9 ottobre 2009

COSA ACCADRA' ALLA MONETA USA?

Gli stati produttori di petrolio negano la sostituzione del dollaro



In uno scenario di voci crescenti che hanno fatto cadere la divisa statunitense, le grandi nazioni produttrici di petrolio hanno smentito, martedì, un' informazione pubblicata dal giornale britannico per il quale gli stati arabi stanno realizzando negoziazioni segrete con la Russia, Cina, Giappone e Francia per sostituire il dollaro con un paniere di divise nel commercio del petrolio.

Il dollaro statunitense è arretrato dopo la versione lanciata dal giornale britannico The Indipendent che citava fonti “non identificate” negli stati del golfo e fonti bancarie cinesi a Hong Kong.

The Indipendent ha scritto che la proposta segnalava che il commercio del petrolio sarebbe cambiato nel giro di nove anni in un paniere di valute, tra cui ci sarebbe stato lo yen giapponese e lo yuan cinese, l’euro, l’oro e la nuova moneta unificata per le nazioni nel Consiglio di Cooperazione del Golfo, al quale appartengono l’Arabia Saudita e il Kuwait.

“Sono state condotte riunioni segrete da parte di ministri della Finanza e governatori delle banche centrali in Russia, Cina, Giappone e Brasile per lavorare al piano, e questo significherà che il petrolio non sarà quotato in dollari”, ha detto la versione del giornale britannico, aggiungendo che anche la Francia è stata coinvolta nei colloqui.
The Indipendent ha rilevato che le autorità statunitensi erano al corrente delle riunioni, ma che non avevano informazioni sui dettagli e sicuramente “lotteranno contro questo complotto internazionale”.

Ma alte cariche saudite e russe che hanno partecipato ad una riunione del FMI ad Istanbul, hanno negato che ci siano state simili negoziazioni.

Muhamad al Yaser, presidente della banca centrale dell’Arabia Saudita, ha detto che la notizia uscita sul giornale britannico è “assolutamente non corretta”. Quando i giornalisti gli hanno chiesto se il suo paese era coinvolto in affari di questo tipo, ha risposto allo stesso modo.

Il viceministro della Finanza della Russia, Dmitry Pankin, ha detto “ Non abbiamo assolutamente discusso di questo.”

Il ministro algerino delle Finanze, Karim Djudi, ha dichiarato a Reuters: “I paesi produttori del petrolio hanno bisogno di stabilizzare le loro entrate, ma (….) non vedo la necessità per il commercio del petrolio che sia espresso in modo diverso”.

Il governo giapponese ha detto che non era a conoscenza delle trattative per porre fine l'uso del dollaro nel commercio del petrolio.

La possibilità di cambiare il commercio del petrolio dalla sua quotazione in dollari statunitensi è stato affrontato sporadicamente negli ultimi anni, ma analisti ed esperti dicono che è poco probabile che avvenga presto.

“Non credo che vedremo azioni a partire da tali discussioni perché anche quando il dollaro è debole, non significa che le materie prime siano svalutate” ha detto David Moore, analista di materie prime del Commonwealth Bank of Australia.

“Di fatto, quando il dollaro si indebolisce, i prezzi delle materie prime tendono ad incrementarsi per una proporzione più alta”, ha affermato.

La Russia ha posto la questione pubblicamente di fronte alla debolezza e la volatilità della divisa statunitense, che è stata compromessa dagli enormi deficit di bilancio e commerciali degli Stati Uniti.

L’Iran ha cominciato a quotare la maggior parte delle sue esportazioni di petrolio in divise diverse dal dollaro, specialmente in euro, da molti anni, ma il prezzo attuale del suo combustibile è stabilito con la moneta statunitense.

Il dollaro statunitense scendeva martedì, dopo che era stato diffuso l’articolo su The Indipendent, mentre gli analisti si mostravano cauti prima di dargli troppa importanza, specialmente considerato il tempo di transizione di nove anni. Nel frattempo, il prezzo del petrolio è salito sopra i 71 dollari al barile.

Nonostante le smentite, il problema sembra essere ricorrente in diversi scenari, tra cui Istanbul, dove si svolge la conferenza annuale dell' FMI.

Lì il presidente della Banca Mondiale, Robert Zoellick- che è stato sottosegretario di Stato degli Usa, ha detto di credere che il dollaro non sarebbe stato in futuro la moneta dominante.

“Il dollaro, l’euro, lo yuan remibi formeranno un paniete di monete. Il mondo sarà differente. E la recessione ha accelerato questo processo”, ha detto.

Cosa succederà al dollaro?

Per il Wall Street Journal, il dollaro potrebbe continuare a cadere nelle prossime settimane con gli investitori che scommettono che altri paesi aumenteranno il tasso d'interesse prima della Federal Reserve, e questo impulsa il ritorno su queste monete.

La caduta del dollaro è peggiorata nel terzo trimestre che è appena finito man mano che le economie del mondo hanno mostrato segni di recupero ed gli investitori hanno trasferito il loro denaro a alternative più rischiose alla ricerca di ritorni più alti.

Durante il terzo trimestre, la divisa statunitense ha perso il 4,1% del suo valore contro l’euro e il 6,8% contro lo yen giapponese, quando ha raggiunto il suo livello più basso dalla fine di gennaio.

Per mesi, il dollaro ha avuto la tendenza a scendere dopo che si sono annunciate notizie positive, che gli speculatori hanno interpretato come il segnale che era ora di abbandonare rifugi sicuri come la moneta statunitense e andare alla ricerca di investimenti più rischiosi e redditizi.

Tuttavia, le promesse delle autorità politiche e monetarie di continuare a stimolare l'economia per sostenere la ripresa hanno convinto gli investitori che gli Stati Uniti non alzeranno i tassi di interesse a breve.

Gli sforzi del governo statunitense di iniettare denaro nell’economia ha permesso di ridurre considerevolmente il costo dei prestiti in dollari, in un momento in cui gli attivi statunitensi offrono dei ritorni scarsi.

La stessa debolezza del dollaro, però, potrebbe aiutare a frenare la sua caduta prima della fine dell’anno, pronosticano analisti ed investitori.

La caduta del dollaro, per il Journal, potrebbe cominciare a invertirsi se la moneta cade troppo: alla lunga, i responsabili delle politiche monetarie dell’Asia e dell’Europa potrebbero cominciare a lamentarsi della debolezza della moneta USA che danneggia la loro capacità d’esportare beni negli Stati Uniti.

Se l’euro e lo yen continuano a rafforzarsi, per esempio, il prezzo delle esportazioni europee e asiatiche aumenteranno di costo nei mercati internazionali.

“E’ possibile che ci siano ancora delle difficoltà, ma si potrebbe dire che la caduta del dollaro ha raggiunto il suo limite”, secondo l’opinione di Alan Wilde, direttore del reddito fisso e valuta estera al Baring Asset Management, a Londra.
Gli analisti concordano sul fatto che il dollaro è una moneta chiave per il commercio internazionale. Molti paesi realizzano le loro transazioni commerciali in dollari non solo negli USA, ma anche in altri paesi.

Esiste anche il rischio che l’aumento dei tassi d’interesse superiori a quanto previsto, o un' importante crisi nei mercati emergenti, attirino gli investitori di nuovo verso dollaro nei prossimi mesi. “Ci troviamo quasi alla fine della partita” dice Stephen Jen, direttore gerente nel BluGold Capital Management LLC, in relazione alla traiettoria del dollaro. “Raccomando di agire con cautela”.

Per il Financial Times “coloro che firmano per la caduta del dollaro affrontano un paradosso. Se il dollaro statunitense va a picco, difficilmente lo farà da solo. Quando l’anno scorso è scoppiato il panico in tutto il mondo, gli investitori si rivolsero alla moneta del paese con la democrazia stabile e più ricca. Non hanno richiesto renminbi o rupie. Gli stessi problemi che preoccupano coloro che vedono la caduta totale del dollaro potrebbero finire per essere i motivi per investire nella divisa”.

E c’è una spiegazione del perché una caduta del dollaro trascinerebbe con se tutto il sistema:

  • Il dollaro è implicato nell' 86% dei $3,2 miliardi di transazioni giornaliere di divise nel mondo, spesso come un passaggio intermedio per lo scambio con altre divise, a quanto afferma la Banca Internazionale di Pagamenti. Anche se questo costituisce una discesa in relazione al 90% che rappresentava nel 2001, nessuna divisa si avvicina a tanto.
  • Quasi due terzi delle riserve delle banche centrali del mondo sono denominate in dollari, nonostante la paura che si produca un esodo in massa della divisa. L’Euro rappresenta circa una quarta parte, un aumento del 18% rispetto al 1999, quando venne introdotto, ma meno della partecipazione delle sue divise anteriori al 1995. Dato che gli USA sono dei soci commerciali così importanti per tanti paesi, non è facile diversificare le riserve delle banche centrali.
Fonte: http://www.iarnoticias.com/2009/secciones/norteamerica/0097_niegan_sustitucion_dolar_06oct09.html

Tradotto per Voci Dalla Strada da VANESA

8 ottobre 2009

ORDINAMENTO MENTALE: LA GUERRA DEI BRANCHI

In questo scenario, segnato dalle antinomie escludenti della sinistra e della destra, noi, di IAR Noticias, stiamo cercando di stabilire il nostro proprio ordine mentale per mettere ogni pezzo al suo posto.

“Collochiamoci nell’ “arco ideologico” del nuovo ordine mondiale: La “ sinistra” (come sempre) è in guerra contro la “destra”. Ma questa guerra, differisce sostanzialmente da quella disputata durante la “guerra fredda” tra la Russia ( la sinistra internazionale” e il blocco occidentale USA- Europa ( “la destra internazionale”).


A quell’epoca si trattava di una “ guerra tra sistemi”, economici, politici e militari differenziati che si contendevano il pianeta diviso in aree d’influenza. Al di sotto di questa guerra, partiti politici e organizzazioni rivoluzionarie definivano una frontiera di guerra della “destra” contro la “sinistra”, in termini di “difesa del sistema” ( la “destra”) o di “cambio del sistema” (“la sinistra”).


Di conseguenza, il confronto era ideologico, economico, politico e militare, cioè di natura totalizzata e strutturale. Sotto l’ombrello della “guerra fredda” USA-URSS, in Asia, Africa e America Latina, la “sinistra” lottava in modo totalizzante contro la “destra” che controllava il potere economico, il potere politico e il potere militare, cioè, lottava per distruggere lo Stato capitalista e le sue istituzioni che lo sostenevano. Chi vinceva eliminava l’altro, e viceversa.


Il quadro operativo e strategico si definiva per l’oggetto cercato: La sinistra voleva eliminare alla radice il sistema capitalista ( cioè la “ destra”) della proprietà privata e sostituirlo con un altro sistema di tipo sociale ugualitario e senza lo sfruttamento dell’uomo per l’uomo. E la “destra” voleva tutto il contrario: distruggere la sinistra per preservare il sistema capitalista.


Questa guerra di “sistemi” della “destra”- il sistema- contro la “sinistra”-l’antisistema- dove si affrontavano chi voleva l’ “uomo nuovo” della rivoluzione e chi difendeva lo status quo dell’ “uomo vecchio” del sistema capitalista, ha vissuto un cambio qualitativo, un salto trasformazionale storico, quando il capitalismo finì con il sistema socialista dell’ URSS negli anni 90.


Collassato il sistema socialista dell’ URSS e lo schema dell’ordine mondiale “bipolare”, il sistema capitalista è sparito in un ordine internazionale “unipolare” con gli Stati Uniti come potenza reggente. Nel vertice del triangolo, finì la “guerra tra i sistemi”, ed iniziò la “ guerra inter-sistema” con le potenze mondiali in competizione tra di loro per aree d’influenza ( geopolitica, militare ed economica) e senza rompere l’ordinamento internazionale del sistema capitalista.


In questo nuovo scenario, emergente dopo la fine della “guerra tra i sistemi”, la “guerra della sinistra contro la destra” ha anche sperimentato un salto qualitativo e trasformazionale.


Il teatro del confronto è sopravissuto ma la sua cornice ha cambiato il contenuto dottrinario e degli obiettivi strategici. La “nuova sinistra” e la “nuova destra” non combattono militarmente da poli differenziati e escludenti (sistema e antisistema) ma si disputano una guerra politico-ideologica convivendo dentro uno stesso sistema.


Nella nuova cornice di disputa, la “sinistra” e la “destra” non sono più nemici escludenti (rivoluzione vs controrivoluzione) ma rivali politici-ideologici che convivono e competono per il controllo dello Stato capitalista. Il teatro del confronto non è più economico–politico -militare , ma ideologico–politico-elettorale dentro norme fissate per preservare il sistema dominante.


La polarizzazione ideologica, non si definisce più per una guerra per lo sterminio di uno o di un altro (sistema vs antisistema) ma per una competizione stabilita nell’ordinamento (e le regole) della “governabilità” , la “stabilità” e la “pace sociale” del sistema capitalista.


La “sinistra” e la “destra” non fanno più le loro guerre in scenari clandestini asimmetrici della lotta armata, o in quadri sociali di scioperi e conflitti violenti, ma lo fanno attraverso le mobilitazioni pacifiche e dei processi elettorali inquadrati nella “legalità” del sistema.


Svuotata dal suo contenuto di “antisistema”, oggi la sinistra continua ad essere in guerra contro la “destra”, non per distruggere lo Stato capitalista ma per averne il controllo al suo posto. La “nuova sinistra” ha ribaltato il quadro ideologico- dottrinario. Non combatte strutturalmente contro la “destra” per distruggere al sistema capitalista, ma per “trasformarlo” (riformarlo senza toccare la sostanza essenziale del sistema della proprietà privata e del dominio dell’uomo sull’uomo).


In termini dottrinari, la nuova “sinistra” (nella sua espressione governativa) non lotta contro la “destra” per sostituire lo Stato capitalista, ma lotta contro la “destra” per “ socializzare” il sistema capitalista dall' interno senza toccare le sue strutture storiche di dominio e potere.


In altre parole, competere con la “destra” per presiedere la politica senza distruggere l' “ordinamento economico” (sistema economico- produttivo controllato dal capitale privato), l’ordinamento politico (Stato capitalista controllato da gruppi e corporazioni capitaliste) e l’ “ordinamento sociale” (valori basati sull’individualismo e la società del consumo).


Dentro di questo nuovo schema di polarizzazione “sinistra” vs “ destra”, la guerra non si definisce più per la “mutua distruzione” assicurata ma per la ricerca di una posizione dominante dentro uno stesso ordine economico, politico, militare e sociale stabilito.


Finita la guerra politico–elettorale, la “sinistra”, sia quanto la “destra”, difendono gli stessi valori istituzionali del sistema capitalista: “ordine democratico”, “ stato di diritto” e “ pace sociale”, con sostentamenti basici della preservazione dello Stato e della società capitalista della proprietà privata.


E questo, a sua volta, spiega la nuova cornice di alleanze internazionali. La “nuova sinistra” non si appoggia ad un sistema mondiale alternativo al capitalismo (come lo era l’Unione Sovietica) ma ad alleanze internazionali con partiti o governi di “sinistra”, sia dei paesi imperialisti centrali come del mondo periferico o emergente.


E questo, a sua volta, giustifica l' alleanza della “sinistra governativa” latinoamericana con Obama e il Dipartimento di Stato degli USA, contro la “destra” dell’Honduras che realizzò il colpo di Stato con il sostegno dei conservatori della “destra” statunitense.


Nella sua guerra per aree d’influenze dentro dello stato capitalista , sia la “sinistra” che la “destra” mantengono una coincidenza basica: Il sostenimento del “sistema democratico” come quadro dell’ordinamento essenziale per risolvere i loro conflitti per il potere interno.


Tutti e due, “sinistra” e “destra” , coincidono con il rifiuto della “lotta armata” e dei “conflitti violenti”, rifiuto che il sistema richiede per mantenere le sue strutture economiche, politiche e militari senza alterazioni.


Precisamente, questo “ordine” stabilito era minacciato dalla “sinistra antisistema” militarizzata della “guerra fredda”, e la risposta alla sua azione erano i colpi militari della “destra” sostenuti dagli Stati Uniti.


In questo nuovo quadro di scontro (stabilito dalla guerra politica – elettorale), la “nuova sinistra” (a differenza della sinistra della guerra fredda) non lotta contro l’Impero capitalista come totalità strategica e funzionale, ma lotta per trasformarsi in alternativa alla “destra” di questo stesso sistema.


Riassumendo, il sistema capitalista unipolare (con gli USA come potenza reggente) non soltanto ha finito con il conflitto “tra sistemi” a livello internazionale, ma ha anche finito con la “sinistra antisistema” integrandola come alternativa di governo alle sue strutture di dominio del mondo.


E già esistono laboratori sperimentali di processi sociali e politici con esperienza in gestione della “nuova sinistra” a capo del Sistema capitalista.


Nella sua tesi teorica liminare, la “nuova sinistra” (come detto da Chàvez) si prefigge di socializzare il capitalismo senza guerre militari nè prese del potere, con lo stesso strumento (lo Stato) che usa il capitalismo per fare l’opposto: Concentrare ricchezze e proprietà private in poche mani portando la maggior parte della popolazione alla povertà e ad essere esclusi socialmente.


Questa teoria presuppone che il sistema capitalista ( la cui essenza storica è la concentrazione della ricchezza in poche mani) potrebbe all’improvviso riconvertirsi in “socialista” con i multimilionari rinunciando passivamente alle sue fortune e alle corporazioni e banche transnazionali dividendo i suoi attivi e strutture aziendali tra quelli che hanno meno.


E questo implicherebbe anche che gli Stati Uniti rinuncerebbero all' egemonia del dollaro mettendo in clausura il tempio finanziario di Wall Street e convertirebbe i suoi arsenali, basi militari e flotte nucleari in santuari pacifisti dando il potere a chi vuole trasformare il capitalismo in socialismo senza sparare un solo colpo.


In termini di emergente sociale, l’applicazione di questa tesi nel Venezuela ha dato dei risultati: La metà della società venezuelana è con Chavez e l’altra metà cospira per ucciderlo o farlo cadere.


E questo ha una lettura strategica: Il processo venezuelano (a livello di accumulazione e di salto qualitativo) si risolverà solo attraverso uno sviluppo violento dove Chavez sopprima il sistema o il sistema sopprima Chavez. Un' ipotesi che non entra nei parametri rivelati dalla guerra politico-elettorale tra “sinistra” e “destra”.


In questo scenario, marcato dalle antinomie escludenti della sinistra- destra, noi, quelli che fanno IAR Noticias, stiamo cercando di stabilire il nostro proprio ordine mentale per mettere ogni pezzo al suo posto.


Non vogliamo cadere nel bianco e nero della guerra dei media di “sinistra” e di “destra”, senza spiegare la strategia della manipolazione e l’approfittare del sistema che la contiene e la usa.


Tra l' essere branco dentro il sistema ed avere identità propria, preferiamo l’identità propria fuori dal sistema.


A volte sembra che lottiamo contro il mondo, ma facciamo solo controinformazione (informazione, trasformazione e sintesi) di un sistema che è riuscito ad assimilare ed integrare nella sua strategia di dominio il suo proprio nemico storico.


Possibilmente, questo scenario delle false antinomie tra “ sinistra” e “destra” è stato quello che il Che Guevara aveva scoperto quando è morto da solo e impugnando il fucile nella selva boliviana.


Fonte: http://www.iarnoticias.com/2009/secciones/contrainformacion/0069_guerra_excluyente_3octt09.html


Tradotto per Voci Dalla Strada da Vanesa

IL "RODO" ALFANO

Eggià cari miei, la Corte Costituzionale si è dichiarata contraria al Lodo Alfano, che in un non nulla si è trasformato in un "rodo" Alfano per l’utilizzatore finale. Ho solo provato ad immaginare le facce di giubilo del popolo quando ieri sera è stata messa in onda la prima intervista all’imputato con gli occhi gonfi, (gli rodeva eccome)….

Però conigllietti miei c’è un però. Non so se avete notato che ieri sera sono mancate le dichiarazioni dei portatori d’acqua Dalema, Rutelli, Fassino. Devono essere rimasti sgomenti e devono essersi riuniti per trovare una soluzione che consenta loro di continuare a gridare contro il capo del governo e intanto a scrivere libri con la sua casa editrice.

Pure le polemiche di ieri sera dall’insetto scuro (al secolo bruno vespa) con accuse reciproche e sdegnate puntualizzazioni, sono aria fritta; perché il paese si trova in questo nulla culturale, costituito da occupazioni radiotelevisive di questa o quell’altra parte, di editoria asservita e foraggiata da contributi statali o da imprenditori interessati, di politici che scappano non appena vedono i primi segni di affondamento della nave, molto prima dei topi e subito dopo le puttane…

Un pò il piccolo di Arcore mi fa pena, ormai gli restano fedeli il fido emilio, l’insetto scuro e il legaiolo che sembra tornato nel coma nel quale viveva prima dell’ictus.


Fonte: http://www.appelloalpopolo.it/


7 ottobre 2009

SVIZZERA: REFERENDUM PER VIETARE L'ESPORTAZIONE DI ARMI

Le esportazioni svizzere di materiale bellico 1998-2008

Gruppo per una Svizzera senza esercito
Insumissia

L' iniziativa Legislativa Popolare è uno strumento di democrazia diretta in Svizzera. Se 100.000 persone aventi diritto di voto firmano una petizione politica, le autorità sono tenute a tenere un referendum il cui risultato è vincolante per il governo.

Nel 2007, GSoA (Gruppo per una Svizzera senza esercito) ha raccolto oltre 100.000 firme di cittadini chiedendo un divieto di esportazione di materiale bellico e di transito attraverso la Svizzera. Il referendum è previsto per il 29 novembre 2009. Sarà la terza volta che la popolazione svizzera vota su questo tema. Nel 1972, il 49,7% ha votato per il divieto, ma nel 1997 il sostegno sceso al 22,5%. Se la maggioranza vota a favore del divieto, sarà vincolante per il governo. Il GSoA è stato fondato nel 1982 con l'obiettivo primario di "civilizzare" la società svizzera mediante l' abolizione del suo esercito. Nel 1989, oltre un terzo della popolazione svizzera ha approvato questa proposta in un referendum federale, scuotendo profondamente le convinzioni militariste del paese. Da allora, GSoA ha lanciato numerose "iniziative popolari" (che hanno portato a referendum nazionali), al fine di ridurre le dimensioni delle forze armate e il loro bilancio proponendo alternative civili. Il gruppo ha attualmente circa 20.000 soci e sostenitori.

Il governo si oppone al divieto, dicendo che le esportazioni sono vitali per l' industria degli armamenti svizzera, che a sua volta gioca un ruolo essenziale nella difesa del paese, dice. Se è vero che senza l'accesso al mercato internazionale degli armamenti, la produzione militare in Svizzera sarebbe più difficile, bisogna ammettere che la tendenza di integrazione e di fusioni nel settore sta già costringendo molte aziende produttrici svizzere a delocalizzare la produzione all'estero, e i principali produttori di armi sono controllati da imprese straniere.
L'argomento di difesa nazionale non è realistico, poiché l'industria militare in passato ha dimostrato che anche in tempo di guerra vende i propri prodotti a tutti i clienti che possono pagare.

Argomenti contro il commercio di armi
Anche se le armi svizzere rappresentano una piccola percentuale di materiale presente nel mondo, vengono ancora utilizzate per uccidere la gente, compresi i civili. Per esempio, la Svizzera è il secondo esportatore mondiale di munizioni per armi di piccolo calibro. Anche se un produttore non è direttamente responsabile del modo in cui usano i loro prodotti, è altamente ipocrita vendere prodotti pericolosi, e contemporaneamente accusare coloro che li usano male.

La politica estera svizzera mira a prevenire la violenza armata, la risoluzione dei conflitti e la costruzione della pace. Investire in sviluppo e cooperazione per rafforzare la pace e la sicurezza in Svizzera e in tutto il mondo. Tuttavia, l'impatto negativo del commercio delle armi (che provocano la distruzione dell'uomo e dell'ambiente, e le deviazioni di risorse per i bisogni umani, in particolare nei paesi del sud), ostacola seriamente tali sforzi. Esportare armi è incompatibile con la promozione della sicurezza umana e di una comunità stabile a livello mondiale.

Il materiale bellico rappresenta solo lo 0,4% del valore totale delle esportazioni svizzere. Se si accetta il divieto, il governososterrà finanziariamente la riconversione civile dell'industria degli armamenti. Questa conversione è già in atto con l'evoluzione dei mercati, sarebbe intelligente investire in settori quali l'energia e le tecnologie pulite, che forniranno presumibilmente più posti di lavoro sostenibili.
Infine, le esportazioni di armi non sono molto redditizie per il paese in quanto esse sono fortemente sovvenzionate (il governo copre i rischi di esportazione, che sono abbastanza costosi al momento della vendita di armi a paesi poveri, l'acquisto di attrezzature militari per altri paesi è spesso legata agli appalti per le industrie nazionali, il che implica che la loro sopravvivenza economica si basa sulle grandi spese del Ministero della Difesa).

Aiutateci a vincere il referendum!
Attualmente stiamo lavorando duramente sulla campagna, fiduciosi di poter vincere il referendum. L'industria delle armi può avere i soldi, ma noi abbiamo gli argomenti migliori. Naturalmente, siamo lieti di ricevere qualsiasi aiuto. In particolare, gradiremmo qualsiasi informazione sulla vendita e sull'uso di armi svizzere in qualsiasi parte del mondo.

http://www.gssa.ch
http://wwww.materieldeguerre.ch/

Fonte: http://www.antimilitaristas.org/spip.php?article4298

LE TEORIE POLITICHE RADICALI E LA PUBBLICITA'

di Stefano D’Andrea

La contestazione del sistema di vita occidentale e dell’assetto politico-economico italiano è condotta da molteplici punti di vista. Si tratta di critiche svolte piuttosto o esclusivamente con il pensiero e le parole, che con le azioni, perché l’azione sembra divenuta impossibile. Eppure le contestazioni – le idee e le proposte - esistono e lentamente di diffondono.

C’è chi concentra la critica sull’unipolarismo statunitense e desidera il multipolarismo, constatando una tendenza all’affermazione di quest’ultimo.

Altri sono convinti che vi sia poco vantaggio nel trascorrere dall’unipolarismo al multiporalismo se non si modifica il “modello di sviluppo”. La formula “nuovo modello di sviluppo” è obiettivamente generica e inidonea a designare alcunché; è invero si tratta di una formula e non di un concetto, perché un concetto è il contenuto o significato di una formula. Tanto che, leggendo le proposte più analitiche di coloro che la utilizzano, emergono divergenze, persino qualche contrasto e comunque diversi ordini di priorità. Inoltre, molti contestano proprio il concetto di modello di sviluppo e il termine sviluppo in sé stesso, sostenendo che sia privo di significato pratico e di valore positivo anche il concetto di sviluppo sostenibile. Da qui l’idea della decrescita o meglio della “acrescita” come suole precisare il principale teorico della medesima, il quale ha ammesso che decrescita è uno slogan, correlativo a quello di crescita.

L’idea della decrescita, o forse meglio della acrescita, è abbracciata anche dagli antimoderni, che criticando il produttivismo sia di matrice liberale che di matrice marxista, da un lato, perorano l’essenziale e contestano l’inutile, dall’altro, constatano che i cittadini occidentali sono vittime di un mostruoso sistema di controllo.

I keynesiani e i marxisti, per lo più ormai ex marxisti convertiti al keynesismo, guardano alla distribuzione della ricchezza, si compiacciono della crisi della ideologia cosiddetta neoliberista (anche se sono consapevoli che la crisi della ideologia non ha ancora comportato la crisi degli assetti di potere che l’hanno generata) e propongono suggerimenti per redistribuire la ricchezza, invero prestando quasi sempre poca o nessuna attenzione sia ai profili non (strettamente o direttamente) materiali della vita dei cittadini occidentali, e italiani in particolare, sia ai profili materiali relativi alla vita dei lavoratori autonomi, dei contadini, degli artigiani e dei commercianti, i quali, svolgendo professionalmente attività in concorrenza con il capitale, ovvero lavorando “professionalmente” (anche) per il capitale, hanno, mediamente, visto diminuire nell’ultimo decennio i loro redditi (non, invece, il tenore di vita, sostenuto dall’indebitamento).

Pure le teorie alle quali preme principalmente il tema dell’affermazione della sovranità monetaria dei popoli, talvolta, non si discostano dal piano economico-materiale; esse, insomma, promettono più ricchezza, meno debiti e nient’altro. Mentre in altre varianti delle medesime teorie il principio della sovranità monetaria del popolo si lega a profili spirituali (la parola, per la capacità di designazione sintetica di innumerevoli profili della vita umana, deve essere senz’altro sdoganata): indipendenza, autonomia, ecc.

Un certo antieuropeismo, generale o speciale, ossia relativo ad alcuni profili dei trattai europei, caratterizza pressoché tutte le teorie critiche. Mentre l’invocazione della nostra Costituzione riscuote il consenso della maggioranza delle teorie, non dell’unanimità. Anche la necessità una nuova e severa disciplina del “diritto dei mercati finanziari” va finalmente facendosi strada, invero, non soltanto all’interno delle teorie radicali. Infine, la critica della società dei consumi, cara agli antimoderni, è diffusa e si stringe ora con l’una ora con l’altra delle teorie segnalate, salvo quelle strettamente economicistiche e sovente essa si lega alla critica della “videocrazia” sulla quale, anche sul web è possibile leggere pregevoli contributi (per esempio quello di Andrea Inglese, “Videocrazy” o del fascismo estetico – cfr. http://www.nazioneindiana.com/2009/09/09/videocracy-o-del-fascismo-estetico/ – anche se non concordiamo con la scelta della formula “fascismo estetico”).

Sarà necessario riuscire ad elaborare una sintesi organica e coerente, che soddisfi il più possibile le diverse istanze e ciò al fine di creare un partito alternativo al partito unico delle due coalizioni (sul “partito unico delle due coalizioni” ci permettiamo di rinviare ad un nostro recente articolo: http://www.appelloalpopolo.it/?p=106). Senza la sintesi organica e coerente, infatti, le teorie sono destinate a restare tali e non hanno alcuna possibilità di trasformarsi in azione politica. E per trovare la sintesi dovranno essere individuati i collanti e gli elementi comuni alle diverse istanze critiche.

Orbene, poca o nessuna importanza danno le teorie critiche, o almeno molte di esse, alla pubblicità. Chi ha studiato a fondo il tema si è limitato alla descrizione del fenomeno, sovente condotta con grande profondità di analisi, e a prevedere l’impossibilità della riduzione della pubblicità. Secondo Baudrillard, Il sistema degli oggetti, 1968, trad. it., Milano, 1972, p. 221, senza la pubblicità, ci sentiremmo orfani: “Soppressa la pubblicità, ci si sentirebbe frustrati di fronte ai muri vuoti. L’uomo non si sentirebbe soltanto frustrato, privato di una possibilità (anche ironica) di gioco e sogno, ma a livelli più profondi penserebbe che la società non si occupi di lui”. Forse i sostenitori delle teorie critiche accolgono quest’ultima conclusione: della pubblicità non potremo mai più fare a meno. E tuttavia, osserviamo, se si muove da quel presupposto è inutile svolgere critiche al sistema, il quale, senza una severa limitazione della pubblicità potrà, al più, essere scalfito; mai rovesciato o severamente riformato. Sul tema della pubblicità, perciò, intendiamo portare l’attenzione, posto che, a nostro avviso, l’idea della limitazione della pubblicità può e deve essere uno dei collanti e quindi uno dei pilastri della auspicata sintesi organica e coerente.

Crediamo, infatti, che il centro propulsore del sistema sia – in misura pari, se non maggiore, del potere dei gestori del grande capitale finanziario, e del dominio statunitense, soltanto parzialmente indebolito negli ultimi anni - la pubblicità, la quale svolge quattro funzioni, senza le quali la vita dei paesi occidentali, e dell’Italia per quel che più ci preme, sarebbe completamente diversa da quella che è. Per questo abbiamo scritto nel nostro manifesto che “La pubblicità deve essere ridotta. Una lenta ma inesorabile riduzione della pubblicità: questa è la strada” (http://www.appelloalpopolo.it/?p=22).

In primo luogo, la pubblicità concorre a creare i linguaggi, gli stili, i desideri, i problemi, le soluzioni, le gerarchie di valori e quant’altro presiede alla vita associata del popolo. La pubblicità concorre in misura notevole a “formare” i cittadini, che sono come sono perché vivono in un mondo dominato dalla pubblicità e che sarebbero diversi se la pubblicità fosse, non dico vietata, ma notevolmente limitata. Questa influenza non può essere negata. È la funzione “indicativa” della pubblicità, che si accosta alla funzione “imperativa” (Baudrillard, Il sistema degli oggetti, cit.,p. 211). Orbene, chi esercita questo potere? I detentori di grandi capitali, italiani e stranieri, specificamente i detentori dei “marchi” (i quali lo esercitano per mezzo dei pubblicitari e acquistando “spazi pubblicitari” dai venditori di pubblicità). Essi, con il tempo, si sono andati affiancando alla scuola, all’università, alla famiglia, alla chiesa, ai partiti, ai sindacati, alle altre formazioni sociali, alla letteratura e alla filmografia e, pian piano, hanno rafforzato e sono riusciti a rendere assolutamente dominante la loro posizione, anche grazie alla potenza della tecnica con la quale esercitano il potere, mentre tutti gli altri concorrenti, anche per colpe e limiti propri, perdevano capacità di influenza, al punto che quest’ultima in molti casi ha addirittura finito per estinguersi.

Se solo si riflette che i soggetti perdenti – nella disputa per il potere di “formare” i cittadini – o sono uomini e quindi lavoratori che creano l’opera (letteraria o cinematografica) o insegnano (i maestri e i professori), o sono soggetti collettivi, costituiti da uomini i quali fanno (o meglio dovrebbero far) “vivere” i primi con il lavoro e/o l’impegno gratuito, o sono istituzioni pubbliche appartenenti a tutti i cittadini, considerati in posizione di uguaglianza a prescindere dalla differenze economiche, non si dovrebbe nutrire alcun dubbio che il potere dei titolari di marchi di formare i cittadini debba essere limitato, a favore di poteri – perché i “poteri” (giuridici, come la scuola pubblica, ovvero di fatto, come la chiesa e come la famiglia) sono sempre esistiti e sempre esisteranno – più democratici, nascenti dal basso e comunque poteri dell’uomo e frutto del lavoro degli uomini e non del capitale. Le legittime e quasi sempre fondate critiche alla scuola, all’università, alla chiesa, ai partiti, ai sindacati e ad altre formazioni sociali implicano che quelle istituzioni devono, eventualmente, essere riformate. Invece, il potere dei titolari dei marchi di formare l’opinione pubblica deve essere distrutto.

In secondo luogo, la pubblicità ha un luogo, quasi “naturale”, all’interno del quale vive e senza il quale sarebbe pressoché ininfluente: i media, ossia i mezzi che altri detentori di capitali e detentori al tempo stesso di un capitale-marchio (Fininvest, RCS, e così via) utilizzano per “informare” e intrattenere i cittadini e, così, formare l’opinione pubblica. Come già abbiamo avuto modo di scrivere (cfr. http://www.appelloalpopolo.it/?p=163), il potere di formare l’opinione pubblica di questa seconda forma o specie di capitale è enormemente rafforzato dal fatto che l’attività di “informazione” e di “intrattenimento” è in gran parte finanziata dalle società titolari di marchi, le quali pagano le società titolari dei media - sovente dominate, nei consigli di amministrazione, dalle banche o con queste indebitate e quindi dalle banche condizionate -, affinché pubblicizzino i loro marchi e prodotti (e il denaro speso per la pubblicità è detratto dal reddito ai fini del pagamento delle imposte!). Non è un caso che al vertice politico dell’Italia si trovi un venditore di pubblicità (è questo il campo in cui Berlusconi si è rivelato un “grande imprenditore”: vendere gli occhi e con essi le menti dei cittadini alle società che hanno interesse a pubblicizzare i loro marchi e prodotti). La limitazione della presenza della pubblicità sui media non soltanto ridurrebbe o estinguerebbe il potere dei detentori dei marchi (esercitato attraverso i pubblicitari) di formare il modo di essere dei cittadini, bensì, al tempo stesso, limiterebbe il potere del capitale detentore dei media di formare l’opinione pubblica. E ciò a tutto vantaggio del principio di eguaglianza sostanziale dei cittadini, che potrebbero fondare sul lavoro, individuale o cooperativo, attività, imprenditoriali o meno, di informazione e intrattenimento, potendo concorrere (con siti, blog, giornali, riviste), non dico ad armi pari ma quasi, con i media appartenenti al grande capitale. Se fosse introdotto il divieto di inserire pubblicità sugli organi di informazione e di intrattenimento, i grandi quotidiani nazionali dovrebbero chiudere o comunque ridurre notevolmente le pagine. E lo stesso vale per le riviste appartenenti ai grandi gruppi editoriali. Le televisioni private generaliste scomparirebbero o trasmetterebbero poche ore al giorno e dovrebbero guadagnare dalla vendita diretta di trasmissioni e spettacoli ai cittadini, anziché, come accade ora, dalla vendita degli occhi e delle menti dei cittadini ai titolari di marchi che pagano la pubblicità. Ugualmente, le televisioni private non generaliste dovrebbero cercare di ricavare profitti dalla vendita diretta dei loro spettacoli e documentari agli spettatori e non, come accade ora, dalla vendita degli occhi e delle menti dei cittadini ai detentori di marchi che pagano per potersi far conoscere e imprimere nella mente degli spettatori, non soltanto il marchio e il prodotto, ma uno stile di vita. È chiaro che molti grandi media chiuderebbero e sarebbe spezzato o comunque di gran lunga limitato il “dominio delle onde” (per un accenno e per una importante citazione relativa al dominio delle onde si veda S. Latouche, La fine del sogno occidentale – saggio sull’americanizzazione del mondo, 2000, trad. it., 2002, s.l., p. 10) e con esso si indebolirebbe anche la sudditanza culturale e quindi politica nei confronti degli Stati Uniti che tale dominio esercitano da lungo tempo.

In terzo luogo, la pubblicità consente uno “sviluppo” economico che altrimenti non si avrebbe: enormi investimenti su un “nuovo prodotto” non sarebbero pensabili se non esistesse la possibilità di creare con immediatezza il desiderio del prodotto mediante gigantesche campagne pubblicitarie. Una limitazione severa della pubblicità comporterebbe, dunque, in modo automatico, una “decrescita”, per lo più a tutto discapito dell’inutile e a tutto vantaggio di un ritmo di cambiamento della vita associata più lento e quindi più umano. Diminuirebbe, altresì la tendenza all’indebitamento dei cittadini, con conseguente difesa del valore costituzionale del risparmio.

In quarto luogo, la pubblicità è un arma formidabile del capitale contro il lavoro, nel senso che impedisce o rende estremamente difficili iniziative economiche fondate principalmente sul lavoro, rispetto ad altre basate su grandi quantità di capitale (i marchi sono una delle forme più disgustose di capitale e di rendita). La pubblicità concorre a creare grandi mercati, i mercati internazionali e i mercati nazionali, e rende difficili iniziative economiche fondate principalmente sul lavoro, o magari su quantità modeste di capitale che ben potrebbero svolgersi su mercati di più ridotte dimensioni. Sotto questo profilo la lotta per la limitazione della pubblicità dovrebbe andare di pari passo ad una più vasta contestazione della disciplina dei marchi. Si pensi soltanto al contratti di franchising, la cui diffusione, in molti settori commerciali, ha espulso dal mercato i veri commercianti, per sostituirli, in molte occasioni, con dipendenti che soggiacciono al titolare del marchio come fossero mezzadri.

Dunque: sottrazione al grande capitale, detentore dei marchi o dei media che pubblicizzano i marchi, del potere di “formare i cittadini”, gli stili di vita, i desideri, le gerarchie assiologiche e quant’altro; e tutto ciò a favore del potere (di formare i cittadini) di istituzioni pubbliche, enti collettivi e attività, imprenditoriali o meno, fondate sul lavoro e comunque su una quantità minore (più umana) di capitale; sottrazione al grande capitale del potere di formare l’opinione pubblica, a favore del pluralismo dell’informazione, del principio di uguaglianza e della effettiva libertà di manifestazione del pensiero; distruzione delle grandi imprese improduttive, venditrici di “pubblicità”, ossia degli occhi e delle menti dei cittadini ad altri detentori di grandi quantità di capitali; valorizzazione del lavoro contro il capitale; rallentamento dello sviluppo economico e decrescita; aumento della possibilità di sviluppare mercati locali e lotta al mercato globale; riduzione dell’indebitamento dei cittadini e valorizzazione del risparmio; liberazione dalla dipendenza culturale e politica dagli Stati Uniti e dal “dominio delle onde” che essi esercitano; indipendenza autonomia e sovranità del popolo italiano.

Solleviamo la domanda: sono logiche e coerenti le critiche antisistema se non si inserisce dentro ciascuna di esse il proposito di diminuire notevolmente il potere della pubblicità di conformare quella società alla quale si muovono le critiche? La risposta ci sembra che debba essere negativa. Le obiezioni relative alle difficoltà e alle conseguenze, eventualmente negative, che la realizzazione del proposito produrrebbe nell’immediato (per esempio sulla occupazione di taluni lavoratori), vanno prese in considerazione soltanto dopo aver accolto il principio e inciderebbero soltanto sui contenuti dei provvedimenti e delle proposte da elaborare e da porre a fondamento di un’auspicabile battaglia politica, la quale sarebbe anche e soprattutto una battaglia di liberazione nazionale, per la sovranità del popolo, per la autonomia e sovranità dei singoli cittadini, e per la valorizzazione del lavoro.

Fonte: http://www.appelloalpopolo.it/

6 ottobre 2009

DOPO IL "SI" DELL'IRLANDA...

di Jose A. García Saez

La vittoria del SI nel secondo Referendum in Irlanda fa si che il Trattato di Lisbona sia definitivamente approvato, anche se mancano le firme del presidente polacco e ceco. Dal momento che la Commissione europea assicura che il trattato dovrebbe entrare in vigore all'inizio del 2010. Sembra quindi che già abbiamo il Trattato e con lui un’Europa, ci dicono, più dinamica, più trasparente e più democratica. Ora la domanda che mi pongo è: Perché vale più il SI del 2 ottobre che il NO del 12 giugno 2008? Se uno pensasse male direbbe che dovremmo valorizzare e rispettare i risultati dei Referendum unicamente in base all'essere in linea o no con il Modello dell’Unione Europea che disegnano i leader europei a porte chiuse.

Ma non pensiamo male... quello che succedeva, come dichiarava Durao Barroso questo fine settimana, è che i cittadini irlandesi nella prima votazione non erano ben informati, però in questa seconda votazione conoscevano perfettamente il Trattato e le sue conseguenze. Come il resto degli europei non abbiamo potuto manifestare la nostra volontà democratica sul Trattato quindi non c’era bisogno di conoscerlo; ma forse sarebbe interessante fare una breve (e parziale) valorizzazione sui cambi che porterà, dato che la sua entrata in vigore ci toccherà tutti, anche se non abbiamo avuto la possibilità di votarlo tramite referendum.

Riconosciamo, in primo luogo, che il Trattato di Lisbona introdurrà qualche aiuto che renderà agile e chiarificherà il funzionamento dell' Unione. Per spiegare alcune di queste migliorie, possiamo cominciare dicendo che il Trattato di Lisbona non sarà un testo che verrà applicato direttamente ma modificherà i trattati basici: Il Trattato della Unione Europea (o di Maastricht) ed il Trattato del Funzionamento dell’UE (vecchio Trattato della Comunità Europea). Il primo può considerarsi come il testo basico che fissa le istituzioni ed i principi del funzionamento dell' Unione, mentre il secondo sarebbe un testo da sviluppare. A questi due documenti andrebbe aggiunta la Carta dei Diritti Fondamentali dell' UE, che infine diventa giuridicamente vincolante.

Adottando una personalità giuridica propria, l' Unione potrà aderire come strumento internazionale di protezione dei diritti fondamentali, come si prevede con l’adesione al Convegno Europeo dei Diritti Umani, e questo dovrebbe significare che gli atti delle istituzioni potranno essere giudicati dal Tribunale Europeo dei Diritti Umani, che è un' istanza internazionale estranea ad esso. Questo miglioramento contrasta, però, con la vergognosa eccezione permessa nel famoso Protocollo 30 alla Polonia e al Regno Unito, di fronte ai cui tribunali non sarà valido allegare i diritti riconosciuti dalla Carta dei Diritti Fondamentali. Particolarmente, in tale protocollo si insiste sul fatto che in questi Stati non saranno applicati i diritti economici e sociali enunciati, e certamente, nel titolo IV della Carta sotto l’inquietante epigrafe della solidarietà.

La tolleranza mostrata verso questa eccezione nell’applicazione dei diritti fondamentali è, nella mia opinione, un buon indicatore di come si sta costruendo l’Unione Europea che riflette il Trattato di Lisbona. Per la libera circolazione di merci e di capitali, ovviamente, non si contemplano eccezioni. L’articolo 63 del nuovo Trattato di Funzionamento stabilisce con tutta chiarezza che “sono proibite tutte le restrizioni ai movimenti di capitali tra Stati membri e tra Stati membri e paesi terzi”. Se questo rimane così, c’è da chiedersi in quale modo potranno imporre, ad esempio, una tassa tipo Tobin come quella che adesso tanti leader europei stanno considerando necessaria per evitare la speculazione finanziaria, principale responsabile della crisi sistemica nella quale ci troviamo sommersi.

Certamente, si, come ci dicono, uno dei motivi per il quale gli irlandesi hanno votato Si al Trattato di Lisbona è la stabilità economica che ipoteticamente l' Unione darà loro, forse non conoscono così a fondo le conseguenze dell’approvazione del Trattato. Forse non sapevano neanche che l’unico settore in cui saranno sollecitati a realizzare delle spese pubbliche è il settore militare. Invece di promuovere il disarmo, gli Stati membri si impegnano a migliorare le loro capacità militari (art. 42.3 TUE). Forse non sapevano neanche che tutti i servizi pubblici saranno d’interesse economico generale, e che sono sottomessi alle regole della libera concorrenza (art 107 TFUE). Dubito anche che questa seconda campagna informativa ( la cui spesa si è ridotta da 24 a 20 milioni di euro rispetto alla precedente) abbia sottolineato troppo il rafforzamento dell'indipendenza della BCE, che si consolida come un' istituzione più dell' Unione Europea, capace di giocare in modo totalmente indipendente e autonoma con il prezzo dell’Euro, come se il prezzo del denaro fosse una decisione strettamente tecnica che non ha bisogno di nessun tipo di controllo politico.

Sono solo alcuni dei motivi per i quali credo valesse la pena che gli irlandesi votassero per il NO. Perché un NO ci avrebbe aiutato a riflettere sul tipo di Unione Europea che il Trattato di Lisbona sta consolidando (non inventando) e ci avrebbe dato tempo per pensare ad un’Europa più giusta, realmente impegnata con la pace, con l’ambiente ed i diritti umani. Sia per il suo contenuto materiale che per la forma in cui è stata elaborata, la cittadinanza non dovrebbe conformarsi a questo Trattato. Un’altra Europa è possibile, ma senza maturazione civica non esiste razionalità politica. Continuiamo a dire NO allora, che così non va. Usiamo l’immaginazione e l' esperienza per costruire insieme quest' Europa diversa, quest' Europa che allontanerà l’approvazione del Trattato di Lisbona.

Fonte: http://www.attacpv.info/participacio/index.php?option=com_content&task=view&id=671&Itemid=1

Tradotto per Voci Dalla Strada da VANESA

5 ottobre 2009

CIRCA L'AFFARE DELL'INFLUENZA A...

di Eduard Brull i Piqué

Nel caso qualcuno non nè fosse venuto a conoscenza, c’è un nuovo tipo d’influenza nel Mondo. Bene, piuttosto è una combinazione di un ceppo conosciuto da tempo, la H1N1, un virus dell’influenza tipo A. Questa nuova influenza è stata battezzata come influenza A. E se ascoltiamo attentamente i mass media scopriamo, allarmati da questa influenza, un' autentica pandemia a livello della medioevale peste bubbonica e varicella, può far tremare le fondamenta della demografia umana in pieno XXI secolo. Il Ministero della Salute, cosciente di questa terribile minaccia, è stato raccomandato a tutti gli spagnoli di coprirsi la bocca quando starnutiscono e che buttino nei cestini i fazzolettini di carta usati per frenare l’avanzamento impetuoso del virus mortale. Inoltre, molti governi mondiali, hanno destinato soldi della finanziaria per assicurarsi gli antivirali appropriati.

E non c'è da meravigliarsi. Nell’inverno dal 1918 al 1919, l’influenza spagnola ha portato via la vita di vari milioni di persone in un solo inverno ( più della Prima Guerra Mondiale, contemporanea ad essa). L' influenza asiatica si è anche portata via intorno ad un milione di persone le due volte che si è manifestata, nel 1899 e nel 1958. Quella di “Hong Kong” ha avuto degli indici di mortalità simili durante l’inverno del 1968. Consapevole di questi dati mortali, l’OMS ha già alzato a 6 l’indice di allarme della pandemia dell’influenza A.

E’ una misura logica se si tiene conto che l’influenza A ha ucciso già a 3000 persone in tutto il mondo secondo i dati OMS. E anteriormente, sotto il suo vecchio nome (influenza suina) si è portata via- durante i 10 anni in cui si sa della sua esistenza-252 vittime. Cioè 25 ogni anno. Questo fa si che l’influenza A sia una causa di morte meno probabile di una morte per un fulmine o per la caduta accidentale di un mattone in testa mentre si cammina per la strada. E il Ministero della Salute ancora non ha messo in moto alcuna campagna di sensibilizzazione su nessuna di queste pericolose pandemie.

Una cifra di 3000 persone morte è rispettabile, o, almeno, degna di riconoscimento. Ma non è per nulla comparabile ai due milioni di morti annuali che si calcola provoca la malaria, o il milione causato dalla diarrea o il numero di persone infette da AIDS nel mondo (circa 40 milioni in base a stime recenti fatte dall’ONU).

Per le prime due esistono medicine e sistemi di protezione economici, ma sembra che nessun media ne sia interessato. Adesso sono, piuttosto impegnati in una nuova modalità di lancio, d’accordo alle fonti di percentuali, sulla mortalità con la quale l’influenza A colpirà giovani, bambini, donne incinte, obesi…quando la pericolosità complessiva e il tasso di contagio dell’influenza A sono anche minori rispetto a quelli dell’influenza stagionale ordinaria (che causa mezzo milione di morti annuali in tutto il mondo rispetto ai tre mila che ne ha causato l’influenza A, la maggior parte durante l’inverno australe ed in pazienti con altre malattie molto più dannose).

Di fronte a questa divergenza numerica, è facile meravigliarsi. Mezzo milione di morti causati per l’influenza stagionale ordinaria di fronte alle 3 mila dell’influenza A…Il problema sembra essere sproporzionato. Ma non per le reti televisive che aprono tutti i giorni i loro telegiornali con dati aggiornati dai numeri dei contagi, con un' attenzione morbosa sulle morti, amplificando i segnali di allarme continui sulla facilità del contagio di questo nuovo virus. Messe all’aria aperta, divieti di baciare la croce o il santo per frenare la pandemia. Guardando il telegiornale, i bambini sembrano essere il gruppo a rischio maggiore (quando in realtà non è così) e le scuole i maggiori centri di contagio mortale sul pianeta. Bisogna separare i banchi, lavarsi le mani tra una lezione ed un’altra, isolare in aule poco ventilate i bambini che tossiscono…

Nessuno è al sicuro dalla nuova minaccia ("The Pandemic Threat", recitava il briefing monografico dell’ Economist dedicato al nuovo virus) sembrano gridare a qualsiasi ora i media ed i politici. I bambini, donne incinte, anziani…tutti! Siamo minacciati a meno che non prendiamo delle misure appropriate. L' OMS, che è un organismo serio, ha innalzato il livello di allarme a 6, ripetono. Affrettatevi! Andate in farmacia a comprare tutte le maschere e antivirale saponi disinfettanti sono miracolose!

Aspetta, aspetta... Sto usando la parola comprare quando siamo sommersi in una crisi economica globale nella quale la parola imperante dovrebbe essere austerità, ridurre a zero le spese superflue? In effetti stiamo usando la parola comprare. COMPRARE, spendere soldi, far circolare il denaro.

Le aziende farmaceutiche non ce la fanno. Le farmacie neanche: un sacco di maschere e di altri rimedi sono esauriti in poche ore dal ricevimento. Grazie a questo aumento inaspettato della richiesta hanno contribuito a salvare la crisi creando allo stesso tempo parecchi benefici. Che fortuna per loro, vero? Fortuna che le aziende farmaceutiche sono sempre lì pronte a vigilare sulla nostra salute. Anche se il potenziale di pericolosità dell’influenza A è praticamente nullo, che fortuna per l’industria farmaceutica che esistano i media e la OMS ad allarmarci su questa Pandemic Threat. Per creare nella società mondiale una necessità urgente che anteriormente non esisteva e i cui rimedi sono a base di pastiglie e di denaro.

Fermandoci un attimo a pensare, maliziosamente e cinicamente, cosa dovremo dire? Che fortuna che hanno avuto le lobbies farmaceutiche e come si è montato bene il gioco per far si che circoli il denaro e rimanga in poche tasche?

La medicina più usata per combattere l’influenza A è il conosciuto Tamiflu, brevettato dal gruppo Gilead Sciences nordamericano e prodotto dall' azienda svizzera Roche. Il Tamiflu è una medicina atta al trattamento di vari tipi d’influenza, a quanto dice nel suo prospetto, ed è la medicina di cui vari governi si riforniscono per combattere l’influenza A. Nonostante questo, il Tamiflu non si è dimostrato un trattamento efficace ed invece ha dimostrato di avere degli effetti collaterali molto pericolosi (come problemi psichiatrici che hanno causato d'apprima il suo ritiro dal commercio e dopo la sua proibizione in Giappone dove 14 bambini sono morti per i suoi effetti collaterali).

Nonostante questo, l’azienda Roche ha ammesso la società non produce abbastanza confezioni di Tamiflu per soddisfare la domanda mondiale. Ma si rifiuta di condividere il suo brevetto affinchè altri laboratori specializzati in medicine generiche possano produrli per riunire gli sforzi di tutti ed insieme si possa frenare questa malattia che sembra essere capace di far tremare le fondamenta della nostra civiltà (rendere pubblico il brevetto significherebbe, ovviamente, la perdita di una gran parte dei ricavi delle società di Roche e Gilead Science). Roche è passata alla fama internazionale precedentemente per la causa al governo Sudafricano per aver cercato di produrre retro virali dell' HIV (che ovviamente avrebbe distribuito tra i malati ad un prezzo molto inferiore rispetto a quanto lo commercializza l' azienda svizzera) ed invalidare i suoi brevetti. E uno dei massimi azionisti della Gilead Sciences si chiama Donald Rumsfeld.

L’ex segretario di Stato di George W. Bush si trova in un buon momento. Ha visto come, in poche settimane, la sua azienda è passata da una caduta del 14% dei suoi guadagni durante il 2008 ad un aumento delle sue azioni dell' 82% da quando ha annunciato che il vaccino contro l’influenza A sarà pronto prima che inizi l’inverno nell’emisfero del nord. E questo nonostante che lo sviluppo di un vaccino richiede vari anni prima di una coscienziosa sperimentazione e prove cliniche, non un paio di mesi.

Una strana coincidenza questa della crisi economica, la caduta a picco dei benefici di queste aziende farmaceutiche ed il bombardamento informativo sulla pericolosità dell’influenza A. Un appunto: nel 1976, durante una campagna preventiva e di vaccinazione dell’influenza “suina” (una versione precedente dell’ H1N1 attuale come detto precedentemente), scatenò un' epidemia neurologica di tali proporzioni che suddetta campagna fu interrotta.

Un altro appunto, a conclusione di questo, è un piccolo riferimento al documentario “Bowling for Columbine” di Micheal Moore. In questo documentario si evidenzia che che immergere le persone in uno stato di ansia costante e psicosi (bombardandoli dai media con notizie di morte e assassinii) è un buon metodo per ottenere che i cittadini consumano di più, spendano di più, senza badarci troppo. La sensazione di vivere minacciati da una paura imminente, dalla mancanza di sicurezza contro la quale non si può far nulla, trasforma i cittadini in portafogli andanti predisposti a svuotarsi il più velocemente possibile.
Sembra che l' OMS, i mass media e i governi di tutto il mondo hanno preso nota di tutto questo.

Fonte: http://www.rebelion.org/noticia.php?id=92341&titular=sobre-el-negocio-de-la-gripe-a-

Tradotto per Voci Dalla Strada da Vanesa

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BUGIE E DISINFORMAZIONE IN RELAZIONE ALL'INFLUENZA SUINA

2 ottobre 2009

CONTRO LA MANIA DI CONTROLLO: LIBERTA'...NON PAURA!

A metà settembre a Berlino, 20.000 persone, di svariati partiti politici, hanno protestato contro i le preoccupanti e crescenti misure di controllo di ogni tipo, frutto delle moderne tecnologie dell’informazione, sotto lo slogan: Freiheit statt Angst (Libertà, non paura).

In accordo i governi e le aziende automatizzano la raccolta di informazioni sugli individui, e comincia a crescere la preoccupazione su come potrebbero essere usate tali informazioni. In Germania, per esempio, la petizione da parte del governo che i fornitori d’accesso mantengano un registro delle testate della posta elettronica di qualsiasi comunicazione personale per 6 mesi, è stata uno dei principali motivi perché la gente protestasse. L’aumento delle videocamere di sicurezza -meno terribili in Germania che nel Regno Unito, nonostante il percorso della manifestazione sia stato monitorato dalle video camere- è stato un altro motivo della protesta. I passaporti con RFID, che contengono informazione personali leggibili a distanza e che presto saranno in circolazione, hanno causato una preoccupazione molto comprensibile, specialmente dopo aver ascoltato la presentazione di Chris Paget sulla clonazione degli RFID. Il Chaos Computer Club ha molte pagine che svelano l’uso di queste tecnologie, come l’articolo “Come falsificare le impronte digitali”, dove si può imparare come catturare le impronte digitali lasciate su un bicchiere, fare una copia e duplicarle ovunque si voglia. Ad altri preoccupa la creazione di un data base con dati medici, citando i casi dove una grande quantità di dati si sono persi in mano a delle compagnie direttamente implicate nell' infrastruttura delle telecomunicazioni, come ad esempio il caso delle informazioni di 17 milioni di clienti della T-mobile che furono rubati. Se le compagnie di telecomunicazioni non possono mantenere sicuri i loro dati, chi sarà capace di farlo? Questi e molti altri casi che coinvolgono la questione della privacy, la sicurezza e la proprietà dei dati stanno alimentando un dibattito che è abbastanza forte per portare 20.000 persone per le strade: non c'è nulla, data la natura astratta il dibattito.

(C'è un video che copre il soggetto da una prospettiva tedesca piuttosto bene, con una versione in lingua inglese disponibile a breve)

Se tutto questo sembra molto simile a quello che sta succedendo in Francia, Regno Unito ed altri paesi europei, significa che il movimento per i diritti in internet è un fenomeno globale, reagire ai problemi tecnologici che attraversano le frontiere, come sostiene il numero di luglio/agosto Internationale Politik. Ovviamente il dibattito intorno a questi argomenti ha bisogno di essere considerato molto più profondamente e con molta più serietà, includendo i settori più ampi della società. Non si può magicamente risolvere eventuali problemi con le leggi sbagliate, per come più comode possano sembrare a prima vista. Le cattive soluzioni introdotte in un clima di paura possono solo far aumentare l' insicurezza e la sfiducia nei cittadini, governi e aziende. Con la vicinanza storica di Germania a regimi di controllo sia di stampo fascista e comunista, le questioni sulla fiducia sono molto vive e in buona salute. Con un po’ di fortuna gli altri paesi non si lasceranno ingannare dalla distanza a tali orrori, per pensare che non succederà a loro. L' unica soluzione è una partecipazione attiva al dibattito.

(Ecco alcune foto che ho realizzato dal tetto dell’autobus verde, che danno un' idea della grandezza della manifestazione. Si può vedere il grande autobus del Partito Pirata in fondo, con la sua bandiera arancione, il convoglio della Sinistra Rossa, l’autobus del CCC coperto da telecamere di videosorveglianza, ed il suo Cavallo di Troia Federale con lo slogan “controlla i controllori”)

Il grande blocco Anti-Fascista è stato ironicamente quello più scortato dalla polizia. Forse l’uso di maschere che coprivano i loro visi, illegale in Germania per i cittadini, anche se sembra di no per la polizia, è quello che ha colpito di più le forze dell’ordine. La loro presenza certamente costituisce un buon simbolo del problema tra la privacy, la dichiarazione pubblica, l’anonimato ed il controllo.

Aggiungi a questo il fatto che c’erano circa mille poliziotti per una manifestazione che, secondo la polizia, aveva riunito solo 10 mila individui, abbiamo un indice di un poliziotto ogni 10 cittadini, che aumenta a sua volta il messaggio sul controllo. Come le seguenti foto dimostrano chiaramente, la manifestazione è stata pacifica. Metti a 20.000 frikis per la strada in una giornata di sole ed hai qualcosa di simile a questo:

Il risultato della stampa è stato abbastanza positivo. Qui ci sono alcuni articoli del tag #fsa09 en Twitter per alcuni minuti (la maggior parte in tedesco)

* ZDNet.de: 25.000 Menschen demonstrieren gegen Überwachung, Vorratsdatenspeicherung und Zensur
* donaukurier.de: Tausende demonstrieren gegen Überwachung
* Gruene.de: Das Grundgesetz ist kein Steinbruch, for some interviews of Green participants
* n-tv.de: Großdemonstration in Berlin Gegen Überwachungswahn
* Spiegel Online: Demo gegen Überwachung - Veranstalter gehen von 20.000 Teilnehmern aus
* netzpolitik.org: Freiheit statt Angst im Fernsehen - collection of TV reportages on the event
* Abendshau: YouTube video of the news bulletin
* Radio IBS Liberty: Freiheit statt Angst Berlin
* golem.de: Freiheit statt Angst: Über 25.000 demonstrieren in Berlin
* Heise.de: "Ihr werdet euch noch wünschen, wir wären politikverdrossen!", review of the demonstration, and links to press conference videos by the Swedish EU representativce of the Pirate Party.
* Spiegel.de: Polizeichef verspricht Aufklärung der Demo-Prügelei. Article on the one police incident that marred the demonstration.
* Taz.de: Chaos Computer Club überwacht Polizei: "Das wurde dezidiert gefilmt": The Chaos Computer Club defends itself of filming police asked to reveal their identification number - which they are legally obliged to do. Oddly enough those question were usually followed by police violence, captured on film.

Una storia che ha fatto il giro su Twitter, la blogosfera ed i giornali, la notizia è stata il seguente episodio della brutalità della polizia, catturato in video da un manifestante:



Aggiornamento 15 settembre:
Sembra che questo incidente sia iniziato quando un manifestante ha chiesto ad un poliziotto il suo numero d’Identificazione, che sono obbligati a dare, anche se preferiscono non farlo e trattare quelli che lo richiedono come elementi problematici. Questa è una questione che c’è da tempo come si spiega nell’articolo “Anonymität schützt Polizisten-(L'anonimato protegge la polizia)”. In poche parole, gli stessi poliziotti e lo stato, per estensione, si compiacciono quando l’anonimato li protegge, ma negano allo stesso tempo l’anonimato ai manifestanti e al pubblico che ogni giorno si vede esposto alle crescenti misure di controllo. Fortunatamente l'attacco è stato registrato in video ad alta definizione da un membro del Chaos Computer Club, aiutando ad identificare il poliziotto protagonista di questa violenza. Come risultato, il CCC ha pubblicato un comunicato stampa: "Chaos Computer Club fordert bundeseinheitliche Nummernschilder für Polizisten": (CCC chiede i numeri d' identificazione della Polizia).

Chiaramente gli stessi strumenti possono essere usati per creare una società di controllo, possono servire anche, quando siano distribuiti tra la cittadinanza, come un mezzo per controllare i controllori. Forse è questa la lezione della manifestazione: il bisogno di ridurre l’asimmetria delle tecnologie di controllo. Si deve capire che l’Imperativo Categorico di Kant:

"Agisci soltanto secondo quella massima che, al tempo stesso, puoi volere che diventi una legge universale ".

Si applica specialmente alla legislazione. Se vuoi controllare gli altri, non ti sorprendere se gli altri ti controllano. Se vuoi l’anonimato, non lo negare agli altri.

Fonte: http://blogs.sun.com/bblfish/entry/freiheit_statt_angst_freedom_not

Tradotto per Voci Dalla Strada da Vanesa

1 ottobre 2009

PRAGA RICATTATA DALL'UE....COME L'IRLANDA?

di Andrea Perrone

Bruxelles ricatta Praga
La Repubblica Ceca non potrà nominare il nuovo commissario Ue se continuerà a bloccare la ratifica del Trattato di Lisbona. È il duro monito del presidente della Commissione europea, José Manuel Barroso (nella foto), al leader del Partito democratico civico (Ods) Mirek Topolanek, legato al presidente Vaclav Klaus e ai senatori che chiedono con una petizione il parere dell’Alta Corte sul Trattato Ue.
“Ritengo che il messaggio dell’incontro di oggi sia piuttosto chiaro: se il Trattato di Lisbona non sarà ratificato a causa del rifiuto della firma del presidente Klaus, la Commissione europea sarà ridotta”, ha osservato Topolanek. Il leader ha poi aggiunto: “Senza dubbio, il parere dei 26 Stati membri sarà ridotto di un commissario ceco”. Bruxelles si è mostrata ancora una volta preoccupata e nervosa sul futuro del Trattato Ue, tanto da minacciare una punizione esemplare nei confronti dei cechi. I timori sono tutti appuntati sull’esito della consultazione referendaria del 2 ottobre e sui pericoli di un rinvio sul via libera al documento sia nella Repubblica Ceca che in Gran Bretagna.

Se la Carta costituzionale Ue non entrerà in vigore le regole attuali dell’Ue rimarranno le stesse. Ciò equivale a dire che il prossimo esecutivo comunitario avrà un numero inferiore di commissari rispetto a quello degli Stati membri.
Qualsiasi riduzione comunque dovrà essere decisa all’unanimità da tutti i 27 governi nazionali. Ma Topolanek, che ha definito l’incontro con Barroso un “avvertimento”, ha sottolineato che seppure Praga fermasse la sua opposizione e nominasse un commissario, l’Europarlamento non sarebbe d’accordo. “Il Parlamento europeo non approverà senza alcun dubbio il commissario ceco”, ha precisato. Gli eurodeputati dovranno valutare ciascun Commissario in audizioni individuali e poi votare la Commissione nel suo insieme prima del suo insediamento.

Il monito di Barroso ha fatto seguito a quello di qualche settimana fa del presidente francese, Nicolas Sarkozy, che ha minacciato la Repubblica Ceca di non meglio precisate conseguenze se Praga non completerà la ratifica. Finora le due Camere del parlamento di Praga hanno approvato il documento Ue, ma la ratifica per essere definitiva ha bisogno della firma del presidente euroscettico, Klaus, che continua a rinviarla in attesa dell’esito del referendum irlandese e soltanto se l’Eire darà il via libera al Trattato, Klaus concederà il benestare. Ma il ritardo nella firma del presidente ceco è causato anche da altri motivi. La sua speranza è che la vittoria dei conservatori di David Cameron, prevista alle elezioni britanniche della primavera prossima garantiscano un ulteriore ritardo alla ratifica definitiva del documento Ue.

I Tories, da parte loro, hanno promesso che se vinceranno le elezioni daranno il via ad un referendum sul Trattato Ue, soltanto nel caso in cui non sarà ancora entrato in vigore. Le cose potrebbero cambiare sabato prossimo, quando l’esito elettorale del referendum irlandese sarà ormai noto.
Una vittoria potrebbe tradursi in una vera e propria pressione sul presidente Klaus, obbligandolo a firmare al più presto. Invece un voto contrario potrebbe creare una nuova crisi nell’Unione europea come nel 2005, quando i francesi e gli olandesi bocciarono la Carta costituzionale.
Martedì scorso 17 senatori dell’Ods, guidati dal loro omologo Jiri Oberfalzer, hanno presentato una petizione all’Alta Corte di Praga, poiché il Trattato di Lisbona infrange le leggi della Repubblica Ceca.

Dal canto suo Oberfalzer ha precisato che la decisione è stata presa, poiché i firmatari temono che il documento Ue neghi la sovranità e la legge del Paese. Oberfalzer e i suoi colleghi chiedono ai magistrati di pronunciarsi sul Trattato Ue e se questo costituisca il presupposto per la legalizzazione di un super Stato europeo. Se fosse vero - hanno dichiarato - tutto ciò violerebbe inevitabilmente la Costituzione ceca. Bisognerà attendere qualche mese - forse due - prima che la Corte decida, ma per il documento neoliberista questo costituirà un nuovo ostacolo che potrebbe creare altri problemi alle strategie degli eurocrati e delle lobby economiche. Sempre che poi i cittadini irlandesi domani non ribadiscano il loro “NO”, come nel giugno dello scorso anno, al Trattato di Lisbona. Un esito che provocherebbe un enorme sconcerto a Bruxelles e dintorni.

Titolo originale: Bruxelles ricatta Praga

Fonte: http://www.rinascita.info/

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Appello congiunto dei partiti comunisti e dei lavoratori d'Europa per il nuovo referendum irlandese sul Trattato di Lisbona

Il rifiuto del Trattato di Lisbona da parte del popolo irlandese nel referendum svoltosi lo scorso anno e il rifiuto dei trattati e della Costituzione europea da altri popoli in diversi Stati membri dell'UE, ha creato grandi difficoltà ai governi e una serie di forze politiche che servono i monopoli, così cone all'UE, questa unione interstatale imperialista che ha gli interessi del grande capitale, come forza motrice.

Per questo motivo, si rifiuta di accettare il risultato del voto popolare. Bruxelles, con il sostegno dei partiti politici borghesi dell' Irlanda, obbliga gli irlandesi a votare di nuovo, con la speranza di poterli intimidire e costringerli a cambiare la loro decisione.

Il Trattato di Lisbona, come prima i trattati di Maastricht e Nizza, consolida e rafforza la strategia imperialista dell'UE nell'interesse del capitale monopolistico.
Questo trattato, in particolare,
  • Rafforza il carattere militarista dell'UE, rafforza i poteri dell'Alto Rappresentante per la politica estera e stabilisce una più stretta cooperazione con la NATO e gli Stati Uniti.
  • Limita i diritti sovrani degli Stati membri e riconosce la supremazia del diritto comunitario sul diritto nazionale.
  • Sviluppa nuove politiche per lo sfruttamento dei lavoratori e la demolizione di lavoro e diritti sociali, a seguito delle sentenze della Corte di giustizia della Comunità Europea nei casi Vaxholm, Laval, Ruffert e Lussemburgo, sulla base delle disposizioni dei trattati precedenti.
  • Sopprime il diritto di veto in 50 settori a favore dei potenti paesi dell'Unione europea, anche aumentando il potere relativo di voto degli Stati più grandi.
  • Rafforza decisamente i poteri di repressione della polizia a livello centrale e in ciascuno Stato membro separatamente, sotto la direzione della creazione di un'unica politica europea di ordine e di sicurezza.
  • Limita e colpisce con forza i diritti politici e delle libertà individuali e collettive, compresa la lotta contro le "ideologie radicali" sul pacchetto "antiterrorismo" dell' UE.
Rafforza il ruolo internazionale e minaccia l'Unione europea nelle sue relazioni con i paesi in via di sviluppo, dettando le condizioni degli scambi e della politica economica e l'apertura delle sue risorse allo sfruttamento da parte delle multinazionali europee.
  • Indebolisce ulteriormente la capacità degli Stati membri di prendere decisioni indipendenti e sovrane in ambito sociale, politico ed economico, quindi, ogni riferimento alla politica tradizionale irlandese di neutralità "è privo di significato pratico.Le forze popolari e operaie sono diventate più consapevoli del fatto che l'UE non ha nulla a che fare con gli interessi dei popoli. E' l' Unione della disoccupazione e della sottoccupazione, l'abolizione dei diritti del lavoro e della sicurezza sociale, il blocco dei salari e delle pensioni, la mercificazione della salute, il benessere sociale, istruzione e cultura. I popoli d'Europa hanno accumulato un'esperienza e hanno dimostrato, in pratica, che non l'UE ei suoi trattati non solo non costituisce uno scudo contro la crisi del capitalismo, ma, al contrario, rafforza i vantaggi del capitale ha causato la crisi.
La Partiti Comunisti e Operai d'Europa esprimono la loro solidarietà con il popolo irlandese e lo esorta nuovamente ad opporsi risolutamente alla direzione antidemocratica e anti-lavoro dell'Unione Europea, di respingere la militarizzazione dell' UE e la minaccia alla pace e alla diritti del popolo che rappresenta. Vi invitiamo a sfidare l'ultimatum dell'Unione Europea, a non credere alle promesse di regolamenti, miglioramenti e "protocolli in materia di rispetto dei diritti al di là del trattato" che non modificano la natura reazionaria del trattato.

Chiediamo ai lavoratori negli Stati membri dell'UE:

Mostrare la propria solidarietà attiva con il popolo irlandese.

Appoggiarlo con un messaggio di solidarietà e sostenerlo in qualsiasi altro modo, poiché si tratta di una lotta comune e il suo esito avrà ripercussioni per i lavoratori in tutta l'UE.

L' Europa delle multinazionali ha serrato le file dietro le forze del "SI". Noi, i Partiti Comunisti e dei Lavoratori, chiamiamo i lavoratori a serrare i ranghi in solidarietà con la classe operaia irlandese e le altre forze popolari del paese.

Facciamo appello al popolo irlandese per sottolineare i loro punti di forza e votare "NO" di nuovo e dare il colpo decisivo che segnerà il rigetto del trattato reazionario. Questo risultato porterà nuovi ostacoli all'attacco dell'UE imperialista e darà un nuovo impulso alle lotte della classe operaia e ai settori popolari poveri in tutta Europa.

Partito Comunista di Bielorussia
Partito dei Lavoratori del Belgio
Partito dei Lavoratori di Bosnia Herezegovina
Partito Comunista Britannico
Nuovo Partito Comunista Britannico
Partito Socialista della Croazia
Partito Comunista in Danimarca
Partito Comunista della Danimarca
Partito Comunista dell' Estonia
Partito Comunità della Finlandia
Partito Comunista della Grecia
Partito Comunista dei Lavoratori ungheresi
Partito Comunista d'Irlanda
Partito dei Lavoratori d'Irlanda
Partito Socialista della Lettonia
Partito Comunista del Lussemburgo
Nuovo Partito Comunista dei Paesi Bassi
Partito Comunista della Norvegia
Partito Comunsita della Polonia
Partito Comunista Portoghese
Partito Comunista della Federazione Russa
Partito Comunista dei Lavoratori Russo – Partito Rivoluzionario dei Comunisti
Partito Comunista della Slovacchia
Partito Comunista dei Popoli di Spagna
Partito Comunista di Svezia
Partito Comunista della Turchia

Fonte: http://www.pcpe.es/?p=1896 http://www.pcpe.es/?p=1896
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