28 febbraio 2016

Gramsci e noi

In questo giorno, 22 gennaio 1891, uno dei marxisti più influenti del 20° secolo, Antonio Gramsci, nasceva nella piccola città di Ales in Sardegna. L’opera di Gramsci ha trasformato il modo in cui pensiamo una politica marxista. Mentre la Rivoluzione Russa compiva il suo corso nella Russia “arretrata”, e quindi era una rivoluzione sia contro il “vecchio regime” che contro il capitale, Gramsci affrontava decisamente la questione di come si costruisce un movimento rivoluzionario nelle aree sviluppate dell’Europa occidentale. In particolare, era il suo sviluppo del concetto di “egemonia” che dimostrava tutta la sua influenza.              
In questo saggio del grande Stuart Hall (1932-2014), e pubblicato in “The Hard Road to Renewal – Il duro cammino verso il rinnovamento*”(1988), Hall tenta di estendere queste intuizioni di Gramsci all’analisi della “modernizzazione regressiva” della Thatcher. In un’epoca in cui molti stanno affrontando la questione di “come costruire una nuova modernità di sinistra”, Gramsci e Hall sono più che mai determinanti.


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Questa non vuol essere un’esposizione esauriente delle idee di Antonio Gramsci, e nemmeno un resoconto sistematico della situazione politica della Gran Bretagna di oggi. Questa elaborazione è un tentativo di “pensare ad alta voce” intorno ad alcuni dei complicati dilemmi che la Sinistra deve affrontare, alla luce – e a partire dal punto di vista – dell’opera di Gramsci. Io non affermo, molto semplicisticamente, che  Gramsci abbia “le risposte” o detenga “la chiave” per i nostri problemi attuali. Invece, ritengo che noi dobbiamo “ragionare” sui nostri problemi in modo gramsciano – il che è diverso. Non dobbiamo usare Gramsci (come abbiamo per tanto tempo abusato di Marx) come un profeta dell’Antico Testamento che, al momento giusto, ci offrirà la consolante e appropriata citazione. Non possiamo sradicare questo “Sardo” dalla sua specifica e eccezionale formazione politica, proiettarlo alla fine del 20° secolo, e chiedergli di risolvere i nostri problemi al posto nostro: soprattutto perché il senso complessivo del suo pensiero è stato quello di rifiutare questo comodo trasferimento di generalizzazioni da una congiuntura, da una nazione, o da un’epoca ad un’altra.

Il paradigma di Gramsci che realmente ha trasformato il mio modo di pensare la politica resta la questione che attiene ai suoi Quaderni del carcere. Se ci si riferisce ai testi classici di Marx e di Lenin, siamo indotti ad aspettarci uno storico sviluppo rivoluzionario epocale, che doveva emergere alla fine della Prima Guerra Mondiale in avanti. E infatti gli eventi hanno fornito prove considerevoli che si stava verificando un tale sviluppo. Gramsci appartiene a questo “momento proletario”.  Tutto avveniva a Torino negli anni 1920, e in altri luoghi, dove persone come Gramsci, in contatto con le avanguardie della classe operaia industriale – allora la vera prima linea della produzione moderna - pensavano che, se i gestori del potere e i politici venivano posti fuori gioco, questa classe di proletari poteva dirigere il mondo, assumere il possesso delle fabbriche, prendere il controllo dell’intera macchina della società, materialmente trasformarla e gestirla, economicamente, socialmente, culturalmente, tecnicamente. La verità sugli anni 1920 è che il “momento proletario” era stato quasi sul punto di realizzarsi. Subito  prima e dopo la Prima Guerra Mondiale, è mancato veramente poco che, sotto la guida di tale classe, il mondo potesse essere trasformato - come avvenne nella Russia del 1917 ad opera della Rivoluzione sovietica.

Questo è stato il momento della prospettiva proletaria sulla storia. Quello che ho definito “questione Gramsciana”, nei Quaderni del carcere emerge all’indomani di quel momento, con il riconoscimento che la storia non poteva andare in quel modo, soprattutto nelle società capitalistiche industrialmente avanzate dell’Europa occidentale. Gramsci ha dovuto confrontarsi con l’arretramento, l’insuccesso, di quel momento: il fatto che un tale momento, dopo il suo superamento, non sarebbe mai ritornato con le vecchie modalità. Gramsci, qui, dovette affrontare il carattere rivoluzionario della storia stessa. Quando una congiuntura si dipana, non è possibile “tornare indietro”. La storia muove gli ingranaggi. Il campo di azione si modifica. Ci si trova in una nuova fase. Bisogna attenersi, “violentemente”, con assoluta padronanza del “pessimismo della ragione”, alla “disciplina della congiuntura”.


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Inoltre, (e questo è uno dei motivi principali per cui il suo pensiero appare a noi così pertinente ed attuale), Gramsci ha dovuto affrontare la capacità della Destra - in particolare, del Fascismo europeo - di egemonizzare quella sconfitta.
Allora vi è stato un rovesciamento storico del progetto rivoluzionario, una nuova congiuntura, e una fase storica, che la Destra, piuttosto che la Sinistra, è stata in grado di dominare. Questo appare come un momento di crisi totale per la Sinistra, quando tutti i punti di riferimento, le predizioni, sono andati in frantumi. L’universo politico, quello a cui si era arrivati ad appartenere, crolla.
Non voglio dire che la Sinistra in Gran Bretagna si trovi esattamente nella stessa situazione; ma voglio sperare si riconoscano certe caratteristiche sorprendentemente similari, perché è la somiglianza tra queste due situazioni che rende la questione dei Quaderni del carcere così fondamentale per aiutarci a capire quale sia attualmente la nostra condizione. Gramsci ci fornisce, non gli strumenti con cui risolvere il puzzle, ma i mezzi attraverso i quali presentare il giusto tipo di domande circa la politica degli anni 1980 e 1990. Lo fa in modo da dirigere la nostra attenzione direttamente su ciò che è specifico e diverso in questa fase della storia.  Egli insiste sempre su questa attenzione alle differenze.

E questa è una lezione che la Sinistra in Gran Bretagna deve ancora imparare. Noi tendiamo a pensare che la Destra non solo sia sempre presente, ma sia sempre la stessa: le stesse persone, con gli stessi interessi, che elaborano gli stessi pensieri. Noi stiamo invece vivendo la trasformazione del Conservatorismo britannico - il suo adattamento parziale al mondo moderno, tramite le “rivoluzioni” neoliberiste e monetariste. Il Thatcherismo ha ricostruito il Conservatorismo e il Partito Conservatore. Affaristi, piccolo-borghesi approfittatori dalla faccia dura, sono ora al potere, non le classi del tiro al fagiano, della caccia e pesca. E tuttavia, sebbene queste trasformazioni stiano cambiando il terreno politico della lotta davanti ai nostri occhi, noi pensiamo che le differenze non abbiano alcun effetto reale sulle cose. Affermare che la politica della vecchia classe dirigente prosegue nello stesso modo vecchio, ci fa sentire ancor più di “sinistra”. 


Gramsci, d’altro canto , sapeva che le differenze e le specificità avevano la loro importanza. Così, invece di chiederci “cosa avrebbe detto Gramsci sul Thatcherismo?”, dovremmo semplicemente prestare attenzione alla reiterata puntualizzazione gramsciana sul concetto di differenza, sulla specificità di una fase storica: su come forze differenti si incontrano, congiunturalmente, per creare il nuovo terreno su cui una diversa politica deve svilupparsi. Questa è l’intuizione che Gramsci ci offre sulla natura della vita politica, da cui noi possiamo lasciarci guidare.
Voglio sottolineare che il mio obiettivo è quello di mettere in relazione “le lezioni di Gramsci”, in primo luogo, con il Thatcherismo e il progetto della Nuova Destra; e, in secondo luogo, con la crisi della Sinistra.                                 

Qui, sto ponendo in primo piano solo la parte spigolosa di quello che io intendo del Thatcherismo. Sto cercando di affrontare la questione dell’apertura, a partire dalla metà degli anni 1970 in poi, di un nuovo progetto politico della Destra. Per progetto, non intendo (come ha avvertito Gramsci) una cospirazione. Mi riferisco alla costruzione di un nuovo ordine del giorno nella politica britannica.

La signora Thatcher sempre ha mirato non ad una inversione elettorale di breve periodo, ma ad una lunga occupazione storica del potere. Questa occupazione del potere non consisteva semplicemente nella piena assunzione del comando degli apparati dello Stato. In effetti, il progetto era organizzato, già nelle prime fasi, in opposizione allo Stato, che a parere thatcheriano era stato profondamente corrotto dalla implementazione dei diritti e delle garanzie sociali (welfare) e dal Keynesismo, che avevano così contribuito alla “corruzione” del popolo britannico. La ragion d’essere del Thatcherismo era la contestazione del vecchio welfare keynesiano, dello “statalismo” social-democratico, che, a suo parere, aveva dominato gli anni 1960.                        

Il progetto della Thatcher era quello di trasformare lo Stato al fine di ristrutturare la società: di enucleare, di rimuovere, tutta la formazione post-bellica; di ribaltare la cultura politica che aveva costituito la base dell’accordo politico – di quel compromesso storico tra lavoro e capitale messo in campo dal 1945 in poi.                                                              

La dimensione del ribaltamento mirava ad essere gigantesca: un rovesciamento totale delle regole di base di quel compromesso, delle alleanze sociali che lo sostenevano, e dei valori che l’avevano reso popolare. Non intendo fare riferimento agli atteggiamenti e ai valori delle persone che scrivono libri. Invece, io intendo riferirmi alle idee delle persone che semplicemente, nella loro vita quotidiana ordinaria, devono calcolare come sopravvivere, come prendersi cura di quelli a loro più intimi.


Questo è ciò che intendiamo nell’ affermare che il Thatcherismo mirava al capovolgimento dell’ordinario senso comune. Il “senso comune” del popolo inglese era stato costruito intorno al concetto, che l’ultima guerra aveva eretto una barriera tra i brutti vecchi tempi degli anni 1930 e il tempo attuale: lo stato sociale doveva essere destinato a rimanere; non saremmo mai tornati ad usare il criterio del mercato come una misura dei bisogni delle persone, dei bisogni della società. Sarebbe sempre stata attiva un’ulteriore, incrementale, forza istituzionale - lo Stato, rappresentante degli interessi generali della società - per far fronte al mercato e modificarne le storture. Sono perfettamente consapevole che il Socialismo non è stato inaugurato nel 1945. Sto parlando della Socialdemocrazia, data per scontato come fondamento popolare del welfare, che ha costituito il vero, concreto terreno su cui un Socialismo degno di questo nome doveva essere costruito. Il Thatcherismo è stato un sistema ideologico per aggredire, contestare, questo progetto, e, per quanto possibile, smantellarlo, e sostituirlo con qualcosa di nuovo, facendo il suo ingresso nel campo politico in una lotta storica, non solo per il potere, ma per esercitare un’influenza sul popolo, per l’egemonia.

Si tratta di un progetto - questo disorienta senza limiti la Sinistra -, allo stesso tempo, regressivo e progressivo. Regressivo poiché, per certi aspetti cruciali, ci porta indietro. Non potrebbe andare da nessuna parte se non a ritroso, visto che vuol inculcare nel popolo britannico, alla fine del 20° secolo, che l’idea migliore per il futuro di tutti è quella di diventare, per la seconda volta, “Eminenti Vittoriani”. E questo è profondamente regressivo, antiquato, arcaico.

Ma non fraintendetemi adesso. Questo progetto è anche di “modernizzazione”. Però, è una forma di modernizzazione regressiva. Perché, al tempo stesso, il Thatcherismo aveva puntato i suoi occhi penetranti su uno dei fatti storici più profondi a proposito della formazione sociale britannica: che mai completamente si era entrati nel tempo della moderna civilizzazione borghese! E mai si era realizzato il passaggio completo verso la modernità. E mai erano state istituzionalizzate, in senso proprio, la civilizzazione e le strutture del capitalismo avanzato - ciò che Gramsci definiva “Fordismo”. E nemmeno erano state trasformate le vecchie strutture industriali e politiche in un altro potere attraverso una rivoluzione capitalistico-industriale , allo stesso modo degli Stati Uniti, e, attraverso un altro percorso, (il “percorso Prussiano”), come era avvenuto in Germania e Giappone. La Gran Bretagna non si era impegnata mai in quella trasformazione profonda che, alla fine del 19°secolo, aveva ristrutturato sia il capitalismo che le classi lavoratrici. Di conseguenza, la signora Thatcher si rendeva conto che nella Gran Bretagna di oggi non esisteva alcun progetto politico serio, in grado di costruire una politica e una immagine di quella modernità che il nostro popolo avrebbe voluto. E il Thatcherismo, nel suo percorso regressivo, attingendo al passato, guardando indietro alle vecchie glorie, piuttosto che in avanti verso una nuova epoca, inaugurava il progetto di modernizzazione reazionaria.
  
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"Studiate, perché avremo bisogno di tutta la vostra intelligenza"

Nulla è più importante, a questo proposito, del riconoscimento di Gramsci che ogni crisi è anche un momento di ricostruzione; che non esiste distruzione che non sia, anche, ricostruzione; che, storicamente nulla viene smantellato senza che sussista il tentativo di mettere qualcosa di nuovo al suo posto; che ogni forma di potere non solo esclude, ma produce anche qualcosa. Questa è una concezione completamente nuova di crisi e di potere. Quando la Sinistra parla di crisi, tutto ciò che vediamo è un capitalismo devastante,  in marcia per prenderci sotto il suo controllo. Non capiamo che la rottura del normale funzionamento del vecchio ordine economico, sociale, culturale, offre l’opportunità (…al capitale) di una riorganizzazione con modalità diverse, di ristrutturare e rimodellare, di modernizzare e andare avanti. Se necessario, ovviamente, a costo di consentire che un gran numero di persone possa essere consegnato alla pattumiera della Storia - nel Nord Est, nel Nord Ovest, in Galles e in Scozia, nelle comunità minerarie e nelle roccaforti industriali devastate, nei centri delle città e altrove. Questa è la “legge” della modernizzazione capitalistica: lo sviluppo ineguale, la disorganizzazione organizzata.

Nell’affrontare questa nuova perniciosa formazione politica, la tentazione è sempre, ideologicamente, quella di demolirla, per costringerla a fermarsi, ponendo la classica domanda marxista: “La Destra, chi è che rappresenta, in realtà?” Ora, di solito, quando la Sinistra presenta questa antiquata classica domanda marxista di vecchio stampo, non stiamo veramente formulando una domanda, stiamo producendo un’affermazione. Conosciamo già la risposta. Naturalmente, la Destra rappresenta la presa di possesso dello Stato da parte del Capitale, essendo di questo non altro che il suo strumento. Scrittori borghesi producono romanzi borghesi. Il Partito Conservatore, inginocchiato, è la classe dirigente (per conto del Capitale). Ecc., ecc ... Questo è il Marxismo come teoria dell’ovvio. La domanda non fa scaturire alcuna nuova conoscenza, solo la risposta che noi già sapevamo. Si tratta di una specie di gioco, la teoria politica come Trivial Pursuit. Di fatto, il motivo per cui abbiamo bisogno di fare questa domanda è perché in realtà non lo sappiamo.

Crea davvero imbarazzo rivelare, in un qualsiasi modo semplice, chi il Thatcherismo rappresenta. In questo caso si tratta del fenomeno sconcertante di una ideologia piccolo-borghese, che “rappresenta”, e sta aiutando a ricostruire, il Capitale, sia a livello nazionale che internazionale. Nel mentre “rappresenta” il Capitale corporativo, il Thatcherismo, tuttavia, raccoglie il consenso di settori molto rilevanti delle classi subordinate e dominate. Ma che essenza ha questa ideologia, che può inscrivere in sè tale vasta gamma di diverse posizioni e di differenti interessi, e che sembra rappresentare un po’ tutti - tra cui la maggior parte dei lettori di questo saggio! Infatti, per non sbagliare, anche un pezzettino di tutti noi è posizionato all’interno del progetto thatcheriano. 

Naturalmente, siamo tutti al cento per cento impegnati. Ma di tanto in tanto - il sabato mattina, forse, poco prima della manifestazione - andiamo da Sainsbury (terza catena di supermercati del Regno Unito), dove assumiamo la caratteristica di un frammento del soggetto thatcheriano. Come possiamo dare senso ad una ideologia che non è coerente, che parla oggi, in un orecchio, con la voce di un uomo-mercato, cinico noncurante, utilitaristico, e nell’altro orecchio, con la voce di un individuo rispettabile, buon borghese, patriarcale? Come fanno questi due repertori a convivere insieme? Siamo tutti perplessi dalla natura contraddittoria del Thatcherismo. Ragionando nel nostro modo intellettuale, pensiamo che il mondo collasserà come risultato di una contraddizione logica: questa è la pura illusione dell’intellettuale - che l’ideologia deve essere coerente, ogni cellula di essa deve adattarsi insieme, come una ricerca filosofica. Per contro, lo scopo generale di ciò che Gramsci chiama un’ideologia organica (cioè storicamente efficace) è quello di articolare in un’unica configurazione soggetti diversi, diverse identità, diversi progetti, aspirazioni diverse. Una ideologia organica non riflette, costruisce dalle differenze una “unità”.

Noi siamo stati avviluppati dal progetto thatcheriano, non dal 1983 o dal 1979, come recita la dottrina ufficiale, ma dal 1975. Il 1975 è il climaterio, l’età critica della politica britannica. Prima di tutto, l’aumento del prezzo del petrolio. In secondo luogo, l’inizio della crisi del Capitalismo. In terzo luogo, la trasformazione del Conservatorismo moderno, con il consenso assegnato alla leadership thatcheriana. Questo è il momento del cambiamento netto in cui, come sosteneva Gramsci, fattori nazionali e internazionali concorrono insieme. La svolta non inizia con la vittoria elettorale della signora Thatcher, dato che la politica non è solo una questione di elezioni. La svolta piomba nel 1975, proprio nel bel mezzo del plesso solare politico di Mr. Callaghan (Primo ministro laburista del Regno Unito dal 5 aprile 1976 al 4 maggio 1979). Mr. Callaghan - già una canna rotta – si frattura in due. Una metà rimane socialmente conservatrice, paternalistica,… una cara zietta. L’altra metà balla sulle note di una nuova melodia. Una delle voci di sirena, che canta la nuova canzone alle sue orecchie, è il suo genero, Peter Jay, uno degli architetti del monetarismo, nel suo ruolo missionario come redattore economico al The Times. Costui, per primo, aveva intravisto le nuove forze del mercato, il nuovo consumatore sovrano, in arrivo da oltre la collina, come i marines.              

E, dando ascolto a questi preannunzi di futuro, il vecchio signore apre bocca; e che cosa dice? Lo scambio di baci deve finire. Il gioco è concluso. La Socialdemocrazia è arrivata al capolinea. Lo stato sociale se ne è andato per sempre. Non ce lo possiamo più permettere. Abbiamo sborsato troppo in nostro favore, assegnando a noi stessi un sacco di posti di lavoro fasulli, ci siamo ciondolati troppo.


Ecco, possiamo assistere al crollo dello spirito inglese sotto il peso degli illeciti piaceri di cui i Britannici stavano godendo - il permissivismo, lo scialare, le piacevolezze. Tutto falso: orpelli e frivolezze! Gli Arabi avevano fatto volare via tutto. Ed ora dobbiamo accingerci ad avanzare in modo diverso. La Signora Thatcher parla di questo “nuovo corso”. Parla a qualcosa d’altro, depositato nel profondo della psiche inglese: il masochismo degli Inglesi. Quella necessità che l’Inglese sembra avere, di essere sgridato dalla balia Nanny e mandato a letto senza budino. Il calcolo per cui ogni buona estate deve essere compensata da venti cattivi inverni. Lo Spirito di Dunkerque – peggiore è la situazione in cui ci troviamo, meglio noi ci comporteremo. La Thatcher non prometteva la società “a premi”. Lei annunciava tempi di ferro; spalle al muro; fermezza di carattere; muoversi; andare al lavoro; usare la vanga. Dalle antiche verità comprovate, introdurre la saggezza della “Vecchia Inghilterra”. La famiglia ha tenuto insieme la società; vivi per questo! Le donne ritornino al focolare. E che gli uomini partano verso la Frontiera Nord-Occidentale. Tempi duri - seguiti, molto più tardi, da un ritorno ai Bei Vecchi Tempi.                                                                                          

La Thatcher  chiedeva ai Britannici un guinzaglio lungo - non uno, ma due e tre mandati. In buona sostanza, ribadiva, sarò in grado di riplasmare questa nazione in modo tale che tutti voi, una volta ancora, per la prima volta dal momento che l’Impero ha iniziato a scivolare dentro allo scuro tunnel, vi sentiate come parti di una Gran Bretagna “Unlimited” - Sconfinata. Voi, sarete in grado, ancora una volta, di inviare i nostri ragazzi “sempre più in là”, di far sventolare la bandiera, di andare ad accogliere il ritorno della flotta. La Gran Bretagna sarà di nuovo grande.

Le persone non votano per il Thatcherismo, a mio avviso, perché credono alla stampa gretta, manipolatrice. Le persone, nel loro giusto giudizio, non pensano che la Gran Bretagna goda al momento di un’economia di successo, meravigliosamente in forte espansione. Invece, il Thatcherismo, ideologicamente, affronta le paure, le ansietà, le identità perdute di un popolo. Esso ci invita a pensare la politica per immagini. Si rivolge alle nostre fantasie collettive, alla Gran Bretagna come una comunità immaginata, per l’immaginario sociale. La signora Thatcher  completamente dominava questo idioma, mentre la Sinistra cercava tristemente di trascinare la conversazione intorno alle “nostre politiche”.


Si tratta di un progetto storico epocale, la modernizzazione regressiva della Gran Bretagna, per conquistare la gente comune a questa “modernizzazione”, non perché la gente sia credulona, o stupida, o accecata dalla falsa coscienza. Poichè, in effetti, il carattere politico delle nostre idee non può essere garantito dalla nostra posizione di classe o dal “modo di produzione”, è possibile per la Destra costruire una politica che parla delle esperienze della gente, in risonanza con alcune delle normali aspirazioni della gente, che inserisce se stessa in quello che Gramsci definiva il carattere necessariamente frammentario, contraddittorio del senso comune, e che, in determinate circostanze, può recuperare le persone, come soggetti subordinati, in un progetto storico che egemonizza quelli che abbiamo avuto l’abitudine - erroneamente - di pensare, come essenziali, interessi delle classi subordinate. Gramsci è uno dei primi moderni marxisti a riconoscere che gli interessi non sono dati, ma devono essere politicamente e ideologicamente costruiti.

Gramsci ci avverte nei Quaderni che una crisi non è un evento immediato, ma un processo: può durare per molto tempo, e può essere risolta in modi molto diversi: per restaurazione, per ricostruzione o per trasformismo passivo. A volte più stabile, a volte più instabile; ma, in un senso profondo, le istituzioni britanniche, l’economia britannica, la società e la cultura britannica hanno vissuto una crisi sociale profonda per la maggior parte del 20° secolo.
Gramsci puntualizza che le crisi organiche di questo ordine si riverberano non solo sul campo politico e sulle aree tradizionali della vita industriale ed economica, non solo sulla lotta di classe, intesa nel vecchio senso; ma sfociano in una larga serie di polemiche, dibattiti, su questioni fondamentali, sessuali, morali e intellettuali, in una crisi nei rapporti della rappresentanza politica e i partiti - su tutta una serie di questioni che non necessariamente, in prima istanza, sembrano del tutto articolarsi con la politica, in senso stretto. Questo è ciò che Gramsci definisce crisi di autorità, che non è altro che la crisi di egemonia, o crisi generale dello Stato. Siamo esattamente in questa situazione. Avevamo preannunciata una tale “crisi di autorità” nella vita sociale e nella cultura inglese a partire già dalla metà degli anni 1960. In questi anni, la crisi della società inglese veniva segnalata in una serie di dibattiti e lotte intorno a nuovi punti di antagonismo, che apparivano in un primo momento essere ben lontani dalla tradizionale area di interesse della politica britannica.               

La Sinistra spesso aspettava pazientemente che i vecchi ritmi della lotta di classe venissero ripresi, quando in realtà erano le forme della ‘lotta di classe’ stessa che venivano trasformate. Possiamo solo capire questa diversificazione delle lotte sociali alla luce della insistenza di Gramsci, che, nelle società moderne, l’egemonia deve essere costruita, contesa e conquistata sui molti scenari diversi, visto che le strutture dello Stato moderno e della società diventano sempre più complesse e i punti di antagonismo sociale proliferano.

Quindi, una delle cose più importanti che Gramsci ha fatto per noi è di averci fornito unaconcezione profondamente ampliata di ciò che la politica stessa dovrebbe essere, e quindi anche del potere e dell’autorità. Non possiamo, dopo Gramsci, ritornare alla concezione di confondere politiche elettorali, o la politica partitica in senso stretto, o addirittura l’occupazione del potere statale, come costituenti dei fondamenti della stessa politica moderna. Gramsci è consapevole che la politica spazia su campi molto più estesi; che, in particolare nelle società del nostro tipo, i siti su cui si è costituito il potere saranno enormemente vari. In questa società moderna, stiamo vivendo la proliferazione di centri di potere e dell’antagonismo. Per Gramsci, il passaggio a questa nuova fase è dirimente. Vengono poste direttamente al centro dell’agenda politica le questioni della leadership morale e intellettuale, il ruolo educativo e formativo dello Stato, le “trincee e le casamatte” della società civile, la problematica cruciale del consenso delle masse e la creazione di un nuovo tipo o livello di civilizzazione, una nuova cultura. Viene tracciata la linea di separazione decisiva tra la formula della ‘Rivoluzione Permanente’ e la formula dell’‘Egemonia Civile’. Stiamo percorrendo lo spigolo tagliente tra la guerra di movimento e la guerra di posizione: questo è il punto dove il mondo di Gramsci ci incontra.

Ciò non significa, come alcune persone leggono ed interpretano Gramsci, che per tutto questo lo Stato non ha più importanza. Lo Stato è chiaramente assolutamente centrale nell’articolare le diverse aree di contestazione, i diversi punti di antagonismo, nell’ambito di un regime di regole. Il momento in cui è possibile conseguire all’interno dello Stato un potere sufficiente per organizzare un progetto politico centrale, questa fase è decisiva, perché allora sarà possibile utilizzare lo Stato per pianificare, incalzare, stimolare, sollecitare e punire, per uniformare le diverse sedi del potere e creare consenso verso un unico regime. Questo è il momento del ‘populismo autoritario’ – del Thatcherismo, contemporaneamente rivolto ‘ai piani alti’ (dello Stato) e ‘verso il basso’ (là fuori, usufruendo del consenso tra la gente).

Anche allora, la Signora Thatcher non fa l’errore di pensare che lo Stato capitalista abbia un unico e unificato carattere politico. Lei è perfettamente consapevole del fatto che, anche se lo Stato capitalista è articolato per garantire a lungo termine le condizioni storiche per l’accumulazione del capitale e la redditività, anche se è il guardiano di un certo tipo di borghesia, di civiltà e di cultura patriarcale, è, e continua ad essere, un’arena di contestazione. Ciò significa che il Thatcherismo è, dopo tutto, semplicemente l’‘espressione’ della classe dirigente? Naturalmente, Gramsci assegna sempre un posto centrale alle questioni di classe, alle alleanze di classe, alla lotta di classe. Dove Gramsci si discosta dalle versioni classiche del Marxismo è quando lui non pensa che la politica sia un’arena che riflette semplicemente identità politiche collettive già unificate, forme già consolidate di lotta. Per lui, la politica non è una sfera dipendente. Politica è dove le forze e le relazioni, in economia, nella società, nella cultura, devono essere attivamente orientate per la produzione di particolari forme di potere, forme di dominio. Questa è la produzione di politica - politica come produzione. Questa concezione della politica è fondamentalmente contingente, fondamentalmente senza precisi limiti. Non esiste una legge della Storia che possa predire quello che deve inevitabilmente essere il risultato di una lotta politica. La politica dipende dai rapporti di forza in qualsiasi momento particolare. La storia non è in attesa dietro le quinte per recuperare i nostri errori, e convertirli in un altro immancabile successo. Si perde perché si perde perché si perde.

Il ‘buon senso’ della gente esiste, ma è solo l’inizio, non la fine, della politica. Esso non garantisce nulla. In buona sostanza, Gramsci affermava, ‘le nuove concezioni, tra le masse popolari, occupano una posizione estremamente instabile’. Non esiste alcun soggetto unitario della Storia. Il soggetto è necessariamente diviso, un aggregato: una metà, l’Età della Pietra, l’altra metà che contiene ‘i principi della scienza avanzata, i pregiudizi generati da tutte le fasi della storia del passato, le intuizioni di una filosofia del futuro’. Entrambe queste cose lottano dentro le teste e i cuori delle persone, alla ricerca di un modo di articolarsi politicamente. Naturalmente, è possibile che le persone vengano reclutate da progetti politici essenzialmente diversi.

Soprattutto oggi, noi viviamo in un’epoca in cui le vecchie identità politiche sono al collasso. Non possiamo immaginare, non più, che il Socialismo ci appaia come immagine di quel unico soggetto singolare, che noi abbiamo usato definire Uomo Socialista. L’Uomo Socialista, con un unico modo di pensare, con una sua serie di interessi, con un suo specifico progetto, è morto. E buon viaggio! Chi ha bisogno di ‘lui’ ora, con il suo investimento in un determinato periodo storico, con il ‘suo’ senso particolare di mascolinità, che puntella la ‘sua’ identità in un particolare insieme di relazioni familiari, in un particolare tipo di identità sessuale? Chi ha bisogno di ‘lui’, come specifica identità, nel momento in cui la grande diversità degli esseri umani e delle culture etniche nel nostro mondo sta per entrare nel 21° secolo? Questo ‘lui’ è morto: finito!                           

Gramsci guardava ad un mondo che si presentava ai suoi occhi in modo complesso. Vide la pluralizzazione delle moderne identità culturali emergenti tra le linee di uno sviluppo storico discontinuo, e poneva la domanda: quali sono le forme politiche attraverso le quali un Nuovo Ordine culturale potrebbe essere costruito, fuori da questa ‘molteplicità di volontà disperse’, da ‘questi obiettivi eterogenei’?                                    

Dato che questo è ciò che la gente è nella realtà, dato che non esiste una norma che farà in modo che il Socialismo si realizzi, possiamo noi trovare delle forme di organizzazione, forme di identità, forme di fedeltà, concezioni sociali, in grado sia di collegarsi con la vita popolare e, nello stesso momento, trasformarla e rinnovarla? Il Socialismo non ci sarà consegnato, attraverso un qualche accesso segreto della Storia, da qualche deus ex machina.


Gramsci sempre insisteva sul fatto che l’egemonia non è esclusivamente un fenomeno ideologico. Non ci può essere egemonia senza la parte fondamentale decisiva dell’economia. D’altra parte, che nessuno cada nella trappola del vecchio economicismo meccanicista, e creda che, solo se si può entrare in possesso del controllo dell’economia, sia possibile mettere in moto il resto dell’esistenza. La natura del potere nel mondo moderno è che il potere viene costruito anche in relazione alle problematiche ideologiche, politiche, morali, intellettuali, culturali, sessuali. La questione dell’egemonia è sempre la questione di un nuovo ordine culturale. La questione che affrontava Gramsci per quanto riguardava l’Italia, oggi dobbiamo affrontarla noi in relazione alla Gran Bretagna: qual è la natura di questa nuova civilizzazione? L’egemonia non è uno stato di grazia che viene introiettato per sempre. Non è una formazione che incorpora tutti.                                                

La nozione di ‘blocco storico’ è precisamente differente da quella di una classe dominante omogenea, senza la presenza di conflitti al suo interno. Il concetto di ‘blocco storico’ comporta una concezione del tutto differente da come le forze e i movimenti sociali, nella loro diversità, possono articolarsi in una serie di alleanze strategiche. Per costruire un nuovo ordine culturale, non c'è bisogno di riflettere una volontà collettiva già formata, ma di forgiarne una nuova, di inaugurare un nuovo progetto storico.


Ho parlato di Gramsci alla luce, e in conseguenza, del Thatcherismo: utilizzando Gramsci per comprendere la natura e la profondità della sfida alla Sinistra che il Thatcherismo e la nuova Destra rappresentano nella vita e nella politica inglese. Ma ho dovuto, nello stesso momento, inevitabilmente trattare anche della Sinistra. O meglio, non ho parlato della Sinistra, perché la Sinistra, nella sua forma organizzata laburista, non sembra avere la minima idea di cosa comporta mettere insieme un nuovo progetto storico. La Sinistra non capisce il carattere necessariamente contraddittorio dei soggetti umani, delle identità sociali. La Sinistra non capisce la politica come produzione. Non vede come sia possibile collegarsi con i sentimenti e le esperienze comuni che le persone vivono nella loro esistenza di tutti i giorni, e quindi articolare progressivamente queste esperienze nell’ambito di una più avanzata, moderna forma di coscienza sociale. Questa Sinistra non compie inchieste ed elaborazioni attive sulle enormi diversità presenti nelle forze sociali della nostra società. Non coglie che è nella natura stessa della moderna civiltà capitalistica la proliferazione dei centri di potere, e quindi il Capitalismo coinvolge sempre più settori della vita nell’antagonismo sociale. La Sinistra non riconosce che le identità che le persone hanno introiettate nelle loro menti - le loro soggettività, la loro vita culturale, la loro vita sessuale, le loro esistenze familiari, le loro identità etniche, la loro salute - sono diventate massicciamente politicizzate.

Io semplicemente non credo, per esempio, che l’attuale leadership laburista si renda conto che il suo destino politico dipende dal fatto di essere in grado o no di costruire una politica, nei prossimi 20 anni, capace di indirizzare se stessa ad affrontare non uno, ma una varietà di diversi punti di antagonismo presenti nella società; unificandoli, nelle loro differenze, all’interno di un progetto comune. Non credo che i dirigenti laburisti abbiano afferrato che la capacità da parte del Labour di crescere come forza politica dipende assolutamente dalla sua capacità di attingere alle energie popolari di movimenti così tanto diversi; movimenti esterni al partito, movimenti che il partito non ha voluto – o non ha saputo - mettere in gioco, e che quindi non può controllare. Il Labour conserva una concezione del tutto burocratica della politica. Se la parola non fuoriesce dalla bocca dei componenti della direzione del Labour, ci deve essere qualcosa di sovversivo in quelle espressioni. Se la politica stimola le persone a sviluppare nuove esigenze, ciò è un segno sicuro che i nativi stanno agitandosi. È necessario espellere o destituire qualcuno. È necessario tornare a quella invenzione romanzesca, ‘l’elettore tradizionale del Labour’: a quella ‘nozione Fabian’ della politica pacificata, dove le masse dirottano gli esperti alla conquista del potere, e poi gli esperti fanno qualcosa per le masse: più tardi... molto più tardi. La concezione idraulica della politica.

Questa concezione burocratica della politica non ha nulla a che fare con la mobilitazione di una molteplicità di forze popolari. Non viene espressa alcuna idea di come le persone acquisiscono il potere di agire: prima di tutto, rispetto ai loro problemi immediati; poi, il potere di ampliare le loro capacità e ambizioni politiche, in modo da cominciare a pensare di nuovo a come potrebbe essere il governare il mondo ... La politica di quei burocrati ha cessato di avere una connessione con la più moderna di tutte le risoluzioni – la decisione di approfondire la vita democratica.

Senza l’approfondimento della partecipazione popolare alla vita nazional-culturale, la gente comune non ha alcuna esperienza di dirigere in modo efficace una qualsiasi cosa. Noi abbiamo bisogno di ri-acquisire la nozione che ‘Politica’ significa espandere le capacità popolari, le capacità della gente comune. E per farlo, il Socialismo stesso deve parlare a quel popolo, che vuole potenziare, con parole che appartengono alla gente della fine del 20° secolo.

Avrete notato che non sto parlando, se il partito laburista abbia elaborato una sua politica su questo o quel problema in modo corretto. Sto parlando della concezione della Politica nel suo complesso: la capacità di cogliere nel nostro immaginario politico le scelte storiche enormi che stanno di fronte al popolo britannico, oggi. Sto parlando del nuovo concetto di Nazione stessa: se si crede che la Gran Bretagna possa entrare nel prossimo secolo con quella concezione dell’essenza dell’essere ‘Inglese’, che è stata interamente costituita dalla lunga, disastrosa, marcia imperialista della Gran Bretagna in tutto il pianeta. Se davvero si pensa questo, non avete afferrato la profonda trasformazione culturale necessaria per una “diversa versione” dell’essere ‘Inglese’. Questo tipo di trasformazione culturale è proprio ciò che deve interessare il Socialismo di oggi.

Ora un partito politico della Sinistra, per quanto la sua attenzione sia centrata sul governo, sulla vittoria alle elezioni, deve, a mio avviso, considerare come primario questo tipo di decisione. Il motivo per cui io non sono ottimista relativamente al fatto che il ‘partito di massa della classe operaia’ possa comprendere la natura della scelta storica che deve affrontare, è proprio perché ho il sospetto che il Labour segretamente ancora creda che esista un qualche margine di Sinistra nell’antiquato gioco dello sviluppo sostenibile keynesiano, economico-aziendale. Il Labour pensa che si potrebbe ritornare a politiche che prevedono un pizzico di keynesismo qui, un po’ più di stato sociale lì, ancora un frammento del vecchio Fabianesimo ... In realtà, anche se non ho una visione catastrofica del futuro , onestamente io credo che questa opzione abbia fatto il suo tempo. È esausta. Nessuno ci crede più. Le sue condizioni materiali sono scomparse. Il popolo britannico non elitario non voterà per il Labour perché sa sulla sua pelle che la vita non è più così.                                           

 Ciò che il Thatcherismo, nel suo modo radicale, propone non è se siamo in grado di tornare indietro, ma per quale percorso siamo disposti ad andare avanti? Di fronte a noi si presenta una scelta storica: capitolare al futuro thatcheriano [un futuro neoliberista, conservatore, regressivo], o inventare un altro modo di immaginare.

Non dobbiamo preoccuparci troppo per la signora Thatcher ; lei si ritirerà in pensione a Dulwich. Ma moltissimi Thatcheriani di terza, quarta e quinta generazione, noiosi da morire, stanno sondando alla ricerca di un uomo, in attesa di prendere il posto della Thatcher. Costoro sono convinti che il Socialismo sia in procinto di essere cancellato per sempre. Pensano che noi siamo dei dinosauri. Sono convinti che noi apparteniamo a un’altra epoca. Nel mentre il Socialismo lentamente declina, una nuova era sorgerà, e questi tipi di uomini avidi e possessivi saranno i novelli dirigenti! Costoro sognano di gestire un effettivo potere culturale. E il Labour, con la sua tattica molto cauta, “non facciamo-rollare-troppo-la-barca”, “speriamo-che-i sondaggi elettorali-ci-siano-favorevoli”, in realtà si trova di fronte ad un’unica scelta, diventare storicamente irrilevante o iniziare a delineare un modulo completamente nuovo di civilizzazione.

Non parlo di Socialismo, per timore che voi pensiate che con questo termine, tanto a voi familiare, io intenda porre nuovamente sui binari lo stesso vecchio programma che tutti noi ben conosciamo. Invece, sto parlando di un rinnovamento di tutto il progetto socialista, nel contesto della moderna vita sociale e culturale. Intendo, con lo spostamento dei rapporti di forza – e non in modo che Utopia arrivi il giorno dopo le prossime elezioni generali, ma in modo che l’orientamento politico cominci a percorrere altri sentieri.                                      
Chi ha bisogno di un Paradiso socialista in cui tutti sono d’accordo con tutti gli altri, dove tutti pensano esattamente nella stessa maniera? Dio non voglia. Io mi riferisco ad un luogo in cui tutti noi possiamo dare inizio alla contesa storica su ciò che dovrebbe essere un nuovo tipo di civilizzazione. È mai possibile che le immense potenzialità dei nuovi materiali, culturale e tecnologico, che superano di gran lunga i sogni più sfrenati di Marx, che ora in realtà sono nelle nostre mani, stiano per essere politicamente egemonizzate in favore della modernizzazione reazionaria del Thatcherismo? Oppure vogliamo cogliere al volo gli strumenti del fare-Storia, per costruire nuovi soggetti umani, e proiettarci nella direzione di una nuova cultura? Questa è la scelta che sta di fronte alla Sinistra.

Gramsci scriveva: “Si dovrebbe dare enfasi all’importanza che, nel mondo moderno, i partiti politici hanno nella elaborazione e diffusione delle concezioni del mondo, perché in buona sostanza, quello che fanno è di progettare ed elaborare etiche e politiche corrispondenti a queste concezioni, e di agire come se fossero il loro ‘laboratorio’ storico.”
* Questo articolo, versione scritta di un discorso fatto alla conferenza della rivista Marxism Today su Gramsci, è stato pubblicato la prima volta dalla rivista nel giugno 1987.



Per concessione di Tlaxcala
Fonte: http://www.versobooks.com/blogs/2448-stuart-hall-gramsci-and-us
Data dell'articolo originale: 22/01/2016
URL dell'articolo: http://www.tlaxcala-int.org/article.asp?reference=17345 

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