17 luglio 2009

LA CORTE COSTITUZIONALE TEDESCA METTE UN FRENO AL TRATTATO DI LISBONA


Il 30 giugno, la Corte Costituzionale tedesca ha emesso la sua sentenza su quattro ricorsi contro il Trattato di Lisbona, definendo "anti-costituzionale" la legge di ratifica e dando così uno schiaffo al Bundestag, il Parlamento tedesco, che l'aveva approvata con una maggioranza del 90% il 24 aprile 2008. È da ritenere positivo il fatto che la sentenza della Corte dichiari che il Parlamento tedesco ha rinunciato alla sovranità, invece di promuovere una legge che proteggesse e rafforzasse i poteri del Parlamento nazionale ed, implicitamente, del governo. Verrà dunque presentato una nuova legge che garantisca i diritti del Bundestag nelle decisioni prese dall'Unione Europea, affermando in particolare che i parlamentari nazionali dovranno votare su ogni cambiamento del trattato o ogni estensione delle competenze dell’Unione Europea. Tale legge verrà inclusa in un documento che accompagnerà il "sì" tedesco al Trattato. Fino a quel momento il Presidente tedesco è tenuto a non sottoscrivere il Trattato.


In una dichiarazione del 3 luglio, la presidente del Movimento Solidarietà tedesco (BüSo) Helga Zepp-LaRouche ha apprezzato la sentenza dichiarando che i giudici hanno "difeso la Costituzione ed interrotto la dinamica con la quale l'Unione Europea è stata progressivamente trasformata in una burocrazia imperiale votata all’auto-contenimento economico, fin dal Trattato di Maastricht" del 1992. Tuttavia, la sentenza è carente in quanto dichiara il nuovo Trattato generalmente compatibile con la Costituzione tedesca, benché il nuovo trattato trasformi il sistema di Maastricht in un regime oligarchico, come abbiamo più volte denunciato. I giudici hanno inoltre omesso ogni menzione del fatto che le sentenze precedenti a favore del sistema di Maastricht si fondassero su argomentazioni in seguito invalidate dagli effetti del crollo economico, come ha sottolineato Helga Zepp-LaRouche.


Un segnale della degenerazione della cultura politica in Germania, aggiunge la signora LaRouche, è il fatto che tra la firma del Trattato di Lisbona il 13 dicembre 2007 da parte dei capi di stato e di governo dell’UE, ed il voto del Bundestag dopo un dibattito in aula durato solo due ore, non sia stata messa a disposizione del Parlamento o della popolazione alcuna informazione sul Trattato, e che il Bundestag lo abbia approvato senza conoscerne i contenuti. Se Helga Zepp-LaRouche non avesse lanciato un appello per mobilitare il pubblico contro il Trattato di Lisbona il 13 febbraio 2008, e se non fossero stati presentati quattro ricorsi alla Corte Costituzionale nelle settimane successive, il Trattato sarebbe stato ratificato dalla Germania alla fine del maggio scorso e la Corte Costituzionale non sarebbe neanche stata scomodata.


L'inazione e la mancanza di princìpi del Parlamento tedesco, aggiunge Helga Zepp-LaRouche, dimostrano ancora una volta come la burocrazia dell’Unione Europea, controllata da interessi monetaristi ed ultra-liberisti che fanno capo all'oligarchia finanziaria londinese, sia già riuscita a "sdemocratizzare" gli stati membri dell'Unione. Resta da vedere se la Corte Costituzionale tedesca riuscirà a fungere anche in futuro da guardiano della democrazia e della Costituzione. Quanto al Bundestag, la signora LaRouche ha chiesto agli elettori tedeschi di punire col loro voto, alle elezioni politiche del 27 settembre, tutti i parlamentari che hanno votato a favore del Trattato di Lisbona svendendo così la sovranità nazionale tedesca.


Fonte: http://www.movisol.org/


Nell'articolo "Ora più di prima, il Trattato di Lisbona è anticostituzionale" il testo del dispositivo e alcune delle motivazioni della sentenza della Corte Costituzionale tedesca del 30 giugno 2009, che ha bocciato la legge di attuazione del Trattato di Lisbona. Le riserve che la nuova legge di attuazione dovrà incorporare sono tali che la Germania si è ritagliata uno stato di eccezione all'interno del Trattato stesso. Questo significa che tutti i paesi firmatari non hanno firmato lo stesso trattato che, a questo punto, è anticostituzionale.

COSA C'E' DIETRO LA VISITA DI OBAMA IN GHANA?

Dopo aver teso la mano ai musulmani (sempre tentando di destabilizzare l’Iran), dopo avec teso la mano ai Russi, (sempre continuando a preparare, in Europa dell’Est, l’impianto dei missili puntati sopra di loro), il presidente Obama tende la mano agli Africani. Ovunque, egli propone di rifondare le relazioni con gli Stati-Uniti senza saldare i crimini del passato. Manlio Dinucci rivela cio’ che si cela dietro quell' impovvisa sollecitudine.
di Manlio Dinucci


Terminato il G8 sul tema «Africa e sicurezza alimentare», il presidente Barack Obama è partito per Accra, capitale del Ghana, dove l'11 luglio, pronuncia un discorso basato sul concetto che gli africani sono responsabili per l’Africa e vanno aiutati a sviluppare le proprie capacità economiche assicurando la democrazia [1]. Non è arrivato a mani vuote: dicono alla Casa Bianca, che sia stato lui a persuadere il G8 a stanziare 20 miliardi di dollari, distribuiti nell'arco di tre anni, per la «sicurezza alimentare» nel mondo.

I «Grandi della Terra» e gli aspiranti tali si presentano così come benefattori, destinando alla lotta contro la fame in un anno quanto spendono in armi ed eserciti in due giorni. I paesi del G8 allargato totalizzano infatti oltre l’80 per cento della spesa militare mondiale, che ha superato i 1500 miliardi di dollari annui, di cui quasi la metà è costituita dalla spesa Usa.

Non sorprende quindi se, in Africa, gli Stati uniti hanno basato la loro politica sullo strumento militare. L’amministrazione Bush ha creato un comando specifico per il continente, il Comando Africa (AfriCom) [2], che ha in Italia due sottocomandi: lo U.S. Army Africa, il cui quartier generale è alla Caserma Ederle di Vicenza, e il comando delle forze navali AfriCom, situato a Napoli. Il quartier generale di Vicenza opera nel continente africano con «piccoli gruppi», ma è pronto a operazioni di «risposta alle crisi» con la 173a brigata aviotrasportata. Il comando di Napoli si occupa delle operazioni navali: tra queste l’«Africa Partnership Station», consistente nella dislocazione di navi da guerra lungo le coste dell’Africa occidentale, con a bordo personale anche di altri paesi, compresi ufficiali italiani. Attraverso programmi di addestramento ed esercitazioni, l’AfriCom fa leva sulle élite militari per portare il maggior numero di paesi africani nella sfera d’influenza statunitense.

In tale contesto, il ruolo del Ghana è importante. I suoi agenti si sono addestrati presso il Centro di studi strategici per l’Africa, istituito dal Pentagono, e in vari programmi dello U.S. Army, in particolare l’Acota, attraverso cui sono stati addestrati 50mila soldati e istruttori africani. L’esercito e la marina Usa hanno avuto anche accesso alle basi militari e ai porti del paese. Il Ghana contribuisce così alla «sicurezza» del Golfo di Guinea, da cui proviene una parte crescente del petrolio importato dagli Usa (il 15%, che dovrebbe salire al 25% nel 2015). Allo stesso tempo, le forze armate del Ghana vengono usate per operazioni di «peacekeeping» non solo nel Darfur [3], in Congo e altri paesi africani, ma anche in Libano, Kosovo e perfino in Georgia. Di pari passo è cresciuta la presenza economica Usa in Ghana, dove però è forte la concorrenza cinese. Come documenta il Dipartimento di stato, la scoperta di grosse riserve petrolifere nei fondali ha attratto in Ghana molte compagnie Usa, mentre altre operano nel settori minerario e agricolo. Il paese è ricco di oro, diamanti, bauxite, manganese, di cui è uno dei maggiori esportatori. E’ anche un grande esportatore di cacao, prodotto da un milione e mezzo di piccole e medie aziende agricole. L’agricoltura non assicura però l’autosufficienza alimentare. E poiché lo sfruttamento delle ricche risorse del paese è controllato dalle multinazionali, la bilancia commerciale del Ghana è in forte perdita. Obama, nel suo discorso, non ha detto come potrebbe essere riequilibrata.

[1] "Intervista con il Presidente Obama AllAfrica.com", Voltaire Network, 02.07.2009.

[2] «Africom : Control militar de EEUU sobre la riqueza de África», di Bryant Hunt, Red Voltaire, il 1 ° aprile 2008. «Triste activation pour l'AfriCom», di Stefano Liberti, Réseau Voltaire, il 06.10.2008.

[3] «Africom's Covert War in Sudan», di Keith Harmon Snow, Rete Voltaire, 11.03.2009.

Fonte: http://www.voltairenet.org/article160997.html

Tradotto per Voci Dalla Strada da Federico C.

16 luglio 2009

USA: TASSO DI DISOCCUPAZIONE AL 9,5%


Persi altri 467.000 posti di lavoro.
Di Andre Damon

L'economia degli Stati Uniti ha perso molti più posti di lavoro in giugno di quello che gli economisti avevano predetto, e il tasso di disoccupazione ha raggiunto il 9.5%, livello più alto dal 1983, secondo i dati pubblicati dal Ministero del Lavoro giovedì. Il rapporto di giugno sui disoccupati ha minato gli sforzi della gestione Obama e dei media di minimizzare la profondità della crisi economica e per generare le illusioni di un veloce recupero.

I lavoratori del settore non agricolo sono scesi di 467.000 unità, confrontato ai 350.000 ampiamente previsti dagli esperti in previsioni economiche. Giugno si è concluso con un calo di posti di lavoro ancora massiccia che prosegyiva da 4 mesi.

I libri paga netti sono virtualmente diminuiti attraverso l'intera economia, con un incremento soltanto nei servizi educativi e sanitari. L’industria ha perso 136.000 posti, i servizi commerciali ne hanno persi 118.000 e l’edilizia ne ha persi 79.000.

L'occupazione nel settore pubblico è scesa di 52.000, dopo la caduta dei 10.000 di maggio. L'aumento importante nella riduzione dei posti di lavoro del settore pubblico è stato dovuto in parte all'effetto dei disavanzi del bilancio, scesi a spirale, che lo stato e gli enti locali stanno affrontano.

Il rapporto dei posti di lavoro riflette un funzionamento dell’economia a livelli vicini alla depressione, generanti una miseria sociale crescente per la classe lavoratrice proprio mentre la banca segnala un impulso nei profitti e si prepara a distribuire profitti record a dirigenti e operatori. Secondo il governo, ci sono ora 14,7 milioni di persone disoccupate negli Stati Uniti. Approssimativamente uguale alla popolazione delle tre più grandi città della nazione: New York, Los Angeles e Chicago.

La truppa dei disoccupati a lungo termine è aumentata in giugno di 433.000 unità, portando il totale a 4,4 milioni – il più alto nella storia. Ciò significa che 3 su 10 persone disoccupate sono state senza lavoro per 27 settimane o più.

Il tasso di disoccupazione ufficiale del 9,5% non considera i cosiddetti operai “scoraggiati”, che hanno rinunciato a cercare un lavoro, e quelli costretti a lavorare part-time perché non possono ottenere l'occupazione a tempo pieno. Secondo il rapporto del Ministero del Lavoro, includendo anche questi, il tasso di disoccupazione sale al 16.5%.

Il Wall Street Journal ha riferito giovedì che questa misura è “al di sopra della più vasta misura che raggiunse il 15% verso la fine del 1982, quando il tasso di disoccupazione ufficiale era del 10.8%” Il Journal ha aggiunto che “… rispetto alla Grande Depressione (quando il 25% degli Americani erano senza lavoro) non può apparire così selvaggio, anche se l'attività economica generale è sostenuta meglio”.

Gli Stati Uniti hanno perso 6,5 milioni di lavoratori da quando la recessione è iniziata ufficialmente nel dicembre del 2007. Tutto lo sviluppo nei lavori durante gli ultimi nove anni ora è stato eliminato e ci sono oggi meno lavori negli Stati Uniti che nel maggio del 2000, secondo un rapporto dall'istituto di politica economica.

La portata globale della crisi è stata sottolineata dai nuovi dati dall’Europa, che indicano che la disoccupazione nell' Eurozona dei 16 paesi ha colpito il 9.5% in maggio, il più alto tasso in 10 anni.

La relazione del giovedì ha seguito similmente le spaventose forme di disoccupazione per le maggiori città degli Stati Uniti rilasciate mercoledì dal Ministero del Lavoro. I tassi di disoccupazione si sono alzati in tutte le 372 aree metropolitane esaminate nel corso dell'anno scorso. Di queste, 15 regioni hanno avuto tassi di disoccupazione del 15% o più.

Non meno significativi delle forme di disoccupazione sono le cifre sugli stipendi e sulle ore lavorate. Il rapporto di giugno ha rispecchiato un' iniziativa sistematica della grande azienda per sfruttare la crisi del lavoro e spingere giù gli stipendi riducendo i costi della manodopera riducendo drasticamente la settimana di lavoro. In media gli operai non hanno veduto aumenti di stipendio in giugno, mentre attualmente i guadagni settimanali medi sono caduti dai loro livelli di maggio.

Il ritmo di crescita dello stipendio è significativamente rallentato. Nel 2008, i guadagni medi orari (come segnalato dal Ministero del Lavoro) sono cresciuti in media dello 0.057% ogni mese. Per i primi sei mesi di quest' anno, tuttavia, gli stipendi sono cresciuti di meno di un quinto di quel tasso. (Vedi la tabella allegata). È significativo che nel mezzo di quello che è stato accreditato come l'inizio di un recupero, gli stipendi, una volta corretti per l’inflazione, stanno cadendo ancora più velocemente che durante il massimo del crollo.

Il rapporto del Ministero del Lavoro ha indicato che le industrie compresi i grossisti, rivenditori, programmi di utilità, svago e ospitalità hanno tagliato la media del costo orario il mese scorso. “I rapporti sparsi di completa deflazione salariale stanno diventando più diffusi” ha detto Ian Morris, economista principale degli Stati Uniti alla HSBC Securities USA, in una nota ai clienti. “Gli operai sembrano disposti ad avere i tagli di stipendio, che rende questa recessione molto insolita” ha aggiunto.

Fra le aziende importanti che riducono drasticamente i lavori e gli stipendi, Gannett Co., il più grande proprietario di giornali, ha detto che taglierà circa 1.400 posti nelle pubblicazioni e ridurrà questo mese gli stipendi per gli impiegati della radiodiffusione fino al 6%. Exelon (ndt ente distribuzione energia elettrica) ha detto che progetta di ridurre di circa 500 lavoratori.

La media della settimana lavorativa è scesa a 33 ore, la più bassa mai registrata da quando sono iniziati i rilevamenti nel 1964.

Altri indicatori congiunturali inoltre continuano a peggiorare. Le vendite di nuovi veicoli in giugno sono cadute del 28% rispetto all’anno precedente, secondo Autodata Corp. di anno in anno, le vendite della Chrysler rallentavano del 42%, di GM del 33% e di Toyota del 32%.

I prezzi delle case sono caduti dello 0.6% in aprile, secondo l'indice di S&P/Case-Shiller di 20 città importanti. I prezzi della casa sono scesi del 18.1% di anno in anno, secondo lo stesso indice. I ritardi nei pagamenti stanno inoltre aumentando, con il numero dei ritardi nelle ipoteche principali, il mese scorso del 2.9%, dall’1.1% un anno fa, secondo la ricerca citata da Bloomberg.com.

Tutto questo ha trovato la sua riflessione nell’ultima forma di fiducia del consumatore. Il Confidence Board ha segnalato questa settimana che il relativo indice di fiducia del consumatore è caduto al 49.3% questo mese, giù dal 54.8% di maggio. Soltanto il 17.4% delle persone esaminate hanno detto che pensano che più lavoro sarà presto disponibile, giù del 19.3% dal mese precedente.

Più analisti ora stanno riconoscendo che nessun “recupero” sarà marginale e richiederà anni di alta disoccupazione. William Gross, il capo della società di bond Pimco, ha detto giovedì che “stiamo guardando la stagflazione o un certo tipo di ristagno in termini di 1 – 2% di sviluppo per un certo numero di anni”.

Il parigrado di Gross alla Pimco, Mohamed EL-Eran, ha scritto in una colonna del Financial Times di giovedì, “nonostante il relativo impulso recente, il tasso di disoccupazione è in probabile aumento anche oltre il 10% per la fine di questo anno e potenzialmente oltre. Effettivamente, la percentuale non si può alzare del 10.5-11% fino al 2010; e probabilmente rimarrà là per un po’ di tempo…”.

Il presidente Obama ha risposto alle ultime cifre con un discorso superficiale giovedì sul prato inglese della Casa Bianca, fiancheggiato dai CEO dell’energia verde. Obama ha sollecitato il suo pacchetto di stimolo ed ha fatto chiaro che non ha programmi per fornire sollievo ai milioni che sono stati devastati dalla crisi. Ha indicato i dirigenti d’azienda milionari allineati dietro di lui come quelli “che contribuiranno a condurci fuori da questa recessione e in un futuro migliore”.

La politica economica della gestione Obama è stata riassunta in una colonna insolitamente franca pubblicata il mese scorso dal cronista Ed Wallace del BusinessWeek. Ha scritto: “La cosa più insidiosa di questa corrente di rallentamento è che molte organizzazioni non stanno solo ridimensionando i loro dipendenti, ma stanno tagliando gli stipendi per quegli individui abbastanza fortunati da mantenere il posto di lavoro… Più probabilmente, la paga degli operai rioccupati in avvenire sarà in conformità con gli stipendi recentemente ridotti dei loro colleghi… Washington ha avuto una 2 scelte: o permette che tutti i prestiti che non sono vitali sotto le attuali condizioni economiche possano essere riscritti a livelli più trattabili, o permette agli operai e gli stipendi di essere tagliati per liberare abbastanza contanti per fare effettuare quei prestiti. Ormai dovrebbe essere evidente ai più quale strategia Washington ha scelto”.

Le ultime cifre dei disoccupati esprimono l'intenzione dell’amministrazione ad un imminente recupero come una manovra artificialmente puntata ad alimentare una corsa al rialzo sul mercato azionario. Lo scopo principale di questa campagna era di permettere all’elite finanziaria di recuperare alcune delle relative perdite, generare le condizioni affinchè le banche tornino al profitto e creare un ambiente in cui il governo potrebbe evitare di imporre tutte le limitazioni alle attività speculative di Wall Street.

Fonte: http://www.wsws.org/articles/2009/jul2009/econ-j03.shtml

Tradotto per Voci Dalla Strada da andreaatparma

14 luglio 2009

IL NEMICO DELLA STAMPA


Il premier vuole imbavagliare l'informazione. E nella nostra società malata la maggioranza degli italiani sembra pronta ad accettare anche questo strappo. Ma il famoso intellettuale dice: 'Io non ci sto'.


di Umberto Eco

Sarà il pessimismo della tarda età, sarà la lucidità che l'età porta con sé, ma provo una certa esitazione, frammista a scetticismo, a intervenire, su invito della redazione, in difesa della libertà di stampa. Voglio dire: quando qualcuno deve intervenire a difesa della libertà di stampa vuole dire che la società, e con essa gran parte della stampa, è già malata. Nelle democrazie che definiremo 'robuste' non c'è bisogno di difendere la libertà di stampa, perché a nessuno viene in mente di limitarla.

Questa la prima ragione del mio scetticismo, da cui discende un corollario. Il problema italiano non è Silvio Berlusconi. La storia (vorrei dire da Catilina in avanti) è stata ricca di uomini avventurosi, non privi di carisma, con scarso senso dello Stato ma senso altissimo dei propri interessi, che hanno desiderato instaurare un potere personale, scavalcando parlamenti, magistrature e costituzioni, distribuendo favori ai propri cortigiani e (talora) alle proprie cortigiane, identificando il proprio piacere con l'interesse della comunità. È che non sempre questi uomini hanno conquistato il potere a cui aspiravano, perché la società non glielo ha permesso. Quando la società glielo ha permesso, perché prendersela con questi uomini e non con la società che li ha lasciati fare?

Ricorderò sempre una storia che raccontava mia mamma che, ventenne, aveva trovato un bell'impiego come segretaria e dattilografa di un onorevole liberale - e dico liberale. Il giorno dopo la salita di Mussolini al potere quest'uomo aveva detto: "Ma in fondo, con la situazione in cui si trovava l'Italia, forse quest'Uomo troverà il modo di rimettere un po' d'ordine". Ecco, a instaurare il fascismo non è stata l'energia di Mussolini (occasione e pretesto) ma l'indulgenza e la rilassatezza di quell'onorevole liberale (rappresentante esemplare di un Paese in crisi).

E quindi è inutile prendersela con Berlusconi che fa, per così dire, il proprio mestiere. È la maggioranza degli italiani che ha accettato il conflitto di interessi, che accetta le ronde, che accetta il lodo Alfano, e che ora avrebbe accettato abbastanza tranquillamente - se il presidente della Repubblica non avesse alzato un sopracciglio - la mordacchia messa (per ora sperimentalmente) alla stampa. La stessa nazione accetterebbe senza esitazione, e anzi con una certa maliziosa complicità, che Berlusconi andasse a veline, se ora non intervenisse a turbare la pubblica coscienza una cauta censura della Chiesa - che sarà però ben presto superata perché è da quel dì che gli italiani, e i buoni cristiani in genere, vanno a mignotte anche se il parroco dice che non si dovrebbe.

Allora perché dedicare a questi allarmi un numero de 'L'espresso' se sappiamo che esso arriverà a chi di questi rischi della democrazia è già convinto, ma non sarà letto da chi è disposto ad accettarli purché non gli manchi la sua quota di Grande Fratello - e di molte vicende politico-sessuali sa in fondo pochissimo, perché una informazione in gran parte sotto controllo non gliene parla neppure?

Già, perché farlo? Il perché è molto semplice. Nel 1931 il fascismo aveva imposto ai professori universitari, che erano allora 1.200, un giuramento di fedeltà al regime. Solo 12 (1 per cento) rifiutarono e persero il posto. Alcuni dicono 14, ma questo ci conferma quanto il fenomeno sia all'epoca passato inosservato lasciando memorie vaghe. Tanti altri, che poi sarebbero stati personaggi eminenti dell'antifascismo postbellico, consigliati persino da Palmiro Togliatti o da Benedetto Croce, giurarono, per poter continuare a diffondere il loro insegnamento. Forse i 1.188 che sono rimasti avevano ragione loro, per ragioni diverse e tutte onorevoli. Però quei 12 che hanno detto di no hanno salvato l'onore dell'Università e in definitiva l'onore del Paese.

Ecco perché bisogna talora dire di no anche se, pessimisticamente, si sa che non servirà a niente.

Almeno che un giorno si possa dire che lo si è detto

Fonte: http://espresso.repubblica.it/

GIU' LE MANI DAL MICROSCOPIO DI MONTANARI


To: Sostenitori della ricerca sulle nanoparticelle

Premessa. Il 13 marzo 2006 parte una sottoscrizione (*) per raccogliere fondi da impiegare per l'acquisto di un microscopio elettronico da destinare “alla ricerca dei dott. Stefano Montanari e Antonietta Gatta sulle nanoparticelle”. L'appello vine pubblicato anche sul Bolg di Beppe Grillo (*) Si decide di fare raccogliere i fondi ed effettuare l'acquisto alla Associazione Carlo Bortolani ONLUS.
Attenzione!!! la ONLUS fa l'acquisto, i donatori offrono fondi per "la ricerca di Stefano Montanari e Antonietta Gatti" come è ben chiarito nell'appello (*): http://www.beppegrillo.it/2006/03/la_ricerca_imba/index.html

Ora si viene a sapere che la ONLUS citata, senza avvertire nessuno, in totale solitudine, dona il microscopio all'Università di Urbino stravolgendo in toto le motivazioni che hanno spinto i donatori a finanziare l'iniziativa.

Se siete contrari alla donazione del microscopio all'Università di Urbino, se pensate che il microscopio debba stare dove si trova ora, cioè nel laboratorio di Nanodiagnostics per permettere a Stefano Montanari e Antonietta Gatti di continuare le ricerche sulle nanoparticelle, allora firmate questo appello: GIU' LE MANI DAL MICROSCOPIO


Articoli correlati: STEFANO MONTANARI SENZA MICROSCOPIO?

OGGI SCIOPERO DEI BLOGGERS CONTRO IL DDL ALFANO

Sciopero contro DDL Alfano

Clicca sul logo della campagna per aderire anche tu,
o per avere maggiori informazioni.

Per la prima volta nella storia della Rete i blog entrano in sciopero. Accade oggi, con una giornata di rumoroso silenzio dei blog italiani contro il disegno di legge Alfano, i cui effetti sarebbero quelli di imbavagliare l'informazione in Rete. Il cosiddetto obbligo di rettifica, pensato sessant'anni fa per la stampa, se imposto a tutti i blog (anche amatoriali) e con le pesanti sanzioni pecuniarie previste, metterebbe di fatto un silenziatore alle conversazioni on line e alla libera espressione in Internet.






13 luglio 2009

G8 DOMINATO DALL' AGGRAVARSI DELLA CRISI FINANZIARIA

Di Stefan Steinberg
C’è un tragico simbolismo nella convocazione del vertice dei leader delle nazioni industrializzate di quest 'anno (G8) nella città italiana di L'Aquila. All'inizio di quest'anno la piccola città italiana è stata scossa da un terremoto che ha lasciato il suo centro medievale in rovina e ha causato la morte di oltre 300 persone.
La decisione del Presidente del Consiglio italiano Silvio Berlusconi di spostare il vertice dalla sua sede prevista, una nave di lusso al largo delle coste della Sardegna, alla caserma della Guardia di Finanza nella periferia della città in rovina di L'Aquila, è stata una cinica manovra volta a deviare l’attenzione dei media dall’intensificarsi della crisi sociale del paese. Tuttavia, per molti aspetti il nuovo contesto è del tutto appropriato.

Più di un quarto di secolo dopo la sua fondazione, anche il club delle nazioni del G8 si trova in rovina. In seguito alla crisi finanziaria internazionale, le nazioni del G8 si sono dimostrate completamente incapaci di elaborare una qualsiasi risposta comune per contenere la più grande crisi che ha afflitto il sistema capitalista dagli anni ‘30. Al contrario, gli antagonismi nazionali e regionali tra i principali membri del G8 si stanno rapidamente inasprendo.

Originariamente fondato nel 1975, sulla base di una iniziativa dei leader della Germania e della Francia di creare un coerente quadro finanziario a seguito della devastante crisi petrolifera del 1973, il gruppo è composto da: Canada, Francia, Germania, Stati Uniti, Italia, Giappone, Russia e Regno Unito. Un altro posto alla conferenza annuale del G8 è destinato all'Unione europea che non può ospitare o tenere un vertice.

Per decenni, la premessa per la riuscita collaborazione del G8 è stato il dominio economico, militare e politico degli Stati Uniti. Ora, l’aggravarsi della crisi finanziaria ha rivelato l'entità della crisi economica e sociale degli Stati Uniti e gettato le relazioni politiche internazionali nel caos. L’intero quadro dei rapporti politici del dopoguerra si sta disgregando, e i capi di governo dei paesi membri del G8 ora ammettono apertamente che il gruppo non rappresenta più lo stato attuale delle relazioni internazionali, e che è ormai un anacronismo.

Il G8 attualmente esclude un certo numero di stati la cui economia è in rapida crescita, in particolare la Cina, ora la quarta maggiore potenza economica mondiale, l'India e il Brasile, che hanno un PIL di dimensioni equivalenti alla Russia, membro del G8.

Il governo italiano ha cercato di aggiustare lo squilibrio della composizione del G8 invitando non meno di 40 nazioni e organizzazioni internazionali per la riunione, e per la prima volta il G8 ha in programma di rilasciare una dichiarazione congiunta con il gruppo di nazioni emergenti, G5 - Cina, India, Messico, Brasile e Sud Africa più Egitto.

Il frenetico ordine del giorno stilato dal governo italiano - una serie di incontri in tre giorni tra 40 diverse nazioni- non può nascondere il fatto che il G8 non è in grado di accordarsi su eventuali decisioni vincolanti o di vere e proprie misure per affrontare le implicazioni sociali e politiche della crisi finanziaria.

Commentatori politici più esperti stanno già liquidando eventuali aspettative sul vertice. Secondo Milena Elsinger, un’analista presso il Deutsche Gesellschaft für Auswärtige Politik e.V. (DGAP—Consiglio Tedesco sulle Relazioni con l’Estero), il vertice produrrà solo "vaghe dichiarazioni di intenti".

Per quanto riguarda il G8 stesso, solo una settimana prima del vertice il cancelliere tedesco Angela Merkel ha dichiarato apertamente al parlamento tedesco che il forum non è più in grado di affrontare le sfide future. "Stiamo vedendo che il mondo sta crescendo insieme e che i problemi che abbiamo di fronte non possono essere risolti dai soli paesi industrializzati", ha detto la Merkel. Ha poi retrocesso il G8 a un forum per le discussioni preliminari: “decisioni globali e rilevanti che vengono prese in una più grande configurazione”.

Merkel e altri leader europei intendono creare una nuova struttura economica e politica che aumenti il peso specifico dei principali paesi europei nell’economia mondiale-in particolare, contro il persistere di una posizione dominante dell'America. A questo proposito, il rafforzarsi delle relazioni con le economie emergenti come la Cina, l'India e il Brasile è di importanza cruciale. Prima di partire per il vertice di L'Aquila, il presidente francese Nicolas Sarkozy ha organizzato una visita di alto livello del Presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva.

La posta in gioco è alta. Nonostante gli strenui tentativi da parte di Berlusconi e degli altri capi di Stato del G8 di mostrare il lato migliore della crisi e sottolineare l'importanza di presunti "verdi germogli" di crescita, il vertice è dominato dalla crisi finanziaria che diventa più profonda.

Alla vigilia del vertice, il primo ministro britannico Gordon Brown ha dichiarato che era imminente una seconda ondata della crisi finanziaria, mentre il capo dell’Organizzazione Mondiale del Commercio Pascal Lamy ha ammonito che "il peggio della crisi in termini sociali deve ancora a venire, il che significa che c’è da aspettarsi il peggio della crisi anche in termini politici. "

Dietro le quinte del G8, è in corso una corsa selvaggia per stabilire nuovi allineamenti politici e nuove alleanze. In particolare, molti stati in tutto il mondo sono intenti ad intensificare le relazioni politiche e commerciali con l’economia emergente in più rapida crescita - la Cina, la cui partecipazione è stata considerata di vitale importanza per il successo del G8.

Il monito di Lamy è stato prontamente confermato il primo giorno del vertice del G8, quando il presidente della Cina, Hu Jintao, è stato costretto a tornare in patria, a causa degli sconvolgimenti sociali e dei conflitti etnici nella provincia dello Xinjiang.

Prevalgono gli antagonismi nazionali e regionali

Mentre le principali nazioni rappresentate al vertice del G8 sono intente a stabilire nuove alleanze politiche, la loro pratica nell'attuale crisi economica è sempre più caratterizzata da interessi ed egoismi nazionali. Questo è stato chiaro fin dal primo giorno di discussione in occasione del vertice (mercoledì), che è stato in gran parte dedicato alle questioni ambientali e al cambiamento climatico.

Già prima del vertice, alti diplomatici dal piu’ ampio Forum delle Maggiori Economie a 16 nazioni hanno abbandonato un punto di riferimento nel comunicato di bozza di vertice a raggiungere l'obiettivo di dimezzare le emissioni di gas serra entro il 2050. La Cina e l'India hanno espresso obiezioni al traguardo, citando la mancanza di progressi compiuti dal più grande inquinante del mondo di CO2: gli Stati Uniti.

Il recente progetto di legge sul cambiamento climatico e sul risparmio energetico approvato dal Senato e la Camera dei Rappresentanti non prevede eventuali riduzioni delle emissioni di CO2 fino all'anno 2050. Il disegno di legge comprende anche disposizioni protezionistiche favorendo il commercio e l'industria americani.

Sulla base della proposta di legge degli Stati Uniti sull’ambiente, l'amministrazione Obama è considerata come un’anatra zoppa sulle questioni climatiche. Il comunicato rilasciato mercoledì non ha fatto proposte concrete e ha semplicemente confermato la totale incapacità del G8 di ottenere qualsiasi tipo di accordo valido sul calo delle emissioni dei gas serra.

Anche all'ordine del giorno di mercoledì, e senza dubbio a dominare le discussioni per il resto della settimana, è stato il come rispondere alla crisi finanziaria mondiale. Negli ultimi mesi, le reazioni a questa crisi da parte delle principali potenze del G8 sono state completamente divergenti e le differenze continuano a crescere. Un asse europeo incentrato sui governi francese e tedesco ha richiesto l'adozione di una "strategia di uscita" dalla crisi ed una azione efficace al fine di regolamentare le pratiche speculative delle grandi banche.

Contrari a un tale atteggiamento sono i settori finanziari e i governi di Stati Uniti e Regno Unito, che sono invece favorevoli ad ulteriori misure di salvataggio per le banche e sono contrari a qualsiasi controllo efficace sulle strategie di investimento bancario.

La differenza tra le due parti e’ scoppiata in occasione della riunione dei ministri delle finanze del G8 a giugno come parte della preparazione per il vertice corrente. Al vertice del G8 dei ministri delle finanze, il Ministro delle Finanze tedesco Peer Steinbrück ha richiesto una rapida fine alla spirale del debito e ha sottolineato il pericolo di inflazione. Egli ha dichiarato che ulteriori programmi di stimolo non sono "né necessari né opportuni". Egli è stato sostenuto dai delegati di Francia e Italia.

Steinbrück è stato contrastato nel corso di tale riunione dal Segretario del Tesoro americano Timothy Geithner. Quest’ultimo è stato sostenuto dal direttore del Fondo Monetario Internazionale Dominique Strauss-Kahn, che ha dichiarato che i governi devono essere disposti ad aumentare i loro programmi di salvataggio per le banche e l'industria. La posizione degli Stati Uniti e Strauss-Kahn, è stata anche sostenuta anche dal primo ministro britannico Gordon Brown.

Dal meeting di giugno, le differenze tra le due parti si sono intensificate. Solo pochi giorni prima del vertice de L'Aquila, Steinbrück ha accusato il Primo Ministro Brown di prendere la posizione della lobby finanziaria di Londra a discapito delle pianificate autorita’ regolatrici dell’UE. Le ultime dichiarazioni di Brown, che avvertono su una seconda ondata della crisi, devono essere viste come la risposta del suo governo a quello tedesco. Queste dichiarazioni sono inoltre un cenno di approvazione alle banche britanniche che Londra è pronta a liberare ulteriore denaro per il salvataggio del malato sistema finanziario del paese.

Ulteriori e più dettagliate discussioni su come rispondere alla crisi economica si terranno giovedi e venerdì, ma se ci si basa sul passato, tutti gli indicatori segnalano un intensificarsi delle tensioni tra i rivali dell’asse anglo-americano e le nazioni leader europee. L’antagonismo tra queste due fazioni, assieme ai segnali di un protezionismo rampante da parte degli Stati Uniti, la Cina, e altre grandi nazioni, presagiscono la fine del ciclo di Doha dell’Organizzazione Mondiale per il Commercio. I capi del G8 avevano promesso di finalizzare queste trattative finalizzate a ridurre le barriere commerciali in tutto il mondo al vertice di quest’anno.

A solo un giorno dalla sua riunione e con tali questioni controverse come la guerra in Afghanistan condotta dagli Stati Uniti e le relazioni con l'Iran anche all'ordine del giorno, questa edizione del G8 già rispecchia l'enorme portata della discordia politica e la rivalità tra le grandi potenze.

Fonte: http://www.wsws.org/articles/2009/jul2009/g8-j09.shtml

SCUDO FISCALE: ECCO COME LA FARANNO FRANCA GLI ESPORTATORI ILLEGALI DI CAPITALI

Una sanatoria per vari reati, dal falso in bilancio alla costituzione di fondi neri. E’ la pronta risposta del nostro Governo agli impegni presi sulla lotta all’evasione fiscale e sull’etica in economia del G8.

È pronto il testo del disegno di legge sul condono fiscale. Nel più puro stile tremontiano (siamo al terzo scudo per il rientro dei capitali dall’estero), il provvedimento dovrebbe essere presentato come emendamento al decreto anticrisi e riguarda tutti i soggetti che hanno costituito capitali illegali all’estero fino al 31 dicembre 2007.

Il ritorno in patria dei capitali dovrà avvenire entro il 31 dicembre di quest’anno e i proprietari potranno farlo attraverso vari intermediari finanziari, da Poste italiane, alle altre banche o agenti di cambio.
Il provvedimento prevede che i proprietari di questi capitali potranno aderire a due alternative: a) l’acquisto di titoli di Stato o obbligazioni di aziende controllate dallo Stato che saranno emesse in forma speciale appositamente per questa sottoscrizione. I titoli saranno vincolati per dieci anni e il proprietario pagherà il 5% del valore del capitale “rimpatriato”. L’art. 2 del provvedimento specifica che il ricavato servirà per finanziare la ricostruzione in Abruzzo. L’altra alternativa costerà di più (forse il 7-8% dell’importo “rimpatriato”) ma sarà completamente svincolato. I proprietari, cioè, saranno liberi di farne quello che vogliono. Se le condizioni sono veramente queste, si può immaginare quanti sceglieranno di finanziare la ricostruzione abruzzese.

Ma gli effetti dello scudo fiscale non finiscono qui, perché esso prevede una vera e propria sanatoria anche per i reati penali commessi. Sembra incredibile – dopo gli impegni solennemente presi nell’augusto consesso internazionale del G8 – ma il nostro Governo la vede proprio così: è necessario perdonare tutti coloro che hanno costituito fondi neri all’estero, che hanno falsificato i bilanci, hanno evaso bellamente l’erario.
Una norma dispone espressamente che è precluso “nei confronti del dichiarante ogni accertamento tributario e contributivo per i periodi d'imposta per i quali non è ancora decorso il termine per l'azione di accertamento”. Dato che la prescrizione per i reati tributari è di cinque anni, la faranno franca tutti coloro che ne hanno commesso nel periodo 2004-2008. Eviteranno qualsiasi indagine anche coloro che hanno commesso reati quali emissione di fatture false, dichiarazione fraudolenta, omessa dichiarazione.
E, dato che molto spesso questi comportamenti preludono ad un fallimento, il provvedimento ha pensato bene di concedere la sanatoria anche per i reati connessi, quali la bancarotta fraudolenta.

Non c’è alcun dubbio. Il G8 è stato veramente un grande successo.

Fonte: http://lombardia.indymedia.org/node/20167

12 luglio 2009

MERCATO DEL LAVORO E DELL'IMMIGRAZIONE

di Vicenc Navarro
La pubblicazione del mio articolo “Perché votano l' estrema destra” (18-06-09. Pubblico) due settimane fa, ha creato un grande polverone dentro e fuori queste pagine, e continuano ancora in rete. In quell’articolo sottolineavo che una delle cause perché i settori dei lavoratori votassero a destra e all' estrema destra era la grande insicurezza lavorativa e sociale che hanno tali settori, e che si percepiscono come minacciati dagli immigranti, con i quali competono per il posto di lavoro e per le risorse sociali.
La risposta all’articolo è stata intensa. Ma prima di rispondere, vorrei chiarire una nota biografica. Nella mia gioventù, negli anni sessanta, scelsi di lavorare come medico nel quartiere più povero e con il numero più alto di immigranti che esistevano nella Barcellona di allora: il Somorrostro. Dopo, quando lavorai negli Stati Uniti ( dopo un periodo di esilio in Svezia e in Gran Bretagna), riunii le mie responsabilità accademiche con il mio assessorato a Jesse Jackson Sr (dirigente della Rainbow Coalition, la coalizione dei diritti civili negli Usa), discepolo prediletto e successore di Martin Luther King. Spero che questi antecedenti chiariscono la mia attitudine naturale in difesa dei diritti degli immigranti, di qualsiasi razza siano.

10 luglio 2009

STEFANO MONTANARI SENZA MICROSCOPIO?

Stefano Montanari (Bologna 1949) autore di diversi brevetti nel campo della cardiochirurgia, della chirurgia vascolare, della pneumologia e progettista di sistemi ed apparecchiature per l’elettrofisiologia, ha eseguito consulenze scientifiche per varie aziende, dirigendo, tra l’altro, un progetto per la realizzazione di una valvola cardiaca biologica.
Dal 1979 collabora con la moglie Antonietta Gatti in numerose ricerche sui biomateriali.
Dal 2004 ha la direzione scientifica del laboratorio Nanodiagnostics di Modena in cui si svolgono ricerche e si offrono consulenze di altissimo livello sulle nanopatologie. Tra i suoi libri, ricordiamo: Nanopathology (con A. M. Gatti), Lo stivale di Barabba, La carne addosso, Il futuro bruciato. Il suo blog è: http://www.stefanomontanari.net/

Teroni -Lei dirige il laboratorio Nanodiagnostics di Modena e le ricerche di cui vi occupate sono senza dubbio urgenti e di interesse pubblico. Rimando, per introdurre il lettore al problema delle nanopatologie, alle risposte pubblicate nel suo blog (sezione: biografia, f.a.q.).
Le vostre ricerche si basano sull’utilizzo di uno speciale microscopio – molto costoso – che siete riusciti a ottenere per mezzo dei finanziamenti della Comunità Europea. L’università di Modena vi ha poi sottratto questo microscopio. Perchè, secondo lei, l’università, volente
o nolente, ha ostacolato il vostro lavoro, invece di aiutarvi e magari finanziarvi?

Montanari – No, le cose non stanno affatto così. Come ho spiegato nel mio libro Il girone delle polveri sottili, l’Università non c’entra e non ha mai preteso diritti sullo strumento semplicemente perché non ne aveva titolo. Il microscopio fu acquistato in parte con denaro CE e in parte con denaro nostro. Poi, per motivi burocratici, finì al CNR che se lo prese. Che l’Università non abbia agevolato il nostro lavoro è un dato di fatto, che non abbia messo un soldo, pure e il perché non voglio nemmeno indagarlo.

Teroni – Avete poi avuti dei segnali positivi, un qualche aiuto o riconoscimento ufficiale da parte dell’università di Modena?

Montanari – No.

Teroni - È vero che anche il secondo microscopio (che siete riusciti a comprare con donazioni private e con l’aiuto dei meetup di Grillo) vi sarà sottratto e finirà all’università di Urbino?

MontanariSì, è vero.

Teroni - L’avvocato della onlus, a cui questo secondo microscopio è intestato, sostiene che è stato spostato perché veniva usato dal vostro laboratorio a fini di lucro. Vuole precisare qualcosa in proposito?

Montanari - Intanto non esiste nessun “secondo” microscopio. Noi ne abbiamo uno, la cosa è nota e chiunque può controllare: il mio laboratorio è aperto a tutti, dalle gite scolastiche agli scienziati ai semplici curiosi.
Se per “primo” microscopio s’intende quello del Laboratorio di Biomateriali, si sappia che con quello noi non abbiamo nulla a che fare, che è di prestazioni inferiori al nostro e che, quando non è rotto come ora, lavora sulle cellule. Si tratta di ricerche interessanti sempre inerenti le nanopatologie, ma non è roba mia. Al momento, per ovviare al fermo di quel microscopio e al fatto che nessuno ha i soldi per ripararlo, il Laboratorio di Biomateriali viene da noi e usa il nostro quando ci sono ritagli di tempo. Di fatto il nostro microscopio lavora almeno otto ore al giorno e spesso lavora in automatico anche la notte. Dunque, trovare un buco non è facile.
Venendo al resto, l’avvocato Marina Bortolani, presidentessa della Onlus, ha la non condivisibile abitudine di parlare di cose che non conosce. Il “sottoutilizzo” del microscopio è un esempio lampante della sua incompetenza nel campo specifico e della sua spericolatezza nel lanciarsi in argomenti che rendono semplicemente grottesche le sue argomentazioni. A volte, però, la verità la conosce ma la adatta alle sue necessità contingenti. Come ho spiegato innumerevoli volte e come la Bortolani stessa sa perfettamente, la ricerca che noi conduciamo costa cifre imponenti, questo almeno per i nostri ordini di grandezza. C’è chi strilla e pretende, ma nessuno sostiene economicamente le spese e, dunque, siamo costretti ad eseguire saltuariamente analisi per qualche azienda o per qualche privato che ce le richiedono. Da questa attività, pur marginale, ricaviamo qualche soldo che va in toto alla ricerca. Tuttavia quel denaro non copre che una frazione minima delle spese. Così, sempre per tenere in piedi la ricerca, io presto consulenze a comuni o ad altri enti e queste consulenze non richiedono l’uso di apparecchiature di alcun tipo. Poi faccio conferenze e scrivo libri e anche quei proventi finiscono lì. Per quello che manca, mia moglie ed io usiamo il denaro che abbiamo messo da parte dal 1972, cioè da quando abbiamo cominciato a lavorare. Tenga conto che né io né mia moglie riceviamo compensi di sorta e, dunque, lavoriamo gratis e a nostre spese. Chiunque puòvenire a controllare in qualsiasi momento, cosa che nessuno fa nonostante i
miei inviti. Si preferisce, invece, e questo per motivi che non voglio nemmeno indagare per la pietà umana che ho verso certi individui, affiancare goffamente, e, credo, senza che questo appoggio così imbarazzante sia richiesto, l’azione della signora Bortolani mettendo fango nel ventilatore.
Tipico del vile è farlo standosene bene al sicuro dietro il riparo di uno pseudonimo Internet. Insomma, la signora Bortolani mente ben cosciente di mentire perché tutte queste cose le conosce da anni. Aggiungo pure che più di una volta in passato lei stessa mi diede del fesso proprio per questo mio atteggiamento. Ciò che la signora Bortolani dovrebbe fare invece d’inventare pettegolezzi peraltro smentibili documenti alla mano è di rimboccarsi le maniche e darci un aiuto o, almeno, se sacrificare qualche Euro è troppo per lei, starsene tranquilla, già contenta dei vantaggi che le sono piovuti dal cielo quando ebbe dalla raccolta fondi una pubblicità a favore della sua associazione che mai le sarebbe capitata.
Naturalmente io non posso più tollerare che s’inventino leggende sul mio conto e su quello di mia moglie e, perciò, ho deciso di affidare il compito di tutelarmi ad un avvocato. Nella sede opportuna ognuno mostrerà la documentazione di cui dispone e chi di dovere giudicherà.
Chi vuole, comunque, può leggere la lettera che ho inviato alla Bortolani su
http://www.stefanomontanari.net/index.php?option=com_content&task=view&id=18
34&Itemid=1

Teroni – Come si deduce dal suo libro Il girone delle polveri sottili, una buona parte dei docenti universitari sembra più interessata a servire una logica interna di poteri e baronie. Di questo aspetto si parla ogni tanto (addirittura in televisione) poi tutto sfuma, come se nulla fosse. Quanto costa, in termini di sviluppo scientifico, il sistema baronale?

Montanari – I baroni di oggi sono diversi da quelli di qualche decennio fa. Una volta erano sì dei mascalzoni, ma spesso erano colti e anche capaci. Poi avevano una sorta di orgoglio di scuola, vale a dire che mai e poi mai avrebbero fatto far carriera o avrebbero mandato ad occupare posti d’insegnamento o di ricerca in altre università degli asini. Che cosa si sarebbe pensato di loro? Oggi i baroni sono con sempre maggiore frequenza dei personaggi intrisi d’ignoranza e di presunzione e corrotti fino al midollo. Per quattro soldi, per uno scalino in carriera, per un/a compagno/a di letto fanno qualsiasi cosa. Il risultato è quello che vede chiunque non tenga cocciutamente le fette di prosciutto sugli occhi. Le nostre università scivolano sempre più in basso nelle classifiche mondiali e i nostri laureati
sono oggetto di vergogna. Tempo fa parlavo con un neo-ingegnere ambientale che mi spiegava come la materia sparisca negl’inceneritori perché viene trasformata in energia. Siamo ai piedi della croce.

Teroni – Non solo l’Università e le sue logiche, ma anche le istituzioni pubbliche, come l’ARPA, sembrano asservite al sistema dello scambio di poteri. Cito dal suo libro: “chiunque attenti a quelle presunte certezze è ipso facto un nemico da eliminare” (p. 34). Insomma, a mettersi contro i poteri forti, in Italia, si perde. Forse conviene dimenticarsi etica e deontologia e adeguarsi al sistema?

Montanari - Dipende da che cosa s’intende con il verbo “convenire”. Se si pensa alla carriera e ai quattrini, non ci sono dubbi. Se, invece, decidiamo che siamo troppo preziosi per metterci in vendita, conviene eccome. Io non baratterei un briciolo di dignità per nulla al mondo, e se questo mi è valso in passato, mi vale adesso e mi varrà domani guai a non finire, è una contropartita che accetto. Ora sto perdendo lo strumento di lavoro che mi sono guadagnato con fatiche enormi e che mi viene sottratto in barba alla volontà di chi aveva versato denaro, poco o tanto che fosse, proprio perché o potessi disporre di quello strumento. Se fossi stato più “furbo”, questo non sarebbe accaduto. Ad esempio, scivolando un po’ sull’onestà, avrei intestato a me il microscopio e non ad una onlus che si è poi rivelata essere non proprio come io mi ero illuso che fosse. Essere furbi è il peggior surrogato di essere intelligenti. E poi i furbi hanno un’onestà a responsabilità limitata. Da ultimo, se fossi stato furbo, non mi sarei fidato di certi personaggi e di tutto il fumo senza arrosto di cui si circondavano e si circondano tuttora. Ma vivere così, perennemente sul chi va là, ti rovina l’esistenza. Certo, le fregature bruciano, ma è meglio essere fregati di quanto non lo sia fregare.

Teroni – La questione si fa ancora più complessa quando si vanno a intaccare interessi economici di grandi aziende. La sentenza del 31/3/2006 vi diede ragione sull’ENEL, che fu “condannata con qualche milione da pagare per i danni arrecati all’ambiente” (p. 116). Giornali e TV non ne fecero menzione. Noi viviamo in un paese dove l’informazione è teleguidata dai poteri forti e dove la maggioranza considera vero solo ciò che dice la televisione. Ha mai pensato di arrendersi, visto che, nel nostro paese, la cultura qualunquistica e mafiesca sembra indistruttibile?

Montanari - Arrendermi io? Solo quando mi arriverà un pallettone fra le scapole come qualcuno si augura. E stiano attenti a colpire giusto.

Fonte: http://www.stradepossibili.it/?p=709

ACCORDO USA-ISRAELE PER L'OCCUPAZIONE DELLA CISGIORDANIA

di Matteo Bernabei

Come volevasi dimostrare le belle parole pronunciate martedì scorso dal presidente israeliano Shimon Peres, sulla ripresa dei colloqui di pace con i palestinesi e sulla fine della colonizzazione della Cisgiordania, si sono dimostrate prive di ogni fondamento. Secondo quanto riportato ieri dal quotidiano Maariv, l’entità sionista avrebbe siglato un accordo con gli Stati Uniti per continuare la costruzione di 2500 abitazioni negli insediamenti della Cisgiordania. Un’intesa che sarebbe stata raggiunta durante l’incontro avvenuto lunedì scorso a Londra tra il ministro israeliano della Difesa, Ehud Barak, il premier Benjamin Netanyahu (foto), con l’inviato degli Usa per il Vicino Oriente, George Mitchell, che come rappresentante della nuova amministrazione Usa era tornato a chiedere ai vertici dell’entità sionista di congelare la propria politica espansionistica. L’accordo toglie il velo di ipocrisia che nelle scorse settimane aveva coperto le belle parole con cui gli Usa affermavano che non avrebbero accettato la costruzione di nuovi insediamenti né l’espansione delle colonie esistenti.

9 luglio 2009

DOVE SONO FINITI I MILIARDI DEI FONDI DI SALVATAGGIO DELLA FED?



Il senato blocca il disegno di legge per la revisione (
dei conti ndt) della FED mentre il governo si prepara per il secondo turno di saccheggio. Il senatore Jim DeMint critica duramente il monopolio della FED, e chiede dove sono finiti i miliardi dei fondi di salvataggio.

di Paul Joseph Watson

Un'emendamento del Senato basato sul riuscito disegno di legge alla camera da parte del membro del congresso Ron Paul per revisiore la FED è stato bloccato dal Senato ieri sera per motivi procedurali, così Jim DeMint critica duramente la FED per il rifiuto di rivelare dove sono finiti i miliardi dei fondi del salvataggio, mentre un importante consigliere dell'amministrazione Obama ha chiesto di preparare un secondo pacchetto “di stimolo”.

Il senatore repubblicano DeMint aveva tentato di ottenere un provvedimento legato al budget di spesa del 2010 che avrebbe eliminato le restrizioni in materia di controllo delle operazioni di riduzione della Fed, strutture di finanziamento, operazioni di mercato e gli accordi con le banche centrali e governi.
Tuttavia, l' emendamento è stato bloccato dalle autorità del Senato che hanno sostenuto la violazione delle regole per le disposizioni fissate ai budget di spesa.

Naturalmente, quando l'elite desidera ottenere la propria legislazione infilata dentro, come il disegno di legge alla camera sul clima, è perfettamente soddisfacente per i membri del congresso essere dispensati addirittura dal leggerlo, per avere 300 pagine aggiunte alle 3 del mattino prima del voto e per tutti i generi di porcate da inserire.
Ma Dio non voglia effettivamente che i rappresentanti dovessero cercare di far passare qualcosa di cui potrebbe beneficiare il popolo americano e non le banche private che sono al di là di ogni controllo e al di sopra della legge.

DeMint ha detto che negli Stati Uniti la FED ha goduto di un monopolio sul denaro e il credito dal 1913 e tuttavia non è mai stata trasparente o responsabile al congresso, mentre durante quel periodo il dollaro ha perso il 95% del relativo potere di acquisto.
“La FED genererà e sborserà miliardi di dollari in risposta alla nostra crisi finanziaria corrente” ha detto DeMint. "Gli americani in tutta la nazione, indipendentemente dal loro parere in merito al salvataggio, vogliono sapere dove è andato il denaro", desiderano conoscere dove sono andati a finire i soldi” ha aggiunto, riferendosi al rifiuto della FED di rivelare dove sono andati i miliardi dei fondi per il salvataggio.
“Permettere che la FED operi sul nostro sistema finanziario nazionale nella quasi completa segretezza porta ad abusi, inflazione e ad un abbassamento della qualità della vita” ha detto DeMint.

Un articolo della Reuters sul passaggio al senato per bloccare il disegno di legge ha detto che la FED stava “affrontando pressioni crescenti nel tentativo di guarire l’economia indisposta”.
In realtà, la FED non ha fatto niente per ”guarire” l'economia mentre la disoccupazione ha superato le aspettative ed il quadro finanziario sembra sempre più tetro ogni giorno. La corsa al profitto privato della FED ha preso milioni nei fondi “per lo stimolo” ed ha rifiutato persino di divulgare dove sono andati, anche sotto la minaccia di denuncia di Bloomberg.

Nel frattempo, persone come Ben Bernanke si sono impegnati nella minaccia del terrorismo finanziario minacciando un crollo economico se sarà permesso un controllo della FED.
Qualsiasi reale verifica sulla FED naturalmente genererebbe un gigantesco blocco stradale per i piani dell'amministrazione di Obama nel lanciare un nuovo programma di saccheggio e grande furto nelle sembianze di un secondo piano “di stimolo”.

"Ci dovrebbe essere una pianificazione di contingenza per una seconda tornata di stimolo", ha detto Laura D'Andrea Tyson, un membro del gruppo di consulenza Presidente Barack Obama, relativa alla lotta contro la crisi economica, il martedì, come riporta la CNBC.
Questo è precisamente il motivo per cui le autorità del Senato, comprate e pagate dai banchieri privati che ora possiedono gli Stati Uniti, hanno bloccato gli sforzi di controllare la FED, perché sanno che la ricaduta sarà un disastro per il loro posto sulla potente galleria delle noccioline (ndt http://en.wikipedia.org/wiki/Peanut_gallery) e a sua volta concluderà l’incessante dilettarsi nel bastonare, ferire e shakerare il contribuente americano.

Fonte: http://www.prisonplanet.com/

Tradotto e per Voci Dalla Strada da andreaatparma

8 luglio 2009

ITALIA SENZA PARLAMENTO



La assoluta omogeneità delle due coalizioni che da quindici anni si alternano al governo dell’Italia. Perché in Italia abbiamo un governo ma non il Parlamento.

di Stefano D’Andrea

Da tempo, in Italia, quasi non vi sono più partiti che si candidino per essere eletti in Parlamento. Intendiamo partiti che si candidino per parlare della situazione politico-giuridica e della direzione che si vuole imprimere, mediante l’attività legislativa, alla vita collettiva della nazione.

Da tempo i partiti non si candidano alle elezioni politiche parlamentari per parlare, ma per governare. E infatti non si candidano i partiti ma le coalizioni. Due coalizioni di partiti, godendo per diritto – in particolare in forza della modifica delle leggi elettorali proporzionali e della legislazione sul finanziamento pubblico dei partiti – di posizione privilegiate (e si tratta di privilegio giuridico, non di mero fatto) rispetto a possibili nuovi partiti, si offrono alla scelta del popolo, raccomandando il voto utile e spingendo silenziosamente al non voto molte tra le forze più sane della nazione.

Da un lato i cittadini sono sottoposti ad un potere – il privilegio conferisce un potere – che ostacola l’emersione di idee e proposte nuove; dall’altro le coalizioni non si candidano per parlare, bensì esclusivamente per governare. La parola è ormai inutile. Non c’è da parlare.
Non c’è da parlare, perché non c’è da pensare. Pensare significa vagliare ipotesi alternative. Scegliere tra diversi principi. Ma da lungo tempo il Parlamento non è più chiamato a scegliere tra principi, bensì, al più, tra norme di dettaglio.
Non c’è da pensare. C’è si da introdurre norme, ossia scrivere parole vincolanti per il popolo italiano – invero sempre più mediante decreti legislativi e regolamenti con deleghe in bianco ovvero mediante decreti legge -; ma legiferare ormai da lungo tempo significa applicare ed adeguare. Ed è per questo che basta un governo e non serve il Parlamento.
Applicare le direttive europee; applicare gli accordi del wto; applicare il principio della libera concorrenza; applicare il dogma delle privatizzazione delle imprese pubbliche; applicare i suggerimenti della analisi economica del diritto; applicare il principio più caro al capitale finanziario, ossia il principio di non tassare severamente le rendite; applicare il principio della precarietà del lavoro subordinato; adeguare la legislazione di spesa e tutta quella connessa ai criteri di Maastricht; applicare gli accordi di Schengen; applicare la strategia di Lisbona; applicare il principio “economico” (ossia l’inganno ideologico) che si crea valore anche se si moltiplicano gli intermediari; applicare il principio che bisogna lasciare al “mercato” la decisione sui rapporti di forza tra produttori e intermediari; applicare la suprema direttiva della libera circolazione mondiale del capitale finanziario; adeguarsi alla dottrina della guerra preventiva; addirittura applicare le direttive del vaticano; e così via.
E anche là dove sembravano esservi spazi di libertà, in realtà le coalizioni che si sono succedute al governo si sono ingegnate nell’applicare il modello statunitense, nel tentativo, ingenuo, oltre che malefico, di “importare il sistema”, scambiando così il modello con la realtà.
È verosimile che la crisi economica , aggravandosi, possa cambiare, almeno in parte, le cose. Ma intanro è indubbio che negli ultimi anni il Parlamento non è stato un decisore, bensì un esecutore.
Proprio per il ruolo di esecutrici, le due coalizioni sono state e sono omogenee. E non potrebbe essere diversamente. Quando si tratta di eseguire ordini o direttive ovvero quando si tratta di applicare e non di legiferare veramente, è naturale che debba esservi un comune consenso sui presupposti – ideali, economici, politici – delle direttive e dei vincoli “giuridici” internazionali.
Da quindici anni, le due coalizioni si contendono il (e si alternano nel) ruolo di esecutore di decisioni prese altrove, ossia in altri luoghi, lontani dall’Italia, e, soprattutto da altri, ossia da soggetti che non sono italiani o comunque non sono politicamente “rappresentanti degli italiani”.
Il ruolo di esecutore assunto dalle due coalizioni, in parte, è sancito espressamente nei trattati europei; per altra parte, è stato la conseguenza della volontaria sottomissione alla linee della politica statunitense; per altra parte ancora, strettamente connessa alle prime due, è dipeso dall’accoglimento quasi generale della ideologia globalista, liberista, mercatista, di idolatria della rendita, consumista e usuraria (“un debito per tutti e una rendita per molti!” sembra essere stata l’idea nascosta dagli slogan dissimulatori).
Il ruolo di esecutrici assunto dalle coalizioni, ne implica la assoluta omogeneità sulle questioni politiche essenziali e di fondo. Una omogeneità dissimulata attraverso i litigi e gli insulti dei piccoli uomini che, ad oggi, gli italiani sono in grado di eleggere ed eleggono in Parlamento.

Perciò il Parlamento è morente. Non è il luogo dove si ragiona sulle modalità e i tempi di attuazione della Costituzione. Né è il luogo dove si scelgono chiari principi. Per fare un solo esempio. Bisogna o no promuovere la possibilità che un uomo con il proprio lavoro viva sulla propria terra? È un dubbio che il Parlamento non può nemmeno sollevare; perché una risposta positiva significherebbe aver scelto di emanare una legislazione sistematicamente contrastante con i trattati europei (e con altri trattati internazionali). La scelta è stata già fatta. No. Non bisogna promuovere quella possibilità. Le regole del libero mercato non lo permettono: esse, anzi, subdolamente promuovono la impossibilità che un uomo riesca a vivere con il proprio lavoro sulla propria terra. Ma allora, se questo tema fondamentale, non diversamente da moltissimi altri, non può nemmeno essere discusso salvo che tra mille ipocrisie e finzioni, a cosa serve il Parlamento?
Il Parlamento, negli ultimi quindici anni, è stato il luogo dove sono state eseguite decisioni altrui: decisioni prese da stranieri; dalle burocrazie europee; decisioni imposte dalle lobby; decisioni fondate su ideologie elaborate al di fuori dei nostri centri politici e culturali: dico nostri di italiani; decisioni che applicano direttive provenienti dai pochi gestori e dagli ancor meno proprietari dei grandi capitali finanziari.
La omogeneità politica degli esecutori di quelle decisioni è un dato intrinseco alla situazione politica italiana. Se sono esecutrici scambiabili – chiunque vinca comunque esegue quei principi – allora le due coalizioni sono uguali o sostanzialmente uguali.
E infatti i principi comunemente accolti dalle due coalizioni – i principi che esse hanno applicato, eventualmente con sfumature diverse – sono innumerevoli. Ci sembra importante farne un breve elenco.
Nessuna delle coalizioni che hanno governato l’Italia negli ultimi quindici anni è stata contraria all’Europa liberista e monetaria. Soprattutto nessuna delle due coalizioni è stata contraria all’Europa delle Banche private.
Nessuna delle due coalizioni ha difeso tenacemente l’idea che il tentativo di costruire un’Europa politica imponesse un contratto collettivo di lavoro europeo. Nessuna delle due coalizioni si è scandalizzata del fatto che i principi dei trattati europei avrebbero consentito alle imprese italiane di chiudere gli stabilimenti in Italia e di trasferirli in Polonia.
Nessuna delle due coalizioni ha contrastato la politica di indebitamento dei cittadini, che invece è stata perseguita da entrambe, contro il dettato costituzionale, secondo il quale “la Repubblica incoraggia … il risparmio” e non il debito. Le due coalizione intendevano e intendono conservare il potere andando contro un dettato costituzionale, perché se si fa credito al cittadino, la droga del credito attenua il conflitto sociale, con la conseguenza che non si è costretti a cercare una equilibrata politica dei redditi e le coalizioni al potere vi restano.
Nessuna delle due coalizioni ha contrastato la “tendenza internazionale” a valorizzare i marchi, ad ampliare il campo del brevettabile, a creare i “diritti sportivi”, a tutelare anche (pretese) entità immateriali non brevettabili, suscettibili di figurare in bilancio (come il cosiddetto know-how). Nessuna di esse si è chiesta se questi nuovi principi giuridici fossero giusti o almeno convenienti per il popolo italiano e per quale parte di esso. Le direttive andavano applicate.
Nessuna delle due coalizioni ha lanciato un grido di disperazione perché la tecnica del franchising e i grandi centri commerciali espellevano dal commercio tanti dignitosi commercianti, per sostituirli, molto spesso, in forza di contratti feudali più gravosi della mezzadria, con servi che, sotto le mentite spoglie di una attività autonoma, hanno un enorme vincolo di soggezione nei confronti del loro padrone. Il medesimo ragionamento vale per le concessioni di vendita e i concessionari.
Nessuna delle due coalizioni, a difesa del sacro principio del carattere personale della prestazione professionale, si è detta contraria alla emersione dei grandi studi professionali internazionali, nei quali decine o centinaia di pretesi liberi professionisti sono in realtà lavoratori subordinati – con molti tratti di lavoro servile e sempre salvo il “licenziamento” quando viene a mancare la “domanda” – che lavorano per valorizzare il capitale investito nello studio-azienda. Si tratta sovente di “professionisti” molto più alienati della media degli operai.
Entrambe le coalizioni sono state favorevoli a mantenere i meccanismi elettorali maggioritari recentemente introdotti.
Entrambe le coalizioni hanno reputato che le Regioni dovessero avere maggiori poteri normativi rispetto alla scelta effettuata dai nostri padri costituenti.
Entrambe le coalizioni hanno reputato che il lavoro subordinato dovesse essere più precario rispetto alla stabilità della quale godeva in passato.
Entrambe hanno convenuto che il sistema pensionistico a ripartizione andasse sostituito con quello contributivo.
Entrambe le coalizioni sono state favorevoli a concedere alle Università pubbliche l’“autonomia”. Le due coalizioni sono entrambe colpevoli per aver introdotto o per non aver eliminato, nell’ordinamento scolastico e universitario, i concetti di “credito formativo” e di “debito formativo”; per aver creato e mantenuto la fasulla laurea triennale; per aver promosso e non aver arrestato la proliferazione delle sedi universitarie, delle Facoltà e dei corsi di laurea; per aver aderito alla malefica strategia di Lisbona.
Entrambe le coalizioni hanno sostenuto l’ipocrita tesi che l’esercito italiano sia andato in Iraq e in Afganistan non per fare la guerra bensì per portare la pace.
Nessuna delle due coalizioni si è mai professata contraria alla possibilità che le banche che raccolgono risparmio ed erogano credito siano private. Nessuna ha mai asserito severamente che quelle banche, o almeno le più grandi, devono essere pubbliche. Nessuna delle due coalizioni ha mai proposto che la riserva obbligatoria bancaria debba essere aumentata e che la manovra della riserva obbligatoria debba tornare tra le competenze del Parlamento e del Governo. Nessuna delle due coalizioni ha impedito o soltanto contestato la perdita della sovranità popolare, almeno formale, sulla Banca d’Italia: invero una di esse si è proposta di tornare alla sovranità popolare (sotto il profilo formale); ma si è data tre anni di tempo; e dopo essere tornata al governo, ha lasciato scadere il termine: come se si trattasse di modificare una qualsiasi disposizione di una disciplina di settore. Nessuna delle due coalizioni si è opposta alla reintroduzione, a rigore introduzione, dell’anatocismo bancario, ossia la produzione degli interessi sugli interessi prima del giorno della domanda giudiziale: sappiate che nei rapporti bancari oggi l’anatocismo è la regola generale, mentre prima le cose stavano diversamente.
Nessuna delle due coalizioni si è preoccupata perché il valore degli immobili aumentava progressivamente e notevolmente, giungendo, in pochi anni, fino a raddoppiare. Mentre, per lo più, gli stipendi e i redditi da lavoro autonomo non raddoppiavano. Con la conseguenza che la casa agognata dai cittadini che vivono, più o meno bene, del loro lavoro, non costa più otto o dieci annualità di stipendio o reddito, bensì quindici o venti. Entrambe, anzi, hanno perseguito questo risultato: con l’abrogazione dell’equo canone; non prevedendo sgravi fiscali per le rate di canone e prevedendone per le rate di mutuo; non vietando i mutui ultraventennali per la prima casa; consentendo addirittura i mutui “portabili agli eredi”; abrogando l’ICI; svendendo il patrimonio immobiliare pubblico; non pianificando e non finanziando l’edilizia cooperativa o popolare. Le due coalizioni hanno cominciato a preoccuparsi soltanto quando la bolla immobiliare ha dato segni di essere pronta a sgonfiarsi! Ed è naturale, visto che esse l’hanno volutamente gonfiata. Eppure, dice la nostra Costituzione, “La repubblica favorisce l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione”. Legiferare per elevare i prezzi degli immobili o comunque senza preoccuparsi se la legge introdotta ha come effetto economico la lievitazione dei prezzi degli immobili, da un lato, e consentire la validità di mutui quarantennali o addirittura portabili agli eredi, dall’altro, sono veramente un modo singolare per interpretare la norma costituzionale! Come se i costituenti avessero detto al legislatore: strozza il popolo.
Nessuna delle due coalizioni ha mai proposto di spostare sulle rendite – su tutte le rendite – le immani imposte pagate dai lavoratori, autonomi e subordinati. Né esse hanno proposto di tassare severamente le vincite delle scommesse, che non sono né rendite né profitti, ma vincite, appunto.
Nessuna delle due coalizioni ha vietato, almeno agli enti pubblici, la stipulazione di contratti derivati e in particolare dei cosiddetti contratti di swap. È stata una delle due coalizioni a prevedere che ai contratti di swap non si applicasse la disciplina del gioco e della scommessa (art. 1933 cod. civ.), disciplina in forza della quale, da un lato, il giocatore perdente che abbia pagato non può richiedere quanto ha pagato, dall’altro, se il giocatore perdente non paga, al vincitore non è concessa azione giudiziaria. Senza la modifica legislativa, le banche non avrebbero avuto azione per le perdite subite dalle imprese e dagli enti pubblici a causa della incauta – anche se promossa e pubblicizzata dai promotori finanziari – stipulazione di scommesse sull’andamento dei tassi di interesse e dei rapporti di cambio tra valute. Né la seconda coalizione ha abrogato la norma introdotta dalla prima.
Sono state le due coalizioni ad aver introdotto e a non aver successivamente eliminato la seconda e poi la terza estrazione settimanale del lotto; si è trattato di una particolare applicazione dei vincoli di Maastricht! Le due coalizioni hanno accettato supinamente le decisioni della Corte di Giustizia Europea che hanno tentato di rendere lecito il gioco d’azzardo. Sono le due coalizioni a moltiplicare continuamente i concorsi “gratta e vinci” e i concessionari delle “attività di scommesse”.
E potremmo continuare a lungo.
Così stando le cose – e le cose stanno così – è evidente che le “due coalizioni” sono molto più simili che non due correnti di un medesimo vero partito; di un partito democratico o di un partito unico. Sebbene esse non si sforzino, più di tanto, di combattere il dissenso mediante interventi legislativi, le due coalizioni in realtà lo sopprimono costruendo un consenso generalecol supporto dei media nazionali – consenso generale che sembra, per ora, rendere politicamente irrilevante ogni posizione di dissenso (alludiamo al vero dissenso). Dopo anni di consenso generale ormai i cittadini, quando discutono di politica, discutono di questioni secondarie , di norme applicative di principi dati per scontati, di svolgimenti di presupposti impliciti (e taciuti) ovvero della applicazione di quelle direttive alle quali abbiamo testé accennato (sono le discussioni che si svolgono nei salotti di Vespa, di Ballarò e di Anno zero). Principi, presupposti e direttive che invece dovrebbero essere l’oggetto del dibattito politico.
Quanti sono i principi comuni alle due coalizione che non condividete, già soltanto tra quelli testé elencati? Parecchi? Tanti? E allora perché le avete votate? Perché continuate a votarle? Che fate? Votate contro voi stessi? Mi sembra che ci sia materia per pensare.

Fonte: http://www.appelloalpopolo.it/

7 luglio 2009

I DIRITTI DEI PIU' DEBOLI

Peggiora la situazione dei bambini e delle donne negli Stati Uniti
Gli Stati Uniti sono uno dei principali mercati del traffico di esseri umani nel mondo, in particolare per l'occupazione e il sesso, come indicato da diversi organismi.
La grave situazione dei bambini, adolescenti e donne negli Stati Uniti ha avuto una crescente tendenza verso un deterioramento, nonostante il fatto che le amministrazioni degli Stati Uniti tendono a giudicare le situazioni in altri paesi senza confrontarsi con la propria realtà, d'accordo con le analisi di diverse agenzie, media alternativi e organizzazioni specializzate.

Secondo un rapporto dell'organizzazione in difesa del banco alimentare, Feeding America (America Alimentar), più di 12 milioni di bambini sono minacciati, dal rischio di un' alimentazione non adeguata e la fame nel territorio degli Stati Uniti. In parole povere, lo studio ha concluso che più di tre milioni e mezzo di bambini sotto i cinque anni si trovano ad affrontare la fame. Ciò corrisponde al 17% (uno su sei) dei figli di americani sotto i cinque anni di età.

Inoltre, una relazione da parte del Center for Disease Control and Prevention degli Stati Uniti segnala che 1,35 milioni di studenti delle scuole superiori sono stati minacciati o feriti con un'arma almeno una volta all'interno della scuola.

Sul sito ZonaPediatrica, si riporta che nel corso dell'ultimo decennio, i crimini e le aggressioni sessuali sono aumentati, e negli Stati Uniti si segnalano più di 80 000 casi l'anno di abusi sessuali sui bambini, anche se il numero di incidenti non denunciati è ancora più elevato, dal momento che i bambini hanno paura di dire a qualcuno ciò che è accaduto, e il processo giuridico per verificare le relazioni è difficile. Il danno fisico ed emotivo a lungo termine può essere devastante.

L'analisi di un' organizzazione dei diritti umani relaziona sulla situazione di centinaia di migliaia di bambini che lavorano in aree pericolose e faticose, in molti settori, in quel paese. Il documento afferma che le leggi che disciplinano il lavoro minorile in agricoltura sono molto meno severe di quelle su altri settori dell'economia.

Nel frattempo, il Dipartimento della Pubblica Istruzione Usa, ha riconosciuto che oltre 200.000 studenti delle scuole pubbliche hanno ricevuto punizioni corporali almeno una volta nel corso dello scorso anno scolastico. Le punizioni corporali, che di solito sono costituite da uno o più colpi con una paletta in legno sui glutei del punito, sono legali nelle scuole pubbliche in 21 stati. Uno studio del 2008 sul tema "Un'educazione violenta" è incentrato su punizioni corporali nelle scuole in Texas e Mississippi, due Stati in cui questa pratica più diffusa. Il testo ha osservato che le punizioni corporali possono causare lesioni gravi, ed è usata sproporzionata contro studenti neri e l'educazione speciale.

Per quanto riguarda la situazione delle donne, la discriminazione è presente nel mercato del lavoro e nei luoghi di lavoro.
Le donne americane sono vittime di violenza domestica. Secondo le informazioni fornite dalla Organizzazione Nazionale per le Donne, in quella nazione circa 1 su 400 donne vengono assassinate ogni anno, dal loro partner. Il calcolo annuale di donne picchiate in questo paese è tra i due e i quattro milioni. Esse hanno dieci volte più probabilità di essere aggredite rispetto agli uomini. Le donne separate, divorziate o non sposate, e quelli a basso reddito e le afroamericane, sono vittime di una quantità sproporzionata di attacchi e violazioni.

Il tasso di violenza domestica nelle famiglie che vivono al di sotto della soglia di povertà è di cinque volte superiore a quello delle famiglie ordinarie. Le statistiche mostrano che il 37% delle donne negli Stati Uniti hanno ricevuto cure mediche di emergenza a causa di segni di violenza domestica, almeno una volta, il 30% delle donne in gravidanza subiscono gli attacchi dei loro partner, il 50% di uomini statunitensi attaccano con frequenza le loro mogli e i bambini , il 74% dei professionisti subiscono violenza dai loro colleghi. Según un reporte de AP, la violencia familiar se está extendiendo a los lugares de trabajo. Secondo una relazione AP, la violenza familiare si sta estendendo nei luoghi di lavoro.

Il quotidiano La Opinion, di Los Angeles, ha affermato che solo negli Stati Uniti circa 50.000 vittime ogni anno vengono portati per la schiavitù sessuale, dei quali solo a Los Angeles, senza includere le vittime in fabbriche o servizi domestici, circa 10.000 donne vivono segregate in bordelli.

Nel nord della nazione, il 40% delle prostitute sono di origine afroamericane e gli afro-americani sono il 12% della popolazione, ha detto Richard Poulin, professore presso il Dipartimento di Sociologia e Antropologia presso l'Università di Ottawa, il celebre ricercatore dei processi globalizzazione dell'industria del sesso, in un'intervista con il quotidiano argentino Pagina/12.

Un altro studio pubblicato dall' American Journal of Epidemiology, ha detto che l'età media della morte delle prostitute negli Stati Uniti è di 34 anni. Ulteriori analisi hanno mostrato che nove su dieci prostitute desiderano lasciare la loro attività e quasi la metà hanno tentato il suicidio almeno una volta.

La disoccupazione in Florida è superiore al 10%

Il tasso di disoccupazione della Florida è arrivato al 10% il mese scorso, raggiungendo il 10,2%, ha dichiarato il Dipartimento del Lavoro in Florida. E 'il tasso più elevato dal 1975. Si tratta anche di un aumento rispetto ad aprile, quando è stato del 9,7%, dice il Miami Herald.

La Florida ha perso 417.500 posti di lavoro, pari al 5,3% del totale stato negli ultimi 12 mesi. Solo nel mese di maggio, lo stato ha visto sparire 61.000 posti di lavoro, più di ogni altro stato del paese, ad eccezione della California.

Nel frattempo, il tasso di disoccupazione a Miami-Dade County è stato del 9,8%, con un aumento del 8,2% rispetto al mese precedente, secondo le statistiche del Dipartimento del Lavoro Usa.

Fonte: http://www.rebelion.org/noticia.php?id=88149

6 luglio 2009

FONDAMENTALMENTE POCA DIFFERENZA TRA OBAMA E BUSH

BEIRUT 24 giugno 2009 - Linguista di fama mondiale, studioso e analista politico il professore Noam Chomsky ha scritto ampiamente sul conflitto israelo-palestinese, e sulla politica estera degli Stati Uniti. Chomsky espone il suo punto di vista sui recenti sviluppi in Medio Oriente al The Daily Star (ndt quotidiano libanese).
Noam Chomsky è stato intervistato da Richard Hall
Domanda: Vede delle differenze fra le politiche dell'Ex Presidente degli Stati Uniti George W. Bush ed il suo successore Barack Obama per quanto riguarda il conflitto israelo-palestinese?

Chomsky: Fondamentalmente, c’è poca differenza. Obama ha ripetuto le posizioni di Bush, virtualmente nelle stesse parole. Come Bush, ha richiesto “uno stato palestinese” e come Bush, lascia interamente vago che cosa significhi. Può essere interpretata facilmente per essere la stessa posizione di Netanyahu nel 1996, quando è diventato il primo primo ministro israeliano a tollerare l'istituzione di uno stato palestinese, un fatto che sembra essere dimenticato. Shimon Peres aveva appena lasciato l’ufficio dichiarando che non ci sarebbe mai stato uno stato palestinese. Il Ministro delle informazioni di Netanyahu, una volta gli è stato chiesto se adotterebbe la stessa politica, rispose che se i palestinesi volevano denominare i frammenti lasciati a loro “uno stato”, allora benissimo. Oppure potrebbero denominarlo “pezzetti di pollo fritto”.
Non sappiamo se Obama intenda “il pollo fritto”. Sappiamo che ha eluso con molta attenzione il cuore dell'iniziativa di pace araba che approvò.
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