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26 ottobre 2018

L’assalto al nuovo colosso: la minaccia di Trump di chiudere il confine tra Stati Uniti e Messico

Giovedì 18 ottobre alle 4:25, il Presidente Trump è andato, come al solito, su Twitter con  una minaccia di chiudere il confine tra Stati Uniti e Messico. I tweet ripetevano le stesse parole: assalto, massacro, criminali, droghe. La maggior parre di questi erano in lettere maiuscole, naturalmente.

Trump ha dichiarato che “avrebbe chiamato le forze armate degli Stati Uniti” per chiudere il confine. C’è, però, un trucco: la Posse Comitatus Act* limita la partecipazione delle forze armate alle attività di difesa nazionale. Anche se le truppe militari possono fornire sostegno agli agenti di confine in termini di logistica e di sorveglianza, viene loro proibito di impegnarsi in compiti di applicazione della legge al di fuori delle basi militari negli Stati Uniti.

6 marzo 2018

Venezuela, l’intervento illegale

"Gli Stati Uniti sembrano destinati a tormentare l'America con miserie in nome della libertà", 
il liberatore Simón Bolívar
Gli Stati Uniti vogliono fare accettare un intervento contro il Venezuela con la complicità del cosiddetto “Gruppo di Lima”, composto da 12 Paesi, ossia meno della metà dei membri dell’OSA (Organizzazione degli Stati Americani). Tra i dodici figura, vergognosamente, Panama. È un’iniziativa illegittima e impossibile che vìola scandalosamente la Carta dell’OSA, la Carta dell’ONU e il Diritto Internazionale.
La violazione collettiva del Diritto Internazionale è una sommatoria di azioni illecite, che dura da decenni, da quando in Venezuela è arrivato al potere Hugo Chávez e gli Stati Uniti hanno cominciato a perdere privilegi, prebende e vantaggi petroliferi.


Illegalità di un intervento in Venezuela in virtù della carta dell’OSA

2 gennaio 2016

I "muri della vergogna" in America Latina

Nonostante un calo significativo della povertà nel corso dell'ultimo decennio, l'America Latina resta la regione più diseguale del mondo, dopo l'Africa sub-sahariana. Interessati a proteggere sé stessi ed emergere, i ricchi non esitano a mettere mano ai portafogli per costruire fortezze, come in Perù e Brasile.

Più di un quarto di secolo dopo il crollo del muro di Berlino e mentre gli apologeti del neoliberismo si sgolano sui presunti benefici della globalizzazione, il mondo non ha mai avuto così tanti muri. Sempre più presenti in Europa, costruiti per proteggersi dai migranti e dai rifugiati in fuga da guerre e miseria, sono diventati nuovi marcatori geografici atti a respingere gli indesiderabili. Ciò che non si sa e che ancor meno si vede, è che queste enormi fortezze sono utilizzate anche per separare i ricchi dai poveri creando tremende segregazioni sociali, territoriali e razziali. In America latina, dove il fenomeno delle diseguaglianze è sempre stato particolarmente palese, la costruzione di muri negli ultimi anni ha accelerato, espandendo il divario tra coloro che hanno tutto da chi non ha nulla.

8 dicembre 2011

Utilizzare terra arabile per i bio-combustibili: I carbon credits nella 'Valle della Morte'

I brutti effetti dello 'sviluppo pulito' sostenuto dalle Nazioni Unite in Honduras.
Di Jeremy Kryt
VALLE di Aguan, HONDURAS- 3.000 chilometri quadrati, la valle del fiume Aguan nel nord-est dell'Honduras ha circa le stesse dimensioni della Death Valley in California. Ma pur essendo verde e fertile, il bacino dell'Aguan sta diventando famoso come "valle della morte." Dal gennaio 2010, almeno 45 contadini sfollati sono stati uccisi negli scontri per i diritti fondiari ad Aguan, e "il numero effettivo di omicidi è probabilmente molto più alto", secondo Annie Bird, co-direttore del gruppo di difesa dei diritti umani Rights Action (RA), che ha visitato l'Honduras nel mese di settembre.
Bird e altri critici dicono che la violenza ad Aguan è determinata dalla competizione per le risorse tra gli agricoltori locali e gli impianti di produzione di biocarburanti su larga scala. La valle è la patria di più di una dozzina di piantagioni di palma africana che forniscono energia "verde" in Europa e in Asia, così come di  un paio di impianti a biogas che funzionano come parte di una delle iniziative delle Nazioni Unite per la politica dei carbon credits.

21 aprile 2010

Bajo Aguan: Una Polveriera Sul Punto Di Esplodere

 
di Giorgio Trucchi
 
Dirigenti contadini del MUCA denunciano l'inconsistenza della proposta del governo e la collusione con i latifondisti produttori di Palma Africana
Il grave conflitto agrario che si trascina da decenni nella zona del Bajo Aguán, nella zona nord-orientale dell'Honduras, ha registrato una preoccupante impennata dopo il colpo di Stato del 28 giugno 2009 (Leggi "Palma insanguinata" http://www.itanica.org/modules.php?name=News&file=article&sid=849).

14 aprile 2010

E' IMMINENTE IL MASSACRO DEI CONTADINI DI BAJO AGUAN IN HONDURAS

MILITARI E POLIZIA HANNO GIA' OCCUPATO LE STRADE DOVE VIVONO I CONTADINI

di Aura Ribeiro

Le forze militari e della polizia della dittatura honduregna hanno invaso le strade delle comunità dove vivono i contadini di Bajo Aguan, nel quartiere di Colon.
Il Comitato per la Difesa dei Diritti Umani in Honduras (CODEH), e la Resistenza honduregna (Fronte Nazionale della Resistenza Popolare, FNRP) hanno denunciato che si scatenerà una violenta repressione contro i contadini organizzati nel Movimento Unificato dei Contadini di Aguan (MUCA) che per la maggior parte militano anche nel FNRP.
Il CODEH ha messo in evidenza che i contadini mantengono la volontà di negoziare con i golpisti, anche se questi stanno boicottando le negoziazioni a favore dei proprietari terrieri con omicidi, sparizioni e detenzioni illegali contro i contadini.

14 gennaio 2010

AGENZIE DI PENETRAZIONE IMPERIALE (2° Parte)

I fondi dell' USAID

In tutta l'America Latina sta aumento il bilancio dell' USAID e del Dipartimento di Stato per promuovere l'agenda e gli interessi degli Stati Uniti.
Vediamo qualche esempio:
  • Bolivia: fondi per l’USAID/DOS per il 2009: 86 milioni di dollari; Fondi per il 2010: 101 milioni di dollari.
  • Ecuador: Fondi per l’USAID/DOS per il 2009: 35 milioni di dollari; Fondi per il il 2010: 38 milioni di dollari
  • Honduras: Fondi per l’USAID/DOS per il 2009= 43 milioni di dollari; Fondi per il 2010= 68 milioni di dollari
  • Nicaragua Fondi per l’USAID/DOS per il 2009= 27 milioni di dollari; Fondi per il 2010= 65 milioni di dollari.
C’è anche un Fondo Speciale nel 2010 di 3 milioni $ al Fondo il Rafforzamento della Democrazia dell’Organizzazione degli Stati Americani (OEA), per “difendere e consolidare la democrazia rappresentativa in Nicaragua, Venezuela, Ecuador e Bolivia….” Non è una casualità che il fondo sia diretto per promuovere la “democrazia rappresentativa” in quattro paesi dove si implementa un modello di democrazia partecipativa. Non è neanche una coincidenza che sono i paesi dell’ALBA, e che l’Honduras non è incluso nella lista, dato che con il colpo di Stato contro il Presidente Zelaya si era dato per risolta la “minaccia” della democrazia partecipativa in questo paese.

Inoltre, il bilancio del Dipartimento di Stato per l'anno 2010 prevede 447,7 milioni di dollari per "migliorare la sicurezza, rafforzare le istituzioni democratiche, promuovere la prosperità e investire nelle risorse umane"
in America Latina. In questo ambito ci sono 200,7 milioni di dollari destinati alla Colombia per “consolidare i successi del governo della Colombia nella lotta contro i gruppi illegali e armati ed il narcotraffico”, e 20 milioni di dollari per “promuovere la democrazia” a Cuba, “aiutare i detenuti politici ed altre vittime della repressione” e “promuovere la concorrenza politica a Cuba”. Questi fondi includono anche, sei milioni di dollari per “rafforzare e promuovere la società civile, la partecipazione cittadina, i mass media indipendenti, le organizzazioni dei diritti umani e i partiti politici democratici” in Venezuela, ed un fondo di 91,1 milioni di dollari per l’uso, a discrezione, del Presidente Obama per “promuovere gli interessi” degli Stati Uniti nella regione. L’anno scorso, questo fondo arrivava a soli 23 milioni di dollari.

In totale, ci sono 2,2 miliardi di dollari
che il Dipartimento di Stato e l’USAID useranno in America Latina nel corso del 2010. Questo è un aumento del 12% rispetto alla finanziaria del 2008, ultimo anno dell’amministrazione di George W. Bush, che dava circa 1,9 miliardi di dollari per tutta l'America Latina. Tutte queste grandi cifre evidenziano l’enfasi che il governo di Obama pone nel suo lavoro politico in America Latina e l’intenzione di riprendere il dominio e l’influenza degli USA nell’emisfero, informa l’avvocatessa e giornalista statunitense venezuelana, Eva Golinger.

Lo scorso 14 dicembre diceva che la CIA usa l’USAID come facciata, come confermato da “un alto funzionario dell’Agenzia Internazionale dello Sviluppo degli Stati Uniti” (USAID). Da sempre si sapeva che l’Agenzia Centrale dell’Intelligence degli Stati Uniti (CIA) usa il nome dell’USAID per dare fondi e appalti a terzi che promuovono le loro operazioni. Per il funzionario, un veterano dell’agenzia che occupa l’incarico di manager regionale, la CIA sta fornendo contratti sotto il nome dell’USAID senza che ne sia coinvolta. Dalla CIA e dall’USAID ci si può aspettare di tutto.

Così, nei giorni scorsi, il
NY Times informava che un funzionario del Development Alternatives, Inc (DAI), un’azienda contrattista dell’USAID, del Dipartimento di Stato e del Pentagono, fu arrestato a Cuba mentre distribuiva volantini a settori della controrivoluzione. La relazione tra l’USAID, una agenzia del Dipartimento di Stato, e la CIA non è nuova. Nel 1974, il Congresso statunitense chiuse una divisione dell’USAID usata dalla CIA per addestrare, finanziare ed armare più di un milione di poliziotti in America Latina, Asia e Medio Oriente.

L’ ufficio della Pubblica Sicurezza (Office of Public Safety “OPS”) fu creato nel 1957 dal presidente Eisenhower con la missione di addestrare e formare forze della polizia in altri paesi. Documenti declassificati della CIA confermano che la finanziaria della OPS fu inclusa nei milioni dati annualmente all’USAID, ma le sue operazioni furono coordinate dall’agenzia clandestina, in base al dossier speciale di E. Golinger.


Segnala che,
l’USAID, durante la guerra nel Vietnam, fu responsabile della distribuzione dell’ “appoggio materiale” insieme alla CIA nell’operazione Fenix, responsabile dell’assassinio di mille di vietnamiti. In Haiti, l’USAID è stata accusata di finanziare organizzazioni coinvolte nel colpo di Stato contro il Presidente Jean Bertrand Aristide nel 2004. Da giugno 2002, l’USAID mantiene un Ufficio per le Iniziative verso una Transizione (OTI) nel Venezuela, attraverso il quale ha canalizzato milioni di dollari all’opposizione del Presidente Hugo Chavez. Più di duemila pagine parzialmente declassificate dell’USAID sulle sue attività nel Venezuela, dimostrano un modello di finanziamento e supporto strategico volto esclusivamente settori dell'opposizione, con programmi che cercano di “rafforzare” i partiti politici, disegnare le loro campagne elettorali e aiutarli a consolidare un movimento contro il governo venezuelano.

In Bolivia, l’USAID è stata mandata via quest’anno dagli abitanti di due comuni, Chapare e El Alto, sotto l’accusa di interventista. A settembre, il presidente Evo Morales ha annunciato la fine del convegno ufficiale con l’USAID dato che
erano stati sviati fondi multimilionari verso gruppi separatisti che cercavano la destabilizzazione del paese. Nel 2005, l’USAID è stata anche mandata via dall’Eritrea e accusata di essere un’agenzia “neocolonialista”. L’Etiopia, la Russia e la Bielorussia, hanno ordinato il ritiro dell’USAID e dei suoi contrattisti durante gli ultimi cinque anni. Un documento dell’ufficio della contabilità generale degli USA (GAO) del 2006, determinò che esistevano “problemi con la gestione dei sussidi” del Programma Cuba dell’USAID. Milioni di dollari destinati per “promuovere la democrazia” a Cuba sono finite in mano di organizzazioni mafiose a Miami.

Per il giornalista Jean-Guy Allard, uno dei casi più espliciti del lavoro sporco dell’USAID è stato in Uruguay, “Dan Anthony Mitrione, istruttore nordamericano di tecniche di tortura, era apparso in Uruguay con credenziali dell’USAID, a fine degli anni 70, per addestrare poliziotti, in un programma segreto di distruzione delle forze della sinistra in tutta l' America Latina”.


L’USAID, nel 2009, venne normalmente incorporata all’Iniziativa Interagenziale della Controinsurrezione degli Stati Uniti, insieme al Dipartimento di Stato ed il Pentagono. Nel 2007, è stato pubblicato un documento,
“La Controinsurrezione per i politici del governo degli USA: Un lavoro in progresso”, che risaltava l’USAID come fondamentale per assicurare il successo delle operazioni della controinsurrezione. “L’USAID può aiutare con gli sforzi della controinsurrezione degli USA…L’USAID ha uffici di campo in 100 paesi in via di sviluppo, lavora da vicino con organizzazioni private, gruppi indigeni, associazioni di professionisti, organizzazioni di fede e altre agenzie governative…..L’USAID ha relazioni, attraverso convegni e contratti, con più di 3.500 aziende e 300 organizzazioni private degli USA”, sostiene il giornalista canadese Jean-Guy Allard.

E’ fondamentale conoscere che la Controinsurrezione è un’operazione militare contro gruppi considerati “ribelli” o
insorti. Movimenti di sinistra sono stati considerati dagli USA come “insorti” dagli anni 50. Tattiche di controinsurrezione includono l’uso del conflitto armato per fomentare la sovversione, operazioni psicologiche e sabotaggio economico per riuscire a neutralizzare il nemico.

Se prima la CIA aveva usato l’USAID come facciata, senza che i suoi lavoratori lo sapessero, oggi è diffusamente noto che l’USAID si incorpora alle iniziative di contro insorgenza contro i movimenti e Stati considerati da Washington come “avversari”. Questa novità fa sì che
dal suo mandato originale di dare aiuto umanitario al mondo la trasformi ufficialmente in un’agenzia di guerra e aggiunge che l’USAID ha confessato pubblicamente di aver speso il denaro dei contribuenti nordamericani nella guerra sporca che da 50 anni mantiene contro Cuba.

L’USAID è la stessa agenzia federale nordamericana incaricata di ingrassare a colpi di decine di milioni la sovversione e lo spionaggio a Cuba.


Jean-Guy Allard segnala che decine di agenti dell’USAID si muovono all’ombra delle organizzazioni di destra, inventate a secondo delle circostanze, e patrocinate dall’Istituto Repubblicano Internazionale (IRI), l’Istituto Democratico Nazionale (IDI), la stessa Freedom House, ed ha molte facciate ancora, sempre sotto l’orientamento CIA. Questa nefasta organizzazione statunitense possiede attualmente agenti in 16 paesi dell' America Latina e dei Caraibi dove realizza azioni, oltre a numerose altre operazioni strategiche in diverse parti del mondo.


Ad Haiti, l’USAID si trova tra le agenzie nordamericane che hanno organizzato, orientato e finanziato varie delle organizzazioni politiche haitiane che hanno causato il sequestro e il grottesco esfratto del presidente Jean- Bertrand Aristide. Nel Venezuela, l’agenzia è stata scandalosamente attiva nel sostegno e finanziamento ai settori che hanno realizzato il colpo di Stato dell’ 11 aprile 2002.


L’ininterrotto sperpero dei fondi dell’USAID e delle sue filiali con operazioni d' ispirazione “golpiste” hanno già superato i 15 milioni di dollari attraverso il finanziamento di centinaia di gruppi e gruppetti alienati con l’Ambasciata nordamericana a Caracas. In Bolivia, il programma dell’USAID, si era concentrato nella balcanizzazione del paese e nel finanziamento di
azioni violente contro l’autorità del presidente Evo Morales.

L’USAID ha nel paese andino una lunghissima storia che illustra tutta la falsità delle sue pretese “umanitarie”.


Nel 1971, la CIA organizzò un tentato assassinaio contro il presidente Fidel Castro, approfittando di un viaggio del leader cubano in Cile. Incarucò di questo progetto un vecchio socio della mafia statunitense, Antonio Veciana.


Questo terrorista dell’Alpha 66, complice del complotto contro Kennedy, lavorava all’epoca in Bolivia, nell’Ambasciata statunitense dove si trovava come funzionario dell’USAID.


Confessando di aver perso da tempo il controllo delle proprie finanze, l’USAID ricopre il carattere odioso dell’insieme delle sue attività.
Fedele esecutore dei piani della CIA, fervente collaboratore dei propositi segreti del Dipartimento di Stato, l’USAID è una delle armi principali dell’impero per mantenere il suo dominio su coloro che è abituato a denominare come il suo "cortile posteriore".

L’ingerenza imperiale negli affari interni dei nostri paesi aumenterà per il 2010, sotto il governo del Premio Nobel per la Pace e migliore della Guerra, Barack Obama. Così:

  • I fondi per l’USAID ed il Dipartimento di Stato aumenta del 12% per il 2010, con 2.2 miliardi di dollari destinati all' America Latina.
  • 447,7 milioni di dollari sono per “promuovere la democrazia” in America Latina.
  • 13 milioni di dollari per “promuovere la democrazia” nel Venezuela.
  • 101 milioni di dollari per la “transizione verso la democrazia” in Bolivia
  • 20 milioni di dollari per la “transizione verso la democrazia” a Cuba.
La finanziaria del Comando Sud aumenta di un 2% per arrivare ai 200 milioni di dollari per il 2010, più di 46 milioni di dollari addizionali per migliorare la base militare a Palanquero, Colombia, per uso statunitense. Ancora non si sa la quantità di dollari che saranno destinati alle sette basi militari consegnate da Uribe all’impero. Bush guardava quasi con sprezzo olimpico l' America Latina. Barack Obama ha iniziato con un discorso differente e sembrava che una nuova diplomazia sarebbe stata inaugurata tra gli Stati Uniti e l’America Latina, ma alla fine di questo 2009, la realtà ha picchiato duramente il sogno di ricominciare ad avere relazioni diverse basate sul principio che l’America Latina ha bisogno di soci e non di padroni.

Adesso, non resta neanche il dubbio di una nuova scalata di dominazione e colonizzazione che iniziò con l’appropriarsi di
sette basi militari in Colombia, che si sono trasformate in una vera minaccia per l’America Latina, per la consolidazione dell’UNASUR e in special modo per la pace regionale e la stabilità dei governi del Venezuela ed Ecuador. Nessuno dovrebbe dubitare dell’esistenza di nuove aggressioni imperiali verso l’America Latina.

Queste aggressioni hanno avuto inizio “con il colpo di Stato contro il Venezuela nel 2002, con il sequestro del presidente Aristide dell’Haiti nel 2004, gli interventi nei diversi processi elettorali nella regione, la riattivazione della IV Flotta dell’armata statunitense nel 2008, i tentativi di creare un conflitto regionale tra la Colombia, Venezuela ed Ecuador, il separatismo in Bolivia, e perfino il colpo di Stato contro l' Honduras nel 2009 e l’allarmante aumento della presenza militare degli Stati Uniti nella regione. Tutto mette in evidenza che l’impero è all’offensiva, nuovamente, in America Latina. Ma aldilà della manifestazione visibile di questa aggressione, che cerca di neutralizzare i processi di cambiamenti rivoluzionari nella regione, esistono
forti elementi di prova-innegabili- che oggi, Washington sta puntando verso il Sud con il suo gran potere militare, diplomatico, economico e comunicativo. L’evidenza sull’aumento della finanziaria durante gli ultimi anni delle agenzie di Washington ai settori dell’opposizione in Venezuela, Bolivia, Ecuador ed altri paesi che stanno costruendo modelli alternativi al capitalismo statunitense, si sono presentate, si sono denunciate e non sono state smentite.

Esiste una tendenza nel finanziare ed appoggiare la destabilizzazione regionale da parte dell’impero, dall’arrivo della Rivoluzione Boliviana di 10 anni fa, ed è un fatto. Ma non dobbiamo esaminare l’evidenza da 10 anni fino ad oggi, possiamo semplicemente guardare da oggi al futuro per verificare che Washington finanzia non soltanto la destabilizzazione regionale, ma sta anche aumentando tale finanziamento, come argomentano Eva Golinger e Jean-Guy Allard,che hanno appena presentato il loro libro:
L’Aggressione Permanente nel quale si spiega, per esempio, che “il Capo dell’Intelligence nordamericana, Dennis Blair, ha rivelato che spendono 74 miliardi di dollari per penetrare, per sapere, per influire, per comprare coscienze. E ha confermato che la CIA ha 200 mila ufficiali, senza parlare di agenti, collaboratori, o persone che sono sotto l’influenza della Comunità dell’Intelligence (costituita da 16 agenzie che sono nell’affare dello spionaggio, dell’infiltrazione).

Quale dubbio resta:
Gli Stati Uniti sono stati destinati dalla Provvidenza per distruggere l’America Latina in nome della libertà, la democrazia allo stile nordamericano, i diritti umani manipolati con scopi di penetrazione imperiale. L’ingerenza attraverso aggressioni militari, cammina verso nuove strategie per fare la guerra della controinsurrezione che usa armi così letali come le chimico- batteriologiche o nucleari e che si chiamano agenzie governative come l’USAID o organizzazioni no governative come la NED ed un indeterminato numero di filiali seminate in lungo ed in largo nella geografia latino americana e dei Caraibi. E’ stata una costante storica il saccheggio delle risorse naturali e lo sfruttamento dei popoli latino americani che oggi si torna a ripetere con Obama, curiosamente nominato Premio Nobel per la Pace. Ma in questi tempi storici, i popoli della Nostra Grande Patria hanno preso nuove forme di coscienza che impulsano alla lotta anti imperialista perché comprendono molto bene che non ci sarà patria degna e sovrana se persiste la tutela yankee e che non ci sarà futuro se si permette all’impero di consolidare i suoi piani espansionistici con i suoi obiettivi di ricolonizzazione cominciata in Colombia con l’uso di sette basi militari pianificate per minacciare i nostri popoli con lo scatenarsi di guerre imperiali.

Perché ci siano patrie libere e sovrane è indispensabile espellere dai nostri territori le agenzie di penetrazione imperiale.


Fonte:
http://www.nodo50.org/ceprid/spip.php?article692

Traduzione per Voci Dalla Strada a cura di
VANESA

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7 novembre 2009

IL MIRAGGIO DI OBAMA

LA NUOVA POLITICA ESTERA NORDAMERICANA

di Higinio Polo
El viejo topo

E' trascorso un tempo sufficiente per capire che cosa c' è di verità e ciò che è improbabile nelle promesse che Obama ha fatto durante la campagna elettorale e assumendo la carica. Finora, pochi sono i fatti, e le parole sempre più ambigue. E se non ci credete, chiedete a Zelaya.

Quasi sul punto di compiere il suo primo anno alla presidenza nordamericana, Barack Obama contempla come gli Stati Uniti continuano ad essere impantanati in una grave crisi economica e sociale, nonostante l’annuncio che la recessione è finita, che mostra più i desideri che la realtà. A gennaio del 2009, Obama arrivava con l’aureola per essersi opposto alla guerra in Iraq, promettendo la ritirata del suo esercito, e, sembra, disposto a realizzare serie riforme negli USA, liquidando inoltre, l’avventurosa e aggressiva politica estera che era stata avviata da Bush. Il nuovo presidente ha ereditato due guerre e la rottura degli accordi di disarmo che erano stati sottoscritti con l’ Unione Sovietica (L’ ABM, del 1972, sui missili antiproiettili , che era il più importante compromesso di disarmo, sulle cui fondamenta posavano tutti gli altri convegni), oltre ad una aggressiva scommessa per un falso “scudo missilistico” in Europa, che era, in realtà , un pericoloso strumento contro la sicurezza strategica della Russia.

Se giudichiamo la figura di Obama in base ai criteri della stampa europea (in generale, affascinata da un presidente che hanno qualificato come progressista, che ha abbagliato anche la sinistra moderata, che ne ha fatto del suo nome una bandiera), dovremo concludere che la sua presidenza inizia una nuova era.
Questa stessa stampa europea, che si è astenuta, in modo generale, dal criticare la ferocia di Bush e la sua dottrina fascista delle “guerre preventive”, e che cominciò a dargli torto, timidamente, solo quando la sua presidenza stava per finire, ha creato il mito di un Obama riformista, dell’ inizio di una nuova era…..che è molto lontano dalla realtà. Le ridicole lodi dai giornali e dalla tv, elevando i suoi discorsi alla categoria del pensiero politico, hanno creato una confusione enorme nell’opinione pubblica, perché non bisogna aspettarsi grandi cose da parte di Obama, anche se è certo che la sua elezione, dopo il lungo periodo dell’ incompetente e spietato Bush, la sua condizione di afroamericano, o meticcio, e la sua relativa gioventù, unita alla forza e simpatia della sua famiglia, lo hanno trasformato in un’icona popolare, alla quale anche le organizzazioni più o meno provenienti dalla sinistra, emulano.

Però, Obama condivide la generalizzata convinzione nordamericana sul ruolo provvidenziale degli Stati Uniti e la sua missione come leader del pianeta, e, fino ad ora, non ha mostrato di fermezza nell' avviare riforme progressiste, anche la sua scommessa di un nuovo sistema sanitario che raggiunga tutti i nordamericani è positiva, come lo è la rinegoziazione delle ipoteche dei cittadini che hanno perso il loro lavoro e sono rovinati, ma,
fino ad oggi, ha approvato molti più aiuti alle banche e al corrotto capitalismo rappresentato da Wall Street che partite dedicate al soccorso dei più poveri, ai milioni di disoccupati che vedono il futuro senza speranza. Ci concentreremo qui nell’esame della sua azione estera. La definizione di una nuova politica estera porta tempo, senza dubbio, ma è trascorso quasi un anno dall’arrivo della nuova squadra alla Casa Bianca e si può dire che l’inerzia dell’apparato militare nordamericano trascina Obama, e che se l' insopportabile petulanza che Washington ha mostrato in tutti i fori internazionali da mezzo secolo comincia a sparire parzialmente, non è perché il nuovo presidente abbia smesso di credere in quella caricatura di “popolo scelto” con la quale tutti i dirigenti statunitensi hanno investito il loro stesso paese di fronte al resto del mondo. Perché quella infantile e ridicola convinzione di credersi il miglior paese al mondo, di mostrarsi come il culmine del progresso universale, è condivisa anche da Obama, e i suoi discorsi ne sono la prova inconfutabile. E’ certo che Obama ha vietato l'uso della tortura, tanto usata dall’esercito nordamericano all’estero, e non si è rifiutato affinchè i responsabili della sua applicazione rispondessero di fronte ai tribunali, ma, alla fine, il Dipartimento della Difesa ha bloccato la pubblicazioni di fotografie che documentavano le torture e tutto indica che non ha nessuna intenzione di chiedere chi siano i responsabili. Inoltre, il Segretario di Difesa di Bush, Robert Gates, continua a svolgere la stessa funzione con Obama, e la finanziaria per la difesa è aumentata nonostante quanto fosse già stato destinato da Bush.

Dopo quasi un anno , Guantanamo non è stato ancora chiuso, anche se è stata annunciata la chiusura a gennaio del 2010. Non ha messo fine al terrorismo di Stato, nè si ha finito con i bombardamenti su popolazioni civili, né Obama ha rinunciato all'uso di mercenari in diversi scenari. Durante la campagna elettorale, è stata fatta una sorprendente differenziazione tra Afghanistan e Iraq, come se la guerra e l’occupazione di tutti e due i paesi non formasse
parte dello stesso progetto di controllo e di dominio del Medio Oriente e, se possibile, dell’ Asia Centrale. In Iraq, è stato annunciato il ritiro dell’esercito americano ad agosto del 2010, anche se è un annuncio trappola, come vedremo. Con l’ambizione di cambiare la percezione che il resto del mondo ha degli Stati Uniti, finendo con la politica estera aggressiva di Bush, Obama ha teso la mano alla Russia, alla Cina, ed ha annunciato il suo impegno di cambiare il Medio Oriente, dedicando speciale attenzione al conflitto tra Israele e i palestinesi, e ad una nuova relazione con l’ America Latina.

Il discorso a Il Cairo, il 4 giugno, offrendo una mano tesa ai musulmani del mondo, manteneva nell’essenza l' abituale politica nordamericana, con una nuova retorica. Animato dai precari successi in Iraq, mentre si tesse un filo spinato di un protettorato, Obama ha annunciato che
la priorità sarà la guerra in Afghanistan, inviando altre truppe e facendo pressione sui suoi alleati della NATO perché seguano la stessa strada, nonostante la reticenza della Germania e della Francia. Ignorando l’evidenza, Obama continua a mantenere la retorica bushiana che l’ intervento in Afghanistan è fondamentale per evitare altri attacchi terroristici sul territorio statunitense, anche se l’invasione del paese è stata progettata per controllare l’ Asia Centrale. Il ricorso alla “guerra contro il terrorismo” suppone di continuare ad utilizzare una bugia per camuffare gli interessi nordamericani, perché il terrorismo, degli attacchi mortali e vistosi come alcuni dei loro attentati, è il problema minore nel mondo, utile per manipolare l’emozione dei cittadini e incapace di creare il minor problema per potere globale nordamericano. Mentre il Pakistan minaccia la bancarotta, in Iran la diplomazia nordamericana apre la sua via alla negoziazione, anche senza rinunciare alla destabilizzazione. In Europa è molto difficile che Obama inizi una nuova politica, definita oggi dalla costante pressione sui suoi alleati, convertiti di fatto in ostaggi (la Francia e la Germania, ma anche la Gran Bretagna),per il rifiuto ad una maggiore autonomia europea e per l’uso dei nuovi governi dell’ Est continentale (i Baltici, Polonia, Ucraina, Georgia) come arieti degli interessi nordamericani in Europa, nazioni che agiscono come veri paesi satelliti di Washington, a volte adottando atteggiamenti più cattolici dello stesso Papa nordamericano.

La funzione della NATO, che a Washington è vista come lo strumento di una nuova politica imperiale nordamericana nell’insieme del pianeta, è un’ altra delle questioni sospese, e Obama, come Bush, si orienta a trasformarla nell’agente universale degli interessi nordamericani. Così acquista senso l’esigenza dei suoi alleati europei dell’invio di nuovi soldati in Afghanistan. In America Latina, dove gli Stati Uniti sono in evidente declino, Obama non ha cambiato nella sostanza la politica verso Cuba, Venezuela e Bolivia, accompagnata da un’azione a volte contraddittoria: in Honduras, Washington qualifica il governo di Micheletti illegale, ma la USAID lo finanzia, anche se l’agenzia giustifica le proprie azioni con il pretesto di "Aiuti umanitari". L’apparizione di nuovi attori progressisti nel continente è stata facilitata dai grossi problemi di Washington in altri scenari, e si sta consolidando, con prudenza, la nuova autonomia del Brasile e sorge all’orizzonte il pericolo di un maggiore allontanamento argentino. Il Brasile ha preso distanza dal dollaro, anche se non rompe la sua alleanza con Washington. La risposta del nuovo governo di Obama è la militarizzazione della Colombia, installando sette nuove basi militari, e un nuovo disegno nel suo tradizionale dispiegamento nel continente. Il Medio Oriente è uno dei grandi scenari della lotta internazionale per la divisione di nuove aree d’influenza e la questione palestinese contagia tutti gli attori. Obama avrebbe difeso i diritti del popolo palestinese, anche se dalla presidenza, nelle questioni fondamentali, mantiene la posizione tradizionale degli Stati Uniti, la cui diplomazia continua a sostenere che la violenza palestinese è il grande problema del conflitto: ieri la OLP, e oggi Hamas, senza riconoscere che il vero scopo dell'espropio delle terre palestinesi è la creazione di uno Stato razzista, che cerca la sua espansione territoriale e che non è disposto a riconoscere uno Stato palestinese, nonostante le tante rinunce delle organizzazioni palestinesi: Hamas aveva accettato la soluzione dei due Stati sulle frontiere prima delle guerre del 1967.

Washington esige la cessione della “violenza palestinese” ma omette questa esigenza per Israele,
nonostante l’ enorme differenza tra la sofferenza causata dagli uni e dagli altri, e senza far nessun riferimento al potere atomico israeliano (mentre si insiste sul pericolo del programma nucleare iraniano), nè ai cinque milioni di rifugiati palestinesi che in tutta la zona a malapena riescono a sopravvivere. Nonostante la nomina del burattino George Mitchell, e una retorica che insiste nel diritto alla pace e alla terra per israeliani e palestinesi, che potrebbe basarsi nella risoluzione 242 del Consiglio di Sicurezza della ONU, Obama non si è distanziato minimamente dal sostegno statunitense allo Stato di Israele. La finzione di presentare la diplomazia nordamericana come la mediatrice tra due nemici, israeliani e palestinesi, nasconde egoisticamente la realtà che Israele è un' efficace Stato cliente che mantiene il dominio occidentale e nordamericano soprattutto in Medio Oriente. Così, la mascherata antipatia di Netanyahu con le nuove proposte di Obama non nasce dal fatto che siano veramente equilibrate e cerchino una giusta soluzione e definitiva al dramma palestinese, ma dal fatto che a Tel Aviv sono troppo abituati ad imporre i loro punti di vista, come lo testimoniano gli anni persi sotto la direzione di Condoleezza Rice. E’ bastata una piccola petizione nordamericana perché Israele non costruisse nuovi insediamenti (illegali da ogni punto di vista, anche per la giustizia israeliana) perché Netanyahu si mostrasse provocatorio. Il primo ministro israeliano ha chiarito il suo rifiuto per l'esistenza di due Stati, e tutto indica, che nonostante l’appoggio di Obama alla creazione di uno Stato palestinese (anche Bush lo aveva detto), gli Stati Uniti non forzeranno la mano del loro alleato- cliente israeliano.

Non c’è, quindi, una svolta nella politica verso Israele
, e neanche nella pretesa di continuare emarginando la Siria, e se Abbas crede che la creazione dello Stato palestinese avverrà per mano di Obama sta commettendo un grave errore. Per l’Iraq, il nuovo presidente si riserva il ruolo della grande portaerei dell’esercito nordamericano in Medio Oriente: non bisogna dimenticare che la responsabile della diplomazia, Hillary Clinton, ha annunciato che quasi 100.000 soldati nordamericani sarebbero rimasti nel paese per altri 15 o 20 anni, cioè, fino al 2029, quando- se il mondo non lo impedisce- si compirà un quarto di secolo di occupazione militare. In modo che l’annuncio della ritirata dell’esercito fatto da Obama nasconde la realtà che l’ Iraq continuerà ad essere un paese occupato. In Afghanistan, trasformato in un “narcostato”, alla frode elettorale che ha proclamato vincitore Hamid Karzai si aggiunge una sanguinosa occupazione che non ha risolto nessuno dei problemi del paese. I signori della guerra, complici di Washington, continuano a controllare il territorio, e il fratello del dittatore, Wali Karzai, è uno dei principali trafficanti di armi e di droga afgane. La speranza che le elezioni consolidassero il processo politico si è rivelata nulla, e il rischio che il Pakistan sia coinvolto nel combattimento è reale, perché, otto anni dopo l’inizio dell’occupazione, Obama non punta sulla fine del conflitto ma per la continuazione della guerra. La nomina del generale Stanley McChristal come capo dell’esercito nordamericano in Afghanistan non è neanche una buona notizia: durante il suo soggiorno in Iraq, le torture ai prigionieri facevano parte delle tattiche giornaliere. Neanche nel Pakistan le cose con Obama sono cambiate: i bombardamenti nordamericani, con frequenza sulla popolazione civile, sono continuati come durante il periodo di Bush. Né vi è alcun approccio alle esigenze di difesa iraniane, e l'offerta di Obama di negoziazione con Teheran inoltre nasconde la pressione costante sul teocrazia iraniana.

Al di là delle considerazioni sul sanguinario regime politico degli ayatollah (che condivide con Israele il fatto di essere governati dall' estrema destra e dal fanatismo religioso), la legittima preoccupazione per la difesa dell’ Iran fa si, che anche se continuano senza riconoscerlo apertamente, la scommessa di Jatamì e Ahmadineyad per ottenere l’arma nucleare sia vista come legittima da molti paesi: si, nella zona, Israele la possiede, e il Pakistan e l’ India anche, perché l’ Iran, non dovrebbe farlo? Inoltre, conformemente agli accordi internazionali è insostenibile che le grandi potenze abbiano armi atomiche e contestare all’ Iran il voler pretendere la stessa cosa. Senza dimenticare che gli Stati Uniti hanno 29 basi militari nella regione, tra la Turchia, l’ Arabia, il golfo, Oman, Pakistan e Afghanistan, più l’insediamento in Iraq e le sedi in Asia Centrale, vicine anche all’ Iran…..da aggiungere al potere militare israeliano.
Non è ragionevole che l’ Iran pensi alla sua difesa? Nonostante tutto, l’accettazione da parte di Teheran che l' OIEA ispezioni le installazioni di Qom da un' opportunità alla diplomazia. La relazione con la Russia continua ad essere una delle questioni centrali della politica estera di Washington. A febbraio, durante la Conferenza Internazionale sulla sicurezza, a Monaco, il vicepresidente Joseph Biden, che ha parlato della “nuova era”, ha offerto il “reinizio” delle relazioni con Mosca dopo il periodo Bush, ma non ha rinunciato allo scudo antimissili nè ha chiarito la posizione nordamericana in relazione al disarmo atomico, nonostante i desideri espressi da Obama di lavorare per un mondo senza armi nucleari. Quando Obama è andato a Mosca, gli Stati Uniti e la Russia hanno firmato accordi per un nuovo trattato START, avanzando l’idea che i sistemi balistici dovrebbero collocarsi tra le 500 e 1.100 unità, con un totale tra i 1500 e 1675 testate atomiche, da completare in un periodo fino al 2017.

I contatti diplomatici e gli incontri tra Medveded e Obama sono serviti per raggiungere alcuni accordi parziali: tutti e due erano d’accordo che avrebbero fatto uso solo di armi nucleari strategiche offensive nel loro proprio territorio. La Russia ha accettato che gli Stati Uniti potessero realizzare 4500 voli, all’anno, senza bisogno di pagare nulla, per facilitare il trasporto di esercito e di armi attraverso il territorio russo in direzione dell'Afghanistan. Ancora c'erano divergenze sullo scudo antimissile e la Georgia; di fatto, Medvedev aveva firmato nella riunione del G-8 che la Russia avrebbe dispiegato sistemi di missili Iskander nella regione di Kaliningrado se gli Stati Uniti continuavano con i loro piani sullo scudo, falsamente difensivo, e anticipò che l’accordo su START sarebbe dipeso dalla rinuncia di Washington di installarlo in Polonia e Repubblica ceca. Il clamore con cui l’annuncio di Obama, che rinunciava allo scudo e dei missili intercettori in Polonia, è stato colto dai mass media europei era infondato, perché gli Stati Uniti non hanno mai sostenuto che lo “scudo antimissili” non si sarebbe mai creato in Europa, ed è molto probabile che prenda un’altra forma: può essere dispiegato in navi nei mari freddi del nord dell’ Europa.
Non c’è una “rinuncia” allo scudo, ma una rielaborazione, con lo sguardo verso Mosca per riuscire ad avere una collaborazione sulla questione iraniana.

Ci sono molti altri problemi che avvelenano la relazione tra i due paesi: le frontiere della Georgia, e l’ipotetica incorporazione alla NATO, forzata dagli Stati Uniti, di questo paese e dell’ Ucraina (la cui popolazione rifiuta l’entrata), inoltre le questioni legate con lo sfruttamento degli idrocarburi nella zona del Caspio e dell’ Asia Centrale. C’è anche la questione del Kosovo, la cui indipendenza è rifiutata da Mosca e augurata da Washington. Mosca rifiuta duramente la possibilità che la piccola Georgia e la gigantesca Ucraina si incorporino alla NATO, e cerca di limitare la penetrazione nordamericana nel Caucaso e nel nord del Mar Nero. La crisi economica, e la debolezza del dollaro sono altri dei motivi di frizione: il governo russo ha ammesso, in occasione del summit del BRIC a giugno, che pensava di collocare una parte delle sue riserve monetarie in strumenti finanziari (buoni) di paesi come la Cina, India e Brasile, qualcosa che Washington interpreta come un’azione aggressiva da parte di Mosca. Il New York Times e il resto della stampa nordamericana speculavano, allarmando la popolazione sul desiderio di Mosca di “colpire gli Stati Uniti”.

Bisogna ricordare che, violando i compromessi sottoscritti con Gorbaciov, l’espansione militare nordamericana è continuata: la NATO degli anni sovietici contava 16 paesi membri, mentre che attualmente ha 28 paesi integrati, e si continua a speculare sul suo allargamento. Senza dimenticare che, nonostante le buone parole, gli Stati Uniti hanno impulsato una strategia di vero accerchiamento verso la Russia e di intromissione nella sua periferia: Washington dispone di basi militari in 7 delle 15 vecchie repubbliche sovietiche, e inoltre, con Obama, la tentazione di continuare ad organizzare e finanziare “rivoluzioni arancioni” continua ad essere presente a Washington. Questa politica combatte Mosca con l’intento di articolare uno spazio economico e difensivo che integri il maggior numero possibile di vecchie repubbliche sovietiche, e nella crescente collaborazione con la Cina, sia nell' Organizzazione di Cooperazione di Shanghai, che si è consolidata negli ultimi cinque anni, così come nella coordinazione di fronte a potenziali conflitti diplomatici come l’ Iran o Corea del Nord. Inoltre, Mosca affronta la riforma delle forze armate russe e delle sue truppe di missili strategici, e con la sua fulminante risposta alla provocazione georgiana dell’estate 2008 (equipaggiata con armi fornite da Washington, che ha dato il suo consenso all’aggressione e alla guerra) tracciò una chiara linea rossa agli Stati Uniti. D’altra parte, con Obama, i nordamericani non hanno annullato i piani elaborati sotto la presidenza di Bush sull’ampliamento della NATO ed il suo intervento in aree non coperte dal Trattato fondante (come in Afghanistan, per esempio), sulla creazione di nuove basi militari nei suoi paesi satelliti dell’ est europeo (trasportando le installazioni dalla Germania e altri paesi della parte occidentale del continente), sulla militarizzazione dello spazio e, anche, sull’introduzione di dispositivi militari aggressivi nella regione gelida dell’ Artico. La negoziazione sul nuovo trattato che sostituisca lo START-1 è una delle prove di fuoco per Obama, ma, perché sia credibile il proposito annunciato di costruire un mondo senza armi nucleari, gli Stati Uniti dovrebbero accettare nuovamente l’ ABM o accettare di aprire negoziazioni incamminate ad elaborare un nuovo accordo che raccolga il suo spirito.

La Cina è la grande priorità della politica estera nordamericana: Hillary Clinton ha riconosciuto che le relazioni bilaterali decisive nel XXI secolo saranno quelle della Cina e degli Stati Uniti. A metà febbraio, il primo viaggio all’estero della nuova segretaria di Stato è stata in Cina. Il tour è stato decorato con visite parallele in Giappone e Corea del Sud, tradizionali alleati, e in Indonesia, ma la meta chiave era Pechino. Non c' è da meravigliarsi:
gli Stati Uniti sono il paese più indebitato del pianeta: la congiunzione del debito dello Stato, più quello delle sue aziende e delle famiglie, sale a 70 miliardi di dollari, con i costi per il pagamento degli interessi che, in pratica, hanno fatto fallire il sistema nordamericano, che è sostenuto dalla continua stampa di moneta, di dollari- spazzatura che consegnano al mondo in cambio di beni e di prodotti e per il ricorso al finanziamento estero. E l'acquisto da parte della Cina di buoni del tesoro è stata una premessa fondamentale per l’attività governativa degli USA. Il doppio deficit, commerciale e fiscale, crea una situazione che non si può sostenere per molto tempo. Questo era il punto del viaggio della segretaria di Stato. A marzo di quest’anno, il primo ministro cinese, Wen Jiabao, ha reso pubblica la sua preoccupazione per la sicurezza delle riserve cinesi in dollari, in vista della crisi nordamericana. Di fatto, è un’evidenza che l’attuale sistema permette a Washington di mantenere dei grandi deficit e un enorme spesa militare che, in altro modo, sarebbero al di fuori delle possibilità reali dell’economia nordamericana.

Inoltre, il sempre più precario
e discusso ruolo del dollaro come valuta di riserva internazionale, ha indotto il governatore della Banca Popolare Cinese, Zhou Xiaochuan, a proporre di sostituire la moneta nordamericana con i diritti speciali di prelievo del FMI. La Russia ha anche proposto idee, simili, proponendo d’includere lo yuan cinese e del rublo, inoltre dell’oro, nel paniere di divise (dollaro, euro, libra e yen giapponese) che definisce questi diritti speciali di prelievo. La Cina possiede più di due milioni di miliardi di dollari in divise, buona parte di essi in buoni del tesoro nordamericano (che ha deciso di continuare a comprare), ed è preoccupata per il futuro di questi attivi, e ritiene, inoltre, che l' attuale ruolo insostenibile del dollaro offre indebitivantaggi agli Stati Uniti. La proposta di creare una moneta internazionale di riserva che sostituisca il dollaro è stata rifiutata da Obama, cosciente che questo implicherebbe l’inizio della fine del predominio nordamericano- Nonostante tutto, la Cina sa che non le interessa una crisi non controllata del dollaro che causerebbe severe perdite alle sue riserve. In pratica è un curioso paradosso: Pechino ha la capacità per danneggiare seriamente la divisa nordamericana, ma al prezzo di causare un simile danno irreparabile alla sua propria economia. Oggi come oggi, ancora non esiste una divisa alternativa al dollaro: da qui, l’inesistenza nella creazione di una nuova moneta internazionale di riserva. Le differenza tra i due paesi sul modo di affrontare la crisi sono note e la tentazione protezionistica, molto presente nel circolo Obama, ha portato a Washington a riscuotere tariffe abusive pneumatici cinesi, per esempio, violando le disposizioni della OMC, pur affermando che gli Uniti non vogliono una guerra commerciale con la Cina, facendo pressione su Pecchino, tramite un'intermediario di Gordon Brown, ed esigendo che la Cina "compri di più in altri paesi”, come se questa circostanza fosse una delle cause della crisi economica degli Stati Uniti, e il summit di giugno a Ekaterinburg tra i principali capi della Russia, Cina, India e Brasile, dove si è discussa la convenienza di una nuova moneta di riserva internazionale, indicava anche la nascita di un nuovo polo mondiale.

La proposta (lanciata da circuiti vicini al potere nordamericano: Brzezinski, per esempio, che consiglia Obama, è stato visto con massima preoccupazione dall' UE e dal Giappone) per stabilire un G-2, che fosse, di fatto, un direttorio mondiale per affrontare la crisi economica e i problemi globali, è stata rifiutata da Pechino, che insiste nel multilateralismo come strumento di collaborazione internazionale. Wen Jiabao ha considerato che l’ idea di un G-2 era una strada senza uscita. Gli Stati Uniti stanno cercando di stabilire un direttorio simile, ma la rilevanza politica che ha questa proposta è che significa un'implicita ammissione che il programma di unilateralismo americano lanciato da Bush e la sua posizione dominante solitaria a livello mondiale (XXI secolo Americano) non è riuscito. Così gli USA si muovono ancora tra la forzata rinuncia ai piani di Bush, sconfitti dalla realtà, il bisogno di collaborare con la Cina e un’inerzia imperiale che Obama non ha rotto. Poco dopo di essere stato confermato dal presidente, il segretario della Difesa; Robert Gates, ha detto di fronte al Senato che il suo paese era preparato per affrontare “qualsiasi minaccia militare che potesse provenire dalla Cina”, come ha raccolto il New York Times il 27 gennaio. A marzo, il Dipartimento della Difesa nordamericana presentava un documento sul potere militare cinese dove criticava la riforma e lo sviluppo del suo esercito e suggeriva che Pechino stava cambiando la sua concezione tradizionale strategica (guerra esclusivamente per difendere il proprio territorio) con la possibilità di guerre limitate alla sua sfera di influenza prossima.

L’evidente travisamento della politica estera cinese è stata tale che Pecchino presentò una protesta diplomatica. In relazione all’arsenale nucleare, la Cina, in occasione della solenne celebrazione del 60° anniversario della rivoluzione, ha affermato, allo stesso modo della Russia, la sua decisione di non essere mai “il primo paese ad usare armi nucleari”. Gli Stati Uniti si rifiutano a contrarre un simile impegno.
Da parte sua, Timothy Geithner, segretario dell’ Economia, ha accusato Pechino di manipolare la sua moneta, rendendo responsabile la Cina di una parte delle difficoltà nordamericane. E’ una costante: a febbraio, il responsabile dell’ Intelligence nordamericana, Dennis Blair, ha presentato al Senato l’analisi dei suoi servizi, identificando la crisi economica come la minaccia principale e la Cina e l’ India come i paesi che avrebbero concentrato il potere mondiale, a lungo termine, e anche se ha riconosciuto che la Cina lavora per mantenere buoni rapporti con il resto delle grandi potenze e che la sua politica estera è pacifica, ha comunque sorpreso il crescente potere economico cinese e il rafforzamento della sua Armata e dell’ esercito popolare, e sottolineò il desiderio cinese di aumentare la sua influenza nel mondo. In questo senso, il cambiamento politico del Giappone e la proposta del nuovo primo ministro, Yukio Hatavama, di creare una Comunità dell’ Asia orientale, dotata di una moneta comune (che ha già avuto l’ OK da parte di Pechino) è vista con molta preoccupazione da parte di Washington. Obama è disposto a fare maggiore affidamento sul Giappone, il cui governo era sospettoso delle misure prese da Bush nel trattamento della denuclearizzazione della penisola coreana. Le negoziazioni con Pygongyang sono un altro punto di frizione tra Pechino e Washington. Allo stesso tempo, gli Stati Uniti mantengono la pressione su altri scenari: gioca la carta di Taiwan, e dispone di portaerei di propulsione nucleare per controllare la zona, dotati di decine di aerei da combattimento, con basi permanenti in Giappone.

In una riunione con Clinton a Washington, il ministro degli esteri cinese, Yang Jiechi, ha sottolineato l'impegno cinese per la collaborazione, ma non ha dimenticato di menzionare che gli Stati Uniti deve agire con cautela nella questione di Taiwan (e nell’affrontare le questioni riguardanti il Tibet), ricordando
l' impegno degli Stati Uniti per l'idea di "una sola Cina". La vittoria di Koumintang nelle elezioni di Taiwan ha fortificato la cooperazione tra i due lati dello Stretto, indebolendo le posizioni indipendentiste che per molto tempo sono state stimolate dagli USA. L’incontro tra Obama e Hu Jintao è servito anche per rilanciare la cooperazione e la discussione sulle questioni militari: Pechino aveva ben presente che, con il governo di Bush, una delle ultime decisioni di Washington era stata la vendita di un nuovo armamento a Taiwan per un valore di quasi sette mila milioni di dollari. Allo stesso tempo, Washington assiste impotente alla consolidazione dell’ Organizzazione di Cooperazione di Shangai, OCS, anche se sembra che il suo ruolo continuerà ad aumentare sia in Asia che nel mondo. In altre riunioni, Obama ha riattivato la sua politica estera: a fine luglio, Hillary Clinton, annunciava il “ritorno“ degli Usa sulla scena del sudest asiatico, attraverso l’impulso di una nuova relazione con la ASEAN ( formata da dieci paesi dell’ Asia, tra cui l’ Indonesia, la Malesia , le Filippine, la Birmania, la Tailandia e Vietnam), decisione che era un riconoscimento implicito del declino nordamericano nella zona e la proclamazione di una volontà di contenere la Cina, i cui legami ed influenza sono aumentati considerevolmente nel sudest asiatico. Le esagerate e teatrali lodi della stampa europea al nuovo presidente nordamericano, occultano la realtà del vero miraggio Obama. Perché non vi è, in sostanza, una nuova politica estera americana, a prescindere dalle correzioni forzate dall'evoluzione dei conflitti. Possiamo concludere che, con la nuova presidenza, la politica estera nordamericana è la continuazione della precedente epoca, anche se con espressioni più moderate, e che il multilateralismo di Obama è, più che una decisione del suo governo, una revisione obbligata e Washington non ha altra scelta che adottarla, di fronte all’evidenza che gli Stati Uniti, durante gli otto anni di Bush, hanno fallito nel loro intento di imporre la loro visione messianica del ruolo nordamericano nel mondo, e, che il disastro dell' unilateralismo e la continuazione delle guerre in Iraq e in Afghanistan (otto anni dopo!) hanno precipitato la crisi, rendendo visibile al mondo che l’ inizio della decadenza nordamericana non è un’ipotesi del futuro, ma la precisa fotografia del momento storico.

Fonte: http://www.elviejotopo.com/web/archivo_revista.php?arch=1336.pdf

Traduzione per Voci Dalla Strada a cura di
VANESA

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23 settembre 2009

LA RESISTENZA VERSO L'ISURREZIONE CIVILE GENERALIZZATA

Il Brasile porta il caso al Consiglio di sicurezza dell'ONU - 300 persone rinchiuse nello stadio - La resistenza si trasforma in insurrezione civile generalizata - Gli USA devono scegliere tra Zelaya e i gorilla

Tito Pulsinelli
I militari hanno occupato l’area attorno all’ambasciata del Brasile dove si trova il Presidente Zelaya. Hanno sloggiato le case adiacenti ed hanno piazzato sui tetti cecchini con il volto coperto. La sede diplomatica continua ad essere privata di luce ed acqua.
Da New York, Lula ha ammonito i golpisti, mettendoli in guardia ed esigendo il rispetto della vita di Zelaya e delle istallazioni. Ha replicato seccamente alla delirante ingiunzione dei golpisti a consegnare Zelaya o a concedergli asilo politico.

Più tardi, Zelaya ha rivelato che i militari hanno in animo di approfittare delle ore notturne per assaltare l’ambasciata ed assassinarlo, spacciando il crimine come un “suicidio”. Il Brasile porterà questo caso di fronte al consiglo di sicurezza dell’ONU giovedì, per sollecitare un intervento decisivo che metta fine alla sfida dei gorilla honduregni contro la “comunità internazionale” che –già tre mesi addietro- aveva coralemente condannato i golpisti e teso un cordone sanitario per isolarli diplomaticamente.

Non è bastato. Il ritorno di Mel Zelaya è stata una mossa decisiva e totalmente imprevista che ha mandato all’aria le manovre ambigue e dilatorie degli Statu Uniti. La pretesa di incaricare il Costarica di togliere le castagne dal fuoco alla Casa Bianca –seriamente compromessa nel golpe- è fallita, perchè osava mettere sullo stesso piano i golpisti ed un presidente legíttimamente eletto.

La presenza di Mel Zelaya in patria, ha letteralmente colto di sorpresa i golpisti, che stanno reagendo come peggio non si potrebbe. Nonostante il loro isolamento, ritenevano di poter resistere contro la ribellione popolare fino alla fine di novembre. Però con Zelaya a Tegucigalpa e i riflettori che si sono riaccesi sull’Honduras, naufraga la loro illusione di poter organizzare un imbroglio elettorale che lavasse la faccia al potere politico, sporca di troppo sangue.

Zelaya ha fatto la sua mossa nel momento più opportuno e con l’appoggio evidente di vari governi sudamericani e del Centroamérica. Ha sparigliato il gioco truccato, ed ora il re è nudo. Gli Stati Uniti non possono più giocare sulle ambiguità, nè possono nascondersi dietro il loro vassallo del Costarica.

Devono prendere posizione e scegliere: Zelaya o il golpe militar-impresariale. Obama deve decidere se chiudere sul nascere ogni spiraglio di intesa con l’America latina, in tal caso continuerà a reggere il bordone alle elites oscurantiste dell’Honduras. Oppure, delimita le iniziative ultras del Pentagono, e sceglie la difesa della democrazia e dei movimenti civili che sono sorti dalle viscere di società impoverite e saccheggiate dal neoliberismo.

Oggi, le gesta repressive dei gorilla furiosi hanno avuto come scenario anche la cintura periferica della capitale (1), dove scorazzavano con megafoni e minacciavano di morte chiunque avrebbe osato uscire per protestare. Quando hanno sfondato le porte delle case e gettato lacrimogeni all'interno, incuranti dei vecchi e dei bimbi, la gente è scesa in strada e si sono scontrati con i militari. Dapprima in maniera spontanea ed improvvisata, via via in modo più sistematico, e sono comparse le prime barricate.

E' in atto una insurrezione civile che -dopo 87 giorni- ha aumentato di intensità e drammaticità. La dittatura non sa più dove mettere i numerosi giovani detenuti, e ne ha rinchiusi 300 nello stadio della villa olimpica. Nel più autentico e sfacciato "stile Pinochet".

(1) Colonia La Canada, 21 de febrero, Nueva Era, Victor F. Ardon, El Reparto, Centro America, Oeste Villa Olimpica, Colonia El Pedregal, El Hatillo, Cerro Grande, Barrio Guadalupe, Barrio El Bosque, Colonia Bella Vista, Barrio El Chile


Fonte: http://selvasorg.blogspot.com/2009/09/la-resistenza-verso-linsurrezione.html

28 agosto 2009

GOLPE IN HONDURAS E BASI IN COLOMBIA

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Col passare dei giorni diventa sempre più chiaro che il colpo di Stato in Honduras non è stato un evento isolato nè causato dai partecipanti alla consultazione pubblica che aveva chiamato il presidente Manuel Zelaya.


di
Frida Modak


E allo stesso modo, è evidente che le sette basi militari americane installate in Colombia non sono destinate a combattere il traffico di droga o l'insurrezione.
Non
sono affermazioni di fantasia.


Gli Stai Uniti hanno una base militare in Honduras che ora chiamata Soto-Cano, ma era conosciuta come Palmerola, quando è stata creata per combattere il governo sandinista.

Da questa base provenivano i mercenari "contro" reclutati, addestrati e forniti dagli Stati Uniti.


L'allora presidente statunitense Ronald Reagan, battezzò questi elementi terroristi come "combattenti per la libertà" e li finanziò in modi molto diversi.

Quando il Congresso USA si rifiutò di dare più fondi ai mercenari, i finanziamenti provenivano dal traffico di stupefacenti.


Quello che fu accettato e giustificato dall' allora Segretario per gli affari latinoamericani Elliot Abrams, che ha detto che, dato l'atteggiamento del Congresso USA, i Contras hanno dovuto cercare mezzi di sussistenza.


Vale la pena ricordarlo, quando il presidente colombiano Álvaro Uribe, ha detto che con le basi americane nel suo paese mira a combatere il traffico di droga e sradicare la guerriglia.


Torniamo ora in Honduras. Impresari e un ambasciatore nel colpo di stato.

Nella notte di sabato 27 Giugno, alla vigilia di una consultazione pubblica, un collaboratore del presidente Zelaya mi ha detto in una conversazione telefonica che sapeva di due chiamate del Dipartimento di Stato USA e l' Ambasciata statunitense in Honduras a quelli che fino ad allora avevano complottato, avvertendoli del "niente golpe". Che ha suggerito che l'azione avviata contro il governo di Zelaya il lunedi 29 quando si sarebbe prodotto quello che considera un crimine.

Ma il settore delle imprese, che faceva parte della trama, ha constatato che c' era da aspettare, perché il voto in favore del quarto scrutinio doveva essere pesante e non lo potevano ignorare.


In Honduras gli impresari hanno raggiunto un accordo con il Comando supremo delle Forze Armate, che ha consegnato 30 milioni di Lempiras equivalenti ad un milione e mezzo di dollari, secondo una lettera elaborata ufficiali di medio-rango.


Nelle aree del governo del presidente Zelaya si stimava che avrebbero votato per la consultazione tra un milione e 200 mila e un milione e 500 mila persone.

Il paese ha un elettorato di quattro milioni e 700 mila iscritti, di cui milione 300 mila risiedono negli Stati Uniti.

Si calcola che la media degli elettori effettivi potrebbero essere due milioni 100 mila, in modo che il voto della consultazione potrebbe ottenere la maggioranza assoluta.

Tali evidenze non possono essere ignorate e di conseguenza, e da qui sorge la decisione degli imprenditori, tra i quali si contano gli ex Presidenti della Repubblica, di accelerare le loro azioni.


Per quanto riguarda l'ambasciatore degli Stati Uniti Llorens Hugo, la sua partecipazione è stata attiva prima e dopo il colpo di stato.

Ha dichiarato pubblicamente circa una settimana fa il candidato presidenziale del Partito Democratico Cristiano, Felicito Ávila, i gruppi di solito agiscono in conformità con i settori che sono stati presi dal governo.


Avila ha detto che l'ambasciatore è andato alle riunioni cospirative e la rispettica cronaca è stata pubblicata sulla stampa honduregna, che appartiene in gran parte al settore golpista, come un avvertimento a Washington su tutto ciò che poteva contare.


Se uniamo ciò che si è segnalato rispetto alla base statunitense di Soto-Cano (ex Palmerola) agli antecedenti del colpo di Stato, l'agire dell'ambasciatore Llorens e lo uniamo alle basi militari che Washington progetta installare in Colombia, avremo le linee di un progetto che a ragion veduta mette in allarme i paesi sudamericani.


Le sette basi

Il governo colombiano vuole convincere l'opinione pubblica internazionale, non solo latinoamericana, che il suo accordo con gli Stati Uniti non significano l'installazione di basi militari americane sul suo territorio.

Secondo Uribe, sarà consentito solo occupare una piccola parte di sette basi colombiane per svolgere le loro attività.

Insiste sul fatto che lo riceveranno da persone vicine perchè contribuiscano alla lotta contro il traffico di droga, ma non fa riferimento ai sette miliardi di dollari ricevuti da Washington per il governo attraverso il Plan Colombia.


A questo punto, è un fatto incontestabile che questo piano non ha diminuito affatto il traffico di droga e la corruzione.

Numerosi esponenti politici del partito del presidente Uribe sono stati arrestati e processati per i loro legami con il commercio della droga.

E 'anche chiaro che i paramilitari solo apparentemente si smobilitano, ma è noto che si raggruppano nuovamente sotto un altro nome.

L'obiettivo delle basi è un'altra molto diversa da quella dichiarata dalle autorità colombiane e statunitensi.

Quando si sono installati a Panama, la base militare USA di Howard era un centro di controllo non solo per l'America Latina, ma anche per monitorare altri continenti, perché disponeva di diversi gruppi di spionaggio internazionale.


I trattati dei canali Torrijos-Carter li costrinse fuori del territorio panamense ed hanno trovato accoglienza nella città ecuadoriana di Manta, in cui il deposto presidente Jamil Mahuad ha poi consentito loro di stabilirsi a proprio agio.


L'attuale presidente ecuadoriano Rafael Correa, ha detto fin dalla sua campagna elettorale che non avrebbe rinnovato l'autorizzazione e costretto a smantellare la base di Manta. Ora sono a sette punti dietro la Colombia con il pretesto della lotta al narcotraffico, a cui ovviamente nessuno crede, e non digeriscno che possono utilizzare solo piccolo ufficio nelle basi colombiane per sostenere il Plan Colombia.


Le autorità delle località nelle quali verranno installate non sono molto d'accordo, perché considerano che la presenza delle truppe Usa attira la prostituzione e la corruzione, come è già successo nei luoghi in cui sono da lungo tempo.

Ai paesi sudamericani non piace l'argomento, perché rappresenta una minaccia e non lo hanno nascosto.


L'Unione delle Nazioni Sudamericane, UNASUR, ha concordato nella recente riunione in Ecuador di affrontare la questione direttamente con gli Stati Uniti a settembre, quando si avvia la sessione dell' Assemblea Generale delle Nazioni Unite e, previamente, si riunirà in Argentina per discutere il problema.


Allo stesso tempo, UNASUR ha ribadito il suo sostegno a Zelaya e ha chiesto il suo ritorno come presidente dell'Honduras, con cui differiscono anche da Washington.

Il presidente statunitense Barack Obama, ha reagito duramente alle critiche per la mancata adozione di misure forti contro i golpisti honduregni.

Secondo Obama, "vi è una certa ipocrisia" da parte di quelli tenuti ad agire con chiarezza in Honduras e li accusa di essere gli stessi che chiamano a Washington interventisti.

Quelli che criticano questa posizione di Obama rispondono che l'ipocrisia non c'è, ma nel ruolo di ambasciatore Llorens nel golpe, nella formazione del Pentagono per le forze armate dell'Honduras e la "lobby" che difende il colpo di stato nel Congresso USA.


Ci sono anche informazioni dettagliate sulle transazioni di denaro del narcotraffico e delle istituzioni degli Stati Uniti, consegnate in Colombia ad oppositori dei governi democraticamente eletti nella regione.


In altre parole, l'ipocrisia consiste nel contribuire ed aiutare la cospirazione con un presunto non intervento.


Fonte: http://www.iarnoticias.com/2009/noticias/latinoamerica/0362_golpe_y_bases_25agos09.html

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