10 luglio 2009

STEFANO MONTANARI SENZA MICROSCOPIO?

Stefano Montanari (Bologna 1949) autore di diversi brevetti nel campo della cardiochirurgia, della chirurgia vascolare, della pneumologia e progettista di sistemi ed apparecchiature per l’elettrofisiologia, ha eseguito consulenze scientifiche per varie aziende, dirigendo, tra l’altro, un progetto per la realizzazione di una valvola cardiaca biologica.
Dal 1979 collabora con la moglie Antonietta Gatti in numerose ricerche sui biomateriali.
Dal 2004 ha la direzione scientifica del laboratorio Nanodiagnostics di Modena in cui si svolgono ricerche e si offrono consulenze di altissimo livello sulle nanopatologie. Tra i suoi libri, ricordiamo: Nanopathology (con A. M. Gatti), Lo stivale di Barabba, La carne addosso, Il futuro bruciato. Il suo blog è: http://www.stefanomontanari.net/

Teroni -Lei dirige il laboratorio Nanodiagnostics di Modena e le ricerche di cui vi occupate sono senza dubbio urgenti e di interesse pubblico. Rimando, per introdurre il lettore al problema delle nanopatologie, alle risposte pubblicate nel suo blog (sezione: biografia, f.a.q.).
Le vostre ricerche si basano sull’utilizzo di uno speciale microscopio – molto costoso – che siete riusciti a ottenere per mezzo dei finanziamenti della Comunità Europea. L’università di Modena vi ha poi sottratto questo microscopio. Perchè, secondo lei, l’università, volente
o nolente, ha ostacolato il vostro lavoro, invece di aiutarvi e magari finanziarvi?

Montanari – No, le cose non stanno affatto così. Come ho spiegato nel mio libro Il girone delle polveri sottili, l’Università non c’entra e non ha mai preteso diritti sullo strumento semplicemente perché non ne aveva titolo. Il microscopio fu acquistato in parte con denaro CE e in parte con denaro nostro. Poi, per motivi burocratici, finì al CNR che se lo prese. Che l’Università non abbia agevolato il nostro lavoro è un dato di fatto, che non abbia messo un soldo, pure e il perché non voglio nemmeno indagarlo.

Teroni – Avete poi avuti dei segnali positivi, un qualche aiuto o riconoscimento ufficiale da parte dell’università di Modena?

Montanari – No.

Teroni - È vero che anche il secondo microscopio (che siete riusciti a comprare con donazioni private e con l’aiuto dei meetup di Grillo) vi sarà sottratto e finirà all’università di Urbino?

MontanariSì, è vero.

Teroni - L’avvocato della onlus, a cui questo secondo microscopio è intestato, sostiene che è stato spostato perché veniva usato dal vostro laboratorio a fini di lucro. Vuole precisare qualcosa in proposito?

Montanari - Intanto non esiste nessun “secondo” microscopio. Noi ne abbiamo uno, la cosa è nota e chiunque può controllare: il mio laboratorio è aperto a tutti, dalle gite scolastiche agli scienziati ai semplici curiosi.
Se per “primo” microscopio s’intende quello del Laboratorio di Biomateriali, si sappia che con quello noi non abbiamo nulla a che fare, che è di prestazioni inferiori al nostro e che, quando non è rotto come ora, lavora sulle cellule. Si tratta di ricerche interessanti sempre inerenti le nanopatologie, ma non è roba mia. Al momento, per ovviare al fermo di quel microscopio e al fatto che nessuno ha i soldi per ripararlo, il Laboratorio di Biomateriali viene da noi e usa il nostro quando ci sono ritagli di tempo. Di fatto il nostro microscopio lavora almeno otto ore al giorno e spesso lavora in automatico anche la notte. Dunque, trovare un buco non è facile.
Venendo al resto, l’avvocato Marina Bortolani, presidentessa della Onlus, ha la non condivisibile abitudine di parlare di cose che non conosce. Il “sottoutilizzo” del microscopio è un esempio lampante della sua incompetenza nel campo specifico e della sua spericolatezza nel lanciarsi in argomenti che rendono semplicemente grottesche le sue argomentazioni. A volte, però, la verità la conosce ma la adatta alle sue necessità contingenti. Come ho spiegato innumerevoli volte e come la Bortolani stessa sa perfettamente, la ricerca che noi conduciamo costa cifre imponenti, questo almeno per i nostri ordini di grandezza. C’è chi strilla e pretende, ma nessuno sostiene economicamente le spese e, dunque, siamo costretti ad eseguire saltuariamente analisi per qualche azienda o per qualche privato che ce le richiedono. Da questa attività, pur marginale, ricaviamo qualche soldo che va in toto alla ricerca. Tuttavia quel denaro non copre che una frazione minima delle spese. Così, sempre per tenere in piedi la ricerca, io presto consulenze a comuni o ad altri enti e queste consulenze non richiedono l’uso di apparecchiature di alcun tipo. Poi faccio conferenze e scrivo libri e anche quei proventi finiscono lì. Per quello che manca, mia moglie ed io usiamo il denaro che abbiamo messo da parte dal 1972, cioè da quando abbiamo cominciato a lavorare. Tenga conto che né io né mia moglie riceviamo compensi di sorta e, dunque, lavoriamo gratis e a nostre spese. Chiunque puòvenire a controllare in qualsiasi momento, cosa che nessuno fa nonostante i
miei inviti. Si preferisce, invece, e questo per motivi che non voglio nemmeno indagare per la pietà umana che ho verso certi individui, affiancare goffamente, e, credo, senza che questo appoggio così imbarazzante sia richiesto, l’azione della signora Bortolani mettendo fango nel ventilatore.
Tipico del vile è farlo standosene bene al sicuro dietro il riparo di uno pseudonimo Internet. Insomma, la signora Bortolani mente ben cosciente di mentire perché tutte queste cose le conosce da anni. Aggiungo pure che più di una volta in passato lei stessa mi diede del fesso proprio per questo mio atteggiamento. Ciò che la signora Bortolani dovrebbe fare invece d’inventare pettegolezzi peraltro smentibili documenti alla mano è di rimboccarsi le maniche e darci un aiuto o, almeno, se sacrificare qualche Euro è troppo per lei, starsene tranquilla, già contenta dei vantaggi che le sono piovuti dal cielo quando ebbe dalla raccolta fondi una pubblicità a favore della sua associazione che mai le sarebbe capitata.
Naturalmente io non posso più tollerare che s’inventino leggende sul mio conto e su quello di mia moglie e, perciò, ho deciso di affidare il compito di tutelarmi ad un avvocato. Nella sede opportuna ognuno mostrerà la documentazione di cui dispone e chi di dovere giudicherà.
Chi vuole, comunque, può leggere la lettera che ho inviato alla Bortolani su
http://www.stefanomontanari.net/index.php?option=com_content&task=view&id=18
34&Itemid=1

Teroni – Come si deduce dal suo libro Il girone delle polveri sottili, una buona parte dei docenti universitari sembra più interessata a servire una logica interna di poteri e baronie. Di questo aspetto si parla ogni tanto (addirittura in televisione) poi tutto sfuma, come se nulla fosse. Quanto costa, in termini di sviluppo scientifico, il sistema baronale?

Montanari – I baroni di oggi sono diversi da quelli di qualche decennio fa. Una volta erano sì dei mascalzoni, ma spesso erano colti e anche capaci. Poi avevano una sorta di orgoglio di scuola, vale a dire che mai e poi mai avrebbero fatto far carriera o avrebbero mandato ad occupare posti d’insegnamento o di ricerca in altre università degli asini. Che cosa si sarebbe pensato di loro? Oggi i baroni sono con sempre maggiore frequenza dei personaggi intrisi d’ignoranza e di presunzione e corrotti fino al midollo. Per quattro soldi, per uno scalino in carriera, per un/a compagno/a di letto fanno qualsiasi cosa. Il risultato è quello che vede chiunque non tenga cocciutamente le fette di prosciutto sugli occhi. Le nostre università scivolano sempre più in basso nelle classifiche mondiali e i nostri laureati
sono oggetto di vergogna. Tempo fa parlavo con un neo-ingegnere ambientale che mi spiegava come la materia sparisca negl’inceneritori perché viene trasformata in energia. Siamo ai piedi della croce.

Teroni – Non solo l’Università e le sue logiche, ma anche le istituzioni pubbliche, come l’ARPA, sembrano asservite al sistema dello scambio di poteri. Cito dal suo libro: “chiunque attenti a quelle presunte certezze è ipso facto un nemico da eliminare” (p. 34). Insomma, a mettersi contro i poteri forti, in Italia, si perde. Forse conviene dimenticarsi etica e deontologia e adeguarsi al sistema?

Montanari - Dipende da che cosa s’intende con il verbo “convenire”. Se si pensa alla carriera e ai quattrini, non ci sono dubbi. Se, invece, decidiamo che siamo troppo preziosi per metterci in vendita, conviene eccome. Io non baratterei un briciolo di dignità per nulla al mondo, e se questo mi è valso in passato, mi vale adesso e mi varrà domani guai a non finire, è una contropartita che accetto. Ora sto perdendo lo strumento di lavoro che mi sono guadagnato con fatiche enormi e che mi viene sottratto in barba alla volontà di chi aveva versato denaro, poco o tanto che fosse, proprio perché o potessi disporre di quello strumento. Se fossi stato più “furbo”, questo non sarebbe accaduto. Ad esempio, scivolando un po’ sull’onestà, avrei intestato a me il microscopio e non ad una onlus che si è poi rivelata essere non proprio come io mi ero illuso che fosse. Essere furbi è il peggior surrogato di essere intelligenti. E poi i furbi hanno un’onestà a responsabilità limitata. Da ultimo, se fossi stato furbo, non mi sarei fidato di certi personaggi e di tutto il fumo senza arrosto di cui si circondavano e si circondano tuttora. Ma vivere così, perennemente sul chi va là, ti rovina l’esistenza. Certo, le fregature bruciano, ma è meglio essere fregati di quanto non lo sia fregare.

Teroni – La questione si fa ancora più complessa quando si vanno a intaccare interessi economici di grandi aziende. La sentenza del 31/3/2006 vi diede ragione sull’ENEL, che fu “condannata con qualche milione da pagare per i danni arrecati all’ambiente” (p. 116). Giornali e TV non ne fecero menzione. Noi viviamo in un paese dove l’informazione è teleguidata dai poteri forti e dove la maggioranza considera vero solo ciò che dice la televisione. Ha mai pensato di arrendersi, visto che, nel nostro paese, la cultura qualunquistica e mafiesca sembra indistruttibile?

Montanari - Arrendermi io? Solo quando mi arriverà un pallettone fra le scapole come qualcuno si augura. E stiano attenti a colpire giusto.

Fonte: http://www.stradepossibili.it/?p=709

ACCORDO USA-ISRAELE PER L'OCCUPAZIONE DELLA CISGIORDANIA

di Matteo Bernabei

Come volevasi dimostrare le belle parole pronunciate martedì scorso dal presidente israeliano Shimon Peres, sulla ripresa dei colloqui di pace con i palestinesi e sulla fine della colonizzazione della Cisgiordania, si sono dimostrate prive di ogni fondamento. Secondo quanto riportato ieri dal quotidiano Maariv, l’entità sionista avrebbe siglato un accordo con gli Stati Uniti per continuare la costruzione di 2500 abitazioni negli insediamenti della Cisgiordania. Un’intesa che sarebbe stata raggiunta durante l’incontro avvenuto lunedì scorso a Londra tra il ministro israeliano della Difesa, Ehud Barak, il premier Benjamin Netanyahu (foto), con l’inviato degli Usa per il Vicino Oriente, George Mitchell, che come rappresentante della nuova amministrazione Usa era tornato a chiedere ai vertici dell’entità sionista di congelare la propria politica espansionistica. L’accordo toglie il velo di ipocrisia che nelle scorse settimane aveva coperto le belle parole con cui gli Usa affermavano che non avrebbero accettato la costruzione di nuovi insediamenti né l’espansione delle colonie esistenti.

9 luglio 2009

DOVE SONO FINITI I MILIARDI DEI FONDI DI SALVATAGGIO DELLA FED?



Il senato blocca il disegno di legge per la revisione (
dei conti ndt) della FED mentre il governo si prepara per il secondo turno di saccheggio. Il senatore Jim DeMint critica duramente il monopolio della FED, e chiede dove sono finiti i miliardi dei fondi di salvataggio.

di Paul Joseph Watson

Un'emendamento del Senato basato sul riuscito disegno di legge alla camera da parte del membro del congresso Ron Paul per revisiore la FED è stato bloccato dal Senato ieri sera per motivi procedurali, così Jim DeMint critica duramente la FED per il rifiuto di rivelare dove sono finiti i miliardi dei fondi del salvataggio, mentre un importante consigliere dell'amministrazione Obama ha chiesto di preparare un secondo pacchetto “di stimolo”.

Il senatore repubblicano DeMint aveva tentato di ottenere un provvedimento legato al budget di spesa del 2010 che avrebbe eliminato le restrizioni in materia di controllo delle operazioni di riduzione della Fed, strutture di finanziamento, operazioni di mercato e gli accordi con le banche centrali e governi.
Tuttavia, l' emendamento è stato bloccato dalle autorità del Senato che hanno sostenuto la violazione delle regole per le disposizioni fissate ai budget di spesa.

Naturalmente, quando l'elite desidera ottenere la propria legislazione infilata dentro, come il disegno di legge alla camera sul clima, è perfettamente soddisfacente per i membri del congresso essere dispensati addirittura dal leggerlo, per avere 300 pagine aggiunte alle 3 del mattino prima del voto e per tutti i generi di porcate da inserire.
Ma Dio non voglia effettivamente che i rappresentanti dovessero cercare di far passare qualcosa di cui potrebbe beneficiare il popolo americano e non le banche private che sono al di là di ogni controllo e al di sopra della legge.

DeMint ha detto che negli Stati Uniti la FED ha goduto di un monopolio sul denaro e il credito dal 1913 e tuttavia non è mai stata trasparente o responsabile al congresso, mentre durante quel periodo il dollaro ha perso il 95% del relativo potere di acquisto.
“La FED genererà e sborserà miliardi di dollari in risposta alla nostra crisi finanziaria corrente” ha detto DeMint. "Gli americani in tutta la nazione, indipendentemente dal loro parere in merito al salvataggio, vogliono sapere dove è andato il denaro", desiderano conoscere dove sono andati a finire i soldi” ha aggiunto, riferendosi al rifiuto della FED di rivelare dove sono andati i miliardi dei fondi per il salvataggio.
“Permettere che la FED operi sul nostro sistema finanziario nazionale nella quasi completa segretezza porta ad abusi, inflazione e ad un abbassamento della qualità della vita” ha detto DeMint.

Un articolo della Reuters sul passaggio al senato per bloccare il disegno di legge ha detto che la FED stava “affrontando pressioni crescenti nel tentativo di guarire l’economia indisposta”.
In realtà, la FED non ha fatto niente per ”guarire” l'economia mentre la disoccupazione ha superato le aspettative ed il quadro finanziario sembra sempre più tetro ogni giorno. La corsa al profitto privato della FED ha preso milioni nei fondi “per lo stimolo” ed ha rifiutato persino di divulgare dove sono andati, anche sotto la minaccia di denuncia di Bloomberg.

Nel frattempo, persone come Ben Bernanke si sono impegnati nella minaccia del terrorismo finanziario minacciando un crollo economico se sarà permesso un controllo della FED.
Qualsiasi reale verifica sulla FED naturalmente genererebbe un gigantesco blocco stradale per i piani dell'amministrazione di Obama nel lanciare un nuovo programma di saccheggio e grande furto nelle sembianze di un secondo piano “di stimolo”.

"Ci dovrebbe essere una pianificazione di contingenza per una seconda tornata di stimolo", ha detto Laura D'Andrea Tyson, un membro del gruppo di consulenza Presidente Barack Obama, relativa alla lotta contro la crisi economica, il martedì, come riporta la CNBC.
Questo è precisamente il motivo per cui le autorità del Senato, comprate e pagate dai banchieri privati che ora possiedono gli Stati Uniti, hanno bloccato gli sforzi di controllare la FED, perché sanno che la ricaduta sarà un disastro per il loro posto sulla potente galleria delle noccioline (ndt http://en.wikipedia.org/wiki/Peanut_gallery) e a sua volta concluderà l’incessante dilettarsi nel bastonare, ferire e shakerare il contribuente americano.

Fonte: http://www.prisonplanet.com/

Tradotto e per Voci Dalla Strada da andreaatparma

8 luglio 2009

ITALIA SENZA PARLAMENTO



La assoluta omogeneità delle due coalizioni che da quindici anni si alternano al governo dell’Italia. Perché in Italia abbiamo un governo ma non il Parlamento.

di Stefano D’Andrea

Da tempo, in Italia, quasi non vi sono più partiti che si candidino per essere eletti in Parlamento. Intendiamo partiti che si candidino per parlare della situazione politico-giuridica e della direzione che si vuole imprimere, mediante l’attività legislativa, alla vita collettiva della nazione.

Da tempo i partiti non si candidano alle elezioni politiche parlamentari per parlare, ma per governare. E infatti non si candidano i partiti ma le coalizioni. Due coalizioni di partiti, godendo per diritto – in particolare in forza della modifica delle leggi elettorali proporzionali e della legislazione sul finanziamento pubblico dei partiti – di posizione privilegiate (e si tratta di privilegio giuridico, non di mero fatto) rispetto a possibili nuovi partiti, si offrono alla scelta del popolo, raccomandando il voto utile e spingendo silenziosamente al non voto molte tra le forze più sane della nazione.

Da un lato i cittadini sono sottoposti ad un potere – il privilegio conferisce un potere – che ostacola l’emersione di idee e proposte nuove; dall’altro le coalizioni non si candidano per parlare, bensì esclusivamente per governare. La parola è ormai inutile. Non c’è da parlare.
Non c’è da parlare, perché non c’è da pensare. Pensare significa vagliare ipotesi alternative. Scegliere tra diversi principi. Ma da lungo tempo il Parlamento non è più chiamato a scegliere tra principi, bensì, al più, tra norme di dettaglio.
Non c’è da pensare. C’è si da introdurre norme, ossia scrivere parole vincolanti per il popolo italiano – invero sempre più mediante decreti legislativi e regolamenti con deleghe in bianco ovvero mediante decreti legge -; ma legiferare ormai da lungo tempo significa applicare ed adeguare. Ed è per questo che basta un governo e non serve il Parlamento.
Applicare le direttive europee; applicare gli accordi del wto; applicare il principio della libera concorrenza; applicare il dogma delle privatizzazione delle imprese pubbliche; applicare i suggerimenti della analisi economica del diritto; applicare il principio più caro al capitale finanziario, ossia il principio di non tassare severamente le rendite; applicare il principio della precarietà del lavoro subordinato; adeguare la legislazione di spesa e tutta quella connessa ai criteri di Maastricht; applicare gli accordi di Schengen; applicare la strategia di Lisbona; applicare il principio “economico” (ossia l’inganno ideologico) che si crea valore anche se si moltiplicano gli intermediari; applicare il principio che bisogna lasciare al “mercato” la decisione sui rapporti di forza tra produttori e intermediari; applicare la suprema direttiva della libera circolazione mondiale del capitale finanziario; adeguarsi alla dottrina della guerra preventiva; addirittura applicare le direttive del vaticano; e così via.
E anche là dove sembravano esservi spazi di libertà, in realtà le coalizioni che si sono succedute al governo si sono ingegnate nell’applicare il modello statunitense, nel tentativo, ingenuo, oltre che malefico, di “importare il sistema”, scambiando così il modello con la realtà.
È verosimile che la crisi economica , aggravandosi, possa cambiare, almeno in parte, le cose. Ma intanro è indubbio che negli ultimi anni il Parlamento non è stato un decisore, bensì un esecutore.
Proprio per il ruolo di esecutrici, le due coalizioni sono state e sono omogenee. E non potrebbe essere diversamente. Quando si tratta di eseguire ordini o direttive ovvero quando si tratta di applicare e non di legiferare veramente, è naturale che debba esservi un comune consenso sui presupposti – ideali, economici, politici – delle direttive e dei vincoli “giuridici” internazionali.
Da quindici anni, le due coalizioni si contendono il (e si alternano nel) ruolo di esecutore di decisioni prese altrove, ossia in altri luoghi, lontani dall’Italia, e, soprattutto da altri, ossia da soggetti che non sono italiani o comunque non sono politicamente “rappresentanti degli italiani”.
Il ruolo di esecutore assunto dalle due coalizioni, in parte, è sancito espressamente nei trattati europei; per altra parte, è stato la conseguenza della volontaria sottomissione alla linee della politica statunitense; per altra parte ancora, strettamente connessa alle prime due, è dipeso dall’accoglimento quasi generale della ideologia globalista, liberista, mercatista, di idolatria della rendita, consumista e usuraria (“un debito per tutti e una rendita per molti!” sembra essere stata l’idea nascosta dagli slogan dissimulatori).
Il ruolo di esecutrici assunto dalle coalizioni, ne implica la assoluta omogeneità sulle questioni politiche essenziali e di fondo. Una omogeneità dissimulata attraverso i litigi e gli insulti dei piccoli uomini che, ad oggi, gli italiani sono in grado di eleggere ed eleggono in Parlamento.

Perciò il Parlamento è morente. Non è il luogo dove si ragiona sulle modalità e i tempi di attuazione della Costituzione. Né è il luogo dove si scelgono chiari principi. Per fare un solo esempio. Bisogna o no promuovere la possibilità che un uomo con il proprio lavoro viva sulla propria terra? È un dubbio che il Parlamento non può nemmeno sollevare; perché una risposta positiva significherebbe aver scelto di emanare una legislazione sistematicamente contrastante con i trattati europei (e con altri trattati internazionali). La scelta è stata già fatta. No. Non bisogna promuovere quella possibilità. Le regole del libero mercato non lo permettono: esse, anzi, subdolamente promuovono la impossibilità che un uomo riesca a vivere con il proprio lavoro sulla propria terra. Ma allora, se questo tema fondamentale, non diversamente da moltissimi altri, non può nemmeno essere discusso salvo che tra mille ipocrisie e finzioni, a cosa serve il Parlamento?
Il Parlamento, negli ultimi quindici anni, è stato il luogo dove sono state eseguite decisioni altrui: decisioni prese da stranieri; dalle burocrazie europee; decisioni imposte dalle lobby; decisioni fondate su ideologie elaborate al di fuori dei nostri centri politici e culturali: dico nostri di italiani; decisioni che applicano direttive provenienti dai pochi gestori e dagli ancor meno proprietari dei grandi capitali finanziari.
La omogeneità politica degli esecutori di quelle decisioni è un dato intrinseco alla situazione politica italiana. Se sono esecutrici scambiabili – chiunque vinca comunque esegue quei principi – allora le due coalizioni sono uguali o sostanzialmente uguali.
E infatti i principi comunemente accolti dalle due coalizioni – i principi che esse hanno applicato, eventualmente con sfumature diverse – sono innumerevoli. Ci sembra importante farne un breve elenco.
Nessuna delle coalizioni che hanno governato l’Italia negli ultimi quindici anni è stata contraria all’Europa liberista e monetaria. Soprattutto nessuna delle due coalizioni è stata contraria all’Europa delle Banche private.
Nessuna delle due coalizioni ha difeso tenacemente l’idea che il tentativo di costruire un’Europa politica imponesse un contratto collettivo di lavoro europeo. Nessuna delle due coalizioni si è scandalizzata del fatto che i principi dei trattati europei avrebbero consentito alle imprese italiane di chiudere gli stabilimenti in Italia e di trasferirli in Polonia.
Nessuna delle due coalizioni ha contrastato la politica di indebitamento dei cittadini, che invece è stata perseguita da entrambe, contro il dettato costituzionale, secondo il quale “la Repubblica incoraggia … il risparmio” e non il debito. Le due coalizione intendevano e intendono conservare il potere andando contro un dettato costituzionale, perché se si fa credito al cittadino, la droga del credito attenua il conflitto sociale, con la conseguenza che non si è costretti a cercare una equilibrata politica dei redditi e le coalizioni al potere vi restano.
Nessuna delle due coalizioni ha contrastato la “tendenza internazionale” a valorizzare i marchi, ad ampliare il campo del brevettabile, a creare i “diritti sportivi”, a tutelare anche (pretese) entità immateriali non brevettabili, suscettibili di figurare in bilancio (come il cosiddetto know-how). Nessuna di esse si è chiesta se questi nuovi principi giuridici fossero giusti o almeno convenienti per il popolo italiano e per quale parte di esso. Le direttive andavano applicate.
Nessuna delle due coalizioni ha lanciato un grido di disperazione perché la tecnica del franchising e i grandi centri commerciali espellevano dal commercio tanti dignitosi commercianti, per sostituirli, molto spesso, in forza di contratti feudali più gravosi della mezzadria, con servi che, sotto le mentite spoglie di una attività autonoma, hanno un enorme vincolo di soggezione nei confronti del loro padrone. Il medesimo ragionamento vale per le concessioni di vendita e i concessionari.
Nessuna delle due coalizioni, a difesa del sacro principio del carattere personale della prestazione professionale, si è detta contraria alla emersione dei grandi studi professionali internazionali, nei quali decine o centinaia di pretesi liberi professionisti sono in realtà lavoratori subordinati – con molti tratti di lavoro servile e sempre salvo il “licenziamento” quando viene a mancare la “domanda” – che lavorano per valorizzare il capitale investito nello studio-azienda. Si tratta sovente di “professionisti” molto più alienati della media degli operai.
Entrambe le coalizioni sono state favorevoli a mantenere i meccanismi elettorali maggioritari recentemente introdotti.
Entrambe le coalizioni hanno reputato che le Regioni dovessero avere maggiori poteri normativi rispetto alla scelta effettuata dai nostri padri costituenti.
Entrambe le coalizioni hanno reputato che il lavoro subordinato dovesse essere più precario rispetto alla stabilità della quale godeva in passato.
Entrambe hanno convenuto che il sistema pensionistico a ripartizione andasse sostituito con quello contributivo.
Entrambe le coalizioni sono state favorevoli a concedere alle Università pubbliche l’“autonomia”. Le due coalizioni sono entrambe colpevoli per aver introdotto o per non aver eliminato, nell’ordinamento scolastico e universitario, i concetti di “credito formativo” e di “debito formativo”; per aver creato e mantenuto la fasulla laurea triennale; per aver promosso e non aver arrestato la proliferazione delle sedi universitarie, delle Facoltà e dei corsi di laurea; per aver aderito alla malefica strategia di Lisbona.
Entrambe le coalizioni hanno sostenuto l’ipocrita tesi che l’esercito italiano sia andato in Iraq e in Afganistan non per fare la guerra bensì per portare la pace.
Nessuna delle due coalizioni si è mai professata contraria alla possibilità che le banche che raccolgono risparmio ed erogano credito siano private. Nessuna ha mai asserito severamente che quelle banche, o almeno le più grandi, devono essere pubbliche. Nessuna delle due coalizioni ha mai proposto che la riserva obbligatoria bancaria debba essere aumentata e che la manovra della riserva obbligatoria debba tornare tra le competenze del Parlamento e del Governo. Nessuna delle due coalizioni ha impedito o soltanto contestato la perdita della sovranità popolare, almeno formale, sulla Banca d’Italia: invero una di esse si è proposta di tornare alla sovranità popolare (sotto il profilo formale); ma si è data tre anni di tempo; e dopo essere tornata al governo, ha lasciato scadere il termine: come se si trattasse di modificare una qualsiasi disposizione di una disciplina di settore. Nessuna delle due coalizioni si è opposta alla reintroduzione, a rigore introduzione, dell’anatocismo bancario, ossia la produzione degli interessi sugli interessi prima del giorno della domanda giudiziale: sappiate che nei rapporti bancari oggi l’anatocismo è la regola generale, mentre prima le cose stavano diversamente.
Nessuna delle due coalizioni si è preoccupata perché il valore degli immobili aumentava progressivamente e notevolmente, giungendo, in pochi anni, fino a raddoppiare. Mentre, per lo più, gli stipendi e i redditi da lavoro autonomo non raddoppiavano. Con la conseguenza che la casa agognata dai cittadini che vivono, più o meno bene, del loro lavoro, non costa più otto o dieci annualità di stipendio o reddito, bensì quindici o venti. Entrambe, anzi, hanno perseguito questo risultato: con l’abrogazione dell’equo canone; non prevedendo sgravi fiscali per le rate di canone e prevedendone per le rate di mutuo; non vietando i mutui ultraventennali per la prima casa; consentendo addirittura i mutui “portabili agli eredi”; abrogando l’ICI; svendendo il patrimonio immobiliare pubblico; non pianificando e non finanziando l’edilizia cooperativa o popolare. Le due coalizioni hanno cominciato a preoccuparsi soltanto quando la bolla immobiliare ha dato segni di essere pronta a sgonfiarsi! Ed è naturale, visto che esse l’hanno volutamente gonfiata. Eppure, dice la nostra Costituzione, “La repubblica favorisce l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione”. Legiferare per elevare i prezzi degli immobili o comunque senza preoccuparsi se la legge introdotta ha come effetto economico la lievitazione dei prezzi degli immobili, da un lato, e consentire la validità di mutui quarantennali o addirittura portabili agli eredi, dall’altro, sono veramente un modo singolare per interpretare la norma costituzionale! Come se i costituenti avessero detto al legislatore: strozza il popolo.
Nessuna delle due coalizioni ha mai proposto di spostare sulle rendite – su tutte le rendite – le immani imposte pagate dai lavoratori, autonomi e subordinati. Né esse hanno proposto di tassare severamente le vincite delle scommesse, che non sono né rendite né profitti, ma vincite, appunto.
Nessuna delle due coalizioni ha vietato, almeno agli enti pubblici, la stipulazione di contratti derivati e in particolare dei cosiddetti contratti di swap. È stata una delle due coalizioni a prevedere che ai contratti di swap non si applicasse la disciplina del gioco e della scommessa (art. 1933 cod. civ.), disciplina in forza della quale, da un lato, il giocatore perdente che abbia pagato non può richiedere quanto ha pagato, dall’altro, se il giocatore perdente non paga, al vincitore non è concessa azione giudiziaria. Senza la modifica legislativa, le banche non avrebbero avuto azione per le perdite subite dalle imprese e dagli enti pubblici a causa della incauta – anche se promossa e pubblicizzata dai promotori finanziari – stipulazione di scommesse sull’andamento dei tassi di interesse e dei rapporti di cambio tra valute. Né la seconda coalizione ha abrogato la norma introdotta dalla prima.
Sono state le due coalizioni ad aver introdotto e a non aver successivamente eliminato la seconda e poi la terza estrazione settimanale del lotto; si è trattato di una particolare applicazione dei vincoli di Maastricht! Le due coalizioni hanno accettato supinamente le decisioni della Corte di Giustizia Europea che hanno tentato di rendere lecito il gioco d’azzardo. Sono le due coalizioni a moltiplicare continuamente i concorsi “gratta e vinci” e i concessionari delle “attività di scommesse”.
E potremmo continuare a lungo.
Così stando le cose – e le cose stanno così – è evidente che le “due coalizioni” sono molto più simili che non due correnti di un medesimo vero partito; di un partito democratico o di un partito unico. Sebbene esse non si sforzino, più di tanto, di combattere il dissenso mediante interventi legislativi, le due coalizioni in realtà lo sopprimono costruendo un consenso generalecol supporto dei media nazionali – consenso generale che sembra, per ora, rendere politicamente irrilevante ogni posizione di dissenso (alludiamo al vero dissenso). Dopo anni di consenso generale ormai i cittadini, quando discutono di politica, discutono di questioni secondarie , di norme applicative di principi dati per scontati, di svolgimenti di presupposti impliciti (e taciuti) ovvero della applicazione di quelle direttive alle quali abbiamo testé accennato (sono le discussioni che si svolgono nei salotti di Vespa, di Ballarò e di Anno zero). Principi, presupposti e direttive che invece dovrebbero essere l’oggetto del dibattito politico.
Quanti sono i principi comuni alle due coalizione che non condividete, già soltanto tra quelli testé elencati? Parecchi? Tanti? E allora perché le avete votate? Perché continuate a votarle? Che fate? Votate contro voi stessi? Mi sembra che ci sia materia per pensare.

Fonte: http://www.appelloalpopolo.it/

7 luglio 2009

I DIRITTI DEI PIU' DEBOLI

Peggiora la situazione dei bambini e delle donne negli Stati Uniti
Gli Stati Uniti sono uno dei principali mercati del traffico di esseri umani nel mondo, in particolare per l'occupazione e il sesso, come indicato da diversi organismi.
La grave situazione dei bambini, adolescenti e donne negli Stati Uniti ha avuto una crescente tendenza verso un deterioramento, nonostante il fatto che le amministrazioni degli Stati Uniti tendono a giudicare le situazioni in altri paesi senza confrontarsi con la propria realtà, d'accordo con le analisi di diverse agenzie, media alternativi e organizzazioni specializzate.

Secondo un rapporto dell'organizzazione in difesa del banco alimentare, Feeding America (America Alimentar), più di 12 milioni di bambini sono minacciati, dal rischio di un' alimentazione non adeguata e la fame nel territorio degli Stati Uniti. In parole povere, lo studio ha concluso che più di tre milioni e mezzo di bambini sotto i cinque anni si trovano ad affrontare la fame. Ciò corrisponde al 17% (uno su sei) dei figli di americani sotto i cinque anni di età.

Inoltre, una relazione da parte del Center for Disease Control and Prevention degli Stati Uniti segnala che 1,35 milioni di studenti delle scuole superiori sono stati minacciati o feriti con un'arma almeno una volta all'interno della scuola.

Sul sito ZonaPediatrica, si riporta che nel corso dell'ultimo decennio, i crimini e le aggressioni sessuali sono aumentati, e negli Stati Uniti si segnalano più di 80 000 casi l'anno di abusi sessuali sui bambini, anche se il numero di incidenti non denunciati è ancora più elevato, dal momento che i bambini hanno paura di dire a qualcuno ciò che è accaduto, e il processo giuridico per verificare le relazioni è difficile. Il danno fisico ed emotivo a lungo termine può essere devastante.

L'analisi di un' organizzazione dei diritti umani relaziona sulla situazione di centinaia di migliaia di bambini che lavorano in aree pericolose e faticose, in molti settori, in quel paese. Il documento afferma che le leggi che disciplinano il lavoro minorile in agricoltura sono molto meno severe di quelle su altri settori dell'economia.

Nel frattempo, il Dipartimento della Pubblica Istruzione Usa, ha riconosciuto che oltre 200.000 studenti delle scuole pubbliche hanno ricevuto punizioni corporali almeno una volta nel corso dello scorso anno scolastico. Le punizioni corporali, che di solito sono costituite da uno o più colpi con una paletta in legno sui glutei del punito, sono legali nelle scuole pubbliche in 21 stati. Uno studio del 2008 sul tema "Un'educazione violenta" è incentrato su punizioni corporali nelle scuole in Texas e Mississippi, due Stati in cui questa pratica più diffusa. Il testo ha osservato che le punizioni corporali possono causare lesioni gravi, ed è usata sproporzionata contro studenti neri e l'educazione speciale.

Per quanto riguarda la situazione delle donne, la discriminazione è presente nel mercato del lavoro e nei luoghi di lavoro.
Le donne americane sono vittime di violenza domestica. Secondo le informazioni fornite dalla Organizzazione Nazionale per le Donne, in quella nazione circa 1 su 400 donne vengono assassinate ogni anno, dal loro partner. Il calcolo annuale di donne picchiate in questo paese è tra i due e i quattro milioni. Esse hanno dieci volte più probabilità di essere aggredite rispetto agli uomini. Le donne separate, divorziate o non sposate, e quelli a basso reddito e le afroamericane, sono vittime di una quantità sproporzionata di attacchi e violazioni.

Il tasso di violenza domestica nelle famiglie che vivono al di sotto della soglia di povertà è di cinque volte superiore a quello delle famiglie ordinarie. Le statistiche mostrano che il 37% delle donne negli Stati Uniti hanno ricevuto cure mediche di emergenza a causa di segni di violenza domestica, almeno una volta, il 30% delle donne in gravidanza subiscono gli attacchi dei loro partner, il 50% di uomini statunitensi attaccano con frequenza le loro mogli e i bambini , il 74% dei professionisti subiscono violenza dai loro colleghi. Según un reporte de AP, la violencia familiar se está extendiendo a los lugares de trabajo. Secondo una relazione AP, la violenza familiare si sta estendendo nei luoghi di lavoro.

Il quotidiano La Opinion, di Los Angeles, ha affermato che solo negli Stati Uniti circa 50.000 vittime ogni anno vengono portati per la schiavitù sessuale, dei quali solo a Los Angeles, senza includere le vittime in fabbriche o servizi domestici, circa 10.000 donne vivono segregate in bordelli.

Nel nord della nazione, il 40% delle prostitute sono di origine afroamericane e gli afro-americani sono il 12% della popolazione, ha detto Richard Poulin, professore presso il Dipartimento di Sociologia e Antropologia presso l'Università di Ottawa, il celebre ricercatore dei processi globalizzazione dell'industria del sesso, in un'intervista con il quotidiano argentino Pagina/12.

Un altro studio pubblicato dall' American Journal of Epidemiology, ha detto che l'età media della morte delle prostitute negli Stati Uniti è di 34 anni. Ulteriori analisi hanno mostrato che nove su dieci prostitute desiderano lasciare la loro attività e quasi la metà hanno tentato il suicidio almeno una volta.

La disoccupazione in Florida è superiore al 10%

Il tasso di disoccupazione della Florida è arrivato al 10% il mese scorso, raggiungendo il 10,2%, ha dichiarato il Dipartimento del Lavoro in Florida. E 'il tasso più elevato dal 1975. Si tratta anche di un aumento rispetto ad aprile, quando è stato del 9,7%, dice il Miami Herald.

La Florida ha perso 417.500 posti di lavoro, pari al 5,3% del totale stato negli ultimi 12 mesi. Solo nel mese di maggio, lo stato ha visto sparire 61.000 posti di lavoro, più di ogni altro stato del paese, ad eccezione della California.

Nel frattempo, il tasso di disoccupazione a Miami-Dade County è stato del 9,8%, con un aumento del 8,2% rispetto al mese precedente, secondo le statistiche del Dipartimento del Lavoro Usa.

Fonte: http://www.rebelion.org/noticia.php?id=88149

6 luglio 2009

FONDAMENTALMENTE POCA DIFFERENZA TRA OBAMA E BUSH

BEIRUT 24 giugno 2009 - Linguista di fama mondiale, studioso e analista politico il professore Noam Chomsky ha scritto ampiamente sul conflitto israelo-palestinese, e sulla politica estera degli Stati Uniti. Chomsky espone il suo punto di vista sui recenti sviluppi in Medio Oriente al The Daily Star (ndt quotidiano libanese).
Noam Chomsky è stato intervistato da Richard Hall
Domanda: Vede delle differenze fra le politiche dell'Ex Presidente degli Stati Uniti George W. Bush ed il suo successore Barack Obama per quanto riguarda il conflitto israelo-palestinese?

Chomsky: Fondamentalmente, c’è poca differenza. Obama ha ripetuto le posizioni di Bush, virtualmente nelle stesse parole. Come Bush, ha richiesto “uno stato palestinese” e come Bush, lascia interamente vago che cosa significhi. Può essere interpretata facilmente per essere la stessa posizione di Netanyahu nel 1996, quando è diventato il primo primo ministro israeliano a tollerare l'istituzione di uno stato palestinese, un fatto che sembra essere dimenticato. Shimon Peres aveva appena lasciato l’ufficio dichiarando che non ci sarebbe mai stato uno stato palestinese. Il Ministro delle informazioni di Netanyahu, una volta gli è stato chiesto se adotterebbe la stessa politica, rispose che se i palestinesi volevano denominare i frammenti lasciati a loro “uno stato”, allora benissimo. Oppure potrebbero denominarlo “pezzetti di pollo fritto”.
Non sappiamo se Obama intenda “il pollo fritto”. Sappiamo che ha eluso con molta attenzione il cuore dell'iniziativa di pace araba che approvò.

5 luglio 2009

I FALCHI USA MOSTRANO LE UNGHIE IN HONDURAS

Contrattacco golpista: si avvicina l’epilogo

Ormai nessuno dubita di una mano nera del Pentagono nel golpe del Caribe: l' Honduras è una grande base terrestre con un' importanza centrale per la strategia geopolitica militare degli Stati Uniti nella regione e il governo di fatto convive in armonia con le basi e l’esercito nordamericano presenti sul territorio. Questo è chiaro: Ciò che non è chiaro è come si sistemeranno i pezzi di una scacchiera quando Zelaya metta nuovamente piede su Honduras. Dando qualche segnale, nelle ultime ore i golpisti hanno contrattaccato e sono apparsi all’orizzonte i falchi USA.

Quello che inizialmente sembrava essere una “passeggiata della democrazia” si è complicato.

Le possibilità che Zalaya ritorni in Honduras con l’asso vincente in mano sfuma con il passare delle ore. Gli attori centrali della “telenovela” del golpe bananiero provano diversi argomenti e cambiano posizione come il camaleonte, a seconda dell’occasione.

Quello che era iniziato come bianco su nero con la condanna unanime dei governi della regione, degli Stati Uniti e dell’UE, comincia a sbiadirsi per la mancanza di azioni concrete per ristabilire il processo e la “governabilità democratica” in Honduras.

Obama (che inizialmente sorprese Cuba e i presidenti “rivoluzionari”) svolge due ruoli in questa telenovela: Da una parte “condanna” il golpe, e dall’altra parte mantiene l’aiuto militare ed economico del governo di fatto e non ha messo in pratica nessuna misura effettiva di blocco contro di esso.

Allo stesso modo, le potenze dell’UE (insieme a Washington) fanno pressioni con “ultimatum” e avvertimenti attraverso l' ONU e l’OEA, che fino ad ora sono stati completamente ignorati dal governo golpista di Micheletti.

Chavez e i paesi dell’ALBA, cominciano a rimanere da soli nelle richieste dure contro l’amministrazione golpista affinché restituisca Zelaya al governo senza nessun tipo di condizioni .

Dal settore di Chavez, si parlava inizialmente di un golpe interno contro Obama aventi come protagonisti i settori ultraconservatori del Pentagono e del Dipartimento di Stato, con l’obiettivo di boicottare (attraverso il rovesciamento di Zelaya) le sue politiche di avvicinamento allo stesso Chaves, Cuba e i presidenti dell’ALBA.

A molti è sembrato strano di vedere Chavez e Obama manifestare le stesse idee sul ritorno di Zelaya al potere. “A me ha sorpreso molto leggere i comunicati di entrambi (Chavez e Obama) e notare delle coincidenze nelle dichiarazioni”, ha detto alla BBC il direttore del COHA, Larry Birns.

Il colpo di Stato in Honduras è un “ palloncino di prova dei falchi dell’intelligence” degli Stati Uniti, che pone al presidente Barack Obama : un “problema interno” di fronte ai suoi simili dell’America Latina, questa è l’opinione dell’analista pro-Chavez Estela Calloni.

La giornalista afferma che ci sono “due visioni”, una che ha fatto “un occhiolino previo” al golpe e l’altra che i “falchi hanno usato questo per mettere in una situazione difficile” Obama, che si è compromesso con i suoi simili latino americani per mantenere un rapporto diverso da quello che aveva George W. Bush e di porre fine agli interventi negli affari interni della regione.

Nonostante questo, nelle ultime ore il settore di Chavez (di fronte alla prova inconfutabile dei fatti) è rimasto deluso dall’atteggiamento di “doppia faccia” di Obama e delle potenze europee che non cercano far tornare senza ulteriori ritardi, Zelaya al governo ma che ora cercano una via d’uscita con il consenso del governo di fatto.

Martedì Chavez ha spazzato via tutto chiedendo seccamente (nel senso di non lasciare spazio a repliche) un “intervento internazionale” contro il governo golpista di Honduras, i cui capi si formarono nel Comando Sud e nella Scuola delle Americhe.

Nonostante la posizione di Washington a favore della “costituzionalità”, la reazione della Casa Bianca non è stata altrettanto pronta nel ritirare il suo ambasciatore dall' Honduras, come già lo hanno fatto vari paesi sudamericani.

Ormai nessuno dubita della presenza di una mano nera del Pentagono nel golpe caraibico: l' Honduras è una gran “base terrestre” di importanza centrale nella strategia geopolitica militare degli Usa e il governo di fatto convive in maniera armoniosa con le basi e l’esercito nordamericano presenti sul territorio.

Questo è ben chiaro: quello che non è chiaro è come si risistemeranno i pezzi della scacchiera quando Zelaya calpesterà ancora la terra dell' Honduras.
Dando qualche segnale, nelle ultime ore i golpisti hanno contrattaccato e sono apparsi all’orizzonte i falchi USA

Contrattacco golpista



Nel frattempo, sulla scacchiera internazionale senza alcuna definizione effettiva che si opponga, il governo golpista ha avvertito Zelaya che sarebbe stato arrestato nel momento stesso in cui toccherà il suolo dell' Honduras, smontando così l’operazione del suo ritorno pianificato per questo giovedì.

Il governo di Micheletti ha preso forza e ha avvertito che negozierà il ritorno di Zelaya solo se questo rinuncia per iscritto alle sue aspirazioni ad essere rieletto. Situazione che, se viene accettata, trasformerebbe il presidente dell’Honduras in un burattino condizionato dai suoi stessi carnefici durante i sei mesi di mandato che gli restano.

“Fino ad oggi, il governo di Roberto Micheletti sembra non aver preso nota della violenta reazione internazionale contro il golpe e crede che i sostegni interni- in modo particolare dei grandi gruppi economici, i mass media e le marce a suo favore, potrà svolgere un ruolo favorevole affinché la pressione internazionale si consumi, con l’obiettivo di arrivare alle elezioni del prossimo novembre e che un nuovo governo prenda il potere, a gennaio del 2010”, segnala l’inviato del giornale argentino Clarin in Honduras.

Nell’immaginario dei golpisti, Zelaya deve promettere pubblicamente che abbandonerà completamente qualsiasi tentativo di far riemergere il referendum che permetta di riformare la Costituzione per rebdere possibile una rielezione.
I deputati del governo di fatto sostengono che ci deve essere un “prezzo politico” sia per Zelaya che per chi lo ha fatto cadere dal governo.

Questo significa che in un negoziato con consenso non dovranno cadere le teste di Micheletti e del capo delle forze armate, del generale Romeo Vasquez Velazquez, l’uomo del Pentagono che con la punta di pistola ha portato Zelaya fuori casa sua ancora in pigiama e lo ha inviato in Costa Rica su un aereo.

Incoraggiati dalla mancanza di azione internazionale contro di essi, i golpisti propongono come condizione perché ritorni Zelaya che si anticipino le elezioni di qualche mese, per decomprimere la situazione e che il nuovo presidente- con Zelaya escluso dalla rielezione- inizi un nuovo periodo.

I FALCHI MOSTRANO LE UNGHIE

Con il Pentagono dentro casa, i golpisti sembrano fortificarsi : I gruppi conservatori negli Stati Uniti cominciano a mobilitarsi per sostenere il golpe civico militare argomentando che è stato contro un “alleato di Chavez” che stava compromettendo la governabilità e la sicurezza nazionale in Honduras.

Isolati sempre più per la pressione internazionale, intimati dalla Organizzazione degli Stati Americani (OEA), l’Assemblea Generale dell’ Organizzazione delle Nazioni Uniti (ONU) i responsabili del golpe che ha fatto cadere Zelaya cominciano ad incontrare sostenitori nel settore più bellico dei neoconservatori e falchi di Washington.

“Si Zelaya è stato eletto, ma anche Hitler e anche Chavez”, ha scritto il giornalista Charles Krauthammer, dell’influente The Washington Post. “Un golpe non è qualcosa di bello, ma è preferibile Zelaya che smantella la democrazia”.

Il giornale di destra National Review ha segnalato nel suo editoriale che i “soldati dell’Honduras che hanno portato fuori da casa sua il presidente Manuel Zelaya agivano per proteggere la democrazia del loro paese, non per calpestarla”.

Gli analisti conservatori che muovono le catene come ABC o CNN, citano come giustificazione del golpe i rapporti di Zelaya con Chavez e altri presidenti della sinistra latinoamericana, che lancia teoriche minacce alla democrazia della regione.

“Guarda, come regola generale, sempre che ti trovi dalla parte di Hugo Chavez , (il presidente nicaraguense) Daniel Ortega e dei gemelli Castro (Fidel e l’attuale mandatario cubano, Raùl) devi riesaminare i tuoi concetti”, ha segnalato Krauthammer sul Wahington Post.

Alcuni analisti presentano Zelaya come un “ burattino di Chavez” della stessa forma in cui i gruppi ultraconservatori descrivevano Daniel Ortega come la “pedina dell' Unione Sovietica e di Cuba” durante gli anni 70.

I repubblicani accusano Obama di essere più duro contro la “destra” regionale che contro i presidenti di sinistra, con a capo Chavez.

Nel suo discorso del 21 maggio, Cheney (il capo spirituale dei falchi bellici) ha detto che il cambio di Obama rispetto alla politica di Bush era ”insensato all’estremo” che porterebbe ad una maggiore insicurezza il popolo statunitense.

L’analista a favore di Chavez, Eva Golinger sostiene che l’intento di mandare via i militari statunitensi potrebbe essere stata la causa del golpe in Honduras. La base militare in Honduras è il centro del golpe, afferma.

A quanto detto da Golinger, le “conversazioni” con i golpisti si sono intensificate durante la settimana scorsa, quando l’ambasciatore statunitense a Tegucigalpa, Hugo Llorens, si è riunito tre volte con i militari golpisti e i gruppi civili per cercare un’altra via di uscita.

Sebbene dai settori di Chavez non ci sono dubbi che il golpe è stato messo in atto dalla rete del Pentagono e della CIA, c’è ancora chi ha dei dubbi sulla partecipazione di Obama nella decisione.
Il fine settimana prossimo sarà decisivo per la risoluzione della telenovela golpista delle banane.

Analisti della CNN segnalavano questo giovedì e finalmente l’amministrazione di Obama, sotto pressione dai repubblicani del congresso e i falchi del Pentagono, sceglierà per la “soluzione salomonica” di un accordo per il ritorno di Zelaya.

In questo accordo- segnalano- predomina l’idea che ambi settori rimangano “imbiancati” e che non verranno perseguiti.

Fonte: http://www.iarnoticias.com/2009/secciones/latinoamerica/0021_honduras_desenlace_02jul09.html

Tradotto per Voci Dalla Strada da VANESA

4 luglio 2009

HONDURAS DA ARMARE: Quello Che Non Raccontano Gli Autori Della Telenovela "Democratica"

Completando la scacchiera...

di Manuel Freytas

In nome di Chavez e del resto dei 34 dirigenti politici che (di sinistra o di destra) amministrano i governi per Washington e le transazionali in America Latina, la OEA, il “Ministero delle Colonie” (condannato come strumento “imperialista” da Cuba, Chavez e la sinistra) arriverà in Honduras per intimare il governo golpista di reintegrare Manuel Zelaya, un proprietario terriero “progressita” nel governo. Vediamo come si armano e si disarmano le parti della telenovela imperiale capitalista.

La trama finale della telenovela con il golpe bananiero si sviluppa in Honduras, una letterale ed effettiva “base terreste” dell’Impero nordamericano nel centro America, dove i golpisti condividono l’aria e il paesaggio con l’esercito statunitense, dal quali dipende l’esercito e la polizia dell' Honduras, che agiscono naturalmente (nei fatti) come un’unità operativa del Comando Sud.

Per capire la trama della telenovela caraibica, dobbiamo fare un po’ di controinformazione strategica per aggiungere ciò che manca all’argomento raccontato da Chavez e dalla sinistra “elettorale”, convertiti in una “strana coppia” di Washington e dell’UE.

C’è da segnalare che l' Honduras non è mai stato un paese democratico nè sovrano: Funzionalmente (dal punto di vista economico, politico e militare) è una colonia di Washington e una gerenza di punti centrali delle banche e transnazionali che depredano le risorse del paese.

Significa che l' Honduras non è retto da un sistema democratico definito come dibattito sociale nei piani dell’uguaglianza, ma da un “sistema democratico” inteso come una strategia di controllo e di dominio regionale che gli USA utilizzano in sostituzione del dominio militare aperto dopo la caduta della Russia e la fine delle rivoluzioni armate in America Latina.

In Honduras, come nel resto del continente latinoamericano (eccetto Cuba, per adesso) quello che esiste sono amministrazioni politiche civili (governi di “destra” e di “sinistra”) che funzionano con una struttura giuridica e politica formale del “paese democratico e sovrano”, ma in realtà hanno i loro sistemi economici-produttivi, i loro commerci esteri e i loro sistemi finanziari, egemonizzati e controllati dalle banche e corporazioni transazionali che agiscono protetti dalla pressione delle lobbie delle ambasciate USA e dell’UE.

A questo bisogna aggiungere che, in Honduras come nel resto della regione, in grado non uguale e combinato, gli eserciti, la polizia e i servizi dell’intelligence sono virtuali appendici funzionali del Comando Sud degli Stati Uniti, che hanno officine e delegazioni ufficiali in tutti gli stati militari maggiori dei paesi (oltre ad integrarli alla loro dottrina e strategia attraverso corsi formativi, di allenamento e operazioni congiunte).

Bisogna anche aggiungere che nelle 34 gerenze di enclave (governi formali) dell’America Latina, a eccezione di Cuba, il sistema economico stabilito è il sistema capitalista, con piena vigenza della proprietà privata dei mezzi di produzione, non basato nella divisione sociale ma nella legge di redditività e nella concentrazione di ricchezza in poche mani, e con il “mercato del consumo” solo disponibili per chi può pagare per i prodotti.

Nel Venezuela dove Chavez rivendica la “rivoluzione socialista” funziona completamente il sistema (livellato globalmente) della società di consumo e la struttura funzionale del sistema capitalista basato sulla proprietà privata.

Nonostante le “riforme” parziali che fa Chavez con le nazionalizzazioni e le politiche assistenziali, il Venezuela (così come Honduras e il resto dei paesi regionali) è uno stato capitalista, con proprietà privata, concentrazione della ricchezza in poche mani e “mercato del consumo “solo per chi può pagare i prodotti ( facilmente comprovabile investigando sulla struttura sociale dei ricchi e dei poveri e la crescita degli attivi degli imprenditori e delle fortune personali da quando Chavez è al potere).”

Il “programma” imperiale
In Honduras, come nel resto dell’America Latina non c’è democrazia reale per una semplice ragione: può esserci democrazia solo quando all’individuo sociale gli si dà l’opportunità di scegliere (e discernere per conoscenza e analisi) tra due opzioni alternative reali, e la democrazia imperiale presenta solo una elezione tra variabili (partiti e politici) che rappresentano la stessa cosa.

I “candidati” che si presentano alle elezioni, non hanno un progetto strategico alternativo al sistema capitalista (se lo avessero sarebbero espulsi al primo tentativo di applicarlo) si differenziano tra di essi solo per il discorso politico elettorale.

Quindi, quando prendono il potere, esercitano solo il programma (economico, politico e militare) stabilito e formalizzato imperialmente per tutta la regione.

Ad esempio (ed esclusa totalmente Cuba e parzialmente il Venezuela) tutti i governi dell’America Latina sviluppano il seguente programma livellato ed esportato dagli Stati Uniti e dall’Europa per tutta la regione:

A) A livello politico: Governi civili eletti periodicamente da elezioni e unificati da un principio che sorge chiaramente dai documenti del Dipartimento di Stato sulle sue politiche per l’America Latina:
1) La difesa illimitata del “sistema democratico” come quadro per la regolamentazione politica e sociale.
2) Programmi di lotta contro il terrorismo e il narcotraffico e il crimine organizzato, attraverso convegni e accordi economici sottoscritti con Washington e le potenze europee. (La Venezuela di Chavez, sottoscrive totalmente questo programma).

B) A livello economico: Sistemi economici-produttivi, finanziari e commerciali retti dal “libero mercato”, l’apertura illimitata dell’ economia e la “privatizzazione” anche illimitata delle strutture dello Stato (conversione dello Stato nazionale nello Stato privato). (Con “riforme” parziali e nazionalizzazioni puntuali il Venezuela di Chavez sottoscrive in linea generale a questo programma)

C) A livello militare: Inserimento livelli operativi delle forze armate, polizia e servizi dell’intelligence regionali nella strategia della “guerra contro il terrorismo” combattere il “narcotraffico” e il crimine organizzato, d’accordo coi piani operativi e ipotesi di conflitto elaborati dal Comando del Sud (Pentagono) e la CIA (intelligence USA), strumentalizzate attraverso convegni militari ed economici con Washington. (Sebbene il Venezuela di Chavez non partecipa alle “operazioni congiunte”, il suo governo sottoscrive funzionalmente a questo programma)

A livello istituzionale e sintetizzato, questo è il programma ufficiale che votano i cittadini dell’America Latina ogni volta che esercitano il diritto “democratico” di “ eleggere liberamente” nelle urne.

Finito il discorso elettorale, come è verificabile statisticamente, i governi di “sinistra” e i governi di “destra” passano ad attuare il programma capitalista imposto su scala continentale.

Quello che nasconde la telenovela “democratica”. Quelli che impulsano la farsa della restaurazione della “democrazia” e di reintegrare Zelaya al governo come espressione di “liberazione” del “popolo dell’Honduras”, omettono il seguente dettaglio:

L' Honduras non è un paese sovrano: militarmente, è un satellite delle strategie del Pentagono in Centro America ( la sua base terrestre virtuale). Economicamente, è un enclave delle banche e delle corporazioni anglo-europei associati con la oligarchia locale. Politicamente, il suo sistema politico-istituzionale (Governo, Parlamento, Corte di Giustizia, etc) c’è solo per compiere il programma imperiale-capitalista livellato per tutta la regione, aldilà di chi occupi eventualmente la carica di Presidente.

Quindi, la restituzione di Zelaya alla gerenza capitalista dell' Honduras non è nessun atto di restituzione del “sistema democratico” ma il cambio di una pedina (la restituzione di Zelaya) per un’altra ( il ritiro del governo usurpatore) dentro dello stesso sistema imperiale capitalista vigente.

Con Zelaya o con Micheletti, non cambia neanche una virgola in Honduras: Il programma è lo stesso, le banche e le transnazionali sono le stesse, il sistema di appropriazione privata della produttività e la ricchezza è lo stesso, la base militare degli Stati Uniti è la stessa, la povertà strutturale e la fame ( come emergente capitalista) sono le stesse.

Il sistema capitalista è un potere strutturale strategico (economico, militare e politico) che non cambia con presidenti che gridano “rivoluzione” da governi capitalisti, ma per mezzo di una strategia, organizzazione e i piani operativi di azione a tutti i livelli orientati a sostituire al sistema capitalista per un altro sistema.

Precisamente, quello che non fanno (nè cercano) Chavez e la sinistra “elettrice” che monta abitualmente gli spettacoli della “rivoluzione democratica” in America Latina.

Quindi, che la messa in scena del golpe bananiero e il “ritorno di Zelaya” unisca Chavez e alla sinistra “elettrice” con Washington e l' UE in uno stesso sacco di “difesa della democrazia” non è nessuna sorpresa.

Quello che sorprende, è che Cuba, l’unico santuario vivo della rivoluzione anticapitalista si presti alla farsa mediatica con la telenovela golpista creata per vendere “democrazia” imperiale per rivoluzione.

Manuel Freytas è giornalista, investigatore e analista, specialista in intelligence e comunicazione strategica.

Fonte: IAR Noticia

Tradotto e segnalato per Voci Dalla Strada da VANESA

3 luglio 2009

VASTA OFFENSIVA USA NEL SUD AFGHANISTAN

Gli Stati Uniti lanciano una vasta offensiva contro i talebani nel sud dell’Afghanistan

L’esercito degli Stati Uniti giovedì ha lanciato una vasta offensiva contro i talebani nella provincia di Helmand, al sud dell’Afghanistan, un bastione degli islamici e grande produttrice di oppio, nel quadro della strategia del Presidente per soffocare un' insurrezione che cresce.
Le forze americane hanno annunciato ai giornalisti invitati in una delle loro basi del sud che decine di aerei ed elicotteri provenienti da diverse basi delle forze internazionali in Afghanistan hanno depositato, poco prima dell’alba, circa 4000 marines statunitensi nella valle del fiume Helmand, nel cuore della provincia omonima.

L’operazione Janjar (“pugnalata“ in dari o pashtun) è l’offensiva aerotrasportata più importante realizzata dal corpo dei marines dai tempi della guerra in Vietnam, hanno precisato i comandanti. Circa 650 poliziotti e soldati afgani hanno partecipato a questa prima fase dell’operazione che ha come obiettivo principale quello di garantire la sicurezza nella provincia di Helmand prima delle elezioni presidenziali del 20 agosto e ristabilire la fiducia nel Governo afgano, secondo quanto dicono i militari statunitensi.

La violenza è aumentata negli ultimi due anni nel paese, nonostante la presenza di quasi 9000 soldati stranieri, raggiungendo il record assoluto in queste settimane, motivo per il quale si temono attacchi contro il collegio elettorale o campagne intimidatorie per dissuadere gli afgani a votare, in modo particolare i bastioni ribelli del sud.

“Janjar” è la più grande operazione militare annunciata dal presidente Obama, dopo aver preso il potere a gennaio, con l’invio di 21.000 soldati di rinforzo, principalmente al sud, per cercare di schiacciare la ribellione islamica.
Una flotta di elicotteri ha depositato all’alba, da qualche parte in Helmand, circa 300 marines che venivano da un campo chiamato Dwyer, ha informato un giornalista dell’AFP che li accompagnava. La loro missione è quella di controllare la strada strategica e un ponte ed unirsi agli abitanti, come ha spiegato Junwaei Sun, di 39 anni, che è al comando del battaglione dei marines.

“Ho detto ai miei uomini che tutto ciò che hanno fatto per prepararsi per questa operazione equivale al fatto che sono pronti per andare”, ha aggiunto, “Siamo preparati a resistere all'opposizione del nemico”, ha commentato.

La prima fase dell’operazione Janjar dovrebbe durare 36 ore, in base ai dati di alcuni ufficiali e gli obiettivi principali sono i distretti di Garmser e Naua, accanto alle zone tribali del nordest del Pakistan, da dove spesso i talebani, dalle loro retroguardie, attaccano.

Questi distretti sono feudi degli insorgenti, dove le forze internazionali- presenti in Afghanistan dalla fine del 2001, quando hanno espulso ai talebani dal potere, non sono mai riusciti a penetrare in modo duraturo. Questa regione è anche la principale produttrice di oppio (più del 90 % della produzione mondiale è in Afghanistan), del quale gli afgani ottengono gran parte delle loro risorse.

Nel distretto di Naua, gli ufficiali statunitensi considerano che ci sono tra i 300 e i 500 combattenti talebani. “Quello che differenzia l’operazione Janjar da quelle precedenti è la grandezza delle forze e la sua velocità”, ha affermato il generale Larry Nicholson, a capo delle forze dei Marines. Nicholson ha assicurato che le prime ore dell’operazione si svolgevano senza problemi.

Soltanto due soldati statunitensi sono rimasti colpiti dalla esplosione di una mina: “E’ tutto quello che sappiamo per ora”, ha affermato durante una conferenza stampa nel Campo Leatherneck. Durante l’operazione useranno aerei senza piloti.

Questa operazione a Helmand ha luogo due giorni dopo la ritirata dei soldati statunitensi dalle città dell’Iraq.

Fonte: http://www.iarnoticias.com/2009/noticias/asia/0160_afg_ofensiva_eeuu_02jul09.htm

Tradotto e segnalato per Voci dalla Strada da VANESA

2 luglio 2009

IL MITO DEL LIBERO COMMERCIO


"Un modo per minare l'agricoltura messicana è inondando il mercato con le esportazioni degli Stati Uniti, che sopravvivono grazie a sovvenzioni, risalenti al periodo di Reagan. Questo non è il libero commercio".
Noam Chomsky


Noam Chomsky ha risposto ai lettori di BBC World in un'intervista in cui ha parlato dal "interesse nazionale" di Washington nel punire Cuba fino all'immagine "demoniaca", che si è dipinta di Hugo Chávez negli Stati Uniti, passando per il "mito "del libero commercio", tema principale della terza ed ultima parte di questa conversazione.

Linguista, attivista, filosofo, Chomsky è stato per quattro decenni uno dei più feroci critici della politica estera del suo paese.

Dopo 80 anni, anche il mondo accademico mette in guardia contro i pericoli di ripetere parole senza chiedersi davvero cosa significano. Ad esempio, il Trattato di Libero Commercio del Nord America è veramente un accordo di libero commercio?

Durante queste tre interviste Noam Chomsky ha risposto a questa e ad altre domande da Boston, dove ha insegnato per più di mezzo secolo presso il prestigioso Massachusetts Institute of Technology. L'intervista è stata condotta da Dalia Ventura.

NAFTA E IL MITO DEL LIBERO SCAMBIO

Alcuni lettori si chiedono che cosa ne pensi degli accordi di libero commercio.

Quando le persone mi chiedono in merito al libero commercio, mi ricordo un commento fatto da Gandhi, quando gli hanno chiesto che cosa pensasse della civiltà occidentale. E la sua risposta è stata: "potrebbe essere un'idea interessante", e lo stesso succede con il libero commercio.
Il cosiddetto libero commercio, in realtà, ha poco a che fare con il libero commercio. In realtà, a volte non hanno molto a che fare neanche con il commercio.

Consideremos, por ejemplo, el tratado de libre comercio entre EE.UU. Si consideri, ad esempio, il trattato di libero commercio tra gli Stati Uniti e il Messico (NAFTA). Ha tutti i tipi di elementi altamente protezionista per il profitto delle imprese. Comprende misure che non hanno nulla a che fare con il commercio, come le condizioni speciali di diritti di investimento.

Il commercio, nel senso di scambio attraverso le frontiere, è aumentato dopo il NAFTA, ma questo commercio, è in gran parte la costruzione di un programma ideologico.

Al tempo dell'Unione Sovietica, se una fabbrica di produceva componenti di auto in Leningrado, li inviavano a varsavia per essere montati, eppoi a Mosca per la vendita, non possiamo chiamare questo scambio commerciale, anche se attraversavano le frontiere. Todo se daba dentro de una economía dirigida. Tutto è all'interno di un' economia.

E una parte sostanziale del commercio tra gli Stati Uniti Messico ed è all'interno di economie. Quindi, se la General Motors produce componenti in Indiana, li invia al Messico del nord per poi essere assemblati e poi vende le vetture a Los Angeles, questo viene chiamato commercio a doppio senso (in entrambe le direzioni), ma tutto si svolge all'interno di un economia.

Non abbiamo dati precisi, le corporations li mantengono segreti, ma probabilmente più della metà di ciò che è chiamato commercio, non è il libero commercio.

Inoltre, un modo per minare e distruggere l'agricoltura messicana eventualmente è inondando il mercato con esportazioni agricole degli Stati Uniti, che sopravvivono con notevoli sovvenzioni pubbliche che risalgono al periodo di Reagan. Questo non è il libero commercio.

Sicuramente, gran parte dell'economia americana si basa sul settore statale, compresi i suoi principali settori come l'informatica e Internet, che è stato sviluppato a livello statale per decenni. La fabbricazione e l'esportazione di aerei, per esempio, un' industria è nata in gran parte dalle Forze aeree.

DA HAITI AL MESSICO
Quindi, quello che è chiamato il libero commercio è uno scambio con alcuni elementi del mercato, ma non è di libero scambio.

E questa si nota. L'anno scorso, per esempio, la grande crisi alimentare in gran parte del mondo in via di sviluppo, in primo luogo, e in forma grave ad Haiti, dove vi sono stati scontri perché la gente non aveva da mangiare.

Fino a non molto tempo fa Haiti era autosufficiente nella sua produzione alimentare, ma questa produzione è stata distrutta da misure di libero commercio che le furono imposte, per esempio, quando Clinton ha deciso di porre fine al terrore di Haiti, che lui stesso aveva sostenuto, ha deciso che non poteva consentire il ritorno di Aristide e ha imposto misure molto restrittive, neo-liberali. Egli non ha consentito ad Haiti a fissare tariffe per proteggere la sua economia.

Gli agricoltori haitiani sono produttori di riso molto efficienti, ma non possono competere con l'industria alimentare degli Stati Uniti che ottiene gran parte dei loro profitti dalle sovvenzioni statali.
Nel caso del Messico, questo accade con la produzione di mais.

Non dobbiamo farci ingannare con il termine "libero commercio". E come disse Gandhi, forse il libero commercio è una buona idea, ma non è il regime che si sta imponendo.

PROTEZIONISMO DEGLI USA.

In realtà, il vero libero commercio non è mai stato messo in atto dai paesi ricchi, tranne per brevi periodi in cui conveniva loro.
Gli Stati Uniti ad esempio, durante il suo periodo di rapido sviluppo nel XIX secolo fino a dopo la seconda guerra mondiale è stato probabilmente il più protezionista del mondo con tariffe molto elevate per bloccare l'entrata di beni di qualità superiore del Regno Unito, Giappone o altri paesi.
Negli anni'50 gli Stati Uniti possedeva la metà della ricchezza del mondo, ha vinto in ogni competizione, così ci siamo mossi in direzione del libero scambio, ma temporaneamente.

Reagan era considerato il profeta del libero commercio, mentre in realtà è stato il presidente più protezionista nella storia del dopoguerra degli Stati Uniti. Raddoppiò le barriere protezionistiche per cercare di salvare l'industria statunitense dalla migliore qualità di merci provenienti dal Giappone.
Molto di ciò che viene detto in merito a tali questioni è mito è davvero necessario smantellare questi miti, prima ancora di iniziare a parlare seriamente di questi temi.

Soprattutto nel caso di Reagan c'è un'organizzazione chiamata L'eredità di Reagan che ha inventato una splendida figura, un po 'come Kim Il Sung (leader della Corea del Nord), che non avevano nulla a che fare con la realtà.

Reagan è stato anche responsabile di molte morti, distrutto quasi quattro paesi in America centrale e sostenuto le atrocità commesse dal Sudafrica in Mozambico e Angola, che hanno causato la morte, forse un milione di persone. E' un record che spaventa molto.

Fonte: http://www.bbc.co.uk/mundo/participe/2009/06/090618_participe_chomsky_librecomercio_3.shtml

1 luglio 2009

PRIMO COLPO DI STATO DI OBAMA

di Eva Golinger

(Note: Sono le 11:15, ora di Caracas, il Presidente Zelaya è in diretta su Telesur da San Jose, Costa Rica. Ha confermato che i soldati sono entrati nella sua residenza nelle prime ore del mattino, sparando e minacciando di uccidere lui e la sua famiglia se si fosse opposto al golpe. È stato costretto a seguire i soldati, che lo hanno portato alla base aerea ed imbarcato su un aereo per in Costa Rica. Ha chiesto al Governo degli Stati Uniti di condannare pubblicamente il colpo di Stato; non facendolo ammetterebbero di fatto la propria complicità).

Caracas, Venezuela – L' sms che ho ricevuto questa mattina diceva “Attenzione, Zelaya è stato sequestrato, colpo di Stato in Honduras, diffondere”. Risveglio brusco per una domenica mattina, soprattutto per i milioni di honduregni che si stavano preparando ad esercitare il sacro diritto di votare oggi per la prima volta in un referendum consultivo sulla convocazione di un'assemblea costituzionale per la riforma della costituzione. Presumibilmente al centro della controversia c'è il referendum previsto per oggi, che non è vincolante ma semplicemente un sondaggio d'opinione per determinare se una maggioranza di honduregni desideri entrare in un processo volto a modificare la loro costituzione.

Tale iniziativa non ha mai avuto luogo nella nazione dell'America Centrale, che ha una costituzione molto limitata che prevede una partecipazione minima del popolo dell'Hunduras al processo politico. La costituzione attuale, scritta nel 1982 al culmine della sporca guerra dell'Amministrazione Reagan in America Centrale, doveva servire a far sì che l'élite che deteneva il potere, sia economico che politico, potesse conservarlo con minime interferenze da parte della popolazione. Zelaya, eletto nel novembre del 2005 per la piattaforma del Partito Liberale dell'Hunduras, aveva proposto il referendum consultivo per determinare se la maggioranza di cittadini concordasse sulla necessità di una riforma costituzionale. Godeva del sostegno della maggioranza dei sindacati e dei movimenti sociali del paese. Se il sondaggio di opinione avesse potuto svolgersi, a seconda dei risultati durante le elezioni del prossimo novembre si sarebbe tenuto un referendum per votare la convocazione di un'assemblea costituzionale. Ma il voto previsto per oggi non era legalmente vincolante.

Anzi, in precedenza la Corte Suprema dell'Honduras lo aveva dichiarato illegale, su richiesta del Congresso: entrambi sono guidati da maggioranze che si oppongono a Zelaya e da membri del partito ultra-conservatore, il Partito Nazionale dell'Honduras (PNH). Questa iniziativa ha portato alla massiccia protesta a favore del Presidente Zelaya. Il 24 giugno il presidente ha rimosso il capo di stato maggiore delle forze armate, il Generale Romeo Vásquez, quando questi si è rifiutato di consentire ai militari di distribuire il materiale elettorale per le elezioni di domenica. Il Generale Romeo Vásquez ha tenuto il materiale sotto rigido controllo militare, rifiutandosi di distribuirlo perfino ai collaboratori del presidente, affermando che il referendum era stato dichiarato illegale dalla Corte Suprema e di non poter ubbidire all'ordine del presidente. Come negli Stati Uniti, anche in Honduras il presidente è Comandante in Capo e ha l'ultima parola sulle azioni dell'esercito. Zelaya ha dunque ordinato la rimozione del Generale. In risposa a questa situazione sempre più tesa si è dimesso anche il Ministro della Difesa, Angel Edmundo Orellana.

Però il giorno successivo la Corte Suprema dell'Honduras ha restituito alle sue funzioni il Generale Romeo Vásquez, dichiarando che la sua deposizione era stata “incostituzionale”. Migliaia di persone si sono riversate nelle strade della capitale dell'Honduras, Tegucigalpa, manifestando il proprio appoggio al Presidente Zelaya ed evidenziando la propria determinazione ad assicurare che il referendum legalmente non vincolante di domenica avesse luogo. Venerdì il presidente e un centinaio di sostenitori hanno marciato verso la vicina base aerea per raccogliere il materiale elettorale che si trovava nelle mani dell'esercito. Quella sera Zelaya ha convocato una conferenza stampa nazionale insieme a un gruppo di rappresentanti di diversi partiti politici e movimenti sociali, richiamando tutti all'unità e alla pace nel paese.

Sabato la situazione in Honduras veniva segnalata come tranquilla. Ma all'alba di domenica un gruppo di circa 60 soldati armati è entrato nella residenza presidenziale e ha preso in ostaggio Zelaya. Dopo varie ore di confusione si è saputo che il presidente era stato portato in una vicina base aerea e condotto in aereo nel vicino Costa Rica. Finora non sono state diffuse immagini del presidente e non si sa se la sua vita sia ancora in pericolo.

La moglie del Presidente Zelaya, Xiomara Castro de Zelaya, in diretta su Telesur alle 10:00 circa, ora di Caracas, ha raccontato che nelle prime ore di domenica mattina i soldati hanno fatto irruzione sparando nella residenza e hanno picchiato e portato via il presidente. “È stato un atto di vigliaccheria”, ha dichiarato la first lady riferendosi al sequestro, che ha avuto luogo in un'ora in cui gli occupanti della casa non erano in grado di reagire. Casto de Zelaya ha anche chiesto che fosse salvata la vita di suo marito, facendo capire che nemmeno lei sa dove si trovi. Ha affermato che le loro vite sono ancora in “grave pericolo” e ha chiesto alla comunità internazionale di denunciare questo colpo di Stato e di agire rapidamente per ristabilire l'ordine costituzionale nel paese, con la liberazione e il ritorno del presidente democraticamente eletto Zelaya.

Il Presidente della Bolivia Evo Morales e quello del Venezuela Hugo Chávez hanno entrambi fatto dichiarazioni pubbliche, domenica mattina, condannando il colpo di Stato in Honduras e chiedendo alla comunità internazionale di reagire per far sì che venga ristabilita la democrazia e che il presidente costituzionale sia reintegrato alle sue funzioni. Mercoledì 24 giugno in Venezuela si è tenuto un incontro straordinario dei paesi membri dell'Alternativa Bolivariana per le Americhe (ALBA), di cui fa parte anche l'Honduras, per accogliere l'Ecuador, Antigua & Barbados e St. Vincent. Durante l'incontro, cui ha partecipato il Ministro degli Esteri dell'Honduras, Patricia Rodas, è stata letta una dichiarazione di supporto al Presidente Zelaya e di condanna di qualsiasi tentativo di minare il suo mandato e i processi democratici dell'Honduras.

Le notizie arrivate dall'Honduras informano che il canale televisivo pubblico, Canal 8, è stato chiuso dai golpisti. Pochi minuti fa Telesur ha annunciato che in Honduras l'esercito sta interrompendo le forniture di elettricità in tutto il paese. Secondo il Ministro degli Esteri Patricia Rodas le stazioni televisive e radiofoniche che sono ancora in grado di andare in onda non stanno dando la notizia del colpo di Stato o del sequestro del Presidente Zelaya. “Sono state tagliate le linee telefoniche e la corrente elettrica”, ha confermato pochi minuti fa Rodas attraverso Telesur. “I media trasmettono telenovele e cartoni animati e non informano la popolazione dell'Honduras su ciò che sta accadendo”. La situazione ricorda in modo inquietante il colpo di Stato dell'aprile 2002 contro il Presidente Chávez in Venezuela, nel quale i media svolsero un ruolo cruciale prima manipolando l'informazione per spalleggiare il golpe e poi oscurando tutto quando la popolazione cominciò a protestare e infine riuscì a sopraffare e a sconfiggere i golpisti, liberando Chávez (anche lui era stato sequestrato dai militari) e ristabilendo l'ordine costituzionale.

Nello scorso secolo l'Honduras è stato vittima di dittature e di forti interferenze statunitensi, comprese diverse invasioni militari. L'ultimo intervento del governo degli Stati Uniti in Honduras ebbe luogo negli anni Ottanta, quando l'Amministrazione Reagan assoldò squadroni della morte e mercenari perché eliminassero ogni possibile “minaccia comunista” in America Centrale. All'epoca John Negroponte era l'ambasciatore degli Stati Uniti in Honduras ed era responsabile del finanziamento e dell'addestramento degli squadroni della morte honduregni che furono colpevoli di migliaia di sparizioni e assassini in tutta la regione.

Venerdì l'Organizzazione degli Stati Americani (OAS) si è riunita per discutere la crisi in Honduras e ha poi diffuso una dichiarazione in cui condanna le minacce alla democrazia e autorizza il viaggio in Honduras di un gruppo di rappresentanti dell'OAS. Nonostante questo venerdì il Segretario di Stato aggiunto degli Stati Uniti, Phillip J. Crowley, si è rifiutato di chiarire la posizione del governo degli Stati Uniti in merito al potenziale colpo di stato contro il Presidente Zelaya, rilasciando invece una dichiarazione più ambigua che sottintendeva il sostegno di Washington agli oppositori del presidente honduregno. Mentre la maggior parte dei governi latinoamericani ha chiaramente espresso una netta condanna dei piani golpisti in corso in Honduras e il proprio sostegno al presidente costituzionalmente eletto dell'Honduras, il portavoce degli Stati Uniti ha dichiarato: “Siamo preoccupati per la rottura del dialogo politico tra i politici honduregni in merito alla consultazione del 28 luglio sulla riforma costituzionale. Sollecitiamo tutte le parti in causa a cercare una soluzione democratica congiunta nell'attuale stallo politico che rispetti la costituzione honduregna e le leggi dell'Honduras e sia coerente con i principi della Carta Democratica Interamericana”

Alle 10:30 di domenica mattina Washington non aveva diffuso altre dichiarazioni sul colpo di Stato militare in Honduras. La nazione centro-americana dipende fortemente dall'economia degli Stati Uniti, che le assicura una delle principali fonti di reddito: si tratta delle rimesse di denaro mandate dagli honduregni che lavorano negli Stati Uniti in base al programma dello “statuto protetto temporaneo” attuato durante la guerra sporca di Washington negli anni Ottanta in seguito all' immigrazione di massa verso il territorio statunitense di honduregni in fuga dalla zona di guerra. Un'altra importante fonte di entrate in Hunduras è USAID (United States Agency for International Development, Agenzia degli Stati Uniti per lo Sviluppo Internazionale), che ogni anno fornisce più di 50 milioni di dollari per programmi di “promozione della democrazia” e generalmente finanzia organizzazioni non governative e partiti politici favorevoli agli interessi americani, come è accaduto in Venezuela, Bolivia e altri paesi della regione. Inoltre il Pentagono mantiene la base militare di Soto Cano in Honduras, con circa 500 soldati e molti aerei ed elicotteri da combattimento.

Il Ministro degli Esteri Rodas ha detto di aver cercato più volte di entrare in contatto con l'Ambasciatore degli Stati Uniti in Honduras, Hugo Llorens, il quale finora si è negato. Il modus operandi del golpe fa capire che Washington vi è coinvolta. Né l'esercito honduregno, che è in gran parte addestrato dalle forze statunitensi, né la dirigenza politica ed economica agirebbero per deporre un presidente democraticamente eletto se non godessero del sostegno e dell'appoggio del governo degli Stati Uniti. Il Presidente Zelaya è stato frequentemente oggetto di attacchi da parte dell forze conservatrici honduregne per i suoi rapporti sempre più stretti con il paesi dell'ALBA, soprattutto il Venezuela e il Presidente Chávez. Molti ritengono che il golpe sia un mezzo per far sì che l'Honduras non continui a perseguire il processo di unificazione a paesi più progressisti e socialisti dell'America Latina.

Fonte: http://www.soaw.org/presente/index.php?option=com_content&task=view&id=217&Itemid=74

Tradotto per Voci Dalla Strada da LORIS

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