad un cliente e arriva ad un calcolo presumibilmente esatto di quanto carbonio
rilascia nell'atmosfera con le sue attività. Il carbonio è il denominatore comune di tutti i gas inquinanti che causano il riscaldamento globale. L' azienda cerca in tutto il mondo servizi ambientali che possano compensare le emissioni dei loro clienti. Questi servizi sono di solito boschi e progetti di semina di alberi e sono conosciuti come serbatoi di carbonio (gli alberi rimuovono carbonio dall’atmosfera e lo fissano “sequestrandolo” nel loro legno).

Usando una varietà di metodologie, l’agente dei servizi ambientali arriva ad un calcolo di quanto carbonio "sequestra" un somministratore particolare, gli assegna un valore monetario e lo vende a qualcuno dei suoi clienti. Il cliente allora può sottrarre dal suo conto la quantità di carbonio "sequestrata" dal somministratore che ha comprato.
Quando un cliente possiede sufficienti somministratori per compensare tutte le emissioni si può vantare di non inquinare. Il commercio del carbonio ha l'approvazione dal Gruppo Intergovernativo degli Esperti sul Cambio Climatico (IPCC), prestigioso corpo scientifico che consiglia la Convenzione sul Cambiamento Climatico ed è anche autorizzato dal Meccanismo dello Sviluppo Pulito (MDL) del Protocollo di Kyoto, accordo internazionale per affrontare la minaccia del riscaldamento globale. Contrario a quanto molti ecologisti credono, il Protocollo non contempla realmente le soluzioni sostanziali nelle emissioni di gas inquinanti. Impegna i paesi industrializzati a riduzioni di solo un 5,2 % sotto i livelli di quell’anno. Tuttavia, l'IPCC ha avvertito che per evitare una catastrofe globale queste riduzioni dovrebbero essere del 60% rispetto ai livelli del 1990. IL MDL è uno dei tre meccanismi “flessibili” del mercato nel Protocollo. Gli altri due sono il commercio delle emissioni, nel quale i paesi industrializzati commerciano tra di loro permessi per inquinare, e l’Implementazione Congiunta, nella quale i paesi industrializzati finanziano progetti di mitigazione del cambiamento climatico nell’antico blocco ex-sovietico.

I partecipanti al commercio di carbonio includono:
  • Imprese che forniscono consulenza e intermediazione dei serbatoi di carbonio, come EcoSecurities, NatSource, Co2.com e Climate Change Capital.
  • Società dedicate a "validare" e "verificare" la quantità di carbonio fissato o sequestrato da parte dei "serbatoi", come Det Norske Veritas e Societe Generale de Surveillance, entrambe europee.
  • Organismi delle Nazioni Unite, come il Programma per lo Sviluppo (UNDP) e il Programma Ambientale (UNEP), che aiuta le corporazioni ad indagare ed avere nuovi somministratori.
  • Organizzazioni ambientaliste, come la statunitense World Resources Institute e l’ Environmental Defense
  • Istituti bancari multilaterali come la Banca Mondiale, che ha stabilito il Fondo Prototipo di Carbonio.
  • Climate Care e Future Forets, entrambe in Inghilterra, sono enti privati che hanno avuto la principale voce in capitolo a favore del commercio del carbonio attraverso il dispiegamento di grandi campagne pubblicitarie. Climate Care è un gruppo no-profit che vende serbatoi di carbonio ad individui e imprese ed usa il denaro per investire in progetti ecologici come la protezione della vita silvestre in Uganda, efficienza energetica nell’isola Mauritius nell’ oceano indiano, e microaziende in Bulgaria. I clienti di Climate Care sono per la maggior parte agenzie di viaggi ed ecoturismo, come l’ Ecotours, Whale Watch Azores e Nature Trek.
  • Future Forets, azienda con fini pecuniari, dice nella sua pagina web : "Noi ti aiutiamo a vedere Quanto CO2 (anidride carbonica) viene prodotto dalle attività che realizza, e suggeriamo i modi in cui può ridurre quelle emissioni. Quello che non potrà ridurre, noi lo possiamo neutralizzare (o compensare), piantando alberi che riassorbano CO2 o investendo in progetti che riducano le emissioni di CO2, come quelli che usano risorse di energia rinnovabile”. I clienti di Future Forest includono celebrità come i Pink Floyd, Simple Red, Kitaro, il cineasta Ridley Scott, e corporazioni come la Fiat, Mazda, Volvo, la catena di hotel Marriott, BP, Price Waterhouse Coopers, Warner Brothers e Harper Collins.
Alcuni ecologisti credono che il commercio del carbonio ed il concetto di servizi ambientali non fermano veramente il riscaldamento globale. A maggio del 2004 vari gruppi hanno pubblicato un comunicato contro Climate Care e Future Forests, protestando contro quello che considerano una “propaganda ingannevole” da parte di queste aziende.

Heidi Bachram, del Carbon Trade Watch, ha dichiarato: “Ci preoccupa che queste compagnie stiano indirettamente ostacolando la vera soluzione al riscaldamento globale,
che è quello di ridurre e poi smettere di bruciare combustibili fossili... L’idea che la gente possa bruciare combustibili fossili e piantare alberi per pulire il diossido di carbonio risultante è semplicemente sbagliata. Questa falsa “soluzione” continuerà solo a mantenere l’estrazione di petrolio e del carbonio invece di passare ad energie pulite”.

"Affermare che una tonnellata di carbonio immagazzinato negli alberi è la stessa di una tonnellata di carbonio fossile ignora i concetti più elementari del ciclo naturale del carbonio", ha detto Jutta Kill, che è a capo Sinkswatch.
“C’è una grande controversia scientifica riguardo a quanto diossido di carbonio può emettere nell’aria una piantagione di alberi e per quanto tempo. C’è una differenza tra il piantare alberi, di cui beneficia il clima, e piantare alberi come parte di un programma che sancisce che si continui a bruciare combustibili fossili, di cui non beneficia il clima”, ha sostenuto Mandy Haggith, di Worldforests.

“La vera soluzione è la conservazione dell’energia, la riduzione del consumo, un uso delle risorse più equitativo, e la distribuzione di fonti energetiche a basso impatto, pulite e rinnovabili”, ha dichiarato il
Movimento Mondiale per i Boschi Tropicali, che è molto critico sul MDL e sull’uso della fornitura di carbonio. “Anche se è quasi un’ovvietà dirlo, la volontà politica dei governi sarà necessaria. Questa è scarsa, e quando esiste, si deve scontrare con interessi molto potenti ed implacabili”.

Fonte:
http://www.ecoportal.net/Contenido/Temas_Especiales/Cambio_Climatico/Comercio_de_Carbono._La_Compra_del_Derecho_a_Contaminar

Traduzione per Voci Dalla Strada a cura di
VANESA

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COPENAGHEN NON INVERTIRA' IL CAMBIAMENTO CLIMATICO
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