8 aprile 2009

L'IMPERO COLPISCE ANCORA...CON IL TERRORE


Tornano le tenebre

Di Chris Floyd

I- Quello che segue è uno scenario completamente ipotetico. Supponiamo che voi siate dei fervorosi militari imperiali che credete che la sicurezza, il prestigio e gli interessi finanziari del vostro paese sono serviti meglio dalla guerra e dall'onnipresente minaccia di guerra. Supponiamo che voi avete in atto alcune operazioni veramente eccitanti e succulente, interminabili conflitti mortali che canalizzano centinaia di miliaia di milioni di dollari alla vostra macchina da guerra e che radicano la politica nazionale ancor più profondamente nella filosofia militare- la "machtpolitik" (politica del potere tedesco, N.dT) nella quale credete.
Ma esiste un problema. Il pubblico in generale - il gregge intimorito che vi circonda e non capisce di grandi strategie così come lo fate voi e la vostra elite- si preoccupa e diventa nervoso per la vostra Lunga Guerra. Il tesoro nazionale è in bancarotta, l'infrastruttura nazionale in marciume, le comunità della nazione muoiono; milioni di persone sono senza lavoro, perdono la loro casa, perdono i loro sogni, cadono in una spirale discendente verso il bisogno, la privazione e la disperazione. Ma avete grandi piani per scalare la guerra, espandere la vostra macchina bellica e mantenere la dominazione globale che credete sia il ruolo giusto e naturale della vostra nazione così speciale- e le sue elites. Cosa fare? Come incitare il raccapricciante gregge, assorto nei suoi pensieri, perchè torni a sostenere con entusiasmo la vostra agenda vitale?
Bene, ciò che segue è solo una visione puramente ipotetica che potete comprobare. Aizzate e provocate gruppi estremisti violenti affinchè facciano rappresaglie per i vostri attacchi, invasioni e incursioni assassine di civili nel loro terrotorio. Non potendo affrontare direttamente la vostra macchina bellica- la più grande, più avanzata, forza militare nella storia del mondo, sostenuta da uno tsunami di soldi pubblici che ogni anno sorpassa le spese militari del resto del mondo- reagiscono naturalmente con operazioni "asimmetriche". All'inizio, sono dirette contro obiettivi vicini: la vostra linea di approviggionamento, le forze dei vostri portaborse e alleati locali, e altre depredazioni che portano il caos nelle regioni del gruppo, con l'intenzione di rovinare le vostre linee di controllo e di mandarvi via. Con la stessa naturalezza, approfittate di quegli attachi per giustificare una presenza militare ancora maggiore nelle loro regioni. Il ciclo avanza inevitabilmente e inesorabilmente verso l'alto e verso fuori, fino a che finalmente gli estremisti attaccano la vostra terra nativa - con la vostra complicità, con il vostro consenso occulto o, in ogni caso, con la vostra conoscenza previa che un attacco simile abbia luogo. E' il momento che aspettavate, è esattamente ciò che volevate. Adesso potete tornare a fustigare il gregge verso una frenesia marziale, continuare la Lunga Guerra, e lasciare da parte i miserabili desideri, limitati, di una vita pacifica e prosperosa in casa, della gente preoccupata per i loro propri affari.
Evidentemente, uno non sa mai esattamente quello che succede dietro le cortine imperiali dei palazzi di Potomac; i comuni cittadini statunitensi sono stati convertiti da tempo in Kremlinologi del loro stesso governo, cercando di discernere- attraverso ceremoniosi segnali, rumori tra i bastitori e leggere deviazioni di un retorico rituale- quello che veramente propongono i loro padroni. Ma alcuni cinici sospettano occultamente che trame come quella descritta in precedenza sia già in atto; per esempio, nel nuovo "Pearl Harbor" che distrusse Stati Uniti, l' 11 settembre 2001- un anno dopo un gruppo che canalizzava punti di vista dei futuri pesci grossi del governo di Bush (inclusi Dick Cheney, Donald Rumsfeld, Scooter Libby e molti altri) aveva sperato, apertamente, in un nuovo "Pearl Harbor" per "elettrizare" il popolo statunitense affinchè sostenesse la sua agenda militarista, che includeva l'invasione nell'Iraq- che ci fosse Saddam Hussein al potere o no.
Ma lasciando da parte per un momento il problema sempre spinoso di indovinare le diverse proporzioni di complicità, di riconoscimento, conoscenza previa, sfruttamento, incompetenza e fatalità involucrati nel 11 settembre, possiamo dirre come dato di fatto che : E' politica del governo Usa provocare la azione di gruppi estremisti. Una volta che sono in gioco, le loro reazioni possono essere usate nel modo in cui il governo che le ha scatenate ritenga valido. E sappiamo anche che queste provocazioni sono usate, come vuole la politica, per provocare gruppi violenti nel fronte "Af-Pak" affinchè lancino attacchi terroristici.
In altre parole, come scrissi la prima volta sul Moscow Times più di 6 anni fa (e ribadito 3 anni dopo), gli Usa fomentano deliberatamente attacchi terroristici al fine di promuovere le loro agende politiche e militari.
[ Per maggiori informazione su come queste politiche e usi simili del terrorismo e di squadroni della morte sono state realizzate in Iraq e in altri luoghi, veda: "A furnace seal'd: The Wondrous Death Squads of the American Elite, "Ulster on the Euphrates: The Anglo-American Dirty War in Iraq" e "Willing Executioners: America's Bipartisan Atrocity Deepens in Somalia]
Gli occhi da lince di Jason Ditz in Antiwar.com fanno la connessione tra questa politica e il più recente attacco "asimetrico" per un gruppo terroristico " solleticato" in Pakistan:l'attacco mortale contro un centro di polizia in Lahore per Tehreek-e Taliban Pakistan(TTP). Il gruppo, diretto da Baitullah Mehsund, ha detto che l'attacco era una rappresaglia della campagna degli Usa, far attacchi con aerei senza equipaggio nelle regioni di frontiera del Pakistan- attacchi che hanno ucciso numerosi civili insieme a militanti usualmente non identificati. Come segnala Ditz, un obbiettivo della campagna- intensificata da Barack Obama- è precisamente il fomentare quello sopra esposto dell'attività terroristica:
Il governo di Obama ha lanciato una quantità sempre più intensa di attacchi nella FATA (Aree di lavoro sotto l'amministrazione federale del Pakistan) che puntano generalmente alle installazioni di addestramento di Mehsyd in Warziristàn nel Nord e nel Sud. A settembre, l'allora direttore della Cia, Micheal Hayden, ha detto che gli attacchi erano un modo di "provocare una reazione dei gruppi militanti diretti da Mehsud. Sembra che adesso, sei mesi dopo, hanno finito di farlo. [Hayden ha descritto questa sanguinosa strategia come un "solletico" ai terroristi perchè reagissero]
Ma va oltre, Mehsud ha promesso che adesso porterà la lotta sul suolo statunitense. Come ha segnalato il The Times (attraverso Antiwar.com)
"Presto lanceremo un attacco a Washington che sorprenderà a tutto il mondo" (ha dichiarato Mehsud). "Al massimo mi potranno convertire in martire. Ma ci vendicheremo dall'interno degli Stati Uniti".
Resta da vedere se il colorito TTP potrà portare a termine una simile minaccia, come segnala Juan Cote. Ma non si tratta soltanto di questo. Il fatto è che, ancora una volta, si provoca con conoscenza a un gruppo violento perchè entri in un'azione assassina. Meglio ancora, adesso è stata qualificato come "minaccia terroristica mortale" per la sacra Patria: un altro supercattivo fatto a misura dal reparto delle carte.
E notevolmente, questa nuova aperta minaccia per portare il terrore nel cuore degli Usa, avviene solo dopo qualche giorno che Barack Obama annuncia la sua ondata nella guerra Af-Pak, citando- che altro poteva essere?- il bisogno di proteggere gli Stati Uniti contro i terroristi afgani e pakistani come il motivo principale per scalare e spandere il conflitto. Un'altra sorprendente coincidenza per giustificare l'agenda militare, che ha bisogno di una costante somministrazine di cattivi possibili per ottenere le reazioni pubbliche, e minacce esagerate che pieghino la nazione, come il drogato ha bisogno dell'eroina. E ancora una volta, non ci resta altro che sorprenderci di fronte alla variabile proporzione di complicità, conoscenza, sfruttamento, fortuna, ecc. in quest' unione fortuita di dichiarazioni di Obama e Mehsud.

II- Vale la pena nuovamente considerare le implicazioni di questa politica del solletico terroristico. Come abbiamo segnalato recentemente, queste cose non sono solo pezzi sulla Grande Sacchiera di Gioco: sono realtà mortali che uccidono, mutilano e depredano tantissime persone innocenti di tutto il mondo. Quindi torniamo ai primi indizi di questa strategia nel suo contesto della Guerra contro il Terrore. Ciò che segue è dell'articolo sul Moscow Times nel novembre del 2001:
In un articolo (del Los Angeles Times) l'analista militare William Arkin.....(appare) la rivelazione del piano di Rumselfd di creare un' "Attività di appoggio di super Intelligenza" che unirà la Cia e l'azione militare coperta, guerra informatica, intelligenza, copertura dell'inganno." In base a un documento confidenziale preparato a Donald Rumsfeld dal suo Consiglio della Scienza della Difesa, la nuova organizzazione- il "Gruppo Proattivo di Operazioni Preventive (P20G, le sue sigle in inglese)- realizzarà missioni segrete disegnate per "stimolare reazioni" di gruppi terroristici, provocandoli a realizzare atti violenti che li metteranno in condizione di subire dei "contraattacchi" di forza da parte degli Usa.
In altre parole- e diciamolo chiaramente, esplicitamente e seriamente, affinchè nessuno possa confondere l'intenzione del piano di Rumsfeld- il governo Usa pianifica l'uso di "copertura di impostori" e operazioni militari segrete per provocare attacchi terroristici assassini contro gente innocente. Torniamo a dirlo: Donald Rumsfeld, Dick Chaney, Geroge W.Bush e gli altri membri del regime non eletto a Washington pianificano per stimolare deliberatamnte l'assassinio di gente innocente- la vostra famiglia, i vostri amici, i vostri amanti, voi stessi- col fine di impulsare le loro ambizioni geopolitiche.
Il P20G non è destinato soltanto ad esporre terroristi e portarli davanti alla giustizia- ha in sè un obiettivo degno di essere acclamato, anche se il modo di Rumsfeld di combattere il terrorismo è quello di provocarlo, è pura demenza morale.....No, sembra che il P20G abbia in vista pesci più grossi. Una volta che ha scatenato l'azione terroristica- uccidendo i membri della loro famiglia? attraendoli con bottini? caricandoli di droghe? riempendoli di propaganda jihadista? abusando delle loro madri? o attraverso agenti provocatori, forse, infiltrano i gruppi e dopo pianifichino e diriggono loro stessi gli attacchi?- possa prendere misure contro gli "Stati/substati partecipanti per "albergare" le bande causate da Rumsfeld. Che tipo di misure precisamente? Bene il programma confidenziale del Pentagono lo dice in questo modo: "La vostra Sovranità è in pericolo".
il P20G, quindi, sarà utile ogni qualvolta il Regime voglia aggiungere dei beni in petrolio o una nuova base militare alla fiorente borsa dell'Impero. Basta incontrare un nido di scontenti violenti, agitarli con una spranga ed è fatta: c'è una "giustificazione" istantanea per qualsiasi livello di intervento/conquista/furto che si desideri.
Quando il governo di Obama parla di "continuità della politica estera degli Usa" questo diventa parte integrale di quello di cui sta parlando. Quindi possiamo contare di vedere molto di più su TTP e il sultano, Bitullah Mehsud, mentre la lunga guerra bipartidaria avanza tra il tira e molla, con la sua onnipresente necessità di "incitare" e terrorizzare- il popolo degli Usa perchè sostenga il progetto militare.

Crys Floyd è un giornalista Usa spesso collabora con CounterPunch. E' autore del libro "“Empire Burlesque: High Crimes and Low Comedy in the Bush Imperium".

Titolo originale: "Terror as a Tool of Empire" (Terrore come strumento dell'impero)

Fonte: http://informationclearinghouse.info/article22331.htm

Tradotto per Voci Dalla Strada da Vanesa

7 aprile 2009

SOTTO LA BANCONOTA NIENTE

Di Domenico Moro

La crisi è profonda ma i metodi messi in campo per risolverla possono riprodurre su scala maggiore la situazione di squilibrio e di instabilità che ci ha portato alla situazione attuale.

La Banca centrale Usa ha deciso di comprare titoli del Tesoro a lungo termine per 300 miliardi di dollari. Di conseguenza, il dollaro ha perso il 3,6% sull’euro, il maggior calo giornaliero di sempre. Gli Usa hanno seguito l’esempio della Banca d’Inghilterra che, qualche giorno, fa ha comprato titoli del Tesoro per 2 miliardi di sterline, cui se ne aggiungeranno nei prossimi tre mesi altri 75 miliardi. L’aumento di liquidità avrà l’effetto di svalutare la sterlina ulteriormente rispetto alle altre valute, specialmente rispetto a euro e dollaro, verso il quale ultimamente ha perso il 23% del proprio valore. La Banca d’Inghilterra è ricorsa, per finanziare l’acquisto dei titoli, alla creazione di denaro dal nulla, semplicemente stampando altra cartamoneta.

Durante la Grande depressione, l’Inghilterra e gli Usa fecero qualcosa di simile, sganciando le loro valute dalla convertibilità con l’oro. In questo modo, si poté attuare la svalutazione di sterlina e dollaro, che, a livello internazionale, permise di vendere le merci statunitensi e britanniche a prezzi più bassi e, a livello interno, al contrario, di rialzare i prezzi e con essi i profitti. Anche gli altri paesi furono costretti a fare lo stesso, col risultato che la crisi si estese, dal momento che la svalutazione delle valute favorì l’insorgere del protezionismo, ed il commercio internazionale si contrasse fortemente. Oggi si ripropone, mutatis mutandis, una situazione simile.

Gli Usa, fiancheggiati dalla Gran Bretagna, sostengono la posizione secondo la quale dalla crisi si esce immettendo massicce dosi di liquidità nel sistema finanziario, e premono affinché la Ue faccia lo stesso. La Ue, invece, vorrebbe una ridefinizione della regolamentazione del mercato finanziario internazionale, cosa che gli Usa rifiutano. Non c’è da meravigliarsi. Le regole attuali per gli Usa sono vantaggiose, fondandosi sul dollaro come moneta internazionale, di scambio e di riserva. Nel 1971 furono aboliti gli accordi del ’44, detti di Bretton Woods, che stabilivano un sistema di tassi di cambio fissi delle varie valute col dollaro, il quale, assumendo il ruolo di moneta internazionale, era convertibile in oro.

Gli Usa scelsero di sganciare il dollaro dall’oro quando il loro debito pubblico cominciò ad aumentare, a seguito della loro politica di interventismo militare. Gli Usa si misero così in condizione di farsi finanziare dal resto del mondo senza che i dollari accumulati con il finanziamento del debito pubblico o con l’export di merci potessero essere convertiti in oro. Un sistema imperiale, in cui il centro dell’impero si fa finanziare dal resto del mondo, semplicemente stampando dollari ed emettendo buoni del tesoro. Come faceva l’Inghilterra che, per rimediare al proprio disavanzo delle partite correnti, si basava sugli attivi del suo impero, specialmente sull’attivo dell’India, alla quale tra l’altro impedì di seguirla nello sganciamento dalla convertibilità con l’oro negli anni ’30. E’ con questo sistema che gli Usa hanno cercato di risolvere la crescente sovrapproduzione di capitale e la deindustrializzazione che minano la loro economia da decenni.

Oggi che il sistema dell’economia basata sul credito è saltato, avendo superato ogni livello critico, gli Usa stanno cercando, nonostante tutto, di conservarne un meccanismo, che, pur essendo perverso, è diventato parte delle relazioni internazionali. La Cina, infatti, continua a finanziare il debito Usa ed è diventata nel 2008 il primo detentore di titoli del tesoro Usa. Proprio per questo è estremamente preoccupata per la svalutazione del dollaro, che, da una parte, decurterebbe il valore delle sue riserve proprio in un momento in cui ha bisogno di risorse per finanziare la sua industria e, dall’altra, metterebbe in difficoltà le sue esportazioni.

In sintesi, i meccanismi perversi di risoluzione della sovrapproduzione strisciante del centro Usa del sistema capitalistico mondiale non accennano a mutare. Al contrario tendono ad esasperarsi con un aumento puro e semplice della liquidità, mediante la creazione di denaro dal nulla e l’abbassamento dei tassi d’interesse, negli Usa allo zero per cento e in Gran Bretagna al minimo storico dello 0,50%. L’immissione di liquidità non può essere la soluzione, visto che il fattore che ha innescato la crisi non è stato la penuria di liquidità, bensì l’eccesso di liquidità, che ha favorito la speculazione e la bolla immobiliare.

Semmai ci sarebbe bisogno di una ridefinizione degli equilibri valutari mondiali, basandoli sull’affiancamento del dollaro, come valuta mondiale, con altre valute. Questo forse aiuterebbe a risolvere lo squilibrio nella bilancia dei pagamenti mondiali, che vedono, da una parte, un deficit enorme (650 miliardi di dollari) concentrato negli Usa e dall’altra un attivo altrettanto enorme (703 miliardi) concentrato specialmente in Cina.

Fonte: www.resistenze.org

6 aprile 2009

LA ROTTA DELL'URANIO E DEI CLANDESTINI





di Fabrizio Gatti


Dal Niger quasi 10 mila africani fuggono verso le nostre coste. La guerra per l'uranio e l'alleanza Gheddafi-Sarkozy favoriscono i trafficanti. E gli accordi Italia-Libia diventano così una beffa.
Visto da Agadez, l'ultimo abbraccio tra il premier Silvio Berlusconi e il colonnello Muhammar Gheddafi è una beffa. In questa splendida città di fango rosso in mezzo al Sahara in Niger, l'accordo sull'immigrazione ratificato a Tripoli il 2 marzo scorso è già carta straccia. Da Agadez i camion e i fuoristrada stracarichi di emigranti africani che sperano di arrivare a Lampedusa, in Italia o in Europa hanno ripreso i loro viaggio verso la Libia. Il traffico è ripartito come ai tempi d'oro. Sotto lo sguardo indifferente e spesso interessato dell'esercito libico che controlla la pista di rocce e sabbia alla frontiera di Tumu, nel silenzio del deserto.

Gheddafi, a sud del Sahara, oggi è soltanto un esecutore di decisioni prese a Parigi. Per fermare o rallentare la marcia dei clandestini verso il loro futuro, Berlusconi dovrebbe piuttosto chiedere l'intervento del presidente francese Nikolas Sarkozy: perché la via ai trafficanti di uomini è stata riaperta proprio grazie alla guerra dei tuareg. Una guerra per l'uranio sostenuta dalla Francia nella regione di Agadez. Da novembre 2008 migliaia di persone sono passate dalla città rossa per andare a nord. Con un record di partenze tra gennaio e febbraio: quasi 10 mila ragazzi e ragazze in fuga dall'Africa occidentale. Dalla prossima estate capiremo se questa generazione di ventenni avrà trovato lavoro in Libia o apparirà nei telegiornali sui barconi alla deriva nel Mediterraneo. Il loro obiettivo, dicono, è arrivare in Italia o da qualche parte in Europa.

Il 24 febbraio Berlusconi ha incontrato Sarkozy. Ma non gli ha parlato di immigrazione. I due hanno discusso di ritorno all'energia nucleare in Italia. E di contratti per miliardi di euro da oggi al 2030 a vantaggio di Parigi. Areva, il colosso statale del nucleare francese, ha bisogno di nuovi clienti. Perché dal 2012 la società avrà così tanto uranio a disposizione che, per ammortizzare un investimento iniziale di 1,2 miliardi di euro, deve trovare subito qualcuno disposto a comprarlo. Altrimenti rischia di pagare cara la crisi finanziaria in cui è caduta. Tutto quell'uranio, però, non è ancora arrivato in Francia. Per il momento è in Niger, vicino ad Agadez: a Imouraren, sotto la sabbia nel mega-giacimento che comincerà a produrre fra tre anni, il secondo al mondo dopo McArthur River in Canada.

Quello che nella sua visita a Roma il 24 febbraio Sarkozy non ha detto a Berlusconi è che la Francia in Niger ha giocato una partita sporca. Come era abituata a fare in Africa ai tempi del generale Charles de Gaulle. E solo alla fine Areva è riuscita a strappare al Canada e alla Cina la concessione per il mega-giacimento di Imouraren. Ma Sarkozy nemmeno ha raccontato a Berlusconi che i tuareg, sostenuti dagli 007 francesi nei giochi di guerra, si sono rimessi a trafficare con gli emigranti che vogliono approdare in Italia. In fondo, si tratta sempre di energia e forza lavoro destinate ad alimentare l'economia europea. La differenza è che i minerali di uraninite trasformati in sali di uranio viaggiano protetti fino agli impianti di arricchimento in Francia. Gli emigranti sono invece sottoposti a ogni tipo di violenze e il 12 per cento muore prima di arrivare in Europa.

È italiano uno dei testimoni di questo gioco sporco francese. Un commerciante di Torino, T. P., 50 anni, fermato per immigrazione clandestina in Niger. Abitava ad Agadez. Ha trascorso qualche mese nel deserto con i guerriglieri tuareg. E quando ha tentato di lasciare il Niger è finito in commissariato. La polizia l'ha messo sotto torchio e lui che aveva il permesso di soggiorno scaduto, in cambio della liberazione ha dovuto raccontare quello che sapeva. Alla fine è stato espulso. Cittadino indesiderato. L'intreccio tra la via dei clandestini e la via dell'uranio va raccontato proprio da Agadez, dove il commerciante torinese aveva aperto un negozio e dove migliaia di ragazzi africani ora approdano con la certezza di sopravvivere al deserto che li aspetta.

La città-monumento al tramonto si incendia di rosso. Non sembra però una comunità sotto assedio, né in guerra. A parte i pastori nomadi tamashek venuti ad accamparsi nelle vie del centro, lontano dalle piste infestate dalle mine e dalle imboscate. Sulla strada asfaltata davanti all'autogare, l'autostazione dove arrivano gli autobus e partono i camion del deserto, gli affari vanno al massimo. Centinaia di bancarelle sui due lati della via vendono di tutto. Dalle scarpe usate ai filoni di pane fresco. Sacchetti di datteri e biscotti. Barattoli di latte in polvere. Bidoni di olio ricoperti di cartone e canapa e riciclati come taniche d'acqua. Passano carretti spinti a mano. Persone ovunque. È il mercato dei poveri. Il posto di rifornimento di quanti aspettano la partenza e cercano di spendere il meno possibile. Perché ogni giorno di attesa è una piccola erosione ai 250 euro che servono per attraversare il Sahara fino in Libia. E, per chi li ha già a disposizione, ai 1.500 euro chiesti dai passatori libici di Al Zuwara per sfidare la vita fino a Lampedusa. Gli emigranti bloccati ad Agadez mangiano il meno possibile per non mettere a rischio il piccolo capitale necessario al viaggio. Spesso solo gari, un impasto energetico fatto con le radici di tapioca.

Ma questa strada è anche un mercato per ricchi. È la contraddizione di ogni guerra. Broker, passeur, mediatori. Prendono in consegna gli emigranti in arrivo da Nigeria, Ghana, Liberia, Benin, Mali. E in questi mesi, per la prima volta, anche dal Senegal. L'età di questa generazione in fuga va dai 14 ai 30 anni. Hanno un progetto, un'idea, un sogno da realizzare. Sono i fratelli e le sorelle minori degli emigranti passati da Agadez tra il 2003 e il 2005. Sanno che le loro braccia si aggrapperanno sicuramente a un lavoro. Il passaparola e l'esperienza di quelli sopravvissuti prima di loro raccontano che è dura, ma qualcosa si trova. I clandestini come motore insostituibile della ricchezza sommersa. Soprattutto in Italia dove la produzione esentasse e in nero rappresenta il 23 per cento del Prodotto interno lordo.
Dentro il cortile dell'autogare centinaia di persone aspettano che tramonti anche questo giorno. Una postazione di soldati, con mitragliatrice pesante montata sul fuoristrada, sorveglia l'ingresso. A guardare bene ci sono soldati ovunque. Meglio non entrare. Ad Agadez oggi è vietato fare domande, fare fotografie, fare riprese filmate. Può capitare di essere visti o ascoltati dalle spie in borghese o da chiunque voglia mettersi in mostra con la gendarmeria in cambio di una soffiata. A fine febbraio il presidente del Niger Mamadou Tandja ha rinnovato lo stato d'allerta, proclamato il 25 agosto 2007 come risposta agli attacchi dei tuareg. Nella regione di Agadez la democrazia è sospesa e l'amministrazione è affidata all'esercito. Giornalisti locali e francesi mesi fa sono finiti in cella. E l'arresto è automatico per chiunque venga a fare indagini in città o nel deserto. Gli stranieri, se non sono emigranti in partenza o tecnici minerari, devono tenersi alla larga. E se passano, lo fanno a loro rischio.

La tensione appare già al posto di blocco alla periferia della città. Un ufficiale, sempre con gentilezza, vuole trattenere il passaporto. "Questa è la frontiera", dice: "Agadez in questo momento è come se non fosse in Niger. Qui comandiamo noi". Lasciare il passaporto ai militari significa però rischiare di perderlo. E dover poi affrontare l'ignoto della burocrazia di guerra. L'ufficiale accetta un compromesso: "Allora facciamo così. Stasera un ispettore di polizia verrà in hotel a interrogarla". I militari stanno raccogliendo davanti al loro piccolo ufficio gli emigranti in transito. Scendono dai pullman, dai minibus, dai camion. Oggi, come all'arrivo di ogni convoglio, sono più di 400. Se ne stavano seduti, in cima alla cupola di sacchi, teli e scatoloni. Devono pagare dieci dollari a testa come tassa di passaggio. E chi non ha i documenti in regola, 20 dollari. Già qui l'immigrazione per l'Europa è un affare.

Per arrivare ad Agadez c'è un solo modo. Bisogna unirsi ai convogli scortati dall'esercito. Partono a giorni alterni da Zinder, 431 chilometri di deserto a sud lungo la via dei clandestini. Un viaggio che dura una giornata. I ragazzi dei camion devono scendere. Camminano oltre. Le grandi ruote alleggerite superano le onde di sabbia a tutta potenza. Qualche autista rallenta, ma non si ferma. E i suoi passeggeri devono correre per non rimanere a terra, per non finire abbandonati prima ancora di attraversare la parte più difficile del viaggio. I soldati scortano il convoglio sui loro fuoristrada Toyota armati di mitragliatrice. Dicono che rischiamo un attacco dei guerriglieri tuareg o dei banditi. Ma soprattutto, passando di qui fuori dai convogli, il vero pericolo è di finire impallinati da loro. L'esercito ha l'ordine di sparare a vista. È già successo. Alcuni emigranti sono stati uccisi con gli autisti nel deserto del Ténéré, prima che i militari potessero identificarli. Per arrivare in Italia avevano pagato il viaggio sbagliato.

"Dove li metterete tutti questi immigrati con la crisi che avete in Europa?", sorride un passatore tuareg di Agadez. Ovviamente non vuole essere filmato né fotografato: "Da novembre scorso è come se la Libia avesse dato il via libera. Ora che Gheddafi è stato eletto presidente dell'Unione africana, non può certo rimandare indietro i suoi concittadini africani. Abbiamo saputo che l'Italia investirà in Libia 5 miliardi di dollari. Apriranno cantieri, ci sarà lavoro. Avranno bisogno di manodopera e noi gliela portiamo. Se poi qualcuno vuole proseguire il viaggio in Europa, dal nostro punto di vista è normale. Grazie all'immigrazione clandestina potrebbe addirittura essere firmata la pace. È l'unico punto su cui esercito del Niger, esercito libico, ribelli tuareg e noi tuareg esterni alla ribellione andiamo d'accordo".

L'accordo sottobanco funziona dal novembre 2008. Il problema ora è la mancanza di camion. "Ne stiamo facendo arrivare dalla Nigeria. Abbiamo più gente disposta a partire che mezzi", racconta un altro broker ad Agadez: "A novembre i ribelli tuareg amici della Francia, i militari libici e nigerini e i trafficanti di tutto il Sahara hanno raggiunto un patto: tutti fanno finta di non vedere e incassano la loro parte. Gli autisti tuareg dicevano che senza lavoro, a causa della guerra, si sarebbero uniti alla ribellione. Così adesso l'esercito del Niger scorta i camion fino a Dirkou. I libici chiudono gli occhi. E i tuareg hanno il lavoro. Il limite è che anche per Dirkou bisogna muoversi in convoglio. Fuori convoglio i militari sparano a vista e c'è il rischio delle mine". Quelli di venerdì 13 marzo e martedì 17 marzo sono convogli giganteschi: una fila di decine di fuoristrada e 60 camion carichi di merci, sigarette di contrabbando ed emigranti. Le mine anticarro sono ovunque. In settembre a 40 chilometri dal confine con la Libia, l'esplosione improvvisa sotto le ruote di una camion ha ucciso cinque passeggeri tra cui un ragazzo di 19 anni. Ma l'affare vale il rischio: 10 mila emigranti per 250 euro fanno 2 milioni e mezzo di incasso.

Dirkou in questi giorni è un'oasi che non sa come sfamare i suoi ospiti in transito. Almeno 15 emigranti sono morti di fame e di sete negli ultimi giorni e i loro cadaveri sono stati visti dagli autisti di camion a sud di Tumu, la frontiera con la Libia. Forse sono stati abbandonati dai trafficanti, forse avevano deciso di proseguire a piedi.

La fuga dall'Africa è un dramma anche nelle città dove le generazioni più istruite si dissolvono lungo la rotta del deserto. Proprio in questi giorni una delegazione del ministero dell'Educazione della Nigeria è venuta ad Agadez a chiedere alle autorità di non lasciar passare i minori di 15 anni nigeriani. L'incubo sono gli spacciatori di sogni che avvicinano i minorenni davanti alle scuole: non vendono droga, ma un futuro impossibile. "I broker mandano loro emissari davanti alle scuole nigeriane", spiega un funzionario: "Raccontano che arrivare in Italia è facile. Ma una volta in viaggio i ragazzi vengono rapinati dei loro soldi. E le ragazze devono prostituirsi per pagarsi il resto del percorso". Irin, l'agenzia di analisi dell'ufficio Affari umanitari dell'Onu, ha raccolto testimonianze di camion attaccati dai banditi sulla rotta per Dirkou e di adolescenti rapite e scomparse nel deserto.

Tutto questo, dalla fine del 2005 all'autunno 2008, era stato fermato. L'esercito del Niger aveva bloccato il traffico di clandestini lungo la pista degli schiavi: 1.500 chilometri di deserto che attraversano il Ténéré e superata l'oasi di Dirkou salgono in Libia, la rotta che ha avuto il suo picco di emigranti e cadaveri nel 2003 con 15 mila passaggi al mese. Tutto questo non si sarebbe ripetuto se la guerra telecomandata dei tuareg non avesse destabilizzato la regione. A fine 2006 Agadez è ancora una città aperta al mondo e piena di turisti. Ma quelli sono i mesi in cui il costo del petrolio corre. E il prezzo dell'uranio anche. Il presidente Mamadou Tandja e il governo decidono che il Niger può finalmente puntare sulla risorsa strategica di cui è piena la regione di Agadez. Le concessioni per la ricerca dei minerali di uraninite, coffinite e pechblenda vengono messe a disposizione del miglior offerente. La diplomazia francese mugugna. Parigi ha sempre avuto il monopolio dell'uranio in Niger. Lo stabilisce già nel 1961 l'Accordo di difesa firmato tra i due paesi, in piena dominazione coloniale. Il colosso Areva chiede per sé i primi 35 permessi di ricerca. Tandja resiste e rilascia 15 concessioni a società canadesi, sete all'Australia, sei al Sudafrica, solo quattro alla Francia, tre all'India e due a Cina e Russia. In sospeso c'è ancora lo sfruttamento del giacimento di Imouraren, vicino ad Agadez: una quantità di uranio estraibile di 5 tonnellate all'anno per 35 anni che porta il Niger dal quarto al secondo posto tra i paesi esportatori al mondo. E che da solo equivale a tutta la produzione mondiale di Areva.

L'attacco alla postazione dell'esercito nell'oasi di Iferouane, a nord di Agadez l'8 febbraio 2007, è un'azione a sangue freddo. Un piano che ricorda la morte dei dieci soldati francesi massacrati il 19 agosto 2008 in Afghanistan. Da quel giorno di febbraio intorno ad Agadez muoiono padri di famiglia e ragazzi che hanno indossato la divisa in cambio di uno stipendio. Dietro l'assalto di Iferouane però non ci sono i talebani di Al Qaeda. C'è un gruppo minoritario di tuareg fino a quel giorno sconosciuto. Si fanno chiamare Mnj, Movimento dei nigerini per la giustizia, che nel giro di qualche settimana riceve armi e munizioni dalla Libia. A loro si unisce presto il capitano Mohamed Ajidar, comandante di un plotone del Fnis, la Forza nigerina di intervento e sicurezza, reparto dell'esercito costituito da tuareg. Il comandante Ajidar conosce da vicino gli interessi francesi nella regione. Sette mesi prima Areva gli ha affidato la sorveglianza di tre aree di concessione. E gli ha versato sul suo conto personale 56 milioni di franchi africani, 85 mila 365 euro, un capitale da queste parti. Perché tutti quei soldi? Tanto basta a far insospettire il governo che in pochi giorni caccia dal Niger l'ex colonnello Gilles de Namur, responsabile per Areva della sicurezza sul mega-giacimento di Imouraren. Una coincidenza: de Namur è addetto militare all'ambasciata di Francia a Niamey durante la prima rivolta tuareg sostenuta apertamente da Parigi. Il Mnj fa altri morti. E il governo ordina l'arresto e l'espulsione del direttore generale di Areva Niger, Dominique Pin. Nuova coincidenza: negli anni '90 Pin, mentre de Namur lavora in ambasciata a Niamey, fa parte della sezione Africa dell'Eliseo dove il presidente François Mitterrand ha un consigliere che farà strada nell'industria strategica. Il consigliere è Anne Lauvergeon, attuale amministratore delegato di Areva. Il retroscena più delicato sulla presunta benevolenza tra la società statale di Parigi e i nuovi ribelli tuareg lo rivela senza volerlo il commerciante di Torino messo sotto interrogatorio in una camera di sicurezza a Niamey. Racconta che il vice presidente del movimento tuareg, Asharif Mohamed-Almoctar, poi ucciso in combattimento nell'estate 2008, chiama spesso la Francia con uno dei due telefoni satellitari rapinati il 20 aprile 2007 dal cantiere di Areva sul megagiacimento di Imouraren.

La cosa che stupisce la polizia di Niamey, secondo fonti investigative, è che mesi dopo, a fine 2007 e in piena guerra, Areva stia ancora rinnovando il credito dei due telefoni rapinati dai tuareg. Un curioso mistero mai chiarito. Così come resta un giallo la rivendicazione da parte di Al Qaeda del sequestro, tuttora in corso nel Sahara, dell'inviato dell'Onu in Niger: l'ex ambasciatore del Canada a Roma, Robert Fowler, monsieur Afrique nella politica estera di Ottawa, rapito il 14 dicembre a nord della capitale con il connazionale Louis Guay e il loro autista nigerino Soumana Mounkaila. Secondo i giornali del Canada, il paese che in Niger ha fatto il pieno di concessioni per l'uranio, Fowler e Guay si occupavano di miniere fuori dal mandato dell'Onu. Mouadibou Sisse, 19 anni, di Bamako, Mali, nemmeno immagina il risiko che si sta giocando sulla testa di questa terra in cima alle classifiche di povertà. Aspetta l'autobus per Agadez alla stazione di Niamey. Vuole arrivare in Italia per raggiungere la Spagna. È già stato espulso una volta da Madrid. Ma non s'arrende.
La rotta dell' uranio e dei clandestini Mappa

Fonte: http://espresso.repubblica.it/

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LA CRISI GLOBALE IMPONE UNA RISPOSTA MODERNA ALLE CONTRADDIZIONI DEL CAPITALISMO


La vastità della crisi economica attuale non lascia nessuno spazio di agibilità per la proposta di una nuova politica di riforme volte a migliorare le condizioni del lavoro dipendente: cassaintegrazione, miseria, sfratti, disoccupazione, sono destinati ad aumentare.

Le idee di Obama negli USA, come la promozione di nuovi ammortizzatori sociali in Italia (p.es. il redditto sganciato dal lavoro), incarnano solo la necessità del potere borghese di impedire che le contraddizioni sociali esplodano. Si tratta infatti di politiche che lo stato può sostenere — in parte e per breve tempo — solamente aumentando il debito, ovvero ingigantendo gli effetti già devastanti della crisi.

Tanto è vero che, parallelamente, è in atto una vera e propria deriva autoritaria verso lo “stato forte”: aumento dei poteri dell’esecutivo, leggi anti-sciopero, via libera alla crescita delle forze neo-fasciste (i mazzieri in difesa della patria), controllo sociale capillare “giustificato” dall’uso mass-mediatico del cosiddetto problema della “sicurezza”. E’ questa l’altra faccia di un potere che, mentre cerca di limitare e soffocare preventivamente la conflittualità di classe, si dota di tutti gli strumenti necessari a reprimere le nuove ondate di rabbia proletaria, col terrore e la violenza.

In questo quadro le pratiche sindacali, neo-riformiste, democratiche, non hanno più nulla da offrire, ammesso e non concesso che tali pratiche negli ultimi decenni siano state — al di là della buona fede di molti militanti di base — una via percorribile per la difesa, seppur minimale, degli interessi proletari. Si tratta invece di rompere l’isolamento nel quale versano le singole vertenze, rompere la frammentazione, dare vita a lotte realmente autorganizzate, a scioperi senza preavviso né limiti di tempo, di spazio o di categoria. In ogni luogo di lavoro si deve lottare, e duramente, per difendere i propri interessi partendo dal presupposto reale che in ogni singola lotta gli interessi da difendere sono quelli comuni all’intero proletariato.

Oggi il capitale è altamente organizzato, ha dalla sua tutti gli strumenti, mentre la nostra classe, la classe degli sfruttati, la classe dei proletari, è artificialmente divisa, atomizzata tra mille sigle, forme contrattuali, condizioni, nazionalità e luoghi di lavoro differenti.

Ma ciò che più manca alla nostra classe, ciò che principalmente sancisce la posizione di inerzia e frantumazione nella quale rimane, è l’assenza di un autentico partito proletario, l’assenza di una organizzazione internazionalista e di classe capace di contribuire alla formazione del proletariato in classe, di indicare — in ogni battaglia — la necessità del superamento rivoluzionario della società borghese, della conquista esclusiva del potere politico da parte del proletariato come unica via praticabile per uscire dalla crisi e dal sistema economico-sociale che la genera.

Per questo è oggi più che mai necessario che nelle fabbriche, negli uffici, nei territori, nelle scuole, nelle università, nelle assemblee, per unificare la casse, per rompere l’isolamento, per dare vita a lotte vere, per iniziare ad invertire il corso della storia la parola d’ordine sia: combattere il capitale!

Fonte: http://www.ibrp.org/it

5 aprile 2009

NO ALLA NATO, NO ALLA GUERRA

Dieci motivi per dissolvere la Nato
Sessanta anni fa è stata creata la Nato per organizzare la difesa degli Stati d'Europa Occidentale e del Nord America di fronte all'Unione Sovietica. La fine della guerra fredda ha lasciato senza motivo di essere la Nato che repentinamente è rimasta senza nemici. Allora è iniziata la riconversione dei suoi obiettivi politici e militari per giustificare la sua esistenza.
Nel summit di Washington del 1999 si redifinisce la strategia della Alleanza. Con la scusa di contribuire alla stabilità e la pace mondiale, ingrandisce il suo raggio d'azione di forma illimitata in tutto il mondo. In realtà, questo cambiamento di strategia ha come obiettivo prioritario quello di controllare le zone produttrici di risorse naturali e di importanza geostrategica.
Nel 2002, nel summit della Nato a Praga, si unisce alla lotta contro il terrorismo internazionale come uno dei suoi obiettivi fondamentali e viene adottata la dottrina della guerra preventiva di Bush, che colloca l'organizzazione in una posizione di vulnerabilità del diritto internazionale.
La miglior politica di sicurezza è quella che rende impossibile la guerra. Per conseguire un mondo in pace e più giusto è imprenscindibile la dissoluzione della NATO.

10 motivi che fanno della NATO un ostacolo alla pace mondiale:
  • 1) La Nato è il blocco militare mondiale più agressivo e bellico, ed aumenta il pericolo di nuove guerre. La Nato è un organismo militare che, dal 1999, ha deciso di abbandonare il carattere defensivo dell'area del Nord Atlantico per intervenire militarmente in qualsiasi luogo del pianeta. Questi interventi militari esteri possono provocare reazioni in terzi paesi e la formazione di nuovi blocchi militari.
  • 2) La Nato è un'organizzazione non democratica. Le decisioni nel seno della Nato vengono approvate fuori ogni controllo democratico, all'infuori dei parlamenti e istituzioni democratiche europee, allo stesso tempo è sotto il controllo militare esclusivamente degli USA. La NATO costringe e restringe la politica estera degli stati membri.
  • 3) La NATO è stata ed è una minaccia per la democrazia. La NATO ha accettato che stati non democratici facciano parte di essa, come la dittatura neofascista del Portogallo e la dittatura dei colonelli in Grecia. La NATO ha anche partecipato a complotti antidemocratici e di manipolazione dell'opinione pubblica. E attualmente non questiona l'appartenenza di paesi così poco democratici come la Turchia, la Polonia e la Bulgaria.
  • 4) La NATO ha come obiettivo strategico la guerra contro il terrorismo.Sparita la Russia, la NATO, è rimasta senza nemici. Ma al posto di dissolversi, ha trovato un nuovo nemico, il denominato "terrorismo internazionale". Con questa scusa ha cercato d'intervenire nella guerra in Iraq nel 2003 e interviene in Afghanistan.
  • 5) La Nato impulsa nuove corse all'armamento e rappresenta la militarizzazione del pianeta. L'aumento continuato dell'arsenale dei paesi membri della NATO provoca il riarmamento dei paesi come la Russia, la Cina, l'Iran.....che a loro volta, conducono al riarmo di chi sono considerati i loro nemici. Il risultato finale è l'aumento della militarizzazione del pianeta.
  • 6) La NATO è responsabile dell'aumento della spesa militare, dell'impulso all'industria e al commercio mondiale di armi. Il riarmo costante degli USA, degli eserciti degli stati membri della NATO provoca un aumento costante della spesa militare, impulsa la riceca di nuovi armamenti, l'industria che lo produce e il commercio mondiale che lo vende. Contemporaneamente i paesi della NATO esportano il 75% del totale di armi del mondo.
  • 7) La NATO impulsa la proliferazione e il pericolo di guerre nucleari. Gli Usa possiedono un armamento nucleare installato nelle basi militari della NATO in suolo europeo, ed espone l'Europa al pericolo di una guerra nucleare.
  • 8) La NATO considera l'immigrazione senza controllo come una minaccia. In questa strategia di cercare nuovi pericoli, la NATO menziona l'immigrazione di massa come una delle sue preoccupazioni. E' molto preoccupante che un organismo militare affronti la questione dell'immigrazione.
  • 9) La NATO perpetra la tutela degli Usa sulla politica europea. I governi europei accettano di essere oggetto attraverso la NATO, degli interessi del complesso militare-industriale degli Usa. Questa situazione rende impossibile che l'Europa prenda una funzione di promotrice degli obiettivi della Carta Delle Nazioni Unite, essendo il più importante quello di evitare nuove guerre. Per ottenerlo è imprescindibile la dissoluzione della NATO.
  • 10) La NATO ha come principale funzione la difesa dei privilegi e interessi degli stati più ricchi del pianeta. Questo è, senza dubbio, la ragione più importante dell'esistenza di questo organismo multilaterale militare. Il sistema di vita dei paesi ricchi esige l'entrata delle materie prime(petrolio,gas....) che sono vitali per mantenere il suo livello di consumo insostenibile. La NATO è l'istrumento che assicura che questo somministro attraverso il controllo militare delle zone di esplotazione.
Fonte: http://www.rebelion.org/docs/83290.pdf

Tradotto per Voci Dalla Strada da Vanesa

4 aprile 2009

LA SCONFITTA DELLA "TIGRE CELTICA" E IL "NO" ALLA GRANDE TRUFFA DEL TRATTATO DI LISBONA

di Vittorangelo Orati

Tutti sanno o dovrebbero sapere che salto all’indietro ha fatto la “tigre celtica” dopo aver meravigliato gli sciocchi nella sua rimonta da cenerentola economica dell’Europa, a regina dei miracoli della globalizzazione. Attualmente è sull’orlo del default sulla scia dell’Islanda a seguito dello scoppio del bluff “a tutto free trade”. Insito nell’alto grado di integrazione nel mercato mondiale e a misura di questo, è il pericolo di crisi e recessione allorché le immancabili crisi di sovrapproduzione seguono periodi di inconsulto dominio del libero scambio. Della fragilità se non della “palla” (fandonia di regime) di uno sviluppo irlandese tutto “rosa e fiori” in linea con le promesse (propaganda) dei cantori le virtù di opzioni liberoscambiste, è stato segnale inequivocabile e premonitore la sonora sconfitta del referendum irlandese relativo al “Trattato di Lisbona”.

3 aprile 2009

I FUNERALI DEL NEOLIBERISMO

Di Alfredo Jalife-Rahme

Dalla City, capitale del paese che ha inventato e implementato fino alle sue ultime letali conseguenze il neoliberismo finanziario globale, Martin Wof, un tempo fanatico della globalizzazione e editore della pagina economia del Finacial Times, il giornale portavoce del modello depretatore screditato e sconsasacrato, formula le esequie del paradigma che ha governato senza senso il mondo durante tre decenni (in realtà, è stato dal 1991, data del collasso della Russi che ha dato piede all'unitaralismo finanziario globale della doppietta anglosassone).
Wolf (The Financial Times, 8/3/09) apologista incallito del neoliberismo globale (ha pubblicato un libro: Perchè funzionaa la globalizzazione?, Yale University Press,2004), precisamente quando il modello era slittato, commenta "i semi della sua propria distruzione" il neoliberismo: "un altro dio ideologico è caduto."
In base al nostro giudizio, il problema è quello di collocare correttamente la data delle esequie del cadavere del modello neoliberale, che potrebbe essere stato nel 1997 ( bancarotta del LTCM); nel 2000 (salita al potere del bushismo unilaterale); nel 2001 (montaggio hollywoodense dell' 11/09); marzo del 2004 (quando il British Petroleum ha detto che che gli eserciti della doppietta angosassone non potevano controllare i pletorici giacimenti degli idrocarburi in Iraq), o il 15 settembre del 2008 ("default" di Lehman Brothers).
Cosa importa: nel lasso di tempo dei recenti 12 anni, il modello neoliberale globale clinicamente era morto, realtà tetrica che si negava di ammettere, nonostante la sua putrefazione universale, ai finanzieri forensi della City e di Wall Street.
Wolf esercita la funzione del patologo anatomista che cerca di scoprire le cause della morte del cadavere puzzolente.
Si potrebbe aggiungere che un lasso tra un minimo di 6 anni e un massimo di 17 anni, il capitalismo neoliberale è caduto dietro il "socialismo rivoluzionario", come lo chiama Wolf.
Cosa non abbiamo visto durante un secolo con la morte di 4 ideologie, per non dire di teologie, totalitarie: il fascismo, il nazismo, il comunismo e adesso il neoliberismo globale.
Definitivamente noi umani (di)pendiamo da un filo molto fragile per sopravvivere in mezzo ai totalitarismi teologici della storia.
Wolf afferma che "i presupposti che governarono le politiche durante ed oltre 3 decenni, velocemente (sic) sono in caduta, come il socialismo rivoluzionario" quando "i governi iniettano milioni di milioni di dollari, euro e sterline per intentare di riscattare i suoi sistemi finanziario." E cosa succederebbe se si ritornasse il "socialismo rivoluzionario?.
Con un ritardo di quasi tre decenni, Wolf si affonda sulla iugulare di Alan Greenspan, il colpevole favorito, che è stato collocato nel bluff universale per avere aiutato e /o tollerato la più grande crisi finanziaria dell'umanità: "alunno di Ayn Rand (nota: la teologa esoterica dell'individualismo misantropo) e principale banchiere internazionale centrale dell'epoca, chi ha confessato nella sua testimonianza di fronte al Congresso, lo scorso ottobre, che si trova in uno "stato di schock e incredulità" dovuto al fallimento dell'autointeresse (sic) delle istituzioni del credito per proteggere il capitale degli azionisti."
Ripete ciò che è risaputo sull'inizio del modello neoliberale globale con la salita al potere di Margaret Thatcher in Gran Bretagna e Ronald Reagan negli Usa, in mezzo ai "cambiamenti" in Cina e India che si sono capovolte per il "mercato", quello che nel suo insieme marcava "la morte della pianificazione centrale", che ha portato al suo parossismo con la caduta del comunismo sovietico "tra il 1989 e 1991". Questo è molto discutibile, dato che in Cina e in India, più che deregolamentarsi alla maniera psicotica anglosassone, si sono orientati verso "economie regolate dal libero mercato" ( sui generis del vecchio "PRI rivoluzionario", anteriore al deviato neoliberale che è iniziato con De La Madrid Hurtado e che hanno continuato Salinas e Zedillo: i tre criptopanisti).
I lavoratori montano protezioni al monumento commemorativo della Prima Guerra Mondiale, ieri di fronte alla Banca d'Inghilterra, nel distretto finanziario di Londra, prevedendo che le proteste programmate contro il G-20, questo giovedì, diventino violente.
Dice che "l'impatto della crisi sarà particolarmente severo nei paesi emergenti" e accetta che in mezzo ad "una immensa (sic) crisi finanziaria globale e del crollo sincronizzato nell'attività economica, il mondo sta cambiando di nuovo." Se, come si dice, "il sistema finanziario è il cervello dell'economia del mercato", allora, il capitalismo anglosassone si trova completamente decerebrato.
Confessa la sua deriva mentale : "è impossibile in questo punto d'inflessione sapere dove andiamo". Non si rende conto che il mondo vola verso la de-globalizzazione, alla regionalizzazione nazionalista e al neoprotezionismo patriotico, come abbiamo sostenuto nei nostri libri premonitori. (La fine di una era. Turbolenze nella globalizzazione, Editorial del Zorzal, Buenos Aires, 2007, e verso la deglobalizzazione, Editore Jorale,2007) anticipando lo tsunami finanziario globale.
Argomenta che "la combinazione del collasso(sic) finanziario nelle sua immensa (sic) recessione, se non succede qualcosa di peggio(leggasi:la grande depressione), sicuramente(sic) cambierà il mondo. La legettimità (sic) del mercato sarà debilitata. La credibilità (sic) degli Usa sarà dannosa. L'autorità della Cina aumenterà. La globalizzazione stessa può andare a picco. Questi sono i tempi delle rivolte."
Contempla la probabilità della "deglobalizzazione" e una maggiore regolamentazione, e confessa, molto fuori tempo, che "l' era della globalizzazione conteneva i semi della sua propria distruzione" per iniziare un'analisi forense che sosteniamo da oltre un decennio nel libro esaurito: Il lato oscuro della globalizazzione: post-globalizzazione e balcanizzazione, Editore Cadmo & Europa,200.
Wolf argomenta che "il mondo degli scorsi tre decenni di liberalizzazione finanziaria è finito", ma che , "a differenza degli anni 30, non esiste un'alternativa credibile alla economia del mercato." Qui non siamo d'accordo con il fallito teologo del neoliberismo globale: nella geopolitica si è generato un pareggio tra Usa e Russia, mentre nel campo geoeconomico il BRIC( Brasile,Russia,India e Cina) una salita, a discapito del G-7.
Il grave problema è nel centrismo del dollaro al quale si è aggrappato la doppietta anglosassone come il suo ultimo circolo di difesa per mantenere la sua egemonia globale. Assistiamo al grande paradosso del dollaro: una divisa praticamente senza valore, ma ancora molto funzionale, quando le altre divise del BRIC e delle regioni dell'economia emergente (Sudamerica, le potenze petrolifere del Golfo Persico, e il sud est asiatico) non sono competitive nè contano su divise sostituibili fino ad adesso.
Ancora di più: nel suo recente bollettino, GEAB (numero 33) di LEAP/Europe 2020, espone persuasivamente la guerra di divise che si sta scenificando nel quadro dell 'incontro del G-20 a Londra, quando l'asse anglosassone ha dichiarato guerra all'Euro.

Fonte: http://www.rebelion.org/noticia.php?id=83253&titular=las-exequias-del-neoliberalismo-global-

Tradotto per Voci Dalla Strada da Vanesa

2 aprile 2009

BAMBINI IMMIGRATI: UN AFFARE PER LA PSICHIATRIA



Il 6 marzo scorso (2009) si è svolto a Milano un convegno: «Dalla parte del bambino», promosso dall'IRCCS “E. Medea”. Qualche giorno dopo viene annunciato che è stato presentato un progetto finanziato dall'Assessorato alla Sanità della Regione Lombardia con un contributo complessivo di 2,7 milioni di euro per gli anni 2009-2011 finalizzato ad affrontare i problemi della salute mentale dei figli minorenni di immigrati nel Comune di Milano. (v. Vita Magazine e Minori. La Lombardia attenta ai migrati con problemi psichici, 10 .03.2009- http://beta.vita.it/news/view/89943).

Alcuni risultati riesumati dal vecchio Progetto Prisma realizzato dall'Istituto Medea, qualche anno fa, dove erano stati sottoposti a screening i bambini di diverse scuole di cinque regioni italiane al fine di individuarne i “disturbi mentali”: ADHD (deficit di attenzione ed iperattività), ADD (Deficit di attenzione), Disturbo Oppositivo-provocatorio, ecc... sono stati sufficienti a convincere l'Assessorato ad aprire le porte allo screening di massa dei figli in età infantile e preadolescenziali di immigrati, la componente più debole e meno informata della comunità, che difficilmente si opporrà o ne contesterà i risultati e le conseguenti soluzioni proposte.

Le Unità Operative di Neuropsichiatra dell'Infanzia e dell'Adolescenza (Uonpia) di Milano e altri enti hanno presentato il progetto ed hanno già annunciato che il loro primo passo sarà un'analisi epidemiologica per diagnosticare disturbi mentali e di apprendimento attraverso test, uno screening di massa, su circa 60 mila bambini solo a Milano.

Tutto questo malgrado in diverse regioni e a livello nazionale, constatando la pericolosità di queste iniziative psichiatriche siano stati emessi atti legislativi per vietare la somministrazione all'interno delle scuole di test o di questionari relativi allo stato psichico ed emozionale degli alunni. La Regione Piemonte con la legge n.21, la Provincia Autonoma di Trento con la legge 259, e la recente Circolare n.4226/P4 emessa dal Ministero dell'Istruzione.

I centri UONPIA non sono scuole, non sono centri sociali, il neuropsichiatra infantile non è un'insegnante, non è addestrato per risolvere le difficoltà di lingua e di integrazione che questi bambini possono avere. L'integrazione interculturale non è di competenza della neuropsichiatria.

Le famiglie arrivano in Italia per garantire ai loro figli un futuro e possibilità migliori e le nostre Istituzioni danno loro diagnosi e terapie psichiatriche, facendo leva sulle difficoltà che un qualsiasi bambino in un paese straniero potrebbe avere e incanalandoli in un futuro di possibili pazienti psichiatrici.

Gli stessi programmi attuati negli altri paesi come negli Usa, hanno portato quasi otto milioni di bambini ad essere etichettati con i “disturbi mentali” e successive somministrazioni di potenti e pericolosi psicofarmaci. Nei soli Usa quasi 200 bambini sono morti a causa di trattamenti con psicofarmaci, fino al punto di indurre il Parlamento USA ad approvare una legge che attribuisce ai genitori di bambini etichettati il diritto di non accettare eventuali terapie o trattamenti che essi non condividono. Per non parlare di effetti collaterali come la violenza, vedi le innumerevoli stragi nelle scuole americane: le indagini hanno appurato che erano tutti sotto trattamento di psicofarmaci.

In Italia abbiamo già i primi casi di bambini etichettati Adhd, in cura con psicofarmaci che hanno tentato il suicidio. L'ultimo bollettino dell'AIFA (Agenzia Italiana del farmaco) a pagina sette informa circa le idee di suicidio di due bambini, una piemontese di 9 anni ed un bimbo sardo di 10 anni entrambi in trattamento con Atomoxetina nel 2008, la bimba da sette mesi ed il bimbo da 10 mesi.

L'esperienza degli altri paesi e quanto sta avvenendo in Italia dovrebbe allarmarci ed indurci a non ripetere gli stessi errori. Chi ha in mano le sorti di migliaia di bambini non può ignorare e non documentarsi su questi fatti. Aprire le porte a programmi i cui risultati sono stati quelli di cui sopra è inaccettabile e non privo di conseguenze per tutti.

Nella situazione di crisi che stiamo vivendo le famiglie degli immigrati e le famiglie italiane hanno bisogno di un vero aiuto, di istruzione, di dare un futuro migliore ai propri figli e potenziare le iniziative di sostegno linguistico ed educativo già esistenti.

Il CCDU ritiene che i test non devono essere fatti come screening, a tappeto, sulla popolazione infantile italiana poiché questo viola la libertà dei cittadini ed è una intrusione dello stato nella famiglia.

Purtroppo molte di queste iniziative nascondono interessi di case farmaceutiche e lobby psichiatriche volti a medicalizzare la scuola per trarne dei profitti economici. Invitiamo pertanto i genitori ad informarsi scrupolosamente su queste proposte ed a monitorare le attività didattiche per scoprire se tali iniziative vengono fatte sui propri figli.

All'interno della mostra itinerante del CCDU, il 3 aprile a Firenze è previsto un convegno dal titolo «Dove sta andando la scuola? Disturbi di apprendimento e diagnosi sui bambini», convegno già proposto in altre città e che ha avuto un grande successo. Data comunicato stampa: gennaio 2009

Per ulteriori informazioni: C C D U Onlus Sezione Toscana Phone: +39 320.6758147 Phone: +39 320.8107444 ccdu.toscana@gmail.com C C D U Onlus 20127 Milano (MI) - Viale Monza, 1 Phone: +39 02 36510685 Fax: +39 02 99985564 E-mail: info@ccdu.org Ccdu.org CCDU Svizzera Sez. Ticino CP.613 - CH-6512 Giubiasco (TI) Phone: +41/76/327 83 79

Fonte: http://www.ecplanet.com/

IL PIANO DI OBAMA O IL GRANDE INGANNO?



di Jorge Altamira


Sotto il regime capitalista, i fallimenti dei negozi possono essere un grande affare, allo stesso modo che le guerre. Dal punto di vista della tassa di beneficio, superano di gran lunga quella che si ottiene in periodi normali. L'osservazione viene in base al fatto che dell'ultimo programma di riscatto bancario annunciato da Obama, che costituisce un inganno scandaloso pergiudicando le finanze pubbliche. In una conferenza stampa che ha dato martedì scorso, l'afroamericano ha dimostrato di essere perfettamente conscio di ciò che sta facendo.

Quello che è tuo è mio.
Il denominato programma-pubblico privato per comprare gli attivi invendibili delle banche e i suoi prestiti impagabili sono stati disegnati affinchè un gruppo di cinque fondi di inversioni, o di copertura di inversioni, facciano offerte per i così detti attivi tossici delle banche ad una somma superiore a quella che otterrebbe la banca in un vendita normale. Per incentivare questo sovvraprezzo, lo Stato dà o garantisce contributi per il 90% del valore dell'acquisto a tassi d'interesse vicini allo 0. L'operazione consiste nella formazione di un fondo pubblico-privato con contributi uguali da tutte e due le parti, ma che dopo potrebbero ricevere la finanziazione della Banca Centrale o del Fondo delle Assicurazioni di depositi per un importo sei volte superiore a quel capitale. Senza la minima dose di anestesia, il governo ricrea in questo modo le piramidi finanziarie che hanno provocato la crisi attuale con l'unica ma per nulla spregevole differenza che il luogo e la funzione del denaro privato viene occupato da denaro pubblico. L'aspettativa ufficiale è che il vantaggio che offre il finanziamento statale sia trasferito in parte ai prezzi degli attivi o dei prestiti che sono messi all'asta, cioè al di sopra dei suoi prezzi di bancarotta. Riassumendo: una offerta generosa per le banche, ma -soprattutto- per i detti fondi avvoltoi, il cui affare consiste, precisamente, nella speculazione con l'acquisto molto economico di valori che non valgono nulla.
La notizia che il governo annuncerà questo schema di imbroglio pubblico sembra scatenare l'entusiasmo degli speculatori della borsa, che hanno risposto con un'ascessa vicina all'8% nella borsa di New York- qualcosa di enorme per un solo giorno però normale nei periodi di bancarotta, quando il prezzo oscilla con la speculazione. Gli operatori meno scrupolosi avevano diagnosticato che la crisi aveva toccato fondo. La verità è più prosaica: quegli speculatori che avevano puntato fortemente alla discesa delle azioni delle aziende, ma in special modo delle banche- la cui situazione di default è irreversibile- si sono sbrigati a cambiare tattica e comprare questi valori anticipando il movimento di salita che avrebbe causato un tale annuncio. Nei giorni seguenti, gli analisti più importanti hanno fatto vedere che il piano era precisamente una frode finanziara e che non aveva la capacità di ricreare il sistema del credito.
La questione è molto semplice. Da una parte, gli attivi(buoni e azioni) e prestiti in potere alle banche non sono affetti nella loro quotazione non perchè non ci sono soldi per negoziarli ma semplicemente perchè la controparte (chi ha venduto il buono o ha ricevuto il prestito) non è nelle condizioni di cancellarlo. Il questionamento di Obama è di cercare di creare un prezzo che, per questi motivi, immediatamente si rivelerebbe artificiale. Le conseguenze sarebbero una bancarotta del capitale pubblico che finanzia l'operazione. L'aspettativa che una riattivazione dell'economia rinvigorizzi i capitali in bancarotta è remota, anche perchè i tempi della bancarotta e della riattivazione sono completamente sfasati. Molti osservatori hanno avvertito che le banche finiranno col ritirare gli attivi e i prestiti che mettano all'asta quando non siano soddisfacenti(per loro) il prezzo che viene offerto. In questo caso, Obama farà l'esperienza di come "si può" creare una maiuscola crisi politica durante il primo anno di mandato.

Più della stessa cosa.
L'evidenza che il governo ha chiaro i limiti del suo piano è che il finanziamento che promette continuerà ad essere tale, cioè, non effettivo, ma che nella sua maggior parte è composto da garanzie, non da soldi, che ci sarà da rendere effettive se l'operazione produce perdite all'operatore privato. Gli analisti che hanno fatto notare questa contraddizione si lamentano che lo Stato non immette denaro nella scala necessaria per fare fronte alla bancarotta. E' probabile che il fiammante programma fallisca allo stesso modo in cui lo hanno fatto tutti quelli che lo hanno preceduto.
Questo racconto dimostra che i sinistroidi che si sono grattati la testa, all'inizio della crisi, per rifiutare qualsiasi ipotesi della caduta del capitalismo e pontificare che, al massimo, "smetterà di essere quello che abbiamo conosciuto fino ad ora", semplicemente stavano mentendo. Il piano annunciato da Obama cerca, esattamente, di ricreare il mercato dei titoli privati sbandati dalla crisi, con l'appoggio delle risorse fiscali e non fiscali dello Stato, attenuato dalla promessa di una regolamentazione migliore da parte delle istituzioni pubbliche (come se potesse essere di qualche altra maniera e, peggio, come se servisse a qualcosa!) La preoccupazione maggiore e ossessiva di tutti i governi e di tutti i capitalisti, nelle circostanze attuali, è di evitare che si sfaceli il mercato internazionale di titoli privati, cioè delle banche che hanno quei titoli e dei creditori delle banche che hanno i propri. Il brutto valore derivato di questo mercato è di 500.000 milioni di dollari e la sua valutazione netta è di 60 mila milioni. Soltanto i buoni emessi per assicurare i titoli in circolazione sommano 25.000 milioni di dollari. In modo che serva da paragone, tutto il PBI mondiale è di 50.000 miliardi.
Questo che viene segnalato spiega il ripudio al piano da parte degli economisti come il premio Nobel Paul Krugman- che vuole, allo stesso modo di qualsiasi capitalista, salvare i bonds internazionali. Ma per questo- dice questa gente- non si deve sorteggiare il denaro pubblico o ricorrere all'emissione straordinaria della moneta, senza nazionalizzare contemporaneamte il sistema bancario. La funzione della nazionalizzazione sarebbe quella di negoziare con i creditori per togliere una parte del debito delle banche, allo stesso modo in cui General Motors sta negoziando, per evitare la bancarotta, una riduzione dei prezzi dei suoi fornitori, una riduzione degli stipendi e prestazioni sociali degli operai e un ribasso da parte di quelli che detengono il suo gigantesco debito.
Ma la dimensione principale del piano di Obama è stato scandalosamente ommesso dalla stampa. Il fatto è che si tratta di una specie di "golpe" internazionale alla vigilia della reunione del G-20, che è stato convocato per ellaborare una uscita "coordinata" dalla crisi. Gli europei pretendono che i fondi speculativi nordamericani, che hanno creato il regime finanziario parallelo che ha portato alla crisi, si faccia carico dei costi. Lo scontro tocca il punto più sensibile di tutto l'insieme finanziario internazionale- l'eccezionale capacità di Stati Uniti di emettere moneta(signoraggio) in virtù dello status del dollaro come principale mezzo di pagamento internazionale e principale riserva di valore. Precisamente, il piano di Obama è principalmente supportato per la capacità di emissione della FED, che ha già annunciato milionarie compere di buoni del Tesoro del suo paese e che ha già comprato su vasta scala titoli privati in mano alle banche (rilassamento quantitativo della moneta). Il resto delle banche centrali non hanno quella capacità di soccorrere i capitali sinistrati(colpiti,accidentati). La Banca Centrale Europea assicura che, se accompana la politica di emissione che sviluppano gli Usa, con l'euro, l'UE avrebbe i giorni contati. Anche gli Usa corrono un rischio simile, cioè l'emissione senza controllo del dollaro mette fine al ruolo internazionale della sua moneta. Alcuni analisti promettono che questa emissione finirà portando l'oro ai 6.000 dollari l'oncia- oggi in 950 dollari. L'Europa affronta la necessità di uscire in aiuto dell'Europa Orientale, il cui debito estero è di 1,5 miliardi di dollari e le scadenze quest'anno, di 500 miliardi. Le banche austriache sono compromesse per l' equivalente dell'80% del PBI dell'Austria; qualcosa di simile succede in Italia e Svezia.
La stabilità della moneta sarà messa in gioco nella prossima tappa della crisi. La Cina-che ha riserve per 2000 miliardi di dollari e inversioni in titoli pubblici degli stati Uniti per circa 800.000 milioni, e che per questo stesso motivo è uno dei principali "buonisti" interessati al successo del salavataggio nordamericano- teme, giustamente, per i suoi soldi. Il premier cinese ha azzardato, la settimana scorsa, di reclamare che una moneta internazionale sostituisca il dollaro, sapendo che questo è incompatibile con la rivalità che caratterizza il capitalismo.
I dolori dell'euro dovrebbero averlo avvertito di questo. In una fase estrema della crisi, l'UE si troverà di fronte all'alternativa di dissolvere la sua unione monetaria o che i suoi paesi siano rafforzati integrandosi a uno stato unico da una delle potenze del continente. Esiste una proposta affinchè la Banca Centrale Europea emetta un buono unico per riscattare le banche e le aziende dal disastro, con cui dovrebbe essere coperto ogni paese dell'Ue, in proporzioni ancora da stabilire. La maniera in cui sarà trattata la proposta metterà a nudo le tendenze centrifughe in Europa.

Un FMI nazionale e popolare.
Per ultimo, la produzione, il commercio, l'impiego continuano a cadere. La Russia ha appena informato che da novembre ha perso un milione di posti di lavoro e che rinuncia a continuare a riscattare gli oligarchi in bancarotta. Ammette, se non si tratta di una mossa strategica, che la compri il capitale estero. A questo punto, però, non viene neanche in mente; prima, i servizi di sicurezza della Russia dovrebbero dare delle garanzie più giuste in termini politici e giuridici- sulla vera via crucis di crisi politiche e internazionali. La Cina vive una caduta straordinaria del suo commercio estero e anche una marcata uscita di capitali. Infine, l'America Latina ha cominciato a risentire delle conseguenze della caduta del credito che finanzia il commercio internazionale. I K (Kirshner) credono che a Londra avranno l'opportunità di far nascere un FMI nazionale e popolare, disposto a dare soldi per non far crollare completamente l'economia. Non capiscono nulla di quello che succede: il capitalismo mondiale ha bisogno di stabilizzare la moneta nei paesi periferici e per questo non conoscono altre strade che l'"austerità". Se il Brasile ha ottenuto un prestito dalla FED di 50.000 milioni di dollari, la spiegazione non è per quanto sia amabile Lula nè il suo "accento" del nord, ma semplicemente a che ha dei buoni del Tesoro nordamericano per 150.000 milioni di dollari. A Londra, i banchieri chiederanno a Madame K (Cristina Krischner) che svaluti il peso come lo richiedono Ferrer e Curia- con una vasta traiettoria nac & pop.

Fonte: http://www.rebelion.org/noticia.php?id=83009&titular=el-plan-obama-o-la-gran-estafa-

Tradotto per Voci Dalla Strada da Vanesa

1 aprile 2009

EUROPA A SOVRANITA' LIMITATA

Gli Stati Uniti usano l'Europa come una testa di ponte per attaccare l'Eurasia

In un'intervista alla televisione Russia Today, il geopolitico Tiberio Graziani, mette in evidenza la dipendenza dell'Italia in particolare, degli altri stati e dell'occidente in generale verso gli Stati Uniti. Un vassallaggio che impedisce a Roma e Bruxelles di difendere i propri interessi e costretti a considerare Mosca un avversario piuttosto che un partner.

Anastasia Haydulina per Russia Today: I governi di tutto il mondo stanno adottando misure protezionistiche. Questo produce un impatto a tutti i livelli della società. In Italia stiamo assistendo a un maggiore appoggio per le politiche anti-immigrazione della destra. Come farà l'Italia, e come faremo noi tutti, a superare la crisi finanziaria mondiale?

Tiberio Graziani: Innanzitutto dovremmo riflettere sulle ragioni di questa crisi finanziaria, che ha colpito anche la produzione a livello industriale, prima negli Stati Uniti e poi nell'intero sistema occidentale, costituito dal noto triumvirato: Stati Uniti, Europa Occidentale e Giappone. La crisi ha influenzato l'intero mercato mondiale. Per quanto concerne l'Italia, gli effetti si sono manifestati con un lieve ritardo e, ritengo, si faranno più pronunciati nel corso del 2009 e nel 2010.
Poiché l'economia italiana è principalmente basata sulle piccole e medie imprese, non c'è un’alta concentrazione industriale, e dunque l'Italia tende ad avere quella maggiore flessibilità necessaria a fronteggiare e contenere la crisi. Tuttavia la crisi sarà molto profonda.
Saremo in grado di superare una crisi finanziaria operando in un contesto geo-economico continentale. Questo significa che dovremmo cercare soluzioni che coinvolgano le economie dei paesi emergenti come la Russia, la Cina e l'India. La crisi non può essere superata solo con soluzioni nazionali o soluzioni elaborate a Bruxelles esclusivamente dall'Unione Europea.

RT: Parliamo della recente crisi del gas. L'Italia forse non ne ha risentito quanto i Balcani e l'Europa Orientale, ma era tuttavia tra i paesi tenuti in ostaggio. La verità è stata però tenuta nascosta. Qual è la vera ragione della contesa?

Tiberio Graziani: La ragione della disputa del gas tra Kiev e Mosca è di fatto un riflesso dell'espansione a est della NATO e dell'allargamento dell'Unione Europea ai paesi dell'Europa Orientale. Questi due coincidenti movimenti di espansione sono stati visti a Mosca come una sorta di aggressione condotta nelle sue immediate vicinanze.
Questo genere di espansione ha avuto inizio nel 1989 dopo il crollo del Muro di Berlino. Da quel momento gli Stati Uniti hanno deciso di controllare l'intero pianeta. Hanno scelto così l'Europa Occidentale come punto di partenza per muovere verso la Russia e l'Asia Centrale. È infatti noto che l'Asia Centrale ha enormi giacimenti di gas e petrolio.
Gli Stati Uniti presero così a influenzare i paesi del Blocco di Varsavia e alcune ex-repubbliche sovietiche, come l'Ucraina.
Dal 1990 l'Ucraina ha cominciato a separare il proprio futuro geopolitico dalla sua sede naturale, e dunque da Mosca.
Se analizziamo la cosiddetta "Rivoluzione Arancione", ci rendiamo conto che dietro queste conquiste della cosiddetta società civile ucraina c'erano gli interessi di Washington. Non dobbiamo neanche dimenticare il ruolo dei cosiddetti filantropi come George Soros non solo nella destabilizzazione dell'Ucraina, ma anche nelle ex repubbliche jugoslave.
Quando l'Ucraina ha abbandonato o tentato di abbandonare il proprio contesto geopolitico naturale, quello di partner privilegiato di Mosca, è evidente che nelle trattative per il gas Mosca ha cercato di stabilire prezzi di mercato, visto che l'Ucraina non era più un cliente privilegiato ma un cliente come tutti gli altri. Ovviamente la disputa ha finito per colpire l'Europa, perché i leader ucraini mancano di sovranità e sono pilotati da interessi occidentali a guida statunitense. Invece di cercare un accordo economico, come si fa solitamente tra paesi sovrani, l'Ucraina ha aggravato la situazione sottraendo il gas destinato ai paesi europei.
Questa vera ragione della crisi è stata ignorata dalla stampa dell'Europa Occidentale, compresa quella italiana. Nella disputa del gas la maggioranza dei giornalisti italiani si è concentrata non sulle vere cause, ma sulla demonizzazione del governo russo, dicendo che nella questione del gas aveva usato la geopolitica come un'arma, mentre il Presidente Medvedev e il Primo Ministro Putin stavano solo applicando prezzi di mercato a normali transazioni economiche sul gas.

RT: L'Ucraina è sull'orlo del default. La Russia non può contare sul fatto che l'Ucraina paghi tariffe basate sui prezzi di mercato, il prossimo anno.

Tiberio Graziani: Ritengo che sia possibile trovare un accordo economico. Mosca e Kiev possono anche negoziare degli sconti. Vorrei ancora una volta sottolineare che non è solo un problema di transazioni economiche, di importazione ed esportazione. È una questione geopolitica. È evidente che se l'Ucraina sceglie di schierarsi con l'Occidente sotto la guida di Washington, questo influenzerà non solo il commercio del gas ma anche altri aspetti economici. Dunque, io credo, sarà possibile trovare una soluzione economica, ma la resistenza viene da Kiev, perché dipende dagli interessi di Washington.

RT: A proposito di Washington, parliamo delle basi militari statunitensi sul territorio italiano. Qual è la sua opinione al proposito?

Tiberio Graziani: La maggioranza della gente è cosciente della presenza delle basi militari ma non è politicamente consapevole. Ecco perché, nel caso dell'ampliamento della base militare di Vicenza, nel nord del paese, si sono fatte considerazioni soprattutto di carattere ambientalista. Il motivo principale e fondamentale è invece rimasto nascosto, giacché in realtà questo ampliamento serve alle forze armate degli Stati Uniti per metterle in grado di operare in coordinamento con una base militare non distante, situata in Serbia (Camp Bondsteel), anch'essa dipendente da Washington. In futuro sarà possibile, per gli USA, operare in paesi confinanti e nel Vicino e Medio Oriente, in nazioni come la Siria e l'Iran e in una certa misura anche in Russia. La nazione jugoslava, in questo caso la Serbia, non è stata scelta per caso, ma perché ha affinità culturali ed etniche con Mosca.

RT: La crisi del gas ha esasperato le tensioni tra Russia e Unione Europea, e molti stati europei stanno già cercando fornitori alternativi. La Russia ha motivo di preoccuparsene?

Tiberio Graziani: No, non credo che la Russia debba preoccuparsene. Penso che ciascun paese dovrebbe cercare le opportunità migliori sul mercato per assicurarsi le forniture energetiche e l'autosufficienza. In un più ampio contesto geopolitico eurasiatico credo che le relazioni tra la Russia e l'Europa, e tra la Russia e l'Italia dovrebbero basarsi anche sugli interessi economici: sullo scambio di nuove tecnologie di frontiera, di tecnologia militare, risorse energetiche e, ovviamente, relazioni culturali.
Penso che le relazioni culturali tra l'Unione Europea e l'Italia e, naturalmente, la Federazione Russa, dovrebbero essere rafforzate.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, più di sessant'anni fa, queste relazioni conobbero un declino perché furono ostacolate dalla classe intellettuale e politica europea che appoggiò l'occidentalizzazione o americanizzazione della cultura europea. Se paragoniamo la letteratura europea e italiana degli ultimi anni con quelle degli anni Trenta, notiamo che molti scrittori italiani usano un linguaggio molto più scorretto, con molti prestiti dall'inglese. È un risultato della colonizzazione culturale che Washington ha condotto dalla Seconda Guerra Mondiale a oggi. È interessante notare che questa tendenza è presente anche nei paesi dell'ex blocco sovietico.

RT: Qual è la linea italiana prevalente nei rapporti con la Russia? I russi possono contare sul fatto che l'Italia svolga un ruolo per migliorare le relazioni tra la Russia e l’Unione Europea?

Tiberio Graziani: Certo, ovviamente l'Italia, insieme ad altri paesi dell'Unione Europea, è un potenziale partner della Russia. Ma per essere un partner vero e non solo potenziale, l'Italia dovrebbe avere una maggiore libertà e la totale sovranità politica, che al momento non ha.
Vorrei ribadire che in Italia ci sono più di 100 siti militari che dipendono, direttamente o indirettamente, dagli Stati Uniti e fanno parte del piano statunitense di influenza e occupazione dell'intera penisola europea. In queste condizioni l'Italia e altri paesi sono limitati nell'espressione dei loro interessi politici ed economici. Ma bisogna anche riconoscere che negli ultimi anni la politica economica del Presidente Putin prima, e dell'attuale Presidente Medvedev ora ha gettato le basi affinché l'Italia diventi un vero partner di Mosca, non solo dal punto di vista economico, ma anche da quello politico e, ritengo, militare. L'Italia è situata nell'area mediterranea ed occupa un'importante posizione strategica. Inoltre la sua posizione centrale è anche fondamentale a livello geopolitico, in rapporto al Nord Africa e al Vicino e Medio Oriente. Sarebbe giusto se la usasse ai fini dell'integrazione eurasiatica.
Credo che le relazioni tra l'Italia e la Russia stiano migliorando: gli imprenditori italiani si stanno muovendo nella giusta direzione, perché riescono a superare i limiti imposti da un potere politico che viene direttamente da Washington e Londra.

RT: Lei è molto critico nei confronti di Washington, e descrive gli Stati Uniti quasi come una nazione imperiale. Ma ormai non viviamo più in un mondo unipolare.

Tiberio Graziani: Sono molto critico nei confronti di Washington perché ha incluso l'Europa nel suo spazio geopolitico e la considera solo come una testa di ponte per attaccare l'intero suolo eurasiatico. Ciò mi rende critico, ma naturalmente bisogna sempre tener conto dell'importanza e del significato degli Stati Uniti. E gli Stati Uniti dovrebbero anche capire che l'epoca in cui erano una superpotenza si è conclusa. Attualmente, nel XXI secolo, a livello geopolitico abbiamo un sistema multipolare con la Russia, la Cina, l'India, gli Stati Uniti e alcuni stati del Sud America che stanno anch'essi creando la loro entità geopolitica: mi riferisco al Brasile, all'Argentina, al Cile, al Venezuela e ovviamente anche alla Bolivia. In particolare, la maggiore libertà di cui godono questi paesi sudamericani può permettere all'Unione Europea di lasciare il blocco occidentale dominato dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna.

RT: Lei conosce i punti caldi dell'Europa e le regioni separatiste. Avete monitorato le elezioni in Transnistria. C'è un'isola (Malu Entu) al largo della Sardegna in Italia che ha appena dichiarato l'indipendenza, che si dice ispirata dall'Abchazia e dall'Ossezia del Sud. Esiste una formula universale con cui affrontare la questione del separatismo?

Tiberio Graziani: Le questioni sono completamente diverse. In Sardegna c'è un movimento politico separatista, ma in Italia altri separatisti/secessionisti siedono ora al parlamento e sono al governo. Per quanto riguarda la Transnistria, è necessario valutare la sua situazione dal punto di vista geostrategico. La Moldavia e la Romania avvertono il peso degli Stati Uniti e della NATO. Quello della Transnistria è uno dei cosiddetti conflitti congelati. Ritengo che l'indipendenza della Transnistria sarebbe interessante, perché in tal caso diventerebbe un'area in cui gli Stati Uniti non potrebbero entrare. Sarebbe un territorio libero dal punto di vista eurasiatico, perché la Transnistria avrebbe la propria sovranità. Non analizzo questa repubblica in base al suo governo attuale. Mi limito ad analizzarne la sua situazione geostrategica e geopolitica. Perciò se la Transnistria è una repubblica autonoma significa che sul suo piccolo territorio non ci sono basi NATO.

Fonte: http://www.voltairenet.org/article159364.html
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